Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 32815.
Qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello
Nel giudizio di legittimità, qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la S.C., in quanto chiamata ad accertare un “error in procedendo”, è giudice del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse in astratto di prova indispensabile, ossia teoricamente idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa.
Ordinanza|| n. 32815. Qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello
Data udienza 20 settembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Licenziamento disciplinare – Accertamento in concreto della reale entità e gravità del comportamento addebitato da parte del giudice di merito – Sussunzione nella fattispecie prevista dal contratto collettivo – Rigetto
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere
Dott. PANARIELLO Francescopaolo – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17648-2020 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 131/2020 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 27/03/2020 R.G.N. 443/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/09/2023 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
Qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello
RILEVATO
CHE:
1. la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata il 27 marzo 2020, ha confermato la pronuncia di primo grado resa all’esito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012 con cui era stato annullato il licenziamento disciplinare intimato con preavviso a (OMISSIS) da (OMISSIS) Spa, per sussunzione del fatto contestato nell’ambito di una sanzione conservativa prevista dal codice disciplinare applicabile tra le parti, con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e pronunce patrimoniali conseguenziali;
2. la Corte – in sintesi e per quanto qui ancora rileva – ha innanzitutto ritenuto ammissibile la produzione documentale costituita da una perizia effettuata nell’ambito di un procedimento penale, sulla scorta di una richiamata giurisprudenza di legittimita’ che consente l’acquisizione documentale, anche d’ufficio, “se i documenti risultino indispensabili per la decisione”;
sulla base dell’esame dei materiali istruttori acquisiti in prime cure e di una CTU espletata in grado d’appello, la Corte territoriale ha conclusivamente ritenuto che l’errore compiuto dal (OMISSIS) nell’espletamento delle sue mansioni di verificatore non fosse doloso e rimanesse “relegato nella negligenza isolata in dipendente non recidivo”, riconducibile “nell’alveo della sanzione conservativa come illustrato dal primo giudice”, secondo il quale, “interpretando la volonta’ della norma di cui all’articolo 25 CCNL, emergeva il fine di conservare il rapporto di lavoro in tutti quei casi di comportamenti sia pure negligenti ma non connotati da dolo o da colpa grave o dalla recidiva specifica”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la societa’, in data 3 luglio 2020, con tre motivi; ha resistito con controricorso l’intimato, eccependo preliminarmente la tardivita’ del ricorso per cassazione avversario sostenendo la “inapplicabilita’ al Rito Fornero della sospensione prevista dal Decreto Legge n. 18 del 2020”;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si e’ riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
Qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello
CONSIDERATO
CHE:
1. preliminarmente occorre respingere l’eccezione di tardivita’ del ricorso per cassazione formulata da parte controricorrente, in quanto, a fronte della pubblicazione della sentenza di appello in data 27.3.2020, lo stesso e’ stato notificato in data 3.7.2020 e quindi nel termine; infatti, deve osservarsi che la sospensione dei termini processuali, dal 9 marzo all’11 maggio 2020, prevista originariamente dal Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83 c.d. Decreto Cura Italia, convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27 ha avuto una efficacia generalizzata (cfr. Cass. n. 6639 del 2023), con esclusione delle sole eccezioni tassativamente previste, tra le quali non rientrava l’azione di impugnativa di licenziamento prevista dal rito di cui alla L. n. 92 del 2012;
2. i motivi del ricorso della societa’ possono essere come di seguito sintetizzati:
2.1. con il primo si denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost. e degli articoli 101 e 437 c.p.c., “in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, per aver la Corte di Appello “fondato la sua decisione su alcuni fatti e documenti irritualmente e tardivamente prodotti dal lavoratore e, cio’ nonostante, acquisiti al processo, in frontale contrasto con i piu’ elementari principi che governano il contraddittorio” e nonostante l’opposizione della difesa della societa’;
2.2. con il secondo mezzo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articolo 3 nonche’ dell’articolo 25 del CCNL per i lavoratori dipendenti dell’impresa del Settore Elettrico del 18.10.2013 e, quindi, del punto IV, nn. 3, 4 e 7 dei “Criteri di correlazione tra le mancanze dei lavoratori ed i provvedimenti disciplinari in ambito (OMISSIS)”, ubicati nell’Allegato in calce al contratto collettivo;
si deduce che “i comportamenti accertati, valutati sia individualmente che nel loro complessivo evolversi, concretizzano all’evidenza le fattispecie tipizzate dalla legge e dal CCNL”, le quali legittimavano il licenziamento con preavviso del dipendente;
2.3. nel terzo motivo, in via subordinata, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18, commi 4 e 5 St. Lav., come novellato, perche’, una volta accertato che il fatto addebitato non era insussistente e che non rientrava tra quelli che, alla luce delle previsioni collettive, erano punibili con sanzioni conservative, la tutela applicabile, in ipotesi di ritenuta sproporzione tra condotta e sanzione, non poteva essere quella reintegratoria, bensi’ quella meramente indennitaria;
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3. il primo motivo non puo’ trovare accoglimento;
