Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 2 maggio 2019, n. 18015.

La massima estrapolata:

In ordine al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprietà o nel possesso in comune con chi è incontroverbilmente dedito al traffico di stupefacenti, per poter affermare il concorso del comproprietario/codetentore è necessario distinguere da tale ipotesi quella della connivenza non punibile, e, a tal fine, occorre individuare il limite che il godimento comune dell’immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione della droga, non essendo configurabile a carico del comproprietario o codetentore alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex articolo 40 del Cp.

Sentenza 2 maggio 2019, n. 18015

Data udienza 5 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 5.6.2018 della Corte di Appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che si e’ riportata ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 5.6.2018 la Corte di Appello di Roma ha confermato, per quanto qui interessa, la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 per aver detenuto in concorso con il fratello (OMISSIS) 102 piante di marijuana rinvenute, appese ad essiccare, all’interno di un box, ubicato nell’area di proprieta’ della famiglia dove insisteva un’azienda agricola, un’officina meccanica, nonche’ le abitazioni dei due coimputati ed ha rideterminato la pena rispetto a quella inflittagli dal giudice di primo grado, stante la contestuale assoluzione dai restanti reati di cui all’imputazione, ad un anno e quattro mesi di reclusione, confermando altresi’ la confisca dei beni in sequestro, compreso il cellulare del medesimo.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo eccepisce, in relazione al vizio motivazionale, l’insussistenza di elementi probatori a fondamento del delitto contestato per avere i giudici di appello, pur riconoscendo la vastita’ dell’area nella disponibilita’ dei due fratelli ed escludendo che il messaggio rinvenuto sul cellulare dell’imputato fosse riferibile alla detenzione di droga, ritenuto erroneamente un collegamento tra il luogo in cui erano state rinvenute le piante di marijuana ad essiccare ed il prevenuto. Deduce al riguardo il travisamento della prova per avere i giudici di appello affermato che il box contenente le piante in questione fosse ubicato all’interno del recinto nel quale era presente il gregge di pecore di cui si occupava l’imputato, laddove, invece, risultava dal verbale di perquisizione e di sequestro che gli esemplari di cannabis fossero stati rinvenuti all’interno di un box posto nei pressi del recinto di alcuni capi di ovini: l’insussistenza, smentita dagli atti processuali, della premessa fattuale su cui e’ stato fondato il giudizio di colpevolezza, unitamente all’inconsistenza della tesi secondo cui (OMISSIS) conduceva al pascolo il gregge nell’area facente parte dell’azienda agricola familiare, priva di riscontri, e all’irrilevanza dell’ubicazione dell’abitazione del prevenuto in detta area attesa la vastita’ della stessa non consentono di ritenere logicamente motivata la pronuncia di condanna.
2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 110 c.p. e al vizio motivazionale, la configurabilita’ del concorso con il fratello difettando i presupposti per la ravvisabilita’ di un contributo causale apportato dall’imputato all’azione delittuosa, di cui (OMISSIS) si era addossato la responsabilita’ esclusiva: la condotta meramente passiva di (OMISSIS) di mancata opposizione alla detenzione della droga da parte del fratello, poteva rivestire soltanto gli estremi della connivenza non punibile, non essendo la frequentazione da parte di costui di detti luoghi sufficiente ad integrare un contributo neppure morale alla causazione del reato.
2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 240 c.p., comma 1 e al vizio motivazionale, l’illegittimita’ della confisca del telefono cellulare in mancanza di un legame strumentale di carattere continuativo tra l’apparecchio dell’imputato ed il reato ascrittogli, tale da rivelare un’effettiva probabilita’ di reiterazione dell’attivita’ delittuosa, legame che peraltro risulta essere stato gia’ escluso alla radice dalla Corte di Appello con l’affermazione secondo cui il messaggio telefonico scambiatosi trai due fratelli sarebbe del tutto neutro rispetto al delitto contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi alla riconducibilita’ del fatto criminoso all’imputato, devono ritenersi fondati nei termini di seguito indicati.
Sebbene l’assunto travisamento della prova da cui muove la censura difensiva risulti smentito dalla lettura della stessa impugnata che, al di la’ della descrizione riassuntiva del verbale di sequestro, collega la detenzione delle piante di marijuana all’imputato alla circostanza che le stesse siano state rinvenute all’interno di un box insistente sul terreno agricolo facente parte dell’azienda familiare, e’ tuttavia proprio l’ubicazione del manufatto, cosi’ come accertata dai giudici di appello, che evidenzia l’illogicita’ del ragionamento seguito in ordine alla concorrente responsabilita’ dell’imputato nella realizzazione del reato di cui il fratello si e’ addossato l’esclusiva responsabilita’ ed e’ stato definitivamente condannato.
Va premesso che in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015 – dep. 20/08/2015, Caradonna, Rv. 264454; Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015 – dep. 13/10/2015, Rapushi, Rv. 265167). La declinazione di tali principi al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprieta’ o nel possesso in comune con chi e’ incontroverbilmente dedito al traffico di stupefacenti, si interseca con la necessita’ di individuare il limite che il godimento comune dell’immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione della droga, non essendo configurabile a carico del comproprietario o codetentore alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex articolo 40 c.p.. E’ stato ripetutamente affermato, nella similare ipotesi di convivenza all’interno dello stesso immobile, che colui che coabiti con il soggetto autore di attivita’ di “spaccio” di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attivita’ (Sez. 3, n. 9842 del 10/12/2008, Gentiluomini, Rv. 242996), essendo necessario, quindi, un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, non integrato dalla semplice conoscenza o anche dall’adesione morale, che si traduca nell’assistenza inerte e priva di iniziative all’altrui condotta delittuosa. Si ritiene percio’ escluso il concorso del convivente ex articolo 110 c.p. in ipotesi di semplice comportamento negativo ed inerte di quest’ultimo che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo la esecuzione, giacche’ il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale (Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015 – dep. 13/10/2015, Rapushi e altro, Rv. 265167; Sez. 3, n. 9842 del 10/12/2008 – dep. 04/03/2009, Gentiluomini, Rv. 242996).). Di contro, per la configurazione del concorso, occorre un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza della detenzione delle sostanze stupefacenti da parte del convivente e, dunque, una volonta’ di adesione all’altrui attivita’ criminosa, ad integrare la quale e’ sufficiente una qualsiasi forma agevolativa della detenzione, che puo’ manifestarsi nelle modalita’ piu’ varie, comprendenti anche soltanto l’occultamento ed il controllo della droga custodita nell’immobile comune, cosi’ da assicurare all’agente una certa sicurezza, ovvero garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione su cui questi, in caso di bisogno, puo’ contare, e comunque rivelatrice di un previo accordo sulla detenzione.
Nella specie l’ubicazione del box all’interno dell’azienda agricola di comproprieta’ dei due fratelli non consente di riferire la detenzione della marijuana ivi rinvenuta al ricorrente, ne’ la Corte capitolina chiarisce sulla base del materiale probatorio esaminato, tenuto conto della ritenuta non riconducibilita’ del messaggio trasmesso via cellulare a costui dal germano, in cosa sia consistito il contributo causale da costui fornito all’azione criminosa definitivamente accertata nei confronti del fratello.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, restando il terzo motivo assorbito, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che dovra’ procedere a nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

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