Indebito arricchimento ed il rispetto della regola di sussidiarietà 

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 33954.

Indebito arricchimento ed il rispetto della regola di sussidiarietà 

Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo.
Diversamente, resta preclusa se il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato,ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.

Sentenza|| n. 33954. Indebito arricchimento ed il rispetto della regola di sussidiarietà 

Data udienza  7 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Indebito arricchimento – Regola di sussidiarietà – Art. 2042 cc – Domanda di arricchimento – Carenza ab origine del titolo giustificativo – Rigetto della domanda alternativa – Prescrizione o decadenza del diritto azionato – Preclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Primo Presidente ff

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente di Sez.

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26259/2019 proposto da:

(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), nonche’ all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 08/02/2019;

Lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. TRONCONE Fulvio, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie delle parti;

Udito il PUBBLICO MINISTERO, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. TRONCONE Fulvio, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

uditi l’avvocato (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS) l’avvocato (OMISSIS), per delega dell’avvocato (OMISSIS) per la ricorrente, e l’avvocato (OMISSIS) per il controricorrente.

Indebito arricchimento ed il rispetto della regola di sussidiarietà 

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

1. La societa’ (OMISSIS) deduceva di essere proprietaria di un terreno nel Comune di (OMISSIS), che al momento dell’acquisto aveva natura edificabile, avendo per l’effetto presentato un piano di lottizzazione finalizzato al rilascio della concessione edilizia. Nelle more, essendo cambiata l’amministrazione comunale, questa aveva deciso di modificare il Piano di fabbricazione ed il regolamento edilizio, variando la destinazione urbanistica del terreno da residenziale ad agricolo, con conseguente perdita di valore.

Assumeva la societa’ di avere rinunciato a muovere osservazioni a questa variante a causa delle rassicurazioni fatte dal sindaco pro tempore circa il futuro ripristino della natura edificabile del terreno, data la sua attitudine alla viabilita’ ed al collegamento con altre aree.

Il Comune di (OMISSIS) aveva in seguito adottato una variante al Piano di lottizzazione, onde consentire l’interramento di cavi ad alta tensione nel terreno, che era stato richiesto al Comune di (OMISSIS) da quello di (OMISSIS).

La (OMISSIS) si era offerta di effettuare l’interramento, in cambio del gia’ promesso ripristino della natura edificabile del terreno, ed aveva speso per tale opera circa 150 mila Euro. Tuttavia, alla fine, nonostante le rassicurazioni del Comune, il terreno era rimasto agricolo.

La societa’ agiva, quindi, in giudizio per far valere la responsabilita’ precontrattuale dell’ente, ed, in subordine, per far riconoscere l’arricchimento ingiustificato del Comune.

Il Tribunale di Udine, con la sentenza n. 247 del 16 febbraio 2017 ha rigettato per difetto di prova la domanda volta a far valere la responsabilita’ precontrattuale, ma ha accolto la domanda di indebito arricchimento.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune, e la Corte di Appello di Trieste con la sentenza n. 63 dell’8 febbraio 2019 ha ritenuto la domanda di arricchimento inammissibile per difetto di residualita’ e cio’ proprio perche’ l’azione proposta in via principale ex articolo 1337 c.c., era stata disattesa dal Tribunale, che aveva escluso che il Comune, tramite lo scambio di corrispondenza o le trattative condotte dai suoi rappresentanti, avesse assunto l’impegno di mutare la destinazione urbanistica dei terreni della appellata.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS) con sei motivi.

Il Comune di (OMISSIS) si e’ costituito con controricorso.

La Terza Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 5222 del 20 febbraio 2023 ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare l’opportunita’ di rimessione alle Sezioni Unite in merito alla questione della sussidiarieta’ dell’azione di arricchimento senza causa, posta con i motivi da 3 a 5 del ricorso, valutazione compiuta con esito positivo, con successiva fissazione dell’odierna udienza.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.

Le parti hanno depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione ed erronea applicazione degli articoli 167 e 342 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello preso atto dell’inammissibilita’ dei motivi di appello per il loro difetto di specificita’.

In particolare, il motivo, con il quale si poneva la questione della carenza di sussidiarieta’ dell’azione di arricchimento senza causa accolta dal Tribunale, era carente quanto al soddisfacimento dei requisiti dettati dall’articolo 342 c.p.c., come novellato nel 2012, mancando una chiara ed esauriente individuazione della materia del contendere devoluta al giudice di appello ed una contrapposizione delle argomentazioni dell’appellante a quelle fatte proprie dal Tribunale.

Il secondo motivo di ricorso lamenta, sempre in relazione all’eccezione di difetto di specificita’ del motivo di appello, la violazione degli articoli 99, 112, 132 e 167 c.p.c., nonche’ dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., in quanto la sentenza di appello non reca alcuna motivazione per confutare la fondatezza della dedotta eccezione di inammissibilita’.

Il terzo motivo lamenta la violazione degli articoli 2041 e 2042 c.c., quanto al riscontro da parte della Corte d’Appello del difetto del carattere della sussidiarieta’ dell’azione accolta in primo grado.

La sentenza si e’ incentrata su di una valutazione in astratto circa l’esistenza di una diversa azione in favore della ricorrente, trascurando pero’ che la domanda de qua era stata avanzata in via subordinata rispetto a quella di cui all’articolo 1337 c.c.. Dopo aver ricordato che la giurisprudenza riconosce la proponibilita’ della domanda di arricchimento senza causa nel casi in cui la domanda fondata su di un diverso titolo sia stata disattesa per il riscontro del difetto ab origine dello stesso titolo, la ricorrente richiama la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte che ha pero’ reputato che la valutazione in astratto debba operare solo nel caso in cui la domanda principale possa reputarsi tipica, e non anche nella diversa ipotesi, qui sussistente, in cui l’azione spettante in astratto al richiedente sia fondata su clausole generali, come la domanda di risarcimento del danno per responsabilita’ aquiliana o precontrattuale.

Il quarto motivo denuncia la violazione degli articoli 2041 e 2042 c.c., sotto un diverso profilo, e precisamente rilevando che la costante interpretazione giurisprudenziale del requisito della sussidiarieta’ e’ nel senso che lo stesso sia soddisfatto anche nel caso in cui la domanda principale sia stata rigettata in quanto non siano stati provati i fatti che la fondano, dovendosi quindi opinare per un tendenziale riconoscimento della valutazione della sussidiarieta’ in concreto.

Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 2041 e 2042 c.c., sotto l’ulteriore profilo rappresentato dalla circostanza che il Tribunale aveva rigettato la domanda di responsabilita’ precontrattuale proposta nei confronti del Comune, ritenendo che dalle prove raccolte non emergeva l’assunzione da parte dell’amministrazione comunale di un impegno nel senso auspicato dalla societa’.

