Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 febbraio 2023| n. 4586.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale “species” a sé stante al “genus” del mandato, l’amministratore revocato “ante tempus” senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall’art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario.
Ordinanza|14 febbraio 2023| n. 4586. La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci
Data udienza 2 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Societa’ – Di capitali – Societa’ per azioni (nozione, caratteri, distinzioni) – Organi sociali – Amministratori – Revoca e sostituzione società a responsabilità limitata – Revoca dell’amministratore senza giusta causa – Diritto al risarcimento del danno – Sussistenza – Limiti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAZZICONE Loredana – Presidente
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27954/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ((OMISSIS)) che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1164/2018 depositata il 21/02/2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/02/2023 dal Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci
FATTO
Ritenuto che:
Con sentenza nr 1164/2018 la Corte di appello di Roma rigettava l’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.r.l. avverso la pronuncia del Tribunale di Roma del 2 agosto 2012, la quale aveva respinto le domande di pagamento dei compensi e di risarcimento del danno, dichiarando cessata la materia del contendere con riguardo all’azione di impugnativa delle deliberazioni assembleari del 6 dicembre 2006 e del 12 dicembre 2006, nelle quali l’unico socio (OMISSIS) aveva revocato il consiglio di amministrazione, nominando un amministratore unico.
Il giudice del gravame, per gli aspetti che qui interessano, rilevava – in merito alla questione introdotta in causa riguardante l’esistenza, in capo alla societa’, di un potere di revoca incondizionato a prescindere dalla giusta causa – che nella disciplina delle societa’ a responsabilita’ limitata ove non e’ prevista una disposizione analoga all’articolo 2383 c.c., comma 2, il modello organizzativo stabilito dalla legge non regolando il potere di recesso della societa’ e dell’amministrazione, poiche’ ove nulla sia disposto nello statuto, esso costituisce uno dei poteri naturali delle parti nei contratti a prestazione continuata e di durata illimitata.
Osservava, con riferimento al caso in esame, che lo statuto all’articolo 11 stabiliva la durata limitata del rapporto con l’organo amministrativo ed il potere di revoca in ogni tempo anche in assenza di giusta causa, come desumibile dalla previsione secondo cui “Gli amministratori durano in carica cinque anni e sono rieleggibili. L’assemblea ha la facolta’ in qualunque tempo di sostituire al Consiglio di amministrazione un amministratore unico ed a quest’ultimo un Consiglio di amministrazione”.
La Corte distrettuale riteneva che simile clausola permettesse la revoca senza giusta causa; che l’articolo 1362 c.c. circa l’indagine sulla reale intenzione dei contraenti non fosse applicabile alla interpretazione dello statuto, cosi’ come l’articolo 1370 c.c., alla luce della clausola statutaria che intendeva consentire alla societa’ la revoca prima del termine, senza incorrere nelle conseguenze risarcitorie; che una diversa lettura della previsione statutaria non avrebbe avuto senso, posto che non era in discussione il principio della revocabilita’ dell’amministratore anche a tempo determinato, stante la natura fiduciaria del rapporto e l’incidenza dell’operato dell’amministratore sulle vicende societarie, sicche’ l’interpretazione operata dal giudice di primo grado e’ anche perfettamente osservante del canone ermeneutico previsto dall’articolo 1367 c.c. con conseguente esclusione dei criterio residuale dettato dall’articolo 1371 c.c..
Avverso tale sentenza (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria, cui la societa’ (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 1363, 1364 e 1367 (e degli articolo 1725, 2259 e 2383 c.c., comma 3, nonche’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte di appello interpretato la normativa statutaria in violazione del canone dettato dall’articolo 1363 e del canone ermeneutico dettato dall’articolo 1367 c.c., non rispettandone il precetto.
Si rileva, in particolare, che la clausola in questione prevedeva la facolta’ di sostituzione, in ogni tempo, del c.d.a. con un amministratore unico, e viceversa, esplicitando una facolta’ gia’ attribuita dalla legge alla societa’.
