Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 giugno 2024| n. 16346.

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata, tra i quali ricade l’appalto privato, l’indennizzo spettante all’appaltatore per il danno da mancato guadagno patito a causa del recesso unilaterale del committente può essere quantificato in via equitativa applicando per analogia l’aliquota forfettaria e presuntiva tratta dalla disciplina degli appalti pubblici, pari al dieci per cento della differenza fra il corrispettivo pattuito e quello maturato per le opere parzialmente realizzate.

 

Ordinanza|12 giugno 2024| n. 16346. Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

Data udienza 29 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto (contratto di) – Scioglimento del contratto – Per recesso unilaterale del committente indennizzo all’appaltatore per mancato guadagno – Determinazione – Quantificazione sulla base di una percentuale forfettaria presuntiva tratta dalla disciplina dei pubblici appalti – Applicabilità – Condizioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Relatore-Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4964/2018) proposto da:

Condominio “Omissis” in T, via (Omissis) (C.F.: Omissis), in persona del suo amministratore pro – tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via (…), presso lo studio dell’Avv. St.Vi., che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Al.Ar., giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fi.Fe. Srl (C.F.: Omissis), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio dell’Avv. Ad.To., che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Fe.Fr., giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1802/2017, pubblicata il 1° agosto 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;

lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380-bis. 1. c.p.c.

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

FATTI DI CAUSA

1.- Con atto di citazione notificato il 3 maggio 2013, la

Fi.Fe. Srl. conveniva, davanti al Tribunale di Torino, il Condominio “Omissis” in T, via (Omissis), al fine di: A) in via principale, accertare l’inadempimento contrattuale del Condominio committente e condannarlo a risarcire all’appaltatore il danno emergente e il lucro cessante inerenti al contratto d’appalto concluso tra le parti il 25 luglio 2012, avente ad oggetto la rimozione, la bonifica e lo smaltimento delle lastre di fibrocemento-amianto presenti nella copertura del tetto, con la realizzazione di una nuova struttura e il restauro conservativo delle facciate, nella misura, in via indicativa, di Euro 255.869,52 a titolo di danno emergente e di Euro 173.510,00 a titolo di mancato guadagno / lucro cessante o comunque nelle diverse somme accertate in corso di causa; risarcire la Fi.Fe.Srl degli oneri sostenuti in relazione agli interventi eseguiti e non indicati nel contratto e nel capitolato d’appalto; manlevare la Fi.Fe.Srl da qualsiasi domanda fosse provenuta da terzi in ordine al risarcimento del danno derivante dalla presenza del ponteggio per il periodo successivo al 13 novembre 2012; B) in via subordinata, constatare il venir meno dei presupposti per l’esecuzione del contratto e l’impossibilità di proseguire la prestazione e, per l’effetto, condannare il Condominio a rimborsare la Fi.Fe.Srl nella misura accertanda e/o ritenuta in corso di causa; C) in via ulteriormente gradata, condannare il Condominio a corrispondere alla Fi.Fe.Srl quanto accertato e ritenuto dal Tribunale per l’opera svolta, in ogni caso con la condanna al risarcimento dei danni patiti nella misura stabilita in corso di causa.

Si costituiva in giudizio il Condominio “Omissis” in T, via (Omissis), il quale chiedeva il rigetto delle domande spiegate, anche per violazione del principio della domanda in punto di risoluzione per inadempimento del contratto d’appalto, oltre che per l’insussistenza della fattispecie della risoluzione stragiudiziale per diffida ad adempiere, stante il tenore letterale della missiva del 13 novembre 2012, né tantomeno per la violazione di un termine essenziale. In via riconvenzionale, chiedeva che fosse pronunciata la risoluzione per inadempimento imputabile a fatto e colpa dell’appaltatrice, con la condanna di quest’ultima alla restituzione degli acconti versati e al risarcimento dei danni, in ragione dell’ingiustificato abbandono del cantiere come preordinato dalla Fi.Fe.Srl

Nel corso del giudizio era assunta la prova per interpello e testimoniale ammessa.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 5577/2015, depositata il 15 settembre 2015, notificata il 14 ottobre 2015, rigettava sia le domande principali proposte dall’appaltatrice sia le domande riconvenzionali proposte dal committente, sostenendo -per un verso – che il contratto d’appalto intercorso tra le parti si era risolto per mutuo dissenso a seguito dei contrasti insorti tra le parti e dell’interruzione dei lavori, anche all’esito dell’ordinanza amministrativa che aveva disposto il fermo del cantiere, e – per altro verso – che i gravi danni lamentati dall’assuntore, in conseguenza dell’interruzione dei lavori e dell’impossibilità di riprenderli, non erano addebitabili al committente, in quanto la mancata scelta delle lastre in materiale plastico da utilizzare per la nuova copertura del tetto era riconducibile all’inadeguatezza delle lastre proposte e non avrebbe impedito la prosecuzione delle opere di manutenzione delle facciate e di smaltimento delle lastre di copertura del tetto esistenti, mentre la situazione delle facciate del fabbricato non avrebbe costituito un ostacolo all’esecuzione dei lavori, se non in seguito all’ordinanza amministrativa di sospensione adottata cautelativamente per effetto delle iniziative assunte dall’appaltatrice.

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2.- Con atto di citazione notificato il 9 novembre 2015, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado la Fi.Fe.Srl, la quale lamentava: 1) la genericità, l’inammissibilità e/o la nullità della domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento proposta dal Condominio; 2) comunque l’infondatezza di tale domanda per carenza di alcun inadempimento imputabile all’appaltatore, come sarebbe stato rilevabile all’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, di cui reiterava la richiesta di ammissione; 3) la riconduzione dell’interruzione dei lavori e del mancato rispetto del cronoprogramma alla condotta dell’appaltante, con la conseguente spettanza del danno emergente e del lucro cessante.

Si costituiva nel giudizio di impugnazione il Condominio “Omissis” in T, via (Omissis), il quale concludeva per il rigetto del gravame e, in via incidentale, chiedeva che fosse accolta la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento dell’appaltatore, con la sua condanna alla restituzione degli acconti versati per Euro 68.845,74 nonché al risarcimento dei danni per Euro 294.608,22.