3.1. in diritto opportuno premettere che questa Corte, di recente, ha statuito che: “Prova nuova indispensabile, anche ai sensi della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 59, e’ quella di per se’ idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (Cass. n. 401 del 2023);
la pronuncia ha rammentato quanto affermato dalle Sezioni unite civili (sent. n. 10790 del 2017) secondo cui la disposizione della L. n. 92 del 2012 esprime “il medesimo concetto di indispensabilita’ della prova nuova in appello” contenuto nell’articolo 437 c.p.c., comma 2, (oltre che nell’articolo 345 c.p.c., comma 3, prima dell’eliminazione dell’inciso operata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012);
nell’aderire all’orientamento giurisprudenziale che “interpreta il concetto di indispensabilita’ come influenza causale piu’ incisiva della rilevanza”, le Sezioni unite citate, disattendendo il diverso e piu’ rigoroso orientamento dalla medesima Corte definito “di indispensabilita’ ristretta”, hanno, tra l’altro, richiamato l’inciso “anche d’ufficio”, contenuto nell’articolo 437 c.p.c., comma 2 (e presente anche nella disposizione della L. n. 92 del 2012), “rispetto al quale non ha senso invocare preclusioni istruttorie poiche’ nel rito speciale esse non elidono i poteri istruttori d’ufficio espressamente riconosciuti dall’articolo 421 c.p.c., comma 2”; “non si tratta – secondo il Supremo Collegio – di vanificare od alterare il regime delle preclusioni istruttorie del primo grado, ma di contemperarlo con il principio della ricerca della verita’ materiale”; tanto in continuita’ col canone che caratterizza il processo del lavoro, in base al quale, “allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice ove reputi insufficienti le prove gia’ acquisite, non puo’ limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti” (Cass. SS.UU. n. 761 del 2002); si aggiunge che il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’articolo 134 c.p.c. ed al disposto di cui all’articolo 111 Cost., comma 1, sul giusto processo regolato dalla legge – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritiene, invece, di non farvi ricorso” (cfr. Cass. SS.UU. n. 11353 del 2004);
quanto ai limiti del sindacato di questa Corte sull’esercizio di tale potere da parte del giudice d’appello e’ stato osservato (Cass. n. 20525 del 2020), avuto riguardo all’articolo 345 c.p.c., comma 3, nel testo anteriore alla modifica recata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, che la valutazione circa l’indispensabilita’ della prova puo’ essere effettuata dalla Corte di cassazione, trattandosi di giudizio che non attiene al merito della decisione ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilita’ di una richiesta istruttoria di parte; ne consegue che, quando venga dedotta, in sede di legittimita’, l’erroneita’ dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilita’ di una prova documentale in appello, la Cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo”, e’ giudice anche del fatto, ed e’, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse di prova indispensabile; tuttavia, tale apprezzamento di indispensabilita’ viene svolto dalla Corte di legittimita’ in astratto, ossia al solo fine di stabilire la idoneita’ teorica della prova ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa, senza alcuna assunzione di poteri cognitori di merito da parte della S.C., spettando pur sempre al giudice di merito, in sede di rinvio, l’apprezzamento in concreto delle inferenze desumibili dalla prova, ai fini della ricostruzione dei fatti di causa;
3.2. cio’ posto, proprio perche’ si tratta di un error in procedendo, collocabile nell’ambito degli errori di attivita’ del giudice di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4 disposizione che postula che il vizio sia tale da determinare la nullita’ della sentenza o del procedimento, e’ pur sempre necessario che la denunciata violazione abbia svolto un ruolo decisivo, ovvero che abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero che quest’ultima – in assenza di tale vizio – non sarebbe stata resa nel senso in cui lo e’ stata (tra le altre: Cass. n. 22978 del 2015; Cass. n. 26087 del 2019);
infatti, la lesione delle norme processuali non e’ invocabile in se’ e per se’, essendo viceversa sempre necessario che la parte che deduce siffatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima (Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009), poiche’ alla radice di ogni impugnazione deve essere individuato in interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilita’ di conseguire una concreta utilita’ o un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, e non gia’ un mero interesse astratto ad una piu’ corretta soluzione di una questione giuridica non avente riflessi effettivi sulla soluzione adottata (Cass. n. 18074 del 2014; Cass. n. 7394 del 2008; Cass. n. 13091 del 2003); pertanto sovente si trova dichiarato che dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell’attivita’ del giudice che comportino la nullita’ della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), non tutela l’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio (v., per tutte, Cass. n. 26157 del 2014, la quale aggiunge che l’annullamento della sentenza impugnata e’ necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e piu’ favorevole a quella cassata);
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3.3. orbene, nella specie, parte ricorrente si limita a dedurre l’avvenuta violazione della regola processuale, senza in alcun modo prospettare come tale violazione abbia decisivamente influito sulla sentenza d’appello, nel senso che, non solo non vengono riportati i contenuti della perizia dell’ausiliario del pubblico ministero che si assume indebitamente acquisita dalla Corte calabrese, ma neanche si spiega quali contenuti determinanti di detta perizia siano stati utilizzati da detta Corte, di modo che, in assenza di essi, l’esito del giudizio di secondo grado sarebbe stato necessariamente diverso (cfr. Cass. n. 9674 del 2023);