Si osserva, infatti, che l’articolo 1367 c.c. e’ lungi dall’imporre la ricerca di un significato diverso da quello letterale, solo perche’ gia’ la legge disponga quell’effetto, come dimostra l’ampia presenza, in molti statuti ed anche in quello della (OMISSIS) s.r.l., proprio di clausole oggettivamente superflue, quali, ad esempio, sull’assemblea totalitaria, sulla costituzione dell’assemblea, sul diritto di voto, e cosi’ via.
Si sostiene, poi, che l’avere ritenuto che la clausola concernente la forma dell’organo amministrativo comportasse anche la rinuncia ad ogni diritto degli amministratori revocati ante tempus contrastava anche con il disposto dell’articolo 1363 c.c., giacche’ una tale interpretazione avrebbe esteso i suoi effetti ad oggetti che le parti non si erano affatto proposte di contrattare, ne’ avevano contrattato.
Si afferma, al contrario, che sarebbe stato necessario fare applicazione analogica dell’articolo 2383 c.c., comma 3, o, in subordine, degli articoli 2259 o 1725 c.c., esistendo altresi’ un principio dell’ordinamento, che impone il ristoro dei danni o la corresponsione di una indennita’, per il caso di anticipato ed unilaterale scioglimento di un rapporto a tempo determinato.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 c.c. e degli articolo 1129 c.c., comma 2, articoli 1723, 1724, 1725, 2259 c.c., articolo 2383 c.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte di appello non correttamente interpretato la previsione statutaria alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 1362 c.c., ritenuto da essa inapplicabile agli statuti societari richiamando a torto un precedente della Suprema Corte, non pertinente al caso in esame.
Si sostiene che sarebbe consentito indagare sul contenuto del contratto sociale (statuto) nella misura in cui questo incide sulla posizione degli amministratori, quantunque gli stessi non siano parti stipulanti di detto contratto.
Si rileva poi che dal tenore letterale delle parole della clausola emerge null’altro che il potere sovrano dell’assemblea di sostituire l’organo amministrativo e di mutarne la forma in ogni tempo senza fornire alcuna indicazione in relazione alle conseguenze sui diritti dei soggetti revocati, sicche’ in proposito devono applicarsi gli articolo 2383, 2259, 1723, 1725 c.c..
Con un terzo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’articolo 1370 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte di appello escluso l’applicazione al caso in esame del canone ermeneutico previsto dall’articolo 1370 c.c., sul presupposto, considerato errato, della non assimilabilita’ dello statuto sociale alle condizioni generali di contratto.
Con un quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1371 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di appello escluso l’applicazione del canone residuale, ritenendo utilizzabile il solo criterio ermeneutico previsto dall’articolo 1367 c.c.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 112, 132 c.p.c., n. 4, dell’articolo 118 disp att. c.p.c., dell’articolo 11 Cost. e degli articolo 1341, 1342 e 1375 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di appello omesso di motivare in ordine alla richiesta avanzata in subordine, per l’ipotesi della interpretazione della clausola statutaria in modo conforme alla lettura data dal Tribunale e quindi nel senso di una rinuncia preventiva al risarcimento.
Si sostiene che in questo caso la previsione statutaria avrebbe costituito una limitazione della responsabilita’ che avrebbe dovuto essere approvata per iscritto non senza rilevare che la stessa era stata utilizzata in modo abusivo al solo fine di liberarsi di un organo amministrativo.
Preliminarmente deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso, che la societa’ propone in controricorso, facendo leva sull’esistenza della doppia sentenza conforme, ossia della sentenza d’appello che ha confermato quella di primo grado, a norma dell’articolo 348-ter c.p.c., comma 4.
E cio’ perche’ la disposizione in esame presuppone che nei due gradi di merito siano state decise le “questioni di fatto” in base alle “stesse ragioni”; laddove nel caso in esame con i motivi di ricorso non si contestano questioni di fatto, ma si aggrediscono le statuizioni in diritto della sentenza impugnata.