Nel corso del giudizio d’appello era ammessa consulenza tecnica d’ufficio.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Torino, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello incidentale proposto dal Condominio e, in parziale accoglimento dell’appello principale nonché in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava il Condominio al pagamento, in favore della Fi.Fe.Srl, della complessiva somma di Euro 194.438,35, oltre interessi legali con decorrenza dal 3 maggio 2013.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, in ordine alla domanda di risoluzione per inadempimento dell’appaltatore, come reiterata con lo spiegato appello incidentale dall’appaltante -domanda che doveva essere esaminata in via prioritaria -, i contegni ascritti alla Fi.Fe.Srl – ossia l’avere quest’ultima assicurato di disporre di organizzazione propria nonché di mezzi e di personale idoneo all’esecuzione delle opere ed avere, invece, nonostante facoltizzata dal testo contrattuale ma con l’obbligo di comunicazione nominativa e preventiva agli ausiliari della committenza, provveduto a noleggiare da terzi i ponteggi e la gru nonché ad affidare in subappalto le opere di decorazione delle facciate ed altresì ad assumere alcuni operai, pretermettendo ogni informativa sul punto alla direzione dei lavori e all’assemblea condominiale – non erano idonei ad infirmare il nesso commutativo che connotava il contratto e neppure a far venir meno un eventuale intuitus riposto dalla committenza nell’organizzazione d’impresa dell’appaltatrice e men che mai a compromettere le modalità esecutive delle opere appaltate, in ragione della possibilità che l’appaltatrice realizzasse comunque correttamente e sollecitamente gli interventi affidati; b) che, quanto alla fornitura dei pannelli modulari grecati in plastica, abbinabili ai pannelli di copertura del tetto, i relativi campioni erano stati consegnati dall’attrice il 10 settembre 2012 al direttore dei lavori, senza che essa avesse ricevuto risposta alcuna, né immediata e neppure nei giorni a seguire, nonostante i solleciti inviati, cui seguiva solo a fine mese la richiesta di consegna della scheda tecnica del prodotto suggerito e dei risultati di laboratorio, con riserva di indicarne successivamente il colore e con successiva domanda della direzione dei lavori del 6 ottobre 2012 di poter visionare campioni di pannello in materiale compatto, e non già grecato, senza che, all’esito della consegna della campionatura e della scheda tecnica, fosse stata esplicitata alcuna risposta, se non quella del 15 ottobre, con cui la direzione dei lavori aveva chiesto la consegna di campionatura riferita alle lastre compatte, scelta che aveva determinato l’arresto dell’attività esecutiva a cura dell’appaltatore, poiché il prodotto prescelto aveva un costo tre volte superiore rispetto a quello dell’omologo manufatto proposto dalla controparte; c) che, dunque, l’interruzione dei lavori era dipesa dalla mancanza di tempestive indicazioni, a cura del Condominio, sulla scelta dei pannelli di copertura del tetto, come era emerso dalle deposizioni testimoniali assunte, sicché, piuttosto che un inadempimento della società appaltatrice, era ravvisabile un’omessa cooperazione della committenza, affinché la prima potesse essere messa in condizione di adempiere le proprie prestazioni, cooperazione particolarmente indispensabile nel caso di specie, venendo, in caso contrario, compromessa la sequenza degli interventi previsti in un arco temporale oltremodo circoscritto e vincolato; d) che neanche l’abbandono del cantiere, preannunciato il 18 ottobre 2012 ed attuato dall’appaltatore il giorno successivo, costituiva un’inadempienza addebitabile alla Fi.Fe.Srl, stante che, in ragione di quanto emerso dalle verifiche eseguite, esistevano, in realtà, motivi di preoccupazione per la stabilità dei pannelli in muratura (c.d. telai strutturali) delle facciate, pericoli che si erano resi evidenti con il posizionamento dei ponteggi ed erano stati prospettati dall’impresa con messaggio del 20 settembre 2012, formando oggetto di verbale del 30 settembre 2012, nel quale il direttore dei lavori aveva sottolineato la gravità della situazione e sollecitato un intervento, sicché sussisteva un oggettivo – e nell’immediato non superabile, se non previo intervento di consolidazione statica, di cui però non era preventivabile la tempistica – “ostacolo” a dare corso all’opera di restauro, tale da integrare (quantomeno sotto l’aspetto putativo, se non effettivo) l’esimente dell’impossibilità sopravvenuta oppure la relativa causa estintiva, atteso che non era pretendibile che la Fi.Fe.Srl rimanesse obbligata sine die ad una prestazione consentita solo dal verificarsi di un evento (appunto il consolidamento delle strutture murarie) quantomeno incertus quando, né era pretendibile che l’appaltatrice soprassedesse temporaneamente all’intervento in questione, dedicandosi ad altre opere; e) che l’appaltatore aveva soffermato la propria attenzione sulla “latitanza” degli organi esponenziali del Condominio nel breve lasso in cui il rapporto aveva avuto esecuzione, lamentando la condotta non collaborativa di tali organi e non conforme ai dettami della buona fede, sia quanto alla valenza dell’impedimento frapposto agli interventi di pulizia e tinteggiatura delle facciate, in ragione della scoperta delle precarie condizioni in cui esse versavano, sia con riguardo alle conseguenze derivanti dalla omessa o comunque ritardata e non solerte cooperazione nella scelta della tipologia dei materiali da impiegare nella posa dei pannelli di copertura del tetto, condotte che avevano integrato una mora accipiendi del committente e non consentivano di ravvisare una mora debendi dell’appaltatore; f) che, contrariamente all’assunto del Tribunale, che aveva ricondotto la cessazione del rapporto contrattuale ad una risoluzione consensuale, desumibile dall’incarico affidato dal Condominio ad altra impresa per l’esecuzione delle medesime opere appaltate, non era ravvisabile alcun coerente incontro di consensi tra le parti, bensì altrettante condotte unilaterali divergenti, sebbene ambedue convergenti nel manifestare, per fatti concludenti, l’intenzione di ciascuna di porre fine ex abrupto al rapporto in questione, nella fase esecutiva in cui era giunto nell’ultima decade di ottobre 2012; g) che, per l’effetto, l’appalto era venuto meno per il recesso esercitato dal Condominio, reso manifesto dalla stipula di omologo negozio con altra impresa subentrata alla Fi.Fe.Srl definitivamente esautorata, fenomeno in conseguenza del quale il recedente era tenuto a soggiacere agli oneri economici accollati dall’art. 1671 c.c.; h) che il riconoscimento delle entità pecuniarie, quale credito indennitario in favore della società appaltatrice, non avrebbe determinato alcun vizio di extrapetizione, posto che le “spese sostenute” e il compenso maturato per i “lavori eseguiti” costituivano un minus rispetto al danno emergente di cui era stato chiesto il ristoro, essendo, per contro, equipollenti, da un punto di vista economico, il lucro cessante e il “mancato guadagno” e trattandosi, per il resto, di una diversa qualificazione giuridica di una circostanza fattuale che la società assuntrice aveva posto a supporto della pronuncia di risoluzione per inadempimento; i) che il compenso, inteso quale equipollente del ricavo lordo, per definizione comprensivo sia delle passività d’impresa, cioè dei costi sostenuti nell’esecuzione dell’appalto, sia dei lavori eseguiti, sia anche dell’utile netto finale, coincideva con l’importo complessivo lordo delle spese sostenute, cioè appunto con i ricavi lordi di pertinenza della Fi.Fe.Srl, in relazione alle opere contrattuali eseguite, compenso indicato nella consulenza tecnica d’ufficio in complessivi Euro 168.289,82, ai quali dovevano essere aggiunti gli importi di Euro 2.800,00, quale valorizzazione delle opere extra-contratto, e di Euro 15.285,70, a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’appaltatore, non correlabili agli interventi effettuati, bensì prodromiche ad ulteriori opere contemplate in contratto ma rimaste ineseguite, per un totale complessivo di Euro 205.013,07, comprensivo di IVA al 10%, da cui doveva essere detratto l’importo di Euro 68.845,74, versato a titolo di acconti, con un residuo compenso spettante di Euro 136.167,33; l) che il guadagno non conseguito, inteso come utile d’impresa al netto delle passività, per effetto dell’anticipata interruzione del rapporto, secondo le risultanze dell’ausiliario del giudice, doveva essere parametrato alle previsioni normative nell’ambito dei pubblici appalti, alla cui stregua l’utile dell’appaltatore doveva essere determinato forfettariamente nell’aliquota del 10%, approccio sicuramente condivisibile in assenza di altri elementi di riferimento, derivante dall’applicazione, in via analogica, di una disciplina regolante un settore affine a quello in esame, con un conseguente utile non percepito pari ad Euro 58.271,02, corrispondente alla percentuale del 10% applicata sulla differenza tra il complessivo compenso pattuito per l’appalto di Euro 751.000,00 e quello di Euro 168.289,82 maturato in relazione all’opera parzialmente realizzata; m) che, pertanto, il totale complessivo spettante a titolo di indennizzo ammontava ad Euro 194.438,35.