4. il secondo e terzo motivo, valutabili congiuntamente per connessione reciproca, sono infondati;
4.1. vale ribadire taluni principi continuativamente espressi da questa Corte in tema di rapporti tra previsioni della contrattazione collettiva e fatti posti a fondamento di licenziamenti ontologicamente disciplinari;
la contrattazione collettiva non vincola in senso sfavorevole al dipendente, per cui, in ogni caso, non ha rilievo dirimente la prospettazione di parte ricorrente secondo cui le mancanze addebitate avrebbero legittimato il licenziamento con preavviso secondo quanto previsto dal contratto collettivo; invero, anche quando si riscontri la corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente come ipotesi che giustifica il licenziamento disciplinare, stante la fonte legale della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, deve essere effettuato in ogni caso un accertamento in concreto – da parte del giudice del merito – della reale entita’ e gravita’ del comportamento addebitato al dipendente nonche’ del rapporto di proporzionalita’ tra sanzione e infrazione, occorrendo sempre che la condotta sanzionata sia riconducibile alla nozione legale, tenendo conto della gravita’ del comportamento del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’articolo 1455 c.c. (v., tra molte, Cass. n. 8826 del 2017; Cass. n. 10842 del 2016; Cass. n. 21017 del 2015; Cass. n. 5280 del 2013); dalla natura legale della nozione deriva simmetricamente che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente esemplificativa, sicche’ non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018); all’opposto la contrattazione collettiva vincola in senso favorevole al dipendente: infatti, ove le previsioni del contratto collettivo siano piu’ favorevoli al lavoratore – nel senso che la condotta addebitata quale causa del licenziamento sia contemplata come infrazione sanzionabile con misura conservativa – il giudice non puo’ ritenere legittimo il recesso, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di minore gravita’ di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall’autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (v. tra molte, Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 19053 del 2005; Cass. n. 5103 del 1998; Cass. n. 1173 del 1996, la quale ultima eccettua il caso in cui si accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravita’, la possibilita’ della sanzione espulsiva);
e’ stato evidenziato che la nuova disciplina fissata dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, in tema di tutele applicabili in caso di licenziamento illegittimo risulta coerente rispetto a tali indirizzi consolidati, laddove prevede che, ove il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, non solo il licenziamento sara’ ingiustificato senza possibilita’ di diversa valutazione da parte del giudice ma il giudice dovra’ annullare il licenziamento, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di una indennita’ risarcitoria non superiore a 12 mensilita’ della retribuzione globale di fatto (cfr. Cass. n. 12365 del 2019; in continuita’: v. Cass. n. 14247 del 2019; Cass. n. 14248 del 2019; Cass. n. 14500 del 2019; Cass. n. 14604 del 2019; Cass. n. 19578 del 2019; Cass. n. 21628 del 2019; Cass. n. 31839 del 2019; Cass. n. 15227 del 2020); piu’ di recente (Cass. n. 11665 del 2022) si e’ chiarito che: “In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, commi 4 e 5 come novellata dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 e’ consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalita’ della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalita’ come gia’ eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”;
Qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello
4.2. la pronuncia impugnata non si e’ affatto discostata da tali principi, mentre chi ricorre avverso di essa, lungi dall’individuare l’errore di diritto che sarebbe stato commesso nel metodo seguito dai giudici d’appello,
si limita a ribadire che secondo il suo giudizio – che e’ solo quello personale della parte che vi ha interesse – il fatto addebitato costituirebbe giustificato motivo soggettivo di licenziamento, anche alla stregua della contrattazione collettiva, criticando l’apprezzamento diverso dei giudici del merito ai quali compete, tanto piu’ introducendo elementi di ricostruzione fattuale della vicenda parzialmente diversi, nonostante l’intangibilita’ del fatto determinata dalle preclusioni della cd. “doppia conforme” (cfr. articolo 348 ter c.p.c., u.c., in seguito articolo 360 c.p.c., comma 4, per le modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 149 del 2022, articolo 3, commi 26 e 27);
in definitiva, la sostanza delle censure mira a contestare l’apprezzamento della gravita’ della condotta tenuta in concreto dal lavoratore, che, secondo chi ricorre, supererebbe la soglia di tollerabilita’ che consentiva l’applicazione delle misure conservative, sollecitando tuttavia un sindacato che esorbita dai poteri del giudice di legittimita’ perche’ spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialita’, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilita’ – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa (sui limiti del sindacato di legittimita’ nelle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento si rinvia, ai sensi dell’articolo 118 disp. att. c.p.p., comma 1, a Cass. n. 13064 del 2022 ed alla giurisprudenza ivi citata);
5. in ragione di quanto precede, il ricorso per cassazione deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo, con attribuzione agli avvocati Napoli e Pileio dichiaratisi antistatari;
occorre, altresi’, dare atto della sussistenza per la ricorrente dei presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna alle spese liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, con distrazione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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