Prova presuntiva il giudice è tenuto ad ammettere solo presunzioni gravi precise e concordanti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 febbraio 2024| n. 3205.

Prova presuntiva il giudice è tenuto ad ammettere solo presunzioni gravi precise e concordanti

In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’articolo 2729 del codice civile, ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (cosiddetta convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato articolo 2729 del codice civile, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, del Cpc, può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.

Ordinanza|5 febbraio 2024| n. 3205. Prova presuntiva il giudice è tenuto ad ammettere solo presunzioni gravi precise e concordanti

Data udienza 18 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Credito – Vendita immobili – Revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. – Presupposto dell’eventus damni – Atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito – Conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie nonché in capo al terzo – Prova – Presunzioni legali – Apprezzamento rimesso al giudice di merito – Incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere Rel.

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2370-2019 R.G. proposto da:

Do. GRANITI Srl, elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato CI. DE. MI. rappresentato e difeso dall’avvocato MA. CO. CA.;

– ricorrente –

contro

Ma.Ad., elettivamente domiciliata in GALLARATE (MI), VIA (…) presso lo studio dell’avvocato AN. SA. DE. MI. che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro

MARMI L Srl

– intimata –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4900-2018 depositata il 15-11-2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18-01-2024 dal Consigliere LUCA VARRONE;

Prova presuntiva il giudice è tenuto ad ammettere solo presunzioni gravi precise e concordanti

FATTI DI CAUSA

1. Ma.Ad. ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Lodi in data 10.7.2015 con la quale, in accoglimento della domanda formulata dalla Srl Do. Graniti, è stata disposta la revoca, in base a quanto previsto dall’art. 2901 c.c., del contratto di compravendita tra essa Ma.Ad. e la Srl Marmi L concluso relativamente al bene immobile di tale società costituito da un appartamento con annessi locali cantina nell’edificio al n. 4 di Viale (Omissis) in L .

2. Secondo il Tribunale di Lodi sussistevano tutti gli elementi idonei a configurare l’esistenza in capo ad essa di diritti di credito nei confronti della Srl Marmi L, così come la consapevolezza anche della signora Ma.Ad. circa il pregiudizio arrecato alla Srl Do. Graniti dal contratto con il quale il suddetto bene immobile della Srl Marmi L era stato alienato alla signora Ma.Ad.

3. Nel giudizio di appello si costituiva la Srl Do. Graniti contestando la fondatezza dei motivi dalla signora Ma.Ad. addotti a sostegno del gravame.

4. la Srl Marmi L restava intimata.

5. Per quel che ancora rileva, la Corte d’Appello dopo aver rigettato l’eccezione di nullità della citazione per genericità, accoglieva l’appello sotto il profilo della mancanza di prova della consapevolezza in capo all’acquirente Ma.Ad. della situazione debitoria della parte venditrice Marmi L.

Il contratto di compravendita, ribadiva la Corte d’Appello, concluso in data 30.4.2014 nella forma dell’atto pubblico, aveva ad oggetto l’alienazione da parte della Srl Marmi L a Ma.Ad. dell’immobile costituito da un appartamento al primo piano con annessi locali cantina nell’edificio al n. 4 di Viale (Omisssi) in L per il prezzo di Euro 130.000,00. Il pagamento era previsto per una parte pari ad Euro 51.350,76 mediante denaro e per l’altra parte pari ad Euro 78.649,24 mediante l’accollo della obbligazione – garantita da una ipoteca sul bene immobile – concernente il pagamento di una somma di tale entità assunta in precedenza dalla Srl Marmi L nei confronti di un’azienda di credito con un contratto di mutuo.

Secondo la Corte d’Appello sicuramente esisteva il presupposto del c.d. eventus damni ovvero l’esistenza di diritti di credito della Srl Do. Graniti verso la s.r.l Marmi L e che la avvenuta alienazione del bene immobile della Srl Marmi L ne rendeva più difficoltoso il soddisfacimento mancando la prova dell’esistenza di altri beni della Srl Marmi L con il cui ricavato potessero essere tempestivamente soddisfatti quei diritti di credito e tanto meno risultava essere stata anche solo affermata la disponibilità per la Srl Marmi L di liquidità monetaria a quel fine sufficiente.

La Corte d’Appello riteneva non dirimente il fatto che, contestualmente alla conclusione del contratto di compravendita tra la Srl Marmi L e la signora Ma.Ad., quest’ultima, a garanzia dell’adempimento della obbligazione da lei assunta verso la Srl Marmi L relativamente al pagamento di una parte del prezzo al creditore ipotecario di tale società, risultava avere a sua volta concesso una ipoteca sul bene immobile da lei così acquistato a favore della Srl Marmi L : in quanto comunque la posizione dell’attrice rimaneva pretermessa.

Secondo la Corte territoriale, invece, conformemente a quanto eccepito dalla Ma.Ad. con l’appello proposto, non poteva dirsi raggiunta la prova della sua conoscenza circa tale pregiudizio.

