Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 20 novembre 2018, n. 29846.

La massima estrapolata:

È corresponsabile il consulente che, insieme ai manager della Società cliente, decide deliberatamente di omettere i contributi Inps. Il professionista è, dunque, responsabile dei danni provocati al fallimento per essersi accordato con la Società cliente a non pagare i contributi ai lavoratori. Il commercialista, per suo dovere professionale, non deve accettare proposte dei clienti dirette ad evadere la normativa di settore.

Ordinanza 20 novembre 2018, n. 29846

Data udienza 13 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3964-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) in qualita’ di Curatore del FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
(OMISSIS) SPA, in persona del Dott. (OMISSIS), nella qualita’ di Procuratore Speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1138/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 05/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
che:
1. Con ricorso notificato il 2/2/2017 (OMISSIS) (ricorrente) ricorre per cassazione della sentenza numero 1138/2016, della Corte d’appello di Firenze pronunciata in seguito all’appello svolto dal fallimento della (OMISSIS) Srl in liquidazione e di (OMISSIS) S.p.A. (controricorrenti), svolgendo quattro motivi di ricorso. Le parti intimate hanno notificato separati controricorsi. Il ricorrente e la compagnia assicuratrice contro ricorrente hanno prodotto memorie.
2. Per quanto qui di interesse, la Corte d’appello di Firenze, riformando la sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in data 2/9/2014, con sentenza emessa ex articolo 281 sexies c.p.c. ha ritenuto insussistente l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello ex articolo 342 c.p.c. formulata dal professionista, qui ricorrente e, nel merito, ha ritenuto che la norma di cui all’articolo 50 c.p. (concernente l’esimente per consenso dell’avente diritto), richiamata sotto il diverso profilo dall’articolo 5 c.c., non sia applicabile al caso in esame che riguarda la responsabilita’ contrattuale del commercialista in riferimento a un diritto non disponibile, perche’ regolato da norme inderogabili di legge che non possono essere degradate a un interesse non tutelabile dall’ordinamento. In particolare, il professionista, non avrebbe dovuto considerare la volonta’ della cliente (la societa’ contro ricorrente poi fallita) di non pagare i contributi dei lavoratori dipendenti per i giorni di assenza non retribuita, cui era poi seguito l’accertamento dell’Inps e il pagamento di sanzioni, soprattasse e interessi; pertanto la Corte di merito ha ritenuto il professionista responsabile per inadempimento del suo dovere di diligenza professionale che impone il rispetto della normativa cogente di settore rientrante nella sfera di sua specifica competenza. Il Giudice dell’appello, nella specie, ha ritenuto che debba trovare applicazione l’articolo 1227 c.c., comma 1, atteso che la condotta negligente del professionista e’ stata assecondata e voluta dal soggetto danneggiato, valutando il concorso nella misura del 50% con corrispondente riduzione del danno preteso a titolo risarcitorio, pari alle sanzioni e agli interessi di mora, con esclusione dei contributi comunque dovuti. Quanto alla copertura assicurativa, la Corte di merito, accogliendo l’appello della compagnia assicuratrice, ha rilevato l’ammissibilita’ della deduzione di inoperativita’ della polizza per essere il rischio escluso da quelli contemplati nel contratto e, pertanto, ha posto a carico del professionista assicurato le spese dei due gradi di giudizio da entrambe le parti.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’articolo 342 c.p.c. il ricorrente si duole che nell’atto di appello il fallimento avrebbe dovuto far emergere la responsabilita’ contrattuale del professionista che, nonostante fosse stato incaricato di commettere nel suo interesse un illecito, ha dato comunque impulso a una condotta irregolare, e non certo limitarsi ad eccepire la mera violazione dell’articolo 50 c.p., posto che la stessa Corte d’appello ha riconosciuto l’errore dell’appellante nel non aver correttamente inquadrato la questione giuridica.
1.1. Il motivo e’ inammissibile. La Corte d’appello ha argomentato che l’eccezione di violazione dell’articolo 342 c.p.c. e’ infondata, atteso che l’appellante ha riportato quanto contesta della decisione e propone le sue ragioni in contrasto alla decisione gravata, assolvendo pienamente all’onere imposto dalla citata disposizione di legge. La censura pertanto non e’ conforme al criterio di specificita’ racchiuso nell’articolo 366 c.p.c., n. 4, in quanto la critica alla sentenza non si correla alla specifica ratio decidendi resa sul punto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione/falsa applicazione dell’articolo 1218 c.c. ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte d’appello non avrebbe ricondotto il fatto storico posto a fondamento della domanda risarcitoria nella disciplina contenuta nell’articolo 1218 c.c., posto che l’inadempimento del contratto professionale e’ dipeso dalla societa’ committente, assumendo che il comportamento tenuto dalla stessa societa’ cliente deve essere necessariamente considerato come un comportamento di per se’ idoneo, da solo, a interrompere il nesso causale sussistente tra l’errore del professionista e il pregiudizio conseguente patito dalla societa’ cliente.
2.1. Il motivo e’ in parte inammissibile e in parte infondato per quanto di seguito esposto.