I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per l’intima connessione, in quanto diretti a denunziare la violazione delle regole in tema di interpretazione dei negozi privati e la falsa applicazione di disposizioni normative che ne e’ derivata, sono fondati, per le ragioni di seguito esposte.
Per affrontare il problema e’ necessario soffermarsi sul percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello nel costruire gli strumenti giuridici che hanno portato alle conclusioni oggetto di censura.
L’articolo 11 dello statuto infatti cosi’ dispone:
“Gli amministratori durano in carica 5 anni e sono rinnovabili.
L’assemblea ha la facolta’ in qualunque tempo di sostituire al Consiglio di amministrazione un amministratore unico ed a quest’ultimo un Consiglio di amministrazione”.
Poste queste premesse, la Corte distrettuale ha ritenuto che e’ gia’ la sola interpretazione della clausola statutaria ad evidenziare che “lo statuto, nel prevedere la facolta’ di sostituire l’organo amministrativo in ogni tempo e quindi indipendentemente dalla scadenza del mandato, intendeva consentire alla societa’ la revoca prima del termine senza incorrere nelle conseguenze risarcitorie che l’ordinamento prevede a carico del recedente nel caso di anticipata cessazione del rapporto”.
La previsione statutaria, ove fosse diversamente interpretata – si argomenta – non avrebbe alcun senso dal momento che non e’ discutibile il principio generale della revocabilita’ dell’amministratore anche a tempo determinato stante la natura fiduciaria del rapporto.
In quest’ottica interpretativa per i giudici di appello assume rilevanza decisiva l’articolo 1367 c.c., che darebbe, a loro dire, il solo senso possibile alla disposizione statutaria di cui all’articolo 11.
Clausola che non avrebbe cioe’ alcun significato ove non fosse che una semplice ripetizione di quanto previsto da un principio generale.
Le ragioni della decisione qui impugnata, che confermano, per queste vie, quella del Tribunale non possono essere condivise dalla Corte.
Il tema sollevato dalla presente vertenza non e’ quello della revocabilita’ nelle societa’ a responsabilita’ limitata degli amministratori o del consiglio di amministrazione, e neppure quello dell’esistenza di un potere di revoca incondizionato, a prescindere dalla presenza di una giusta causa; ma e’, invece, dedotta la violazione delle regole di cui agli articolo 1362 c.c. e ss., ed, ancor prima, viene censurata l’affermazione circa la pretesa inapplicabilita’ di tali disposizioni agli statuti di societa’.
Va subito sgombrato il campo da quest’ultimo equivoco: le regole sulla interpretazione del contratto, di cui agli articolo 1362 c.c., in quanto volte ad offrire criteri ermeneutici per tutti gli atti privati (ed anche oltre quelli), sono sicuramente applicabili anche agli statuti di societa’, che di tale natura partecipano.
Con riguardo alla violazione di dette regole, i motivi in esame sono ammissibili, ai sensi degli articolo 360 e 366 c.p.c., rispettando essi il principio secondo cui la parte, che censuri il significato attribuito dal giudice di merito ad un negozio, deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, di cui agli articolo 1362 c.c. e ss., indicando, a pena d’inammissibilita’, quali criteri interpretativi siano stati violati. Infatti, l’interpretazione del contratto e degli atti privati e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o (nel vigore del nuovo articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per assenza assoluta di motivazione: ai fini della censura di violazione dei canoni stessi, pertanto, e’ anzitutto indispensabile, in ossequio al principio di specificita’ del ricorso di cui all’articolo 366 c.p.c., la trascrizione del testo della regolamentazione privata (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; nonche’, fra le altre, Cass. 23 agosto 2018, n. 21010; Cass. 1 marzo 2012, n. 3218), in quanto solo cosi’ e’ dato al giudice di legittimita’ di effettuare il proprio controllo sulla interpretazione resa dalla corte del merito e sull’eventuale violazione dei canoni ermeneutici che la guidano, ai sensi degli articolo 1362 c.c. e ss..