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3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, il Condominio “Omissis” in T, via (Omissis).

Ha resistito, con controricorso, l’intimata Fi.Fe.Srl, che ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, articolato in un unico motivo.

Ha resistito al ricorso incidentale, con ulteriore controricorso, il Condominio “Omissis” in T, via (Omissis).

4.- Le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di merito adottato una motivazione affetta da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella parte in cui avrebbe ricondotto la cessazione del rapporto contrattuale di appalto al recesso unilaterale operato dal committente, escludendo però i presupposti per l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore in base a una ratio decidendi diversa e incompatibile, ossia alla stregua dell’omessa cooperazione della committenza nella scelta dei pannelli di copertura del tetto e, quanto all’abbandono del cantiere, configurando un’ipotesi di risoluzione del contratto di appalto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1256 c.c. (quantomeno sotto l’aspetto putativo, se non effettivo), in ordine alla mancata risoluzione della problematica attinente alla sicurezza dei muri di tamponamento dell’edificio e più precisamente dei pannelli in mattoni in calcestruzzo, che costituivano il parametro esterno dei muri a cassa vuota delle facciate.

Obietta l’istante che le diverse rationes decidendi considerate sarebbero state irriducibilmente incompatibili e contraddittorie, in quanto il contratto di appalto avrebbe potuto risolversi per effetto dell’unilaterale manifestazione di volontà del committente, esercitabile anche per facta concludentia, il che avrebbe dovuto implicare che, quando il cantiere era stato abbandonato per le problematiche dei distacchi, il rapporto fosse ancora in essere.

Oppure, in via del tutto alternativa e non cumulabile, sarebbe stata integrata un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore ed allora la stipula dell’omologo negozio di appalto con terzi certamente non avrebbe potuto risolvere un contratto già risolto.

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1.1.- Il motivo è infondato.

E ciò perché la Corte del gravame non è incorsa in alcun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, atteso che, per un verso, ha negato che la domanda riconvenzionale proposta dal Condominio – volta ad ottenere la pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento dell’assuntore -fosse fondata e, per altro verso, ha legittimato la pretesa risarcitoria dell’assuntore in ragione dell’avvenuto recesso unilaterale ad nutum attuato dall’appaltante.

Il riferimento alla mancata cooperazione dell’appaltatore e all’impossibilità sopravvenuta della prestazione (quale esimente del suo inadempimento) ha avuto una mera efficacia paralizzatrice dell’invocata risoluzione per inadempimento imputabile a colpa dell’artefice dell’opera e non già una valenza costitutiva alternativa all’emarginato esercizio del diritto potestativo di recesso, quale atto idoneo a sciogliere il rapporto.