Ne deriva che, poiche’ e’ stata esclusa la ricorrenza dei presupposti fondanti la responsabilita’ ex articolo 1337 c.c., la domanda di arricchimento avanzata in via subordinata era proponibile.

Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione dell’articolo 91 c.p.c., e delle previsioni di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, in quanto la liquidazione delle spese di lite sarebbe avvenuta in base ai valori medi, ma senza tenere conto della tardiva costituzione del Comune in primo grado e della limitata attivita’ processuale svolta nella fase istruttoria, sicche’ andrebbe ridotto il compenso liquidato per detta fase.

2. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Non e’, infatti, configurabile il vizio di omessa pronuncia quanto alla decisione, ancorche’ implicita, su questioni di carattere processuale, dovendosi al riguardo dare continuita’ al principio piu’ volte affermato da questa Corte secondo cui, qualora il giudice d’appello abbia proceduto alla trattazione nel merito dell’impugnazione, ritenendo di non ravvisare un’ipotesi di inammissibilita’, nella specie, ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., la decisione sulla ammissibilita’ non e’ ulteriormente sindacabile sia davanti allo stesso giudice dell’appello che al giudice di legittimita’ nel ricorso per cassazione, anche alla luce del piu’ generale principio secondo cui il vizio di omessa pronuncia non e’ configurabile su questioni processuali (Cass. n. 10422/2019; Cass. n. 25154/2018).

Quanto invece alla dedotta violazione dell’articolo 342 c.p.c., la lettura del motivo di appello del Comune, che direttamente investiva la questione della ammissibilita’ della domanda ex articolo 2041 c.c., per il preteso difetto del carattere della sussidiarieta’, consente di affermare che lo stesso sia ampiamente satisfattivo dei requisiti di forma – sostanza dettati a seguito della novella della norma, nell’interpretazione della stessa norma che e’ stata offerta da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 27199/2017.

Avendo il Tribunale accolto la domanda di arricchimento senza causa, proposta dall’attrice in via subordinata rispetto a quella ex articolo 1337 c.c. (rigettata per difetto di prova circa l’esistenza di condotte da parte del Comune idonee ad ingenerare, in violazione della buona fede, l’affidamento della societa’ circa l’impegno dell’ente locale a modificare la destinazione urbanistica del terreno della prima), senza che peraltro sia stata in alcun modo affrontata in primo grado la questione relativa al rispetto del precetto di cui all’articolo 2042 c.c., il motivo di appello specificamente sviluppato sulla questione in esame, contiene una puntuale indicazione dei precedenti giurisprudenziali che, a detta dell’appellante, invece avrebbero dovuto indurre a dichiarare la domanda subordinata improponibile, sollecitando quindi (il che esclude che vi fosse la necessita’ di contrapporsi specificamente alle tesi sostenute dal giudice di primo grado) un rilievo di inammissibilita’ della domanda, imposto dalla norma citata, e pertanto una verifica che secondo la giurisprudenza di questa Corte si impone d’ufficio e per la prima volta anche in appello. Infatti, la contestazione circa la natura sussidiaria dell’azione di arricchimento senza causa non integra un’eccezione in senso stretto, ma mira a confutare l’esistenza di un presupposto della domanda, richiesto dalla legge, sicche’ puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice (cfr. Cass. n. 26199/2017), nei limiti in cui la circostanza risulti da elementi di fatto gia’ acquisiti nel giudizio, ed e’ proponibile per la prima volta anche nel giudizio di appello, non operando il divieto di ius novorum posto dall’articolo 345 c.p.c. (inapplicabile per le eccezioni rilevabili d’ufficio, cfr. Cass. n. 9486/2013). Cio’ comporta che ove la sentenza di primo grado abbia accolto l’azione di arricchimento senza causa, omettendo il previo riscontro positivo del requisito della sussidiarieta’ dell’azione medesima di cui all’articolo 2042 c.c., la relativa questione e’ rilevabile d’ufficio ed esaminabile dal giudice d’appello anche in difetto di uno specifico motivo di gravame, atteso che al riguardo non puo’ dirsi formato il giudicato interno (Cass. n. 2046/2018), giudicato che invece e’ destinato a crearsi ove sia stata accolta la domanda de qua, risultando, quindi, preclusa la possibilita’ di poter successivamente azionare la domanda cd. tipica (Cass. n. 4099/2007).

L’assenza percio’ di una specifica motivazione del Tribunale sul profilo relativo alla ricorrenza del requisito della sussidiarieta’, unitamente alla possibilita’ per la parte di poter in ogni caso sollecitare, in presenza di altri motivi di appello che investivano la fondatezza della domanda di arricchimento, il riscontro ufficioso del requisito di cui all’articolo 2042 c.c., consentono quindi di affermare che il motivo poi accolto era rispettoso del requisito di specificita’ imposto dalla norma, con il conseguente rigetto delle censure della ricorrente.

3. Evidenti ragioni di connessione impongono poi la congiunta disamina dei motivi dal terzo al quinto, i quali, sotto vari profili, attingono la corretta applicazione della regola di sussidiarieta’ dettata dall’articolo 2042 c.c., assumendo la necessita’ di addivenire ad una rivalutazione della nozione di sussidiarieta’ quale recepita dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, anche tramite una sua declinazione differenziata nel caso in cui la domanda principale si fondi sulla applicazione di clausole generali dell’ordinamento (come nel caso di responsabilita’ aquiliana o precontrattuale), aggiungendo, infine, che non erano state esattamente verificate le ragioni che avevano portato al rigetto della domanda svolta in via principale.

La questione posta dai motivi e’ stata poi ritenuta di particolare importanza dalla Terza Sezione che, con la menzionata ordinanza interlocutoria, ha rimesso gli atti alla Prima Presidente per la valutazione circa la rimessione a queste Sezioni Unite.

Occorre, quindi, dare rapidamente conto degli argomenti spesi nell’ordinanza di rimessione.

3.1 Il Collegio remittente ha richiamato la tesi della ricorrente, cui aderisce parte della giurisprudenza di questa Corte, a mente della quale la regola che rende solo residuale l’azione di arricchimento si applica nei soli casi in cui l’azione proposta in via principale e’ fondata o su contratto o sulla legge, e non e’ invocabile quando invece l’azione principale e’ fondata su una clausola generale, come nel caso in cui si fondi sulla responsabilita’ precontrattuale del convenuto.

In pratica, a detta della ricorrente l’azione di arricchimento e’ residuale solo rispetto ad azioni basate sul contratto o sulla legge (si dice altresi’ che si tratta di azioni tipiche, mentre se l’azione alternativa e’ basata su una clausola generale, allora la sua disponibilita’ non preclude di agire con l’azione di arricchimento).

Secondo quanto affermato da Cass. n. 4620/2012, la ragione della regola della sussidiarieta’ risiede nell’esigenza di evitare che l’azione di arricchimento senza causa divenga strumento per eludere o aggirare i limiti esistenti nei confronti dell’azione tipica, limiti che invece non sussistono quando la parte puo’ esercitare contro l’arricchito un’azione basata su clausola generale.

Infatti, per poter dire che esiste un’azione alternativa a quella di arricchimento e che dunque quest’ultima e’ preclusa, occorre verificare il titolo, ossia occorre verificare se l’interessato abbia un titolo da far valere, in via principale e dunque in alternativa all’arricchimento. Tuttavia, nei casi in cui l’azione principale e’ fondata su clausola generale, per stabilire se c’e’ un titolo che legittima quell’azione, e che di conseguenza impedisce l’alternativa di arricchimento, occorre valutare nel merito la domanda principale, e non limitarsi alla sua astratta disponibilita’. Il precedente da ultimo richiamato ha altresi’ soggiunto che “sembra invece ultroneo ed eccessivo, in contrasto, in definitiva, con lo stesso requisito di tipicita’ che deve rivestire l’azione principale, spingere l’accertamento della condizione in parola al riscontro della sussistenza in concreto di tutte le condizioni richieste dalla legge per il sorgere di un obbligo a carico di un terzo di risarcire il danno per responsabilita’ precontrattuale, con l’effetto che l’indagine del giudice sconfinerebbe da un accertamento astratto dell’esistenza del relativo diritto per addentrarsi in una valutazione di merito in ordine alla fondatezza stessa della pretesa”.

Pertanto, ad avviso di questo orientamento, l’azione di arricchimento e’ residuale solo quando l’azione principale e’ fondata su contratto o sulla legge, dando luogo ad un’azione tipica: diversamente, se l’azione e’ fondata su clausola generale, per stabilire se v’e’ un’altra azione preclusiva a disposizione dell’interessato, occorrerebbe prima verificare il merito.

L’ordinanza richiama poi Cass. n. 843 del 2020, che ha aderito alla ratio del precedente del 2012, precisando che: “….il divieto di esperire azione di arricchimento, in presenza di azione tipica, serve ad evitare duplicazioni risarcitorie, ossia ad impedire che chi ha gia’ ottenuto risarcimento o ragione con l’azione principale poi agisca nuovamente con l’azione di arricchimento lucrando di nuovo, ed ingiustamente, una seconda volta. E che la ratio sia di impedire che il soggetto impoverito, il quale abbia ottenuto ristoro mediante altro rimedio, ne ottenga un altro con l’azione di arricchimento, si ricaverebbe da talune disposizioni del codice civile che prevedono come alternativa l’azione di arricchimento rispetto ad altre (articoli 936, 1591 c.c.)”.

Quindi la giustificazione della natura residuale dell’azione sta nel divieto di cumulo delle azioni, cosi’ che se il depauperato ha gia’ ottenuto ristoro con un’azione non puo’ duplicare il suo risultato con un’altra; inoltre per verificare la residualita’ occorre verificare se c’e’ titolo per un’azione diversa (da quella di arricchimento) e quindi questa verifica e’ possibile solo se l’azione alternativa e’ fondata su contratto o su legge, altrimenti si finisce con il doversi spingere, per verificare se in astratto esiste azione, a dover accertare in concreto se essa e’ fondata: la verifica sulla esistenza di un’azione alternativa diventa, in altri termini, verifica della fondatezza in concreto. La Terza Sezione nell’ordinanza interlocutoria, dopo aver ritenuto improprio il riferimento alla titolarita’ di un’azione tipica, quale fattore preclusivo di quella di arricchimento, sia in quanto le azioni (quali poteri processuali) non sono tipiche, sia perche’, a ben vedere, non si deve correre il rischio di confondere l’asserita tipicita’ dell’azione con la tipicita’ della fattispecie, ha indagato la ratio della residualita’, manifestando delle perplessita’ in ordine alla tesi secondo cui essa consista nel divieto di cumulo, ossia nell’esigenza di impedire che, ottenuto il risarcimento con l’azione principale, se ne ottenga un altro con quella di arricchimento, trattandosi di ipotesi di scuola e comunque impedita di per se’ dalle regole sul giudicato o comunque dal principio per cui da un fatto illecito si puo’ avere solo un risarcimento pari al danno e non superiore ad esso.

Ha, poi, escluso la pertinenza del richiamo da parte dei sostenitori dell’orientamento meno rigoroso a norme (articoli 936 e 1591 c.c.) che stanno a significare altro. Infatti, che il conduttore in mora nella restituzione della cosa, oltre a dover pagare il corrispettivo per il tempo che comunque la detiene per se’, debba altresi’ risarcire il danno da mancato godimento del locatore, e’ questione che ha poco a che fare con l’arricchimento ingiustificato, ma e’ regola che mira a dare al locatore la misura esatta del suo pregiudizio. Cosi’ come nel caso dell’articolo 937 c.c., la scelta rimessa al proprietario se mantenere le opere fatte dal terzo sul proprio suolo anziche’ farle eliminare, e pagare l’eventuale differenza, non mira ad evitare un arricchimento ingiustificato del proprietario (men che mai del terzo), ma tutela un interesse del proprietario nel modo in cui reagire all’illecito, e trova la sua ragione nelle regole dei modi di acquisto della proprieta’.

Ad avviso dell’ordinanza interlocutoria, la regola del principio di residualita’ opera in un senso contrario a quello sopra evidenziato, opera ossia ad evitare che chi ha perso l’azione principale, e dunque non ha ottenuto il risarcimento, possa aggirare questo esito ricorrendo all’azione di arricchimento ingiustificato.

E’ per questo che l’azione di arricchimento e’ impedita se quella principale e’ prescritta (Cass. 30614/2018; Cass. 29916/2011): se la ratio fosse di evitare duplicazioni di risarcimento, prescritta o rigettata un’azione, quella di arricchimento dovrebbe essere consentita, posto che il suo accoglimento non porta ad una duplicazione. Ogni volta che l’azione principale o alternativa non e’ piu’ esercitabile o e’ stata rigettata, dovrebbe per conseguenza ammettersi che il danneggiato ha azione di arricchimento: in tale caso, infatti, non si corre il rischio di una duplicazione del risarcimento.

Questa precisazione ha una sua conseguenza, in quanto non sarebbe possibile sulla base di tale argomento sostenere la tesi per la quale l’azione di arricchimento sarebbe residuale solo rispetto alle azioni derivanti da contratto o da legge, in quanto se l’esigenza che giustifica la residualita’ dell’azione di arricchimento e’ di impedire aggiramenti, allora non si comprende perche’ questa esigenza non la si debba avvertire anche quando il danneggiato ha un’azione alternativa basata su clausola generale.

Ne deriva che non vi sarebbero valide ragioni per limitare l’ambito della regola di cui all’articolo 2042 c.c., ai soli casi in cui si disponga verso l’arricchito di un’azione basata su contratto o sulla legge.

Quanto alla considerazione secondo cui, quando l’azione principale e’ basata su clausola generale, per verificare se l’interessato ha un titolo da far valere (titolo che dunque impedisce l’altro, ossia quello da arricchimento) si dovrebbero accertare tutti i presupposti del diritto (per esempio, il dolo, il nesso di causa, l’ingiustizia del danno) e si finirebbe con il trasformare l’accertamento sulla esistenza del titolo nell’accertamento sulla fondatezza della domanda, l’ordinanza reputa che non si comprende perche’ la preclusione dell’azione di arricchimento non possa derivare dalla sola prospettazione o dal solo esperimento di un’azione svolta in via principale, e basata su una clausola generale, e si debba invece valutare se questa e’ fondata per poter dire che c’era o meno titolo per un’azione diversa. Infatti, se la valutazione circa la sussidiarieta’ dell’azione in esame deve compiersi in astratto e percio’ prescindendo dalla previsione del suo esito, non si richiede in concreto la prova di un rimedio concorrente concretamente fruibile, ma e’ sufficiente che un tale rimedio risulti configurato “in astratto”.

Tale indagine deve, quindi, ritenersi identica quale che sia la fattispecie che configura l’azione: l’accertamento della esistenza di un titolo in astratto che giustifica una diversa azione e’ identico quale che sia la fattispecie su cui l’azione e’ fondata. Peraltro, anche ad ammettere che, nel caso di clausola generale, l’indagine sulla sussidiarieta’ dell’azione di arricchimento rischia di diventare indagine nel merito, ossia indagine che deve valutare non solo l’astratta disponibilita’ dell’azione alternativa, ma altresi’ se di quest’ultima sussistano l’presupposti, essa non ha piu’ ragion d’essere quando, come nel caso presente, quell’indagine e’ stata gia’ fatta e l’azione principale, giudicata nel merito, e’ stata rigettata.

I giudici di merito hanno in altri termini ritenuto sfornita di prova la domanda di responsabilita’ precontrattuale, con la conseguenza che ammettere in questo caso la proposizione dell’azione di arricchimento significa aprire la possibilita’ di aggirare il rigetto della domanda principale mediante l’esperimento di quella sussidiaria.

In questa prospettiva, ad avviso del Collegio remittente, nel caso in esame, si giustificherebbe l’impedimento all’azione di ingiustificato arricchimento, proprio per evitare l’aggiramento del rigetto, nel merito, dell’azione principale.

4. L’azione di ingiustificato arricchimento e’ un rimedio restitutorio mirante a neutralizzare lo squilibrio determinatosi, in conseguenza di diversi atti o fatti giuridici, tra le sfere patrimoniali di due soggetti, nei limiti – per l’appunto – dell’arricchimento che non sia sorretto da una “giusta causa”, nozione questa il cui approfondimento esula dal tema specificamente oggetto della presente sentenza.

A differenza di quanto previsto nel diritto romano, la scelta del legislatore denota come si sia voluto introdurre un rimedio di carattere generale, avente pero’ natura sussidiaria alla stregua di norma di chiusura dell’ordinamento, attivabile in tutti quei casi in cui l’arricchimento di un soggetto in danno di altro soggetto non sia “corretto” da specifiche disposizioni di legge.

Il nostro ordinamento, in questo accomunato con quello francese, ha conosciuto un’originaria resistenza al riconoscimento espresso dell’actio de in rem verso, in quanto sia il codice napoleonico sia quello italiano del 1865 non contemplavano espressamente l’azione di ingiustificato arricchimento, che pero’ era stata ammessa dalla giurisprudenza in via interpretativa al fine di porre rimedio a tutti gli spostamenti di ricchezza privi di giustificazione causale.

Il codice del 1942, discostandosi dal modello francese, ha pero’ dato riconoscimento di diritto positivo all’ingiustificato arricchimento, accordando un rimedio di carattere generale comune a tutte le fonti di obbligazioni di origine legale allo scopo precipuo di “integrare eccezionalmente le deficienti disposizioni del sistema legislativo”.

L’introduzione dell’istituto e’ pero’ stata accompagnata da quella che molti hanno ritenuto essere una vera e propria cautela da parte del legislatore, che e’ rappresentata dalla regola di sussidiarieta’ esplicitamente dettata dall’articolo 2042 c.c., secondo cui il rimedio de quo non e’ azionabile quando l’impoverito “puo’ esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”, clausola che e’ invece assente nella legislazione di altri paesi, come ad esempio in (OMISSIS).

Varie sono le tesi che si sono presentate per offrirne la giustificazione.

Parte della dottrina ha, infatti, reputato che il fondamento della clausola di sussidiarieta’ vada ravvisato nel principio di certezza del diritto, in quanto l’esperimento dell’azione di arricchimento, anche nel caso in cui l’attore sia titolare di azioni alternative, porrebbe in pericolo la generale tenuta del sistema sotto diversi profili. In primo luogo, si paventa il pericolo di un’indebita locupletazione dell’impoverito, che potrebbe esperire in maniera cumulativa – accanto all’azione di ingiustificato arricchimento – gli “altri” rimedi, tesi a ristorare la sua posizione. Ancora si e’ evidenziato il rischio di elusione della disciplina delle azioni alternative, in quanto sarebbe dato il ricorso al rimedio generale, anche nel caso in cui siano maturate preclusioni o decadenze relativamente alle azioni cd. principali. Non e’ poi mancata la tesi che sottolinea il pericolo di attentato al principio di economia dei mezzi processuali, poiche’ permettere all’impoverito di esperire piu’ rimedi concorrenti, implicherebbe l’abuso di una risorsa limitata, quale quella “giustizia”.

Ad avviso di altri studiosi la ratio della clausola di sussidiarieta’ andrebbe individuata nella natura equitativa del rimedio di cui all’articolo 2041 c.c.. Pertanto, trattandosi di una norma di chiusura, ha inevitabilmente portata generale e residuale, di guisa che il suo ambito applicativo si comprime o espande a seconda della sussistenza o insussistenza di rimedi speciali alternativamente azionabili.

La dottrina ha altresi’ rimarcato che la corretta individuazione della ratio che sorregge la previsione in esame avrebbe poi anche riflessi in merito all’applicazione della regola di sussidiarieta’, in quanto l’adesione al principio della salvaguardia della certezza del diritto, sorreggerebbe un’applicazione della clausola de qua in termini astratti, risultando quindi preclusa l’azione di ingiustificato arricchimento ove l’impoverito abbia a disposizione altri rimedi, a prescindere dalla loro concreta azionabilita’. Se invece si ritenga prevalente la ratio cd. equitativa, sarebbe conseguenziale optare per un’operativita’ della clausola in concreto, cosi’ che sarebbe possibile agire ex articolo 2041 c.c., anche quando, pur essendo in astratto azionabili altri rimedi, essi siano – per qualsiasi ragione – concretamente preclusi.

In giurisprudenza le varie rationes individuate in dottrina sono state spesso richiamate a giustificazione dell’interpretazione piu’ o meno rigorosa della regola dettata dall’articolo 2042 c.c., come si ricava anche dalla puntuale esposizione contenuta nell’ordinanza di rimessione, ma va segnalato come, in relazione al tema dell’arricchimento mediato, che del pari involge il profilo della sussidiarieta’ dell’azione di arricchimento senza causa (potendo l’impoverito fruire dell’azione, di norma contrattuale, nei confronti del terzo soggetto, diverso da quello il cui patrimonio si sia arricchito, e mancando l’unicita’ del fatto causativo dell’impoverimento e dell’arricchimento), con l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte sia stata ammessa l’azione de qua nei soli casi in cui l’arricchimento sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito.

In tale occasione la Corte ha pero’ precisato che la deroga all’applicazione rigorosa della regola di sussidiarieta’ si legittimava onde perseguire lo scopo di equita’ che permea la norma, a voler quindi rimarcare che le esigenze equitative ben possano sorreggere una lettura della norma in termini piu’ elastici rispetto a quanto invece suggerito dal tenore letterale dell’articolo 2042 c.c..

5. L’opinione tradizionale, sostenuta anche nella dottrina espressasi nell’imminenza dell’entrata in vigore del codice civile, ha optato per una valutazione del presupposto della sussidiarieta’ in astratto, nel senso cioe’ che l’azione ex articolo 2041 c.c., sarebbe esperibile solo quando l’ordinamento giuridico non appresti alcun altro rimedio “per farsi indennizzare del pregiudizio subito”.

Pertanto, la mera esistenza di un’altra azione (avente fonte in un rapporto contrattuale o direttamente in una previsione di legge) preclude la tutela residuale, indipendentemente dal fatto che l’interessato ne abbia usufruito (invano) o che essa sia divenuta improponibile per altra ragione.

Pur con la deroga dettata in relazione all’arricchimento indiretto, per le ipotesi sopra richiamate, la prevalente giurisprudenza ha quindi optato per la soluzione secondo cui l’astratta sussistenza di un’altra azione (indipendentemente, dunque, dal fatto che essa sia stata infruttuosamente esercitata ovvero non sia piu’ esercitabile per prescrizione o decadenza) preclude il ricorso all’azione di arricchimento senza causa (cfr. ex multis, e senza pretesa di esaustivita’, Cass. n. 1473/1960, non massimata; Cass. n. 1278 del 29/05/1962; Cass. n. 1737/1963; Cass. n. 3582/1968; Cass. n. 1073/1974; Cass. n. 1849/1980; Cass. n. 12242/2016; Cass. n. 20528/2017; Cass. n. 8694/2018; Cass. n. 29988/2018; Cass. n. 4909/2023, cui adde Cass. S.U. n. 28042/2008 e Cass. S.U. n. 9531/1996, che richiamano i precedenti sul punto, ma senza che pero’ siano intervenute a risoluzione di un contrasto).

Il riferimento pero’ alla superfluita’ circa l’accertamento della fondatezza nel merito della domanda appare temperato nella concreta applicazione giurisprudenziale, essendosi in piu’ occasioni ribadito che torna ad essere esperibile l’azione di arricchimento nel caso in cui la diversa azione cd. principale sia stata disattesa “perche’ a priori insussistente”, cosi’ che la regola della sussidiarieta’ trova piena applicazione allorche’ il rigetto consegua all’accertamento della relativa infondatezza nel merito (Cass. n. 4398/1979; Cass. n. 3228/1995; Cass. n. 29988/2018, cit.).

Risulta, quindi, configurabile un discrimen tra le ipotesi di rigetto per infondatezza della domanda per difetto di prova, (ovvero, quando l’altra azione sia stata esercitata, ma la domanda sia stata respinta perche’ la fattispecie concreta, pur congrua, in astratto, alla previsione di legge, sia poi risultata difettosa di qualche requisito), da quelle in cui la domanda cd. principale sia stata respinta per non riconducibilita’ della fattispecie concreta alla fattispecie legale (cfr. Cass. n. 3682/1981, relativa all’ipotesi, molto frequente nella prassi, in cui l’azione di arricchimento venga accolta a seguito dell’accertamento della nullita’ del contratto – di norma concluso con la PA e per vizi di carattere formale; Cass. n. 4275/1983; Cass. n. 4269/1995; Cass. n. 7136/1996, per l’ipotesi di nullita’ del contratto per carenza della necessaria Delibera autorizzativa da parte dell’ente pubblico contraente; Cass. n. 2350/2017). Ed e’ proprio in relazione all’ipotesi di proposizione della domanda di arricchimento senza causa nel giudizio in cui sia stata gia’ avanzata domanda di adempimento contrattuale, a fronte della contestazione circa la validita’ del titolo contrattuale che e’ sorta la problematica relativa alla sua ammissibilita’ in rito ed ai termini per la relativa proposizione, questione sulla quale e’, infine, intervenuta Cass. S.U. n. 22404/2018, affermando che e’ ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilita’ a quella originariamente proposta (affermazione che pero’ presuppone a monte che sussista la sussidiarieta’ dell’azione ex articolo 2041 c.c., rispetto ad una domanda di adempimento contrattuale, per la quale pero’ il titolo si riveli nullo).

Peculiare e’ la fattispecie decisa da Cass. n. 10161/2021, non massimata, che ha ammesso l’esercizio dell’azione di arricchimento, dopo aver escluso l’astratta riconducibilita’ della fattispecie concreta, da un lato, al paradigma dell’impresa familiare, e dall’altro a quello del lavoro subordinato, e quindi all’esito di un riscontro della insussistenza degli elementi della diversa fattispecie posta alla base della domanda principale.

L’operativita’ della clausola di sussidiarieta’ e’ stata poi affermata nel caso in cui sulla domanda principale sia intervenuta la prescrizione (o decadenza) (Cass. n. 1125/1955 e piu’ di recente Cass. n. 2318/1987; Cass. n. 30614/2018; Cass. n. 29916/2011).

5.1 Sulla spinta principalmente delle critiche della dottrina si e’ fatta strada anche una diversa soluzione che opta per una lettura dell’articolo 2042 c.c., secondo cui la verifica della sussidiarieta’ dell’azione di arricchimento andrebbe condotta in concreto, dovendosi quindi ammettere il rimedio residuale ogni qualvolta il soggetto impoverito non disponga, in relazione alla specifica fattispecie concreta, di altro rimedio utile ad indennizzarlo per la perdita, indipendentemente dalla ragione per cui cio’ accada.

Pertanto, il suo esercizio sarebbe ammesso in tutti i casi in cui si sia verificata la decadenza o la prescrizione dell’azione principale, quando l’azione sia in grado di offrire all’interessato utilita’ diverse o ulteriori rispetto a quelle apprestate dall’azione principale (si pensi nel caso di azione principale a carattere risarcitorio che non permette all’impoverito di recuperare i maggiori profitti che l’arricchito abbia conseguito tramite l’utilizzo di un bene dell’impoverito in assenza di consenso, in assenza di una specifica norma che operi in questo senso anche laddove sia esercitata l’azione risarcitoria, come appunto oggi previsto dal Decreto Legislativo n. 140 del 2006, articolo 125, comma 3).

Chi, come accennato, valorizza l’esigenza equitativa che e’ alla base dell’articolo 2041 c.c., opina nel senso che la regola di sussidiarieta’ mira solo ad impedire che l’impoverito possa conseguire piu’ volte il ristoro del medesimo pregiudizio, cosi’ che ove tale eventualita’ sia scongiurata, anche per l’inerzia colpevole dello stesso impoverito, vi sarebbe spazio per l’azione in esame.

Su posizioni ancora piu’ avanzate si pone parte della dottrina che si spinge a sostenere che la norma vieterebbe solo l’esercizio cumulativo, essendo dato pero’ un concorso alternativo o integrativo (che si realizza allorquando la riparazione del pregiudizio patrimoniale, ottenuta attraverso l’utilizzo dell’altro rimedio, non sia stata integrale, e cioe’ quando il rimedio dell’arricchimento consenta di recuperare quanto l’azione risarcitoria non permette di conseguire).

Inoltre, la scelta per l’esercizio immediato dell’azione di arricchimento sarebbe possibile anche nel caso in cui volontariamente il danneggiato ometta di esercitare l’azione cd. principale in quanto sarebbe cosi’ scongiurato il pericolo di indebite locupletazioni scaturenti dal conseguimento di un duplice ristoro.

Esula, come accennato, poi dal tema oggetto della rimessione la diversa questione della applicazione dell’articolo 2042 c.c., in caso di arricchimento indiretto, in quanto la Corte ritiene sul punto di dover tenere ferma la soluzione raggiunta in passato nell’intervento del 2008 (Cass. S.U. n. 24772/2008).

5.2 Gli argomenti sviluppati in dottrina hanno ricevuto una parziale condivisione anche nella giurisprudenza che, sia pure per determinate tipologie di controversie, ha mostrato di aderire ad una soluzione propensa alla verifica in concreto della regola della sussidiarieta’.

La preclusione all’azione di arricchimento maturerebbe quindi solo nei casi in cui il rimedio cd. principale sia stato perduto a causa di un ostacolo di diritto addebitabile allo stesso impoverito (in particolare, nel caso in cui il rimedio concorrente risulti colpito da prescrizione o decadenza), poiche’ effettivamente si avrebbe un aggiramento della legge; se, invece, il diverso rimedio sia stato reso vano per un ostacolo di mero fatto non ascrivibile all’impoverito (come, ad esempio, nel caso di insolvenza dell’intermediario contro il quale l’impoverito abbia un’azione contrattuale), l’articolo 2042 c.c., non impedirebbe il ricorso, in via sussidiaria, all’azione di arricchimento (nei confronti, in questo caso, del terzo arricchito).

In giurisprudenza, al fine di mitigare il rigore della cd. sussidiarieta’ in astratto, si e’ fatta strada la soluzione secondo cui il presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento e’ la mancanza – accertabile anche d’ufficio – di un’azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata. Cio’ comporta che la tutela residuale sarebbe ammissibile anche quando l’azione, teoricamente spettante all’impoverito, sia prevista da clausole generali, come quella risarcitoria per responsabilita’ extracontrattuale ai sensi dell’articolo 2043 c.c. (cosi’ in maniera articolata in motivazione Cass. n. 4620/2012, cui hanno fatto seguito Cass. n. 4765/2014; Cass. n. 27827/2017; Cass. n. 843/2020).

6. Ad avviso delle Sezioni Unite, la risposta ai dubbi sollevati con l’ordinanza interlocutoria non puo’ prescindere dalla presenza nel diritto positivo della previsione di cui all’articolo 2042 c.c., che pone la regola della sussidiarieta’ in termini generali, senza quindi distinzione tra le diverse azioni suscettibili di essere dedotte in via principale.

Non puo’, quindi, accedersi alla soluzione fatta propria dal richiamato orientamento che reputa sempre ammissibile l’azione di arricchimento, ove la diversa azione proponibile sia fondata su clausole di carattere generale. Cio’ vale soprattutto al fine di scongiurare la sua declinazione in termini estremi – come fatto da parte della dottrina che reputa che il potenziale concorso tra azione principale (risarcitoria aquiliana ovvero ex articolo 1337) ed azione di arricchimento possa dare vita a fenomeni non solo di concorso integrativo (potendosi con la seconda integrare quanto spettante all’impoverito e non recuperato con l’azione principale), ma anche di concorso alternativo, essendo rimessa all’impoverito la scelta su quale azione proporre (restando preclusa solo la possibilita’ di un concorso cumulativo) – e cio’ in quanto ad avviso della Corte occorre salvaguardare la volonta’ che e’ alla base dell’introduzione dell’articolo 2042 c.c., e che e’ quella di preservare la certezza del diritto ed evitare elusioni della norma, ammettendo che si possa agire con l’azione di arricchimento anche nei casi in cui la domanda principale non sia stata coltivata o sia andata perduta per il comportamento colpevole del titolare.

A tal fine e’ opportuno il richiamo al contenuto della Relazione al codice civile, nella quale si giustifica il principio di sussidiarieta’ sostenendo che “la’ dove si possa eliminare una situazione anormale con l’applicazione di una norma particolare, il ricorso all’azione generale mancherebbe del suo presupposto, ossia del pregiudizio altrimenti evitabile”.

Va, pertanto, tenuto fermo il principio per cui resta precluso l’esercizio dell’azione di arricchimento ove l’azione suscettibile di proposizione in via principale sia andata persa per un comportamento imputabile all’impoverito e, quindi, con riferimento ai casi di piu’ frequente applicazione, per la prescrizione ovvero per la decadenza.

Colgono nel segno le riflessioni di quella dottrina che ha sottolineato come l’azione di arricchimento non possa far rivivere il diritto prescritto, che e’ estinto e resta tale.

La regola della sussidiarieta’ impone di affermare che, se l’impoverito dispone di altre difese, l’azione di arricchimento non puo’ essere esercitata, e cio’ vale anche se le altre difese, gia’ pertinenti al soggetto, siano andate perdute, come appunto nel caso della prescrizione. Ne’ puo’ trascurarsi l’argomento speso da autorevole dottrina secondo cui “concedere in questi casi l’azione di arricchimento, significherebbe frustrare la finalita’ di quegli istituti, che consiste proprio nel determinare la perdita di un diritto a danno di chi non lo ha esercitato”.

Una precisazione pero’ si impone per le ipotesi di rigetto ovvero di infondatezza della domanda proponibile in via principale, e cio’ in quanto, alla luce della disamina della giurisprudenza di questa Corte, come compiuta al punto 5, che precede, la formale adesione al principio della sussidiarieta’ in astratto risulta oggetto di un costante temperamento, soprattutto nel caso in cui l’azione principale sia fondata su una fonte contrattuale, mediante il riconoscimento della sua esperibilita’ ove sia riconosciuta la nullita’ del titolo contrattuale azionato (si veda da ultimo Cass. n. 13203/2023, secondo cui, nei casi in cui l’azione contrattuale e’ stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non esistenza di un contratto, e cio’ anche perche’, se al rigetto del rimedio contrattuale, determinato dall’inesistenza del titolo, potesse conseguire l’improponibilita’ del rimedio sussidiario, costituito dall’azione di arricchimento, l’avente diritto sarebbe privato di qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del pregiudizio subito; conf. Cass. n. 15496/2018).

Tuttavia, come confermato da Cass. n. 13203/2023, va ribadito che resta preclusa la possibilita’ di agire ex articolo 2041 c.c., anche in caso di nullita’ del titolo contrattuale, ove la nullita’ derivi dall’illiceita’ del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (conf. ex multis, Cass. n. 10427/2002; Cass. n. 14085/2010).

Come sopra ricordato, e’ proprio in relazione ai casi di nullita’ del titolo contrattuale che ha avuto modo di svilupparsi sul versante processuale la giurisprudenza che si e’ interrogata sui limiti in merito alla proposizione in via subordinata della domanda di arricchimento, limiti che sono stati delineati dall’ultimo intervento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 22404 del 2018.

L’ammissibilita’ della domanda in via subordinata sul piano processuale sottende a monte l’ammissibilita’ anche della medesima sul piano sostanziale, in quanto ove si presti adesione ad una nozione rigorosa della sussidiarieta’ in astratto (che prescinda in assoluto da ogni verifica sul merito della domanda avanzata in via principale), la stessa circostanza che sia stata proposta una domanda fondata su titolo contrattuale renderebbe improponibile ex articolo 2042 c.c., la subordinata domanda di arricchimento.

Ancorche’ il riscontro della nullita’ del titolo contrattuale porti ad una pronuncia di rigetto nel merito della domanda fondata sullo stesso, la giurisprudenza di questa Corte ha pero’ sottolineato come in tal caso il rigetto discenda da una carenza originaria del titolo, in quanto la fattispecie dedotta in giudizio, pur in astratto congrua a realizzare gli effetti previsti dalla legge, e’ risultata difettosa di qualche requisito essenziale (id est, elemento costitutivo della fattispecie o presenza di elemento impeditivo), ovvero (cfr. Cass. n. 10161/2021) non e’ possibile ricondurre la fattispecie concreta a quella astrattamente delineata a fondamento dell’azione proposta in via principale.

Occorre quindi distinguere tra le ipotesi in cui il rigetto derivi dal riconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti la domanda cd. principale, da quelli in cui derivi dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.

Nella prima ipotesi il rigetto per accertamento della carenza ab origine del titolo fondante la domanda cd. principale comporta che quello che appariva un concorso da risolvere ex articolo 2042 c.c., in favore della domanda principale si rivela essere in realta’ un concorso solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio con la conseguente improponibilita’ della domanda ex articolo 2041 c.c..

Viceversa, il rigetto della domanda, correlato al mancato assolvimento dell’onere della prova in relazione alla sussistenza del pregiudizio, non esclude che il diverso titolo sussista e che quindi sia preclusa la domanda fondata sulla clausola residuale.

Se la domanda principale e’ correlata ad una pretesa scaturente da un contratto, di cui si lamenta l’esecuzione in maniera difforme da quanto pattuito, chiedendosi il ristoro del pregiudizio subito e si accerta che il contratto era affetto da nullita’, lo spostamento contrattuale si palesa privo di una giusta causa e legittima quindi la proposizione, anche in via subordinata nel medesimo giudizio, dell’azione di arricchimento.

Se viceversa, incontestata o dimostrata l’esistenza del contratto, il rigetto sia derivato dalla mancata prova da parte del contraente del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente, la domanda di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui all’articolo 2042 c.c..

6.1 Con specifico riferimento ai rapporti tra azione di arricchimento ed azioni risarcitorie una prima significativa differenza si coglie quanto alla irrilevanza dell’elemento soggettivo ai fini dell’azione di arricchimento.

Inoltre, si sottolinea come alla residuale tutela di cui all’articolo 2041 c.c., sia estraneo il presupposto della lesione di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico (che sostanzia il requisito dell’ingiustizia ex articolo 2043 c.c.), ovvero l’inadempimento di una preesistente obbligazione (fonte della responsabilita’ contrattuale), essendo piuttosto rilevante che lo squilibrio patrimoniale di cui si chiede l’indennizzo non debba essere ingiusto, bensi’ ingiustificato. Tale considerazione si riflette poi anche sul piano dell’entita’ delle conseguenze pregiudizievoli, in quanto la tutela offerta all’impoverito dalla norma di carattere generale e’ limitata alla dimensione del “danno emergente”, ma nella (sola) misura corrispondente all’incremento patrimoniale verificatosi nella sfera giuridica del convenuto.

E’ stato, percio’, rimarcato come quella contro l’arricchimento sia l’unica tutela praticabile in assenza della lesione di un diritto (danno ingiusto) ovvero al cospetto della lesione di un diritto, non accompagnata dall’elemento soggettivo (nonche’ in presenza di una lesione di un diritto, accompagnata dall’elemento soggettivo, dalla quale pero’ non scaturisca un pregiudizio nei termini dell’articolo 1223 c.c., ma solo un arricchimento).

Se il rigetto della domanda risarcitoria e’ ascrivibile a ragioni che consentano di affermare la carenza del titolo posto a fondamento della relativa domanda (nel caso di carenza degli elementi costitutivi della fattispecie legale ovvero in presenza di elementi impeditivi), risulta quindi ammissibile la proposizione dell’azione di arricchimento, che mantiene in tal modo il suo carattere residuale.

Allorche’ sia esclusa la fondatezza della domanda ex articolo 2043 c.c., perche’ la condotta dell’arricchito non si caratterizza per la presenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma (ovvero in caso di azione ex articolo 1337 c.c., perche’ non e’ dato riscontrare la violazione della regola della buona fede nella condotta del convenuto), resta esclusa la stessa sussistenza ab origine di un titolo fondante una domanda suscettibile di essere avanzata in via principale e con carattere assorbente della domanda ex articolo 2041 c.c., di cui deve percio’ affermarsi la proponibilita’.

Viceversa, resta impregiudicata l’efficacia preclusiva derivante dalla regola della sussidiarieta’ ove il rigetto sia dipeso da prescrizione o decadenza ovvero nel caso in cui derivi dalla carenza di prova circa l’esistenza del danno ingiusto.

La soluzione che distingue a seconda delle ragioni del rigetto della domanda risarcitoria si configura cosi’ idonea a salvaguardare le varie rationes che si reputa sorreggano la regola della residualita’, in quanto accanto al rispetto del principio della certezza del diritto, e’ tutelata anche la regola di equita’ che sottende la previsione di cui all’articolo 2041 c.c., riconoscendosi all’impoverito il ristoro per quelle situazioni che siano gia’ ab origine prive di un rimedio riconosciuto dalla legge.

6.2 Tale verifica risulta sicuramente piu’ agevole nel caso in cui nello stesso giudizio siano cumulate la domanda principale e quella di arricchimento, in quanto l’esame della seconda per il nesso di subordinazione che ex lege le correla, potra’ avvenire solo una volta che si sia risolta negativamente, e nei termini sopra esposti, la verifica circa la ricorrenza del titolo della prima.

Lo stesso e’ a dirsi allorche’ sia gia’ stata coltivata e rigettata la domanda risarcitoria, potendosi quindi verificare le ragioni che hanno portato al rigetto.

Ma tale verifica, ancorche’ sulla base delle allegazioni delle parti, si impone anche laddove sia direttamente avanzata la domanda di arricchimento (il cui contenuto deve comunque essere rispettoso della necessita’ di allegazione da parte dell’attore, dei caratteri che giustificano la sua proposizione in ragione della ricorrenza del requisito della sussidiarieta’), rientrando nelle verifiche officiose del giudice quello del riscontro del carattere della residualita’ della domanda proposta.

Sostenere la tesi della sussidiarieta’ in astratto nella sua accezione piu’ rigorosa, nel senso che sarebbe sufficiente la mera prospettazione dell’esistenza di una diversa azione, prescindendo da quale possa essere il suo esito, potrebbe legittimare anche un utilizzo strumentale del richiamo a siffatta regola della residualita’ da parte di chi sia stato convenuto in un giudizio nel quale sia stata esperita l’azione di arricchimento, in quanto, per ottenere una pronuncia di improponibilita’ della domanda, per questi sarebbe sufficiente semplicemente allegare, anche se in maniera del tutto infondata, la possibilita’ dell’esercizio di una diversa azione da parte dell’impoverito.

Non va poi sottaciuto il rischio di un potenziale corto circuito che si verrebbe a creare nel caso in cui – dichiarata inizialmente improponibile la domanda di arricchimento sulla base della mera prospettazione del convenuto – l’attore esperisca l’azione risarcitoria che si concluda con una pronuncia di rigetto per carenza originaria dei presupposti fondanti la tutela aquiliana. Se si dovesse ritenere, come sostengono i fautori della sussidiarieta’ in astratto, che il rigetto della domanda principale preclude sempre e comunque l’azione di arricchimento, anche a voler annettere alla prima pronuncia di improponibilita’ una valenza solo processuale, resterebbe in ogni caso esclusa la riproponibilita’ della domanda di arricchimento.

Se invece, come appare corretto ad avviso di questo Collegio, si deve distinguere in merito alle ragioni del rigetto, il giudice al quale sia riproposta la domanda di arricchimento dovrebbe verificare se sia stata riscontrata una carenza originaria del diverso titolo fondante la domanda cd. principale.

Risulta, quindi, anche conforme al principio di economia processuale che sia sempre il giudice adito con la domanda di arricchimento a compiere la verifica circa il carattere sussidiario della domanda proposta (verifica come sopra ricordato officiosa ed esperibile anche in grado di appello), e cio’ sulla scorta di quanto emerge dagli atti e dalle allegazioni offerte dalle parti.

7. Va quindi affermato il seguente principio di diritto:

Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarieta’ di cui all’articolo 2042 c.c., la domanda di arricchimento e’ proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullita’ del titolo contrattuale, ove la nullita’ derivi dall’illiceita’ del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.

8. Tornando quindi alla disamina dei motivi di ricorso, osserva la Corte che in applicazione dei principi esposti, gli stessi si rivelano fondati.

La Corte d’Appello ha dichiarato improponibile la domanda di arricchimento senza causa operando una applicazione acritica del principio di sussidiarieta’, essendosi limitata ad affermare che il Tribunale aveva rigettato la domanda di responsabilita’ precontrattuale del Comune, poiche’ non era stata fornita una prova idonea, salvo poi aggiungere che non era emerso che il Comune avesse assunto un impegno a mutare la destinazione dei terreni di proprieta’ della ricorrente (pag. 5 della sentenza d’appello).

Trattasi pero’, come si ricava anche dal contenuto della sentenza di primo grado, di un rigetto, frutto della valutazione sia delle prove orali che di quelle documentali, motivato per la mancata dimostrazione della violazione dell’obbligo di buona fede da parte del Comune, il che equivale ad un rigetto correlato all’accertamento dell’insussistenza del titolo fondante la domanda ex articolo 1337 c.c..

Ne consegue, sempre alla luce dei principi esposti, che la domanda di arricchimento senza causa e’ proponibile.

In accoglimento dei motivi in esame, la sentenza gravata deve quindi essere cassata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che dovra’ altresi’ esaminare gli altri motivi di appello reputati assorbiti, e direttamente riferiti alla domanda ex articolo 2041 c.c..

9. L’accoglimento del ricorso, quanto ai motivi dal terzo al quinto, comporta poi evidentemente l’assorbimento del sesto motivo, dovendo il giudice di rinvio provvedere anche ad una nuova regolamentazione delle spese di lite anche delle precedenti fasi di merito.

Quanto alle spese del giudizio di legittimita’, tenuto conto della necessita’ di dover intervenire per la risoluzione della questione di diritto posta dall’ordinanza di rimessione, nonche’ della sua complessita’, si ritiene che ricorrano i presupposti per la loro compensazione.

Indebito arricchimento ed il rispetto della regola di sussidiarietà 

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo ed il secondo motivo e dichiara assorbito il sesto motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese delle precedenti fasi di merito;

dichiara compensate le spese del giudizio di legittimita’.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

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