2.2. La Corte d’appello ha innanzitutto ritenuto che il professionista, per suo dovere professionale, non avrebbe dovuto accettare la proposta illecita della societa’ cliente di conteggiare i contributi previdenziali secondo criteri contrari alla legge che avrebbe dovuto dunque “decisamente rifiutare, proprio in adempimento al suo dovere di diligenza professionale che gli impone il rispetto della normativa cogente di settore rientrante nella sua specifica competenza. Accettando di non indicare i contributi di legge il professionista ha posto in essere un atto di inadempimento all’incarico conferitogli, assumendone ogni collegata responsabilita’ risarcitoria”. In tal modo, la condotta del professionista risulta essere stata valutata sotto il profilo della responsabilita’ contrattuale proprio in relazione agli obblighi cui egli e’ tenuto secondo le regole della professione.
2.3. Le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attivita’ professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilita’ nei confronti del professionista, rilevano le modalita’ di svolgimento della sua attivita’ in relazione al parametro della diligenza fissato dall’articolo 1176 c.c., comma 2, che e’ quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione in relazione alla prestazione resa, cosi’ da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente (Sez. 3, Sentenza n. 18612 del 05/08/2013; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4790 del 28/02/2014). La richiesta di svolgere un’attivita’ al di sotto di questo parametro di diligenza, anche se riconducibile al medesimo cliente creditore, non vale pertanto a esonerare il professionista dal suo ambito di responsabilita’.
2.4. Nel caso specifico non sussiste neanche I’ omissione di un fatto rilevante ai fini del decidere, poiche’ la considerazione del comportamento assunto dal cliente e’ stata svolta in termini di ricostruzione del nesso causale tra il criterio di imputazione della responsabilita’ e l’evento dannoso che, come e’ noto, va operata dal giudice di merito anche di ufficio (Cass. 22/03/2011, n. 6529: anche quando il danneggiante o il responsabile si limiti a contestare in toto la propria responsabilita’), integrando una mera difesa la fattispecie di cui all’articolo 1227 c.c. (per tutte, Cass. 30/09/2014, n. 20619; Cass. Sez. U. 03/06/2013, n. 13902; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 11258 del 10/05/2018). Una volta effettuato tale esame, la valutazione che ne consegue in termini di giudizio di responsabilita’ coinvolge un giudizio sul fatto incensurabile, se sufficientemente motivato. In tema di responsabilita’ professionale, infatti, la valutazione relativa all’entita’ della colpa del professionista e’ rimessa al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo sotto il profilo della sussistenza di una motivazione completa ed adeguata (Sez. 3 -, Sentenza n. 11213 del 09/05/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10966 del 09/06/2004).
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione/falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, parimenti, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, posto che non sarebbe stato considerato che il cliente avrebbe agito con dolo.
3.1. Il motivo e’ inammissibile sotto il profilo dell’articolo 366 c.p.c., n. 4 poiche’ la lettura dei motivi, al lume della motivazione che ha tenuto conto dell’ incidenza causale della condotta illecita del cliente nella causazione del danno, evidenzia come la loro illustrazione non si correli alla motivazione enunciata dalla Corte territoriale che ha ripartito nel 50% le rispettive responsabilita’. Sicche’, non apparendo i motivi correlati ad essa impingono nella ragione di inammissibilita’ espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017: ” Il motivo d’impugnazione e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4″.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione/falsa applicazione di norme di diritto lo in relazione agli articoli 343 e 346 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e cio’ in relazione alla condanna al pagamento delle spese di lite in favore della compagnia assicuratrice che, in sede di appello, non ha avanzato alcuno specifico appello incidentale sulla compensazione delle spese statuito dal giudice di primo grado.
4.1. Il motivo e’ inammissibile perche’ palesemente infondato, in quanto la pronuncia della Corte d’appello e’ conforme ai criteri normativi dettati in tema di soccombenza nella lite. La giurisprudenza costante di questa Corte e’ nel senso che, in tema di regolamentazione delle spese processuali, il giudice d’appello e’ tenuto a sindacare il provvedimento sulle spese processuali adottato dal primo giudice, anche d’ufficio, in quanto il relativo onere e’ ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (vedi Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018; Cassazione Sezione lavoro 11423/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17523 del 23/08/2011; Cassazione. numero 4052/2009; Cassazione numero 15. 483/2008). Tale potere e’ diretta conseguenza del cosiddetto “effetto espansivo” della pronuncia in sede di impugnazione di cui all’articolo 336 c.p.c., che prevede che la riforma della sentenza esplichi i suoi effetti anche sulle parti dipendenti da essa.
5. Conclusivamente il ricorso e’ dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 a favore delle parti separatamente resistenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5.200,00 in favore delle parti controricorrenti, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Renato D’Isa

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