Procura alle liti e appello incidentale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25409.

Procura alle liti e appello incidentale

La procura rilasciata “con ogni più ampia facoltà di legge” in calce alla comparsa di risposta in appello, in quanto comprensiva del potere di compiere ogni attività processuale utile all’appellato, legittima il difensore a proporre l’appello incidentale.

 

Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25409. Procura alle liti e appello incidentale

Data udienza 30 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Difensori – Mandato alle liti (procura) – In genere procura rilasciata con la formula ‘con ogni più ampia facoltà di legge’ – Idoneità a legittimare l’avvocato a proporre appello incidentale – Sussistenza.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 21227-2021 proposto da:

Di.Pa., elettivamente domiciliato in Roma, viale De.Mi., presso lo studio dell’Avvocato Pu.Fr., rappresentato e difeso dall’Avvocato Ra.GI.;

– ricorrente –

contro

Pu.Fr., Pu.Ma., Pu.Ro., Sp.Sa., domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentati e difesi dall’Avvocato Ug.MA.;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 152/2021 della Corte d’Appello di Ancona, depositata in data 11/02/2021;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale in data 30/05/2024 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Procura alle liti e appello incidentale

FATTI DI CAUSA

1. Di.Pa. ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 152/21, dell’11 febbraio 2021, della Corte d’Appello di Ancona, Sezione Specializzata Agraria, che – in accoglimento del gravame esperito, in via incidentale, da Pu.Fr., Pu.Ma. e Pu.Ro., nonché da Sp.Sa., avverso la sentenza n. 708/19, del 27 settembre 2019, del Tribunale di Ascoli Piceno, Sezione Specializzata Agraria (respingendo, invece, quello proposto in via di principalità dal Di.Pa.) – ha accolto la domanda di restituzione, avanzata dai Pu. e dalla Sp.Sa., del terreno dato in comodato al Di.Pa., respingendo, invece, la loro domanda di risarcimento danni, in difetto di prova degli stessi, ponendo, infine, le spese del doppio grado di giudizio a carico del Di.Pa.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che con ricorso ex art. 447-bis cod. proc. civ. i Pulcini e la Sp.Sa. domandavano la restituzione di un terreno di loro proprietà, che assumevano avergli dato in comodato gratuito, per la durata di un anno, il 24 marzo 2013, in relazione al quale avevano esercitato il diritto di disdetta a mezzo di lettera raccomandata del 19 maggio 2014. Nel resistere a tale domanda, che comprendeva pure la richiesta di risarcimento del danno nella misura di Euro 1.000,00 per ogni mese di ritardo nella restituzione del terreno, il Di.Pa. sosteneva di condurre in affitto il terreno dal 2007, adibendolo a pascolo e a coltivazione di erba medica, provvedendo a corrispondere il canone di Euro 200,00 annuali più due agnelli, sicché, trattandosi di affitto di fondo rustico, il contratto – sul quale, pertanto, eccepiva che avrebbe dovuto pronunciarsi la Sezione Specializzata Agraria dell’adito Tribunale – aveva durata legale di quindici anni, ciò che chiedeva accertarsi in via riconvenzionale.

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Qualificato quello corrente tra le parti come un contratto di comodato, il Tribunale piceno – con sentenza n. 1103/16 – dichiarava risolto lo stesso, condannando il comodatario al rilascio del bene, ma non pure al risarcimento del danno. Esperito gravame dal Di.Pa., il giudice d’appello, con sentenza n. 1550/17, lo accoglieva, ravvisando – come sostenuto dall’allora appellante, con il primo motivo della sua impugnazione – la competenza della Sezione Specializzata Agraria. Riassunto, dunque, il giudizio innanzi a quest’ultima, con sentenza n. 708/19, essa dichiarava improponibile la domanda, per carenza del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 11 del D.Lgs. 1 settembre 2009, n. 150, ponendo le spese del giudizio a carico degli attori nella sola misura del 50%, compensandole, infatti, per la restante parte.

Esperito gravame, in via di principalità, dal Di.Pa., per contestare la statuizione sulle spese di lite, oltre che ottenere l’accoglimento della domanda riconvenzionale di accertamento della natura agraria del contratto e, dunque, della sua durata quindicennale, il giudice d’appello lo respingeva, accogliendo, invece, parzialmente quello incidentale dei già attori. Riteneva, infatti, che il contratto dovesse qualificarsi quale comodato annuale (donde la non necessità del tentativo di conciliazione), come tale risoltosi in ragione della disdetta, della quale assumeva esservi prova documentale, valutando, invece, inammissibile la prova testimoniale – pur espletata, ad onta della tempestiva eccezione degli attori, innanzi al giudice di prime cure, poi dichiarato incompetente – volta a dimostrare il carattere simulato del comodato, non sussistendo l’ipotesi della illiceità del contratto dissimulato, occorrente per consentire il ricorso alla testimonianza. Confermava, invece, il giudice d’appello il rigetto della domanda risarcitoria dei comodanti, ponendo, infine, le spese del doppio grado di giudizio a carico del Di.Pa.