Segnatamente, da un lato, la sentenza impugnata ha escluso che potesse integrare un inadempimento imputabile all’appaltatore l’interruzione dei lavori conseguente all’assunzione delle determinazioni sull’individuazione della tipologia dei pannelli di copertura del nuovo tetto. E ciò perché tale interruzione era dipesa dalla mancanza di tempestive indicazioni, a cura del Condominio, sulla scelta dei pannelli di copertura del tetto, come era emerso dalle deposizioni testimoniali assunte, sicché, piuttosto che un inadempimento della società appaltatrice, era ravvisabile un’omessa cooperazione della committenza, affinché la prima potesse essere messa in condizione di adempiere le proprie prestazioni, cooperazione particolarmente indispensabile nel caso di specie, venendo, in caso contrario, compromessa la sequenza degli interventi previsti in un arco temporale oltremodo circoscritto e vincolato (posto che allo smantellamento delle lastre del tetto preesistente in fibrocemento-amianto avrebbe dovuto fare seguito, senza soluzione di continuità, la realizzazione della copertura con i nuovi pannelli, allo scopo di evitare infiltrazioni, secondo il cronoprogramma previsto).

Dall’altro lato, la Corte d’appello ha negato che l’abbandono del cantiere, preannunciato il 18 ottobre 2012 ed attuato dall’appaltatore il giorno successivo, costituisse un’inadempienza addebitabile alla Fi.Fe.Srl, quanto all’ulteriore opera commissionata di restauro conservativo delle facciate, in relazione alla problematica presentatasi relativa al pericolo di distacco dei muri di tamponamento.

In proposito, la sentenza impugnata ha ritenuto che, in ragione di quanto emerso dalle verifiche eseguite, esistessero, in realtà, motivi di preoccupazione per la stabilità dei pannelli in muratura (c.d. telai strutturali) delle facciate, che si erano resi evidenti con il posizionamento dei ponteggi ed erano stati prospettati dall’impresa con messaggio del 20 settembre 2012, formando oggetto di verbale del 30 settembre 2012, nel quale il direttore dei lavori aveva sottolineato la gravità della situazione e sollecitato un intervento, sicché sussisteva un oggettivo – e nell’immediato non superabile, se non previo intervento di consolidazione statica, di cui però non era preventivabile la tempistica – “ostacolo” a dare corso all’opera di restauro, tale da integrare l’esimente dell’impossibilità sopravvenuta oppure la relativa causa estintiva, atteso che non era pretendibile che la Fi.Fe.Srl rimanesse obbligata sine die ad una prestazione consentita solo dal verificarsi di un evento (appunto il consolidamento delle strutture murarie) quantomeno incertus quando, né era pretendibile che l’appaltatrice soprassedesse temporaneamente all’intervento in questione, dedicandosi ad altre opere.

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In base alla ricostruzione del giudice di merito, tali condotte avevano integrato una mora accipiendi del committente e non consentivano di ravvisare una mora debendi dell’appaltatore.

Esclusa la ricorrenza dei presupposti affinché potesse trovare accoglimento la domanda di risoluzione per inadempimento dell’assuntore, sotto altro versante (e segnatamente avuto riguardo alla diversa domanda spiegata dall’appaltatore), è stata riconosciuta la spettanza dell’invocata tutela risarcitoria, alla stregua della causale individuata nell’attuazione del recesso a cura dell’ordinante dei lavori.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ricondotto la cessazione del contratto di appalto al recesso esercitato dal Condominio committente, reso manifesto dalla stipula di omologo negozio con altra impresa, subentrata alla Fi.Fe.Srl definitivamente esautorata.

Osserva l’istante che questa qualificazione giuridica del rapporto controverso, da parte del giudice d’appello, sarebbe potuta avvenire purché questi avesse operato nell’ambito delle questioni riproposte con il gravame, lasciando inalterato il petitum e la causa petendi, ossia senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto.

Mentre, per converso, nel caso di specie, vi sarebbe stata totale alterità tra l’accertamento dell’intervenuto recesso unilaterale del committente e la domanda relativa, invece, all’accertamento dell’inadempimento, quale presupposto per la domanda di risarcimento del danno, come proposta dall’appaltatore, che non avrebbe potuto implicitamente contenere una domanda di recesso.

Ebbene, ad avviso del ricorrente, la società appaltatrice non avrebbe mai avanzato, neppure in via subordinata, domanda di accertamento, con pronuncia meramente dichiarativa, dell’intervenuto recesso unilaterale del committente, né avrebbe potuto formulare tale domanda in appello, comportando tale evenienza una mutatio libelli vietata.

E neanche la subordinata domanda di accertamento dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione avrebbe potuto essere letta come accertamento dello scioglimento dell’appalto per l’intervenuto recesso unilaterale, in ragione dell’eterogeneità dei presupposti fattuali delle due azioni.

E ciò considerato altresì che la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento è alternativa rispetto alla domanda di accertamento dell’esercizio del recesso e non vi è un rapporto di continenza, equipollenza o inclusione tra le due pretese, bensì di alternatività.

2.1.- Il motivo è infondato.

E tanto perché la qualificazione giuridica della domanda effettuata dalla Corte del gravame è avvenuta senza incidere sulle circostanze fattuali dedotte e tenuto altresì conto del petitum immediato e della causa petendi esposta nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

Sul punto, la sentenza impugnata ha specificato che, contrariamente all’assunto del Tribunale, che aveva ricondotto la cessazione del rapporto contrattuale ad un’ipotesi di risoluzione consensuale, desumibile dall’incarico affidato dal Condominio ad altra impresa per l’esecuzione delle medesime opere appaltate, non era ravvisabile alcun coerente incontro di consensi tra le parti, bensì altrettante condotte divergenti, sebbene ambedue dirette a manifestare, per fatti concludenti, l’intenzione di ciascuna di porre fine ex abrupto al rapporto in questione, nella fase esecutiva in cui era giunto nell’ultima decade di ottobre 2012.

Per l’effetto, la Corte di merito ha sostenuto che l’appalto era venuto meno per il recesso esercitato dal Condominio, reso manifesto dalla stipula di omologo negozio con altra impresa subentrata alla Fi.Fe.Srl. definitivamente esautorata, fenomeno in conseguenza del quale il recedente era tenuto a soggiacere agli oneri economici accollati dall’art. 1671 c.c.

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Quindi, la Corte d’appello ha evidenziato che il riconoscimento delle entità pecuniarie spettanti per effetto dell’esercizio del recesso, quale credito indennitario in favore della società appaltatrice, non avrebbe determinato alcun vizio di extra-petizione, posto che le “spese sostenute” e il compenso maturato per i “lavori eseguiti” costituivano un minus rispetto al danno emergente di cui era stato chiesto il ristoro, essendo, per converso, equipollenti, da un punto di vista economico, il lucro cessante e il “mancato guadagno” e trattandosi, per il resto, di una diversa qualificazione giuridica di una circostanza fattuale che la società assuntrice aveva posto a supporto della pronuncia di risoluzione per inadempimento, avendo appunto l’appaltatrice addotto il fatto relativo all’affidamento dell’appalto, a cura del Condominio, ad altra impresa, tale da impedire la prosecuzione dell’opera (in questi termini, ha assunto una valenza corroborativa la conclusione articolata in via subordinata dall’assuntrice attrice circa la sopravvenuta inesistenza dei presupposti per l’esecuzione del contratto e la “impossibilità” di proseguire la prestazione).

Pertanto, dedotto lo scioglimento del rapporto in ragione dell’affidamento dell’appalto ad altra impresa, invocato il risarcimento dei danni per le voci attinenti al danno emergente e al lucro cessante – assimilabili alle voci indennitarie spettanti per l’esercizio del recesso, rappresentate dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno (sulla qualificazione giuridica dell’indennizzo ex art. 1671 c.c. quale obbligazione risarcitoria: Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27075 del 18/12/2006; Sez. 2, Sentenza n. 17340 del 17/11/2003; Sez. 2, Sentenza n. 77 del 08/01/2003) -, la condotta di “inadempimento” posta a fondamento della tutela riparatoria invocata è stata identificata nel diritto potestativo di recesso ad nutum esercitato dal committente, già desumibile dalle argomentazioni svolte, proprio alla stregua dell’espresso richiamo all’affidamento dell’appalto, a cura del Condominio, in pendenza di rapporto, ad altro appaltatore.

Comportamento, quest’ultimo, che integra un’ipotesi di recesso esercitato per facta concludentia in quanto incompatibile con la prosecuzione del rapporto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28948 del 04/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6814 del 13/07/1998; Sez. 2, Sentenza n. 1411 del 10/02/1987).

In conseguenza non ricorre la prospettata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché il vizio di ultrapetizione sussiste soltanto se il giudice, con la sua pronunzia, ecceda i limiti del petitum, attribuendo beni non domandati: esso non è ipotizzabile, pertanto, nel caso in cui si contesti unicamente l’esatta qualificazione dell’azione risarcitoria, senza alcun riflesso sulla misura del risarcimento dei danni richiesti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8048 del 21/03/2019; Sez. 1, Sentenza n. 9002 del 11/04/2018; Sez. 3, Sentenza n. 18868 del 24/09/2015; Sez. L, Sentenza n. 455 del 11/01/2011; Sez. 2, Sentenza n. 3702 del 21/10/1976, proprio con riferimento alla qualificazione dell’azione risarcitoria come rivolta ad ottenere l’indennizzo per recesso unilaterale del committente nel contratto di appalto, ipotesi contestata dalla controparte).

Nel caso in esame non sono stati, dunque, alterati gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi) e non è stato emesso un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), né è stato attribuito un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), sicché la pronuncia non è avvenuta oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1456, 1458, 1655, 1656, 1658 e 1664 c.c., per avere la Corte distrettuale disatteso la domanda di risoluzione dell’appalto per inadempimento dell’appaltatore, nonostante fosse stata dedotta, quale specifico profilo di inadempimento ascrivibile alla società appaltatrice, l’assicurazione circa la disposizione di organizzazione propria dei mezzi e di personale, idonea all’esecuzione delle opere, benché, di fatto, essa avesse provveduto a noleggiare da terzi i ponteggi e la gru e avesse affidato in subappalto le opere di decorazione delle facciate, assumendo alcuni operai e pretermettendo ogni informativa sul punto alla direzione dei lavori e all’assemblea condominiale.

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

Ad avviso dell’istante, ciò avrebbe pregiudicato il nesso commutativo proprio del contratto di appalto, il quale importa che l’assuntore sia pur sempre in grado di conoscere da subito, o comunque sia in grado di evincere, l’entità delle obbligazioni a suo carico, riducendo il margine di rischio insito nel contratto.

Inoltre, sarebbe stato pregiudicato l’intuitus personae, quale carattere dell’appalto riguardante non già la figura dell’appaltatore bensì l’impresa, con la connessa abusiva stipulazione del subappalto senza l’autorizzazione del committente, fattispecie non consentita dall’ordinamento, con la violazione dell’obbligo dell’artefice di fornire la materia necessaria a compiere l’opera, avvisando l’appaltante dell’eventuale cattiva qualità o dell’inidoneità dei materiali e con la conseguente responsabilità dell’appaltatore per i danni, in mancanza di tale avviso; con la correlata inversione di un obbligo dell’appaltatore in un onere del committente.

E sarebbe stato altresì erroneamente escluso l’inadempimento dell’appaltatore, nonostante la totale inadeguatezza del prodotto offerto dall’assuntore con riferimento ai pannelli di copertura, in ragione di un’asserita omessa cooperazione della committenza.

3.1.- Il motivo è infondato.

Infatti, la sentenza impugnata ha escluso che i contegni ascritti alla Fi.Fe.Srl – ossia l’avere quest’ultima assicurato di disporre di organizzazione propria nonché di mezzi e di personale idoneo all’esecuzione delle opere ed avere, invece, nonostante facoltizzata dal testo contrattuale ma con l’obbligo di comunicazione nominativa e preventiva agli ausiliari della committenza, provveduto a noleggiare da terzi i ponteggi e la gru nonché ad affidare in subappalto le opere di decorazione delle facciate ed altresì ad assumere alcuni operai, pretermettendo ogni informativa sul punto alla direzione dei lavori e all’assemblea condominiale – fossero idonei ad infirmare il nesso commutativo che connota il contratto e neppure a far venir meno un eventuale intuitus riposto dalla committenza nell’organizzazione d’impresa dell’appaltatrice e men che mai a compromettere le modalità esecutive delle opere appaltate.

E tanto alla stregua della verifica di una situazione dirimente: la possibilità che l’appaltatrice realizzasse comunque correttamente e sollecitamente gli interventi affidati in base alla propria organizzazione d’impresa.

Sicché il ricorso al noleggio del ponteggio e della gru, l’assunzione di un numero limitato di operai ulteriori a tempo determinato e il subappalto di una frazione dell’opera, rappresentata dalla decorazione delle facciate, non hanno compromesso il carattere commutativo dell’appalto, in quanto la società incaricata godeva comunque di un’organizzazione propria dei mezzi produttivi a struttura imprenditoriale, idonea a consentire l’esecuzione dell’appalto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23947 del 12/11/2009; Sez. 3, Sentenza n. 7755 del 29/03/2007; Sez. 3, Sentenza n. 15782 del 12/07/2006).

E a prescindere dalla struttura imprenditoriale di cui godeva la Fi.Fe.Srl, comunque – secondo la valutazione insindacabile in questa sede del giudice di merito – non è venuto meno l’aspetto inerente all’idoneità dell’impresa assuntrice a garantire, in ogni caso, l’esecuzione dell’opera programmata.

Questo anche con riferimento all’affidamento in subappalto della decorazione delle facciate senza la preventiva autorizzazione del committente, che intanto avrebbe potuto incidere sulla risoluzione del contratto principale di appalto in quanto l’inadempimento si fosse configurato di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., ossia nel solo caso di mancanza di idoneità tecnico-economica del subappaltatore, aspetto questo per nulla evocato dal ricorrente.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve dunque essere convalidata l’argomentazione del giudice di merito, il quale ha ritenuto che gli inadempimenti dedotti non avessero compromesso l’incidenza causale e funzionale della figura dell’appaltatore quale elemento essenziale ai fini dell’integrazione dell’appalto, all’esito di una valutazione dell’intuitus non già in chiave puramente soggettiva, ma in una dimensione oggettiva, collegata all’organizzazione dell’impresa di cui è titolare l’appaltatore, elemento su cui essenzialmente è riposta la fiducia del committente e tale da implicare che assuma rilievo non l’intuitus personae bensì l’intuitus impresae, secondo appunto l’elemento oggettivo dell’idoneità ed affidabilità della struttura organizzativa, con la predisposizione dei mezzi necessari, aspetto non compromesso dal ricorso al noleggio di alcuni mezzi, dall’assunzione di ulteriori operai per l’occasione e dall’affidamento in subappalto di una specifica e ben delimitata opera programmata.

Invece, con riferimento ai pannelli di copertura, la sentenza impugnata ha evidenziato che, a fronte dell’offerta in visione del campione dei pannelli individuati secondo le prescrizioni di contratto e di capitolato, la carenza di alcuna interlocuzione tempestiva a cura della committenza aveva inciso sulla prosecuzione dei lavori appaltati in termini di mancata cooperazione nell’attuazione dell’obbligazione.

Non si è trattato, dunque, di una carenza colpevole dell’artefice nella individuazione del materiale fornito, bensì di una mancata collaborazione dell’ordinante dell’appalto nella tempestiva scelta del materiale proposto secondo le prescrizioni di capitolato, all’esito della presentazione dei campioni.

4.- Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte del gravame pretermesso integralmente le risultanze probatorie emerse in sede di consulenza tecnica d’ufficio disposta in appello, in ordine al fatto che i pannelli traslucidi (ondulina) presentati dall’impresa non fossero confacenti alla realizzazione dell’opera di copertura nel caso specifico.

Rilievo riportato dalla sentenza impugnata senza che ne fossero discese le relative conseguenze sotto il profilo dell’inadempimento ascritto all’assuntore.

4.1.- Il motivo è inammissibile.

La censura mira, in realtà, sotto l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e di omesso esame di fatto decisivo, ad ottenere una nuova valutazione sull’esclusione dell’inadempimento imputabile a colpa dell’assuntore nella scelta dei pannelli di copertura, alla stregua della mancata cooperazione prestata dall’appaltante, rivalutazione preclusa in questa sede (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Ed invero, sul punto la Corte territoriale ha motivato nel senso che, quanto alla fornitura dei pannelli modulari grecati in plastica, abbinabili ai pannelli di copertura del tetto, il relativo campione era stato consegnato dall’attrice il 10 settembre 2012 al direttore dei lavori, senza che essa avesse ricevuto risposta alcuna, né immediata e neppure nei giorni a seguire, nonostante i solleciti inviati, cui seguiva solo a fine mese la richiesta di consegna della scheda tecnica del prodotto suggerito e dei risultati di laboratorio, con riserva di indicarne successivamente il colore e con successiva domanda della direzione dei lavori del 6 ottobre 2012 di poter visionare campioni di pannello in materiale compatto, e non già grecato, senza che, all’esito della consegna della campionatura e della scheda tecnica, fosse stata esplicitata alcuna risposta, se non quella del 15 ottobre, con cui la direzione dei lavori aveva chiesto la consegna di campionatura riferita alle lastre compatte, scelta che aveva determinato l’arresto dell’attività esecutiva a cura dell’appaltatore, poiché il prodotto prescelto aveva un costo tre volte superiore rispetto a quello dell’omologo manufatto proposto dalla controparte.

5.- Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1206 c.c., per avere la Corte d’appello configurato, in ordine al peculiare aspetto esecutivo preso in considerazione -ovverosia alla scelta del materiale di copertura del tetto -, un’ipotesi di omessa cooperazione da parte della committenza, affinché l’appaltatore potesse essere messo in condizione di adempiere le proprie prestazioni, ritenendo che l’abbandono del cantiere da parte della società appaltatrice fosse, oltre che un fatto legittimo, circostanza idonea ad integrare la fattispecie della mora accipiendi.

Senonché sarebbe stata richiesta inderogabilmente una dichiarazione del debitore esteriorizzata e comunicata al creditore in forme idonee e conforme alle prescrizioni di legge, affinché l’assuntore potesse liberarsi dalla propria obbligazione, dichiarazione che, nel caso di specie, non vi sarebbe stata, essendosi le argomentazioni della sentenza impugnata appuntate sull’asserita inerzia del committente, ossia su un mero fatto.

5.1.- Il motivo è infondato.

Ora, il creditore è in mora quando, nonostante il debitore si attivi per adempiere, il creditore non cooperi per consentire tale adempimento, ricevendo la prestazione nel caso di offerta del pagamento ovvero ponendo in essere le condotte indispensabili affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione nel caso di prestazioni di dare che non presuppongano il pagamento o di facere.

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

La previsione suggella il principio secondo cui nel rapporto obbligatorio esistono specifici obblighi di cooperazione che sono posti a carico non solo del debitore, ma anche del creditore e che sono finalizzati all’attuazione dell’obbligazione.

Con riferimento al contenuto degli obblighi che riguardano il creditore, si tratta appunto di comportamenti positivi, la cui mancata integrazione implica, in concorso con l’offerta reale o per intimazione, la costituzione in mora del creditore.

Tale cooperazione non rientra in una obbligazione assimilabile all’obbligazione principale che ricade sul debitore, bensì è annoverabile tra gli obblighi strumentali o funzionali all’attuazione del rapporto obbligatorio, collocati nella categoria degli oneri, poiché la mora accipiendi non tutela un autonomo interesse del debitore, ma delimita l’area della difesa dell’interesse creditorio.

Nella fattispecie, la mora del creditore – secondo l’assunto congruamente motivato della sentenza impugnata – si è determinata in quanto il creditore non ha compiuto quanto era in concreto necessario affinché il debitore potesse adempiere l’obbligazione, con particolare riguardo alla scelta dei pannelli di copertura del tetto da installare dopo avere smantellato il tetto preesistente, nonostante l’invio tempestivo dei campioni di tali pannelli.

In particolare, nel contratto di appalto è configurabile, in capo al committente, quale creditore dell’opus, un dovere -discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 c.c. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto – di cooperare all’adempimento dell’appaltatore attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto da questi e necessarie affinché il medesimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25554 del 12/10/2018; Sez. 1, Sentenza n. 12698 del 05/06/2014; Sez. 2, Sentenza n. 26260 del 22/11/2013; Sez. 1, Sentenza n. 10052 del 29/04/2006).

Nel caso in esame, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, tale richiesta di cooperazione è stata in più occasioni esteriorizzata dall’appaltatore al committente: dapprima con i plurimi solleciti inviati dopo la consegna del campione del 10 settembre 2012; quindi, all’esito della consegna della campionatura e della scheda tecnica dei pannelli originari; infine, con la comunicazione dell’abbandono del cantiere preannunciato il 18 ottobre 2012, dopo la comunicazione del 15 ottobre 2012, con cui la direzione dei lavori aveva chiesto la consegna di campionatura riferita alle lastre compatte, prodotto che aveva un

costo tre volte superiore rispetto a quello dell’omologo manufatto proposto dall’assuntore.

Sicché l’impedimento alla prosecuzione dei lavori, in mancanza della scelta delle lastre di copertura, è stato comunicato in forme idonee alla committenza.

6.- Con il sesto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1256 c.c., per avere la Corte di merito reputato integrata un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore con riferimento alla sicurezza dei muri di tamponamento dell’edificio, senza che tale impossibilità rivestisse i caratteri della obiettività e dell’assolutezza, poiché l’insorta problematica in ordine ai distacchi dei pannelli in muratura dalle facciate sarebbe stata considerata solo sotto il profilo subiettivo.

Secondo l’istante, la sentenza impugnata avrebbe fatto riferimento ad un ostacolo non superabile sotto l’aspetto meramente putativo.

6.1.- Il motivo è infondato.

Orbene, l’impossibilità ex art. 1256 c.c. deve effettivamente rivestire i requisiti dell’obiettività e dell’assolutezza, ossia deve essere tale non solo per quel particolare debitore, ma per ogni soggetto, e deve costituire un ostacolo che non può essere superato neanche con uno sforzo estremo (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 20152 del 22/06/2022; Sez. 3, Sentenza n. 2691 del 16/03/1987).

L’impossibilità sopravvenuta che estingue l’obbligazione non deve essere imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima non deve essere venuto meno (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10683 del 20/04/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 8766 del 29/03/2019; Sez. 1, Sentenza n. 20811 del 02/10/2014).

Detta impossibilità può manifestarsi in senso fisico o giuridico e deve essere inoltre sopravvenuta, posto che l’impossibilità iniziale influisce sulla validità dell’atto e non sul rapporto.

L’impossibilità della prestazione deve essere inoltre definitiva, in ragione della natura dell’impedimento: qualora l’impedimento incida sull’an dell’adempimento, nel senso di rendere la prestazione inattuabile sine die e in modo irreversibile, l’impossibilità sarà definitiva (sull’impossibilità sopravvenuta non rimediabile parziale nell’appalto si veda altresì l’art. 1672 c.c.). Al di fuori dell’ipotesi in cui la prestazione diventi impossibile in modo perpetuo la qualificazione dell’impossibilità come definitiva o temporanea dipende dal modo di atteggiarsi del concreto regolamento di interessi del rapporto obbligatorio, ossia da una valutazione teleologico-funzionale da compiere in relazione al titolo dell’obbligazione, alla natura dell’oggetto ed ai contrapposti interessi del debitore e del creditore.

Ove l’impossibilità della prestazione sia definitiva, ne consegue l’effetto estintivo dell’obbligazione, fermo restando l’obbligo del debitore di darne tempestiva comunicazione al creditore.

Nella fattispecie, la sentenza impugnata ha argomentato sulla natura obiettiva e assoluta (sine die) dell’impedimento al restauro conservativo delle facciate in ragione dell’imminente pericolo rilevato, consistente nel possibile distacco dei pannelli in mattoni, il che esigeva un intervento urgente di rimedio, oltre che, in ogni caso, la rimozione dei ponteggi già montati e l’integrazione del piano di sicurezza, anche a salvaguardia dell’incolumità delle persone, non solo limitate a quelle chiamate ad operare nell’ambito degli interventi appaltati, condizione, questa, inibitoria della progressione delle attività di pulizia e di decorazione delle facciate condominiali.

La circostanza che la pronuncia si sia riferita alla necessità “quantomeno sotto l’aspetto putativo, se non effettivo” del previo intervento di consolidazione statica, in cui non era preventivabile la tempistica, ha avuto una mera incidenza quantitativa e non qualitativa.

