Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 11 aprile 2019, n. 10157.

La massima estrapolata:

I rifiuti degli imballaggi terziari e/o quelli degli imballaggi secondari non possono essere assimilati ai fini della Tarsu ai rifiuti urbani. Questo in quanto ai sensi del decreto Ronchi i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, caratterizzato dall’attribuzione ai produttori e ai gestori della loro gestione ovvero di tutte le fasi dalla raccolta allo smaltimento.

Ordinanza 11 aprile 2019, n. 10157

Data udienza 21 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere

Dott. RUSSO Rita – Consigliere

Dott. CIRESE Marina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 19810-2013 proposto da:
COMUNE DI MELILLI, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 80/2013 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SIRACUSA, depositata il 25/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2019 dal Consigliere Dott.ssa BALSAMO MILENA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§.1 Il Comune di Melilli ricorre – sulla base di tre motivi – per la cassazione della sentenza n. 80/16/13, depositata il 25.03.2013 e notificata il 30 maggio 2013, con cui la CTR della Sicilia, riuniti i ricorsi proposti dal Comune, ha affermato che il regolamento comunale aveva assimilato i rifiuti urbani ai rifiuti di cui al punto 1.1.1. della Delib. Comitato Interministeriale 27 luglio 1982, tra i quali i rifiuti da imballaggi; che l’articolo 5 lettera e) del medesimo regolamento aveva annoverato tra i rifiuti speciali quelli provenienti da attivita’ commerciali; che l’articolo 8 aveva assimilato ai rifiuti urbani quelli speciali, escludendo quelli non assimilabili dal conferimento(per i quali e’ previsto l’auto-smaltimento o il conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati); che nell’area di proprieta’ della societa’ ricorrente (magazzino, aree accessorie destinate allo scarico e carico di merce e verde) si producevano ” in larga misura” rifiuti speciali ed in una certa misura rifiuti assimilabili a quelli urbani, individuando i rifiuti speciali negli imballaggi primari, secondari e terziari e qualificando i rifiuti speciali derivanti da attivita’ commerciale di cui al citato articolo 5 del regolamento comunale come imballaggi secondari e terziari.
Ulteriormente argomentando che la societa’, poiche’ produce ” in larga misura” imballaggi secondari e terziari, ha certamente provveduto allo smaltimento degli stessi con oneri a proprio carico, di cui l’ente comunale avrebbe dovuto tener conto nella determinazione della Tarsu, cosi’ determinando l’imposta nella misura del 30% di quanto ingiunto dal Comune con la cartella di pagamento impugnata relativa Tarsu per l’annualita’ 2005.
L’ente contribuente resiste con controricorso eccependo l’inammissibilita’ del ricorso per violazione dei principi di cui all’articolo 360 bis c.p.c..
La societa’ concessionaria non ha svolto attivita’ difensiva.
Il Comune ha depositato memorie difensive in data 8.03.2019.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§.2 Con il primo motivo l’ente ricorrente denuncia violazione o errata applicazione del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 62, commi 1 e 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; per avere i giudici di merito rideterminato l’imposta nella misura del 30% della somma iscritta a ruolo, sul presupposto che, in tutte le aree possedute dalla societa’ sul territorio comunale, si producessero ” in larga misura ” rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani al cui smaltimento provvede a proprie cure la societa’ (OMISSIS), censurando la motivazione nella parte in cui ha ritenuto apoditticamente che in tutti i locali, anche quelli adibiti alla vendita e al deposito o stoccaggio della merce, si producono in via assolutamente prevalente rifiuti speciali, con cio’ violando il Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 62, secondo il quale la tassa e’ dovuta per” l’occupazione o detenzione dei locali e di aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione della aree pertinenziali e accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio e’ istituito e attivato…”, in tal modo, ponendo a carico dei possessori o detentori una presunzione di astratta produttivita’ di rifiuti nei locali e nelle aree occupate o detenute a prescindere dalla effettiva produzione dei rifiuti medesimi, mentre il comma 3 del medesimo articolo statuisce che nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte che per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano di regola rifiuti speciali, tossici o nocivi allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi.
Deduce al riguardo l’amministrazione comunale che, in contrasto con i principi giurisprudenziali ampiamente citati nel ricorso, il decidente ha concluso che tutte le aree occupate producessero rifiuti non assimilabili senza verificare in concreto l’effettivo adempimento da parte della contribuente degli oneri su di essa gravanti, quale la delimitazione delle aree e la produzione di rifiuti speciali non assimilabili.
Aggiunge l’ente comunale che la societa’, con la denuncia del 2001, non aveva richiesto l’applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 62 citato, risultando la specifica sezione a cio’ adibita depennata (come risulta dalla trascrizione della dichiarazione).
3. Con la seconda censura, si lamenta in via subordinata, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, avendo i giudici territoriali omesso di esaminare la corretta ed adeguata delimitazione degli spazi produttivi in via esclusiva dei rifiuti speciali non assimilabili unitamente alla sussistenza delle ulteriori condizioni cui la giurisprudenza subordina l’effettiva fruizione dell’esclusione di imposta ex articolo 62 citato. E, poiche’, la contribuente nell’indicare quanto esposto nella dichiarazione del 2001 aveva indicato le aree destinate a vendita e magazzino, la C.T.R. avrebbe omesso di valutare se nella superficie di mq. 15.370 corrispondente ai locali destinati a vendita e magazzino si producevano esclusivamente i rifiuti da imballaggi secondari e terziari da smaltire a cure e spese della contribuente.
4. Con la terza censura, il comune lamenta insufficiente motivazione su un fatto decisivo controverso per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, per avere il decidente omesso di verificare in concreto la condizione oggettiva delle aree de quibus a produrre in larga misura rifiuti speciali non assimilabili.