Al riguardo, reputa il Collegio che la corte del merito non abbia correttamente applicato i criteri di cui agli articolo 1362, 1363 e 1367 c.c., dalla parte ricorrente invocati, laddove essa, in modo apodittico, si limita ad affermare la pretesa rinuncia ad un indennizzo da revoca senza giusta causa, ancorandolo ad una disposizione statutaria volta a fissare, tuttavia, la mera struttura dell’organo gestorio, aderendo dunque ad una interpretazione antiletterale senza adeguata giustificazione di tale modus procedendi.
E cio’ anche senza affatto approfondire, sulla base della lettura dell’intera disposizione statutaria e della sua collocazione nell’ambito dello statuto, quale fosse l’esatta portata dell’espressione.
Questa Corte ha gia’ chiarito (fra le altre, Cass. 5 luglio 2019, n. 18182) che l’interpretazione del contratto costituisce giudizio di fatto, riservato al giudice del merito: ma le norme che la governano sono regole di diritto e, sulla base dell’interpretazione, il giudice qualifica l’atto, ne giudica della validita’ ed efficacia, sindaca l’inadempimento, in sostanza valuta ogni vicenda giuridica.
La regola base e’ quella contenuta nell’articolo 1362 c.c., commi 1 e 2, che bada alla lettera, nonche’ alla comune intenzione delle parti contraenti, ed al loro comportamento complessivo anche successivo, con l’esigenza di indagare sulle reali intenzioni delle parti e sull’effettiva portata delle clausole all’interno del testo (cfr., fra le altre, Cass. 13 marzo 2015, n. 5102).
Nella specie, a fronte della asciuttezza della clausola statutaria, dettata nell’ambito della prefigurazione organizzativa della struttura dell’organo gestorio, la corte territoriale avrebbe dovuto valutare se, si badi, non mediante un accordo ad hoc tra la societa’ e l’amministratore, ma, appunto, all’interno di una previsione generica dello statuto, quale patto fra i soci, fosse stata prevista una deroga alla generale tutela apprestata dall’ordinamento in favore dell’amministratore revocato senza giusta causa, e da questo, pertanto, condivisa al momento dell’accettazione della carica.
In tale compito la sentenza impugnata ha, viceversa, violato i criteri di interpretazione, previsti dall’articolo 1362 c.c.: ed infatti, essa ha trascurato del tutto la lettera della clausola, la quale atteneva al cambio di struttura nella gestione e non riguardava la revoca degli amministratori, nonche’ la condotta anche successiva delle parti; ed e’ stato, altresi’, violato l’articolo 1367 c.c., per l’argomento sviluppato nel primo motivo di ricorso, secondo cui la norma non legittima una lettura antiletterale, solo per far si’ che la clausola non sia meramente ripetitiva di una disposizione di legge.
Infine, ne e’ cosi’ derivata altresi’ la violazione dei principî posti dall’articolo 1725 c.c., comma 1, applicabile alla s.r.l., essendo pur sempre il rapporto di amministrazione, pur species a se’ stante (cfr. Cass., sez. un., 20 gennaio 2017, n. 1545), riconducibile nel genus del mandato: onde, se la revoca avviene senza giusta causa, e’ dovuto il risarcimento del danno. Invero, sebbene gli amministratori di s.r.l. possono essere revocati in ogni tempo dall’assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa, e cio’ tanto piu’ in ragione del rapporto personalistico particolarmente intenso in tale tipo sociale, tuttavia allora sorge in capo all’amministratore revocato ante tempus, il diritto al risarcimento del danno: regola, certamente, derogabile dall’autonomia privata, purche’ il giudice chiamato a pronunciarsi individui, senza vizi di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, un negozio idoneo allo scopo.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte, vanno accolti i primi due motivi di ricorso, con l’assorbimento dei restanti.
La decisione impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa la decisione impugna e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’.
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