Nessuno specifico elemento di prova era stato addotto dalla Srl Do. Graniti e nessuna specifica argomentazione risultava svolta nella sentenza del Tribunale di Lodi che aveva accolto la domanda della Srl Do. Graniti.

Infatti, mentre sussisteva certamente la conoscenza della persona fisica che aveva agito in rappresentanza della Srl Marmi L circa il pregiudizio per le ragioni di credito della Srl Do. Graniti configuratosi in seguito alla conclusione del contratto di compravendita avendo conoscenza delle richieste di pagamento dalla Srl Do. Graniti rivolte alla Srl Marmi L e della carenza di risorse della stessa Srl Marmi L per farvi fronte almeno in tempi brevi, al contrario da nessun elemento poteva con sicurezza desumersi la consapevolezza della Ma.Ad. circa quelle ragioni di credito e circa l’esistenza di una situazione della Srl Marmi L tale da rendere più difficile il soddisfacimento dei diritti di credito nei confronti di essa vantati in conseguenza della conclusione del contratto di compravendita.

Non era sufficiente a confermare la consapevolezza della Ma.Ad. l’essere lei consorte di un socio della Srl Marmi L indotto in precedenza a recedere – secondo quanto affermato dalla stessa Srl Do. Graniti – da tale società, non potendosi ritenere che il solo rapporto coniugale comportasse la conoscenza di uno dei coniugi circa le vicende della società di cui l’altro era socio. Peraltro, il marito della Ma.Ad. era uscito dalla Marmi L e sulla base di regole di comune esperienza, essendo stato indotto a recedere, non era in condizione di avere conoscenza della situazione della Srl Marmi L in quanto dovevano escludersi rapporti anche solo informali tra le persone investite del potere di amministrazione della società e chi dalla società appunto era receduto “a causa dei debiti contratti con la società”.

Peraltro, anche il bilancio della Srl Marmi L al 31 dicembre 2012 prodotto dalla Srl Do. Graniti, non risultava evidenziare la “situazione economica disastrosa della società Marmi L Srl” affermata dalla Srl Do. Graniti, evidenziando tale bilancio perdite verificatesi negli esercizi precedenti assorbite per intero dalle riserve ed evidenziando per l’esercizio conclusosi al 31 dicembre 2012 un utile pur modesto del quale era stata dagli amministratori proposta l’imputazione alla riserva legale.

A causa del mancato raggiungimento della prova della consapevolezza della signora Ma.Ad. circa il pregiudizio arrecato dal contratto di compravendita con lei concluso dalla Srl Marmi L alle ragioni di credito verso quest’ultima della Srl Do. Graniti, la domanda di revoca di tale contratto dalla Srl Do. Graniti proposta doveva essere respinta con la conseguente riforma della sentenza del Tribunale di Lodi con la quale era stata invece accolta.

6. La Do. Graniti ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

7. Ma.Ad. ha resistito con controricorso

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e-o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.

Secondo la ricorrente doveva riconoscersi la scientia damni in capo al terzo Ma.Ad. perché i fatti narrati e supportati da ampia documentazione prodotta (doc.28-26 Do. Graniti e doc.6 Ma.Ad.) fornivano presunzioni gravi, precisi e concordanti atte a far ritenere con certezza che la Ma.Ad. fosse a conoscenza di arrecare un pregiudizio ai creditori di Marmi L.

La Ma.Ad., infatti, sarebbe stata a conoscenza della situazione di crisi della società debitrice, in quanto coniuge convivente del Gi.Cr., socio della Marmi L Srl

Ella conosceva le condotte realizzate dal marito nei confronti della società di cui era stato consigliere, azioni che nel 2012 avevano portato la Ma.Ad. e il Gi.Cr. a cedere la propria casa (sita in L viale (Omissis) 4) gratuitamente alla Marmi L quale rimborso del dissesto economico provocato.

La Ma.Ad. due anni dopo nel 2014, contattata dalla Marmi L ha ricomprato la sua ex casa, pagando Euro 50.000,00 circa in contanti e accollandosi il mutuo (quindi, acquistando un bene immobiliare, alcuna surroga o chiusura ed apertura di nuovo mutuo in capo alla Ma.Ad. è stata fatta, tanto che la Ma.Ad., a garanzia del pagamento del mutuo, rimasto in capo alla Marmi L, ha rilasciato in favore della stessa ipoteca volontaria sul bene medesimo), aiutando così la Marmi L a liberarsi di un immobile scomodo avendo numerosi debitori alle porte.

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La vendita è stata effettuata in data successiva (aprile 2014) al sorgere del credito (primi mesi del 2013 come da fatture prodotte), sicché era sufficiente fornire solo una prova generica, ammissibile ed idonea anche se fondata su presunzioni. Tale prova sarebbe stata fornita dalla L Graniti.

La Do. Graniti ha dato prova, fatto incontestato da parte avversa, che il marito della Ma.Ad., Gi.Cr., era socio della Marmi L fino al dicembre 2012. Tramite il deposito del doc.28, effettuato con memoria n.2 ex art.183 sesto comma c.p.c. in primo grado, la Do. Graniti aveva provato che il Gi.Cr., Consigliere della soc. Marmi L Srl, aveva posto in essere operazioni ingannevoli e che per questo aveva dovuto rassegnare le dimissioni e cedere, senza contropartita, nel 2012 l’immobile di sua proprietà poi oggetto della revocatoria.