5. I motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto involgenti la medesima questione – sono fondati.
Sotto il profilo della violazione di legge, osserva questa Corte che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l’imposta e’ dovuta, ai sensi del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 62, comma 1, per la disponibilita’ dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dal comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo articolo 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti. Spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilati a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree del territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre l’obbligo di denuncia ai sensi del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 70), un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass.n. 11438/2018; Cass. n. 21250 del 2017; Cass. n. 17622 del 2016; Cass. n. 19469 del 2014; Cass. n. 775 del 2011; Cass. n. 17599 del 2009; Cass. n. 13086 del 2006).
Nella specie, la sentenza impugnata non ha affatto considerato l’adempimento o meno da parte del contribuente degli obblighi sopra enunciati.
Cio’ premesso, sotto il profilo della violazione di legge, sebbene rubricati sotto il profilo del n. 3 e del nuovo articolo 360 c.p.c., n. 5, in sostanza, l’amministrazione comunale deduce l’apoditticita’ della motivazione nella parte in cui si afferma che tutte le aree producono rifiuti speciali non assimilati (anche gli alloggi del custode, aree verdi, magazzini, uffici) senza esporre il percorso argomentativo sul quale si e’ fondato il convincimento del giudice di secondo grado, lamentando che i giudici regionali non hanno valutato la sussistenza delle condizioni dell’esenzione, rivelandosi insufficiente la motivazione sul punto, atteso che ne’ il contratto con l’impresa esercente il servizio di smaltimento dei rifiuti ne’ le fatture prodotte consentono di individuare la natura e tipologia dei rifiuti prodotti e smaltiti.
6. Nella riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5), sussiste il vizio di motivazione qualora la Corte di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, oppure ricorrano una “mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, una “motivazione apparente”, un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, a nulla rilevando il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014).
Ebbene, le censure hanno posto in luce l’assoluta mancanza di motivazione della sentenza (Cass. n. 16247/2018; n. 26538 del 2017; Cass. n. 9105 del 2017), in quanto i provvedimenti giudiziari non si sottraggano all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’articolo 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo e’ violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perche’ perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullita’ processuale deducibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 22598/2018; n. 16611/2018; n.. 12096 del 2018; 23940 del 2017; 21257 del 2014).
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che, a fronte di una precisa affermazione di segno contrario da parte dell’amministrazione comunale ed in risposta ad un preciso motivo d’appello, nonostante l’inequivoco contenuto della dichiarazione presentata dalla contribuente nel 2001, il decidente dopo aver ricostruito la normativa applicabile alla materia de qua, ha affermato apoditticamente che “nelle aree di proprieta’ della societa’ – e precisamente i parcheggi, le aree accessorie destinate al carico e scarico della merce, i magazzini e l’area verde – si producono ” in larga misura” rifiuti speciali ed in una certa misura rifiuti assimilabili a quelli urbani”, aggiungendo che trattandosi di rifiuti speciali (imballaggi secondari e terziari), la contribuente ” ha certamente provveduto allo smaltimento degli stessi con oneri a proprio carico”. Tanto premesso, e’ sufficiente osservare che la giurisprudenza di questo giudice di legittimita’ (alla quale il collegio intende dare continuita’ in assenza di valide ragioni per discostarsene) ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico- giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. tra le altre Cass. n. 6762 del 2006; Cass. n. 871/2009; nn. 28158 e 19956 del 2017) e, piu’ in particolare, che si sottrae all’obbligo della motivazione, o vi fa fronte in modo del tutto apparente, il giudice di merito che apoditticamente affermi che sia stata data la prova di un fatto (o, evidentemente affermi, al contrario, che tale prova non sia stata fornita) omettendo un qualsiasi riferimento sia al mezzo di prova che ha avuto a specifico oggetto la circostanza in questione, sia al relativo risultato.
I giudici di secondo grado hanno omesso di dare conto dell’esame dei motivi di appello dell’ente comunale ne’ hanno dimostrato di avere esaminato le circostanze specifiche del caso concreto. Difetta pertanto la spiegazione, in maniera chiara, univoca ed esaustiva, delle ragioni, attribuibili al giudicante, giustificanti la decisione di rigetto di tale gravame.
Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. della Sicilia, in diversa composizione, attenendosi al principio giuridico ricavabile dal Titolo 2 del decreto Ronchi secondo il quale i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento) (articolo 38 citato); cio’ vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali e’ stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioe’, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale.
Ne deriva che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonche’ quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell’esercizio del potere ad essi restituito dal decreto Ronchi, articolo 21 e dalla successiva abrogazione della L. n. 146 del 1994, articolo 39, ed i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno percio’ disapplicati in parte qua dal giudice tributario (Cass. n. 627 del 19.10.2011; Cass. n. 627/2012; Cass. n. 4793/2016; Cass. 14414/2017; Cass. n. 6358 e 6359 del 2016).
Il giudice del rinvio provvedera’ alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:
– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. della Sicilia, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera’ alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

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