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3. Avverso la sentenza della Corte dorica ha proposto ricorso per cassazione il Di.Pa., sulla base – come detto – di sei motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello condannato il Di.Pa. al pagamento delle spese legali del primo grado di giudizio e per non aver compensato, almeno parzialmente, quelle di secondo grado.

Assume il ricorrente che i Pu. e la Sp.Sa. non ebbero ad impugnare, con il loro appello incidentale, la statuizione sulle spese di lite, contenuta nella sentenza resa in prime cure, né avrebbero potuto farlo, atteso che l’impugnazione relativa al regolamento delle spese giudiziali ha natura autonoma e, dunque, va sempre proposta in via principale.

Inoltre, andavano compensate le spese dell’appello, stante il rigetto della domanda risarcitoria proposta dagli attori.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 327 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ., per avere la Corte d’Appello deciso sulla domanda risarcitoria, respingendola, mentre la stessa andava dichiarata inammissibile, essendo passata in giudicato per effetto della prima sentenza resa dal Tribunale piceno – la n. 1103/16 – che l’aveva rigettata, come, del resto, riconosciuto dalla successiva sentenza del medesimo Tribunale, che aveva dichiarato improponibile la domanda di restituzione del bene, per mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

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3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del D.Lgs. n. 150 del 2011, dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203, degli artt. 115, 116, 324 e 242 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ.

Si censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto che, per effetto della sentenza n. 709 del 2019 del Tribunale piceno, si fosse formato un giudicato in ordine alla qualificazione della domanda di controparte come afferente ad un contratto agrario, atteso che l’appello incidentale proposto averso di essa contestava esclusivamente la statuizione relativa alla necessità del previo esperimento del tentativo di conciliazione.

3.4. Il quarto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 1803, 2702 e 2697 cod. civ., lamentando la nullità della sentenza per avere la Corte territoriale accolto la domanda di rilascio in forza del solo contratto di comodato, ritenendo inutilizzabile la prova della simulazione, sebbene acquisita in virtù della testimonianza raccolta dal giudice in seguito ritenuto incompetente, essendo la testimonianza inammissibile, non sussistendo l’ipotesi di illiceità del contratto dissimulato.

Il ricorrente sottolinea di aver inteso provare, attraverso la propria domanda riconvenzionale, la simulazione della clausola relativa alla gratuità del comodato, conformemente all’insegnamento di questa Corte secondo cui, “in presenza di contratto di comodato, piuttosto che di locazione, l’onere della prova della locazione, che è essenzialmente onerosa, implica anche l’onere di prova della simulazione della clausola relativa alla gratuità, in altri termini l’onere della prova che l’accordo negoziale prevedeva in realtà il pagamento del canone, dovendo altrimenti il giudice negare la sussistenza del rapporto di locazione”.

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Orbene, il De Pasquale ha chiesto e provato la simulazione della clausola relativa alla gratuità; tuttavia, non essendo quella prova utilizzabile perché raccolta innanzi a giudice incompetente, egli ha provveduto nuovamente ad articolare la prova testimoniale, donde la necessità dell’annullamento della sentenza impugnata per consentire al giudice del rinvio l’assunzione della prova.

3.5. Il quinto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 112 e 132 cod. proc. civ., denunciando “difetto di mandato e conseguente improponibilità dell’appello incidentale”, oltre a “omesso esame” e “nullità della sentenza”.

Si sottolinea, infatti, come il mandato allegato alla memoria di costituzione di controparte nel giudizio di appello, promosso da esso Di.Pa., non conferisse alcun potere di impugnare in via incidentale la sentenza oggetto gravame, ma solo quello di rappresentanza e difesa in quel giudizio.

3.6. Il sesto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 333 e 342 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver deciso sull’appello incidentale tardivo senza che l’appello principale mettesse in discussione l’assetto di interessi derivante dalla pronuncia appellata, in relazione alla quale i Pulcini e la Sp.Sa. avevano prestato acquiescenza.

4. Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, i Pu. e la Sp.Sa., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

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5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

6. Non consta la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso va rigettato.

7.1. Il primo motivo non è fondato.

7.1.1.L’assunto secondo cui l’impugnazione relativa al (solo) regolamento delle spese giudiziali ha natura autonoma, sicché andrebbe sempre proposta in via principale, non trova riscontro nella più recente giurisprudenza di questa Corte, avendo essa affermato, al contrario, che “la statuizione della sentenza che provvede sulle spese di giudizio costituisce un capo autonomo della decisione, ma tale autonomia non comporta l’inammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva volta a contestarlo” (cfr. Cass. Sez. 2, ord. 28 novembre 2023, n. 33015, Rv. 669415-01).

Ciò detto, deve, comunque, rilevarsi che – nel caso qui in esame – l’appello incidentale esperito dai Pu. e dalla Sp.Sa. non concerneva soltanto il tema delle spese, mirando, invece, a sovvertire la declaratoria di improponibilità della domanda di restituzione del bene che essi assumevano aver dato in comodato al Di.Pa., peraltro con richiesta di liquidazione delle spese del doppