Responsabilità degli amministratori e l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 aprile 2024| n. 10742.

Responsabilità degli amministratori e l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse

In tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali, l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse, da valutarsi ex ante secondo i parametri della diligenza del mandatario, tenendo conto dell’eventuale mancata adozione da parte degli amministratori delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per quel tipo di scelta e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, di talché, una volta verificatane l’irragionevolezza, gli amministratori rispondono dei danni conseguenti alla cagionata insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le ragioni del ceto creditorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva qualificato, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, come atto irragionevole e fonte di danno risarcibile, la decisione degli amministratori di ottenere il controllo di altra società, acquisendone un ramo d’azienda gravemente indebitato).

Ordinanza|22 aprile 2024| n. 10742. Responsabilità degli amministratori e l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse

Data udienza 12 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Societa’ – Di capitali – Societa’ cooperative (nozione, caratteri, distinzioni, tipi: a responsabilita’ limitata e non limitata) – Organi sociali – Amministratori responsabilità degli amministratori di società di capitali – Insindacabilità del merito delle scelte di gestione – Limiti – Accertata irragionevolezza delle scelte gestorie – Conseguenze – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dai Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Rel.Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 408-2019 proposto da:

Co.St., Co.Gi. e Co.Pa., rappresentati e difesi dall’Avvocato MA.GI. per procura in calce al ricorso;

– ricorrenti principali –

nonché

Me.Cl. e Pa.An., rappresentati e difesi dall’Avvocato AL.MA. per procure in calce al ricorso;

– ricorrenti incidentali-

contro

FALLIMENTO (…) Spa, rappresentato e difeso dagli Avvocati AR.FA. e RO.MA. per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA N. 6907/2018 DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 31/10/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza in camera di consiglio del 12/3/2024;

Responsabilità degli amministratori e l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse

FATTI DI CAUSA

1.1. Il Fallimento (…) Spa, dichiarato con sentenza del 19/7/2012, ha chiesto: 1) la condanna di Co.St., Co.Gi., Co.Pa. e Me.Cl., nella qualità di amministratori della società fallita, a risarcire, in solido, i danni cagionati a quest’ultima, pari alla somma complessiva di Euro. 2.081.000,00, oltre accessori, sia a norma dell’art. 2043 c.c., per aver posto in essere condotte gravemente fraudolente ed illecite, integrative di reato, sia ai sensi degli artt. 2392 e 2393 c.c., per l’utilizzo improprio dei fondi sociali o, quanto meno, per la mancanza di oculatezza mostrata nell’impiego degli stessi senza una preventiva e puntuale informazione e ponderazione e poi senza alcun rendiconto, e sia, infine, a norma dell’art. 2394 c.c., per aver causato, con fatto doloso o quanto meno colposo, un danno patrimoniale ai creditori sociali; 2) la revoca dell’atto con il quale il Me.Cl., già presidente del consiglio di amministrazione dal 2004 al 2007 e poi amministratore unico fino al 20/5/2008, aveva, in data 25/2/2009, vincolato l’unico bene di sua proprietà a mezzo della costituzione, insieme alla moglie Pa.An., di un fondo patrimoniale.

1.2. Co.St., Co.Gi. e Co.Pa., da una parte, e Me.Cl. e Pa.An., dall’altro, si sono costituiti in giudizio e hanno chiesto il rigetto delle domande proposte.

1.3. Il tribunale di Roma, con sentenza n. 18768/2016, ha accolto le domande proposte dalla procedura ed ha, per l’effetto, condannato Co.St., Co.Gi., Co.Pa. e Me.Cl., a titolo di risarcimento dei danni, in solido tra loro, a pagare in favore del Fallimento la somma complessiva di Euro. 2.081.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ed ha dichiarato l’inefficacia nei confronti della massa

dell’atto con il quale, in data 25/2/2009, Me.Cl. e Pa.An. hanno costituito un fondo patrimoniale con beni immobili di loro proprietà in Latina.

1.4. Co.St., Co.Gi., Co.Pa., da una parte, e Me.Cl. e Pa.An., con distinti atti d’impugnazione, hanno proposto appello avverso l’indicata sentenza.

1.5. Il Fallimento ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

1.6. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.

1.7. Co.St., Co.Gi. e Co.Pa., con ricorso principale notificato il 18/12/2018, hanno chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, notificata, come da relazione depositata insieme al ricorso, in data 5/11/2018.

1.8. Me.Cl. e Pa.An., a loro volta, con ricorso notificato in data 3/1/2019, illustrato da memoria, hanno chiesto, per cinque motivi, la cassazione della stessa sentenza.

1.9. Il Fallimento ha resistito ai ricorsi con distinti controricorsi

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RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti principali, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e all’art. 115 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver ritenuto che l’azione sociale proposta contro Co.St., Co.Gi. e Co.Pa. si era prescritta, ha affermato la responsabilità degli stessi, in via extracontrattuale ai sensi dell’art. 2394 c.c. in ragione della mancata analisi che gli amministratori avrebbero dovuto eseguire prima dell’inizio dell’operazione commerciale ad essi contestata, e cioè la costituzione della (…) e il suo successivo azzeramento di valore, omettendo, tuttavia, di considerare che il Fallimento non ha fornito alcuna prova dei fatti costitutivi della domanda, né ha consentito ai convenuti, mediante l’accesso agli atti del fascicolo fallimentare, di poterlo fare semmai, pur non essendone tenuti, avessero voluto.

2.2. Come in ogni azione risarcitoria di natura extracontrattuale, infatti, hanno osservato i ricorrenti, è l’attore a dover fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi necessari per l’accoglimento della domanda, ad iniziare dal rapporto di causalità tra l’inadempimento degli amministratori e il danno di cui si pretende il risarcimento. Nel caso in esame, al contrario, la corte d’appello ha ritenuto, in violazione dell’art. 2697 c.c., che la prova della preventiva analisi da parte degli amministratori rispetto all’operazione commerciale compiuta spettasse ai convenuti, laddove, in realtà, la prova afferente al difetto di idonea programmazione dell’investimento da parte degli amministratori e pretesa carenza di analisi da parte degli stessi spettava al Fallimento.

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2.3. Con il secondo motivo, i ricorrenti principali, lamentando l’illogicità della motivazione e la sua assoluta contraddittorietà ai principi giuridici in tema di responsabilità aquiliana, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c. e all’art. 111 Cost., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha affermato la responsabilità di Co.St., Co.Gi. e Co.Pa. per aver negligentemente omesso, prima del compimento dell’operazione commerciale che ha cagionato il danno, l’esame dell’investimento compiuto attraverso uno studio di fattibilità dello stesso, traendo il relativo convincimento dall’azzeramento di valore della partecipazione in (…), omettendo, tuttavia, di considerare che il danno conseguente alla perdita del denaro immesso nell’operazione è l’effetto ma non può essere la prova della condotta illecita imputata agli amministratori, vale a dire il compimento dell’investimento senza una preventiva analisi dello stesso.

2.4. Con il primo motivo, i ricorrenti incidentali, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver ritenuto che l’azione sociale proposta contro Me.Cl. si era prescritta, ha affermato la responsabilità dello stesso, in via extracontrattuale ai sensi dell’art. 2394 c.c., in ragione dell’affermata irragionevolezza della scelta compiuta dagli amministratori, per non avere gli stessi dimostrato di aver assunto le dovute informazioni circa l’operazione compiuta nonostante la rilevanza della stessa, omettendo, tuttavia, di considerare che: – è l’attore ad avere l’onere di provare in giudizio l’esistenza di tutti gli elementi costituenti la responsabilità degli amministratori ai sensi dell’art. 2394 c.c., e cioè l’esistenza del fatto contestato, il nesso di causalità e il danno subito; – le prove utilizzate dalla corte d’appello, in difetto di risultanze negative degli studi di fattibilità che ne avrebbero dovuto sconsigliare il compimento, erano totalmente inidonee a fondare l’affermata responsabilità dei convenuti per l’operazione effettuata dagli stessi; – la scelta degli amministratori in ordine alla fattibilità dell’operazione non è suscettibile di sindacato nel merito da parte del giudice.

2.5. Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nonché la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la condanna in solido di tutti i convenuti, compreso il Me.Cl., senza, tuttavia, considerare, a fronte del contributo fornito da quest’ultimo solo alla parte iniziale dell’acquisizione della (…), la necessità di procedere alla gradazione della responsabilità tra i diversi amministratori in ragione dell’apporto causale di ciascuno alla serie causale che ha prodotto il danno subito dalla società.

4.1. Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che Me.Cl. fosse responsabile del fatto illecito senza, tuttavia, considerare che, in realtà, il danno alla società si è verificato non già con l’investimento nella società straniera per circa di due milioni di euro ma solo quando, dopo l’uscita del Me.Cl. dal consiglio di amministrazione, altri amministratori che a quello sono succeduti ne hanno deciso l’estinzione in ragione dell’azzeramento del suo capitale.

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4.2. Con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2394 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nonché la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha condannato Me.Cl. al risarcimento del danno arrecato ai creditori senza, tuttavia, considerare che, come denunciato con l’atto d’appello, il Fallimento, non avendo provato l’insufficienza della liquidazione dell’attivo ad assicurare il soddisfacimento delle loro ragioni, non aveva dimostrato in giudizio la sussistenza del danno subito dai creditori e la relativa misura.

4.3. I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

4.4. La corte d’appello, infatti, dopo aver rilevato, in fatto, che: – gli amministratori della (…) Spa, con scelta assunta a partire dal mese di gennaio del 2007, avevano operato, con l’impiego della somma complessiva di Euro. 2.081.000,00, un investimento nel capitale della società lussemburghese (…) s.a.; – in data 18/12/2008, la partecipazione della (…) Spa in (…) s.a. è stata trasferita, unitamente al conferimento di alcuni valori immateriali, alla (…) Srl, costituita in pari data; – il perito nominato ai fini di cui all’art. 2343 ter c.c., sul presupposto che la (…) aveva svolto solo attività di mera preparazione alla commercializzazione di prodotti sui mercati internazionali, ha ritenuto prudente l’azzeramento del valore di tale partecipazione; – la (…) Srl, a sua volta, non è mai stata operativa, essendosi limitata a comparire in data 1/7/2009 all’assemblea della (…) s.a. per deliberare, quale socia unica, l’estinzione della società; – l’estinzione della società ha determinato l’azzeramento dell’investimento; ha, in sostanza, ritenuto che, come già affermato dal tribunale con statuizioni non censurate, la scelta degli amministratori di compiere l’investimento in questione (compiuta, peraltro, quando il Me.Cl. era dapprima componente del consiglio di amministrazione della società poi fallita e poi amministratore unico della stessa fino al 23/5/2008) era stata assunta “in assenza di una previa valutazione esplicativa in punto di rischi e convenienza nonché in assenza di un piano industriale-finanziario” che ne giustificasse il compimento “nonostante la sua rilevanza in termini economici” e che la stessa scelta, a fronte della “manifesta irragionevolezza” dell’operazione così decisa (attesa “1) l’inoperatività della acquisita (…) SA; 2) la mancanza di prova circa i rapporti fra le due società in termini di scambio di informazioni e di direttive … ; 3) la mancanza di qualsivoglia informazione circa l’operazione, nonostante la sua rilevanza in termini economici, sia in seno al Cda, sia nei confronti del Collegio Sindacale …”) e “portata avanti senza alcuna analisi circa l’operatività della (…) e la capacità della medesima società di veicolare all’estero il prodotto della (…) Spa”, era, pertanto, “riconducibile”, avendo riguardo “al momento della esecuzione dell’acquisizione di cui si discute”, “quanto meno” all'”imperdonabile negligenza” da parte degli amministratori “nella cura degli interessi della società … e nella conservazione del patrimonio sociale”, avendo impiegato, “nella totale assenza nell’adottare le cautele idonee a garantire la conservazione del capitale investito” e “senza alcuna analisi circa l’operatività della (…) e la capacità della medesima società di veicolare all’estero il prodotto della (…) Spa”, e quindi senza la dovuta “diligenza”, la somma di Euro. 2.081.000,00 in una operazione “del tutto avventata”, “caratterizzata, nella sua esecuzione, da una vistosa mancanza di preparazione, informazione e trasparenza” “tanto nei singoli passaggi di competenza del Consiglio di amministrazione, tanto nei pagamenti eseguiti per l’acquisizione”, e priva, sulla base di un giudizio ex ante, “di alcuna possibilità di positivo ritorno economico” in favore della società poi fallita.

4.5. La corte d’appello, sulla base di tali valutazioni, che hanno dichiaratamente investito non la scelta imprenditoriale di procedere all’acquisizione “della società (…) SA” né “le vicende successive all’acquisizione” in questione, ma la “negligenza” e lm avventatezza degli amministratori nel valutare l’opportunità dell’investimento” nonché “le modalità con le quali la stessa operazione è stata portata avanti”, ha, pertanto, confermato la condanna in solido degli amministratori convenuti al risarcimento dei danni che, in ragione dell’azzeramento del valore delle quote in (…) al momento in cui le stesse sono state poi conferite nella controllata (…) Srl e della “perdita della somma investita”, hanno, per l’effetto, arrecato, in via immediata e diretta, già al momento dell’investimento, al patrimonio della società poi fallita e, quindi, alle “ragioni dei creditori” della stessa, la cui garanzia patrimoniale, a fronte di crediti incontestatamente ammessi al passivo societario per 24 milioni di euro, si è ridotta per una somma pari ad oltre 2 milioni di Euro.

4.6. Così facendo (con apprezzamenti che, nella misura in cui involgono accertamenti in fatto, non sono, come tali, sindacabili in questa sede), la sentenza impugnata si è attenuta ai principi più volte espressi da questa Corte, vale a dire che: -in materia di responsabilità degli amministratori di società di capitali, l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse, da valutarsi ex ante tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza professionale mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere (cfr. Cass. n. 2172 del 2023; conf., Cass. n. 12108 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 3409 del 2013); – una volta accertata, come nel caso in esame, l’assunzione di una scelta di tale natura (non essendo, appunto, emersa, in fatto, l’adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo) e, quindi, l’inadempimento colpevole che la stessa esprima al dovere di agire con la dovuta diligenza (art. 2392, comma 1°, c.c.) e, per l’effetto, al dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale (art. 2394 c.c.), gli amministratori che vi hanno concorso (compreso chi, come il Me.Cl., è cessato dalla carica prima che il danno al patrimonio sociale si fosse manifestato ma soltanto dopo che la scelta che lo ha cagionato era stata illegittimamente compiuta) sono responsabili, personalmente e solidamente (artt. 2392, comma 1°, e 2055 c.c.), per il danno conseguentemente arrecato al patrimonio della società poi fallita e, nella misura in cui lo stesso è diventato insufficiente (come accertato, in ragione della perdita cagionata e dei debiti complessivamente accertati, nel caso in esame) alla loro soddisfazione (art. 2394 c.c.), ai creditori della stessa (cfr. Cass. n. 28613 del 2019).

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4.7. Con il quinto motivo, i ricorrenti incidentali, lamentando l’erronea e/o illegittima applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e l’omesso esame di un fatto secondario ex art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha accolto la domanda di revoca dell’atto con il quale il Me.Cl., in data 25/2/2009, aveva vincolato l’unico bene di sua proprietà a mezzo della costituzione, insieme alla moglie Pa.An., di un fondo patrimoniale sul rilievo che il Me.Cl. era consapevole del fatto che l’investimento in Eden Rock e i relativi pagamenti erano potenzialmente lesivi delle ragioni dei creditori della società poi fallita, senza, tuttavia, considerare che: – l’insorgenza di un credito risarcitorio nei confronti degli amministratori della società non è conseguito dall’esecuzione dei relativi pagamenti da parte del Me.Cl. ma, al contrario, solo dall’estinzione, decisa da altri amministratori, della società estera; – l’atto impugnato, pertanto, in tanto era revocabile in quanto, a norma dell’art. 2901, comma 1°, n. 1, c.c., dolosamente preordinato al fine di pregiudicare le ragioni dei creditori; – in mancanza di uno studio di fattibilità che sconsigliasse l’operazione, non sussisteva alcuna prova che facesse presumere l’esistenza, in capo al Me.Cl., dell’affermata consapevolezza circa il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni dei suoi creditori, tanto più che gli immobili inseriti nel fondo sono stati dal lui acquistati il 18/7/2007, e cioè nel periodo di tempo in cui sono stati eseguiti i pagamenti per l’operazione d’investimento contestata.

4.8. Il motivo è infondato. La corte d’appello, infatti, dopo aver evidenziato che una ragione di credito tutelabile a norma dell’art. 2901, comma 1°, c.c., può anche non essere certa ma solo eventuale e che anche il credito derivante da fatti illeciti può essere tutelato con l’azione revocatoria avendo riguardo al momento in cui lo stesso è sorto e non a quello in cui è stato accertato in sede giudiziale, ha, in sostanza, ritenuto che: – il debito del Me.Cl. nei confronti del ceto creditorio “è sorto al momento dell’esecuzione della condotta di mala gestione contestata, ossia con l’acquisizione della società (…) SA e con i conseguenti pagamenti, collocati temporalmente prima dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale in data 5 febbraio 2009”; – il Me.Cl., essendo consapevole del fatto che l’operazione di acquisto della società (…) SA, per le modalità con cui è stata posta in essere, “era chiaramente destinata a procurare la perdita del capitale investito”, era, di conseguenza, a conoscenza del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni maturate in capo ai creditori della società.

4.9. La statuizione così assunta è senz’altro corretta, avendo la corte d’appello accertato, in fatto, che: – al momento del compimento dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, erano già insorte (ancorché non ancora giudizialmente accertate) le pretese (risarcitorie) in capo ai creditori della società poi fallita nei confronti del Me.Cl. in ragione dell’inosservanza da parte di quest’ultimo dell’obbligo di diligente conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e dell’insufficienza conseguentemente arrecata alla garanzia generica che lo stesso rappresenta (art. 2394 c.c.); – il Me.Cl. era consapevole del pregiudizio che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale poteva arrecare alle predette ragioni creditorie.

4.10. Ed è, in effetti, noto, per un verso, che, ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, non è necessario che il creditore sia titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata (Cass. n. 11755 del 2018; Cass. n. 20002 del 2008), con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore (Cass. n. 4212 del 2020; conf., Cass. n. 3369 del 2019) e, per altro verso, che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901, comma 1°, n. 1), c.c. se sussiste la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori (Cass. n. 2530 del 2015), ovvero la previsione di un mero danno potenziale a carico di questi ultimi, rimanendo, per contro, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass. n. 13343 del 2015).

5. Il ricorso principale e il ricorso incidentale, per l’infondatezza di tutti i loro motivi, devono essere, quindi, rigettati.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Responsabilità degli amministratori e l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse

7. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Responsabilità degli amministratori e l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti principali a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese processuali, che liquida in Euro. 18.200,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; condanna i ricorrenti incidentali a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese processuali, che liquida in Euro. 22.200,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 12 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2024.

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