La Corte d’Appello avrebbe comunque dovuto vagliare l’idoneità delle prove considerandole globalmente (Cass. nn. 26022-11, 16831-03, 15399-02 e 6850-82).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e-o falsa applicazione dell’art.2901 c.c.

La censura ha ad oggetto l’erronea applicazione di una regola di esperienza da parte della Corte di Appello secondo cui il socio receduto non è più in grado di conoscere le vicende della società

La Corte di Appello avrebbe dovuto valutare nel complesso gli elementi e i documenti precisi, concordanti e logici forniti dalla Do. Graniti e non affidarsi a ciò che “suole comunemente accadere”. Secondo la Corte rientrerebbe nella normalità il fatto che un socio, costretto a dimettersi dalla propria società per il buco economico creato in azienda, fatto certo e incontestato da parte avversa, sia poi solitamente chiamato a ricomprare il proprio appartamento per creare liquidità alla società che ha tradito.

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Il Collegio ha ritenuto erroneamente che la Ma.Ad., convivente dell’ex socio Gi.Cr., non sapesse che detta società si trovava in piena crisi economica, anche per colpa del proprio marito.

La Corte di Appello avrebbe completamente travisato l’importanza del fatto che la Ma.Ad. fosse moglie e convivente del socio Gi.Cr., costretto a dimettersi nel dicembre 2012 a causa delle sue azioni

Il Collegio ha preso visione solo del bilancio societario argomentando (pag.9 sentenza) che dal bilancio non emergesse una situazione patrimoniale disastrosa della società Marmi L Srl.

Tale affermazione sarebbe completamente errata e frutto di un percorso illogico, incompleto e viziato non avendo tenuto conto della nota integrativa, ampiamente richiamata dalla Do. Graniti, stilata e firmata dalla Società Marmi L Srl ove si legge: (pag.16 nota integrativa) “”…il valore dei fabbricati ha subito un incremento complessivo di Euro 176.903 dovuto per Euro 158.000 all’acquisizione a titolo compensativo del credito vantato nei confronti dell’ex consigliere Gi.Cr., di un appartamento nel comune di L …

2.1 I primi due motivi di ricorso che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente sono infondati.

Deve premettersi che in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte: In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (ex plurimis Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18-06-2019, Rv. 654318 – 02).

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Nella specie è incontestato che il credito sia sorto anteriormente all’atto di compravendita oggetto della domanda revocatoria ma la Corte d’Appello ha ritenuto insufficienti gli elementi acquisiti per affermare la conoscenza della Ma.Ad. della situazione debitoria della Marmi L Srl.

Dunque, ciò che rileva nel ricorso in esame è il limite al sindacato della Corte rispetto al ragionamento presuntivo che ha portato la Corte ad escludere la consapevolezza in capo al terzo acquirente (la Ma.Ad.), del pregiudizio” alle ragioni creditorie.

Tale consapevolezza non deve essere “effettiva” ma può anche essere potenziale, ma in tal caso occorre dimostrare un comportamento colpevole, rappresentato dalla reale possibilità di conoscenza della situazione fraudolenta desumibile da circostanze oggettive secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit” (in motivazione Sez. 3, Sentenza n. 12120 del 22-06-2020).

Ciò premesso, rileva il Collegio che le censure proposte con i due motivi, pur se formalmente formulate in relazione alla violazione dell’art.2901 c.c., in realtà sono sostanzialmente dirette alla confutazione del ragionamento presuntivo mediante il quale la Corte d’Appello ha escluso che risultasse accertato in base ai fatti e alle prove dedotte che potesse desumersi il fatto ignoto della consapevolezza in capo alla Ma.Ad. della situazione debitoria della Marmi L dai fatti noti che la ricorrente riporta, in particolare con riferimento alla condotta che aveva portato negli anni precedenti all’estromissione del marito della Ma.Ad. dalla medesima Marmi L Srl, parte venditrice.

In altri termini, anche se formalmente il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2901 c.c. ciò che in realtà lamenta è la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.

Sul punto, il Collegio intende dare continuità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05-08-2021, Rv. 662103 – 01).

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La motivazione della sentenza impugnata riportata per esteso nella parte in fatto prende in considerazione tutti gli elementi dedotti in questa sede. Quanto all’omesso esame della nota integrativa, non è possibile riscontrarne la decisività e neanche la sua omissione posto che nella motivazione della sentenza impugnata si fa riferimento al fatto che dal bilancio della Società non emergeva una rilevante situazione debitoria e nulla porta ad escludere che tale affermazione è stata fatta senza tener conto della suddetta nota integrativa.

In ogni caso deve ribadirsi che: In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21-03-2022, Rv. 664316 – 01).

3. La Corte rigetta il ricorso.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2400, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 18 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2024.

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