E questo in relazione alla successiva verifica della delimitazione del pericolo ad una sola parete apparsa come totalmente staccata perimetralmente dai pilastri e dal solaio superiore, con uno stato di immanente ribaltamento verso l’esterno, peraltro impedito dai fili di ferro interni di legatura.

Ma sotto il profilo dell’an la situazione incipiente di impossibilità è stata confermata in chiave oggettiva (esigendosi comunque degli interventi che eliminassero il pericolo rilevato), sebbene essa sia stata ridimensionata sul piano quantitativo, sicché deve escludersi che la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore sia stata negata sulla scorta di una impossibilità meramente subiettiva (ossia dipesa da un errore valutativo dell’assuntore).

Il che è suffragato dall’adozione, in ragione della sollevazione della questione relativa allo stato dei telai strutturali delle facciate, di ordinanza amministrativa di sospensione dei lavori.

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

7.- Il settimo motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1671 e 2697 c.c. (motivo proposto in via subordinata rispetto alla censura svolta con il secondo motivo di ricorso), per avere la Corte territoriale stabilito la misura del mancato guadagno, quale voce indennitaria riconosciuta all’appaltatore, sulla base di una percentuale forfettaria, senza aver indicato le difficoltà insorte in sede di determinazione del mancato guadagno e tale da impedire una precisa quantificazione dell’entità del pregiudizio sofferto.

E ciò in violazione del principio secondo cui l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa, e nella fattispecie la spettanza di tale mancato guadagno, anche in ordine al quantum, ricadeva sul richiedente.

7.1.- Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, sin dall’origine del giudizio, la società appaltatrice aveva chiesto il risarcimento, tra l’altro, del lucro cessante nella misura di Euro 173.510,00, misura determinata all’esito dello scomputo, dal corrispettivo totale dell’appalto di Euro 751.000,00, dei costi preventivati per complessivi Euro 577.490,00, come da calcolo analiticamente riportato nelle tabelle allegate.

Per converso, aderendo alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il guadagno non conseguito, inteso come utile d’impresa al netto delle passività, per effetto dell’anticipata interruzione del rapporto, è stato determinato nel minore importo di Euro 58.271,02, corrispondente alla percentuale del 10% applicata sulla differenza tra il complessivo compenso pattuito per l’appalto di Euro 751.000,00 e quello di Euro 168.289,82 maturato in relazione all’opera parzialmente realizzata.

E tanto parametrando la misura di tale voce indennitaria alle previsioni normative nell’ambito dei pubblici appalti, alla cui stregua l’utile dell’appaltatore, in caso di recesso del committente, può essere determinato forfettariamente nell’aliquota del 10% (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10598 del 19/04/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 27690 del 02/10/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 26009 del 17/10/2018), approccio reputato condivisibile dal giudicante in assenza di altri elementi di riferimento.

A tale esito si è pervenuti, ritenendo plausibile l’applicazione in via analogica di una disciplina regolante un settore affine a quello in esame.

Per l’effetto, in ragione di una scelta del giudicante e non già per un difetto di allegazione imputabile all’assuntore, il mancato guadagno – quale differenza tra il prezzo contrattuale dei lavori ancora da eseguire e l’ammontare presuntivo dei costi che sarebbero stati necessari in ordine a tali lavori – è stato calcolato sulla base della percentuale presuntiva tratta dalla disciplina degli appalti pubblici.

Senonché è conforme ai criteri di riconduzione del quantum all’effettiva entità della voce indennizzata che l’aliquota forfettaria fissata dalla legge esclusivamente per il recesso del committente pubblico assurga al rango di criterio generale per la quantificazione dell’utile presunto, ove sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata, tra i quali ricade l’appalto privato.

Ed invero, la dimostrazione del quantum del mancato guadagno (e non già dell’an) giustifica il ricorso al supporto tecnico di una consulenza tecnica d’ufficio percipiente (anche alla stregua della necessità di determinare – per un verso – l’importo dei lavori già eseguiti, che negli appalti a corpo, tra cui ricade quello di specie, si calcola in base ad una proporzione che tenga conto dello stato dei lavori attuati rispetto a quelli che si sarebbero dovuti compiere per portare a termine i lavori, e – per altro verso – l’ammontare dei costi che l’appaltatore avrebbe dovuto sostenere per ultimare l’opera, mediante un calcolo evidentemente teorico di ciò che si sarebbe dovuto spendere per giungere alla fine dell’opera e di ciò che si è risparmiato in ragione dell’interruzione dei lavori per effetto del recesso), che ben può avvalersi, nella ricostruzione quantitativa di tale voce, del parametro presuntivo contemplato in tema di appalti pubblici, in difetto di altri elementi certi da cui possa trarsi una diversa conclusione sulla sua entità, senza violare la regola in forza della quale la prova delle componenti indennitarie, spettanti in caso di recesso dell’appaltante, è rimessa all’artefice istante (Cass. Sez.

2, Sentenza n. 15304 del 17/07/2020; Sez. 2, Sentenza n. 28402 del 28/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 8853 del 05/04/2017; Sez. 6-2, Ordinanza n. 9132 del 06/06/2012; Sez.

3, Sentenza n. 1189 del 09/05/1966).

Per effetto dell’utilizzazione di tale criterio la voce rivendicata è stata riconosciuta in misura ridotta rispetto a quanto richiesto dall’assuntore sulla scorta dei calcoli dallo stesso effettuati.

In questa logica la quantificazione del mancato guadagno ben può essere rimessa ad una liquidazione equitativa che si avvalga del parametro presuntivo stabilito in tema di appalti pubblici, essendo difficile dimostrare la sua precisa misura (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5368 del 07/03/2018; Sez. 2, Sentenza n. 2608 del 14/04/1983).

8.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato la controricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1655 e ss. c.c., per avere la Corte distrettuale disatteso la domanda collegata alla deduzione dell’inadempimento contrattuale del Condominio committente, senza considerare le reciproche prestazioni delle parti, estese anche alle obbligazioni collaterali di protezione, collaborazione e informazione.

8.1.- Il motivo è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

9.- In definitiva, il ricorso principale deve essere rigettato mentre il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 14.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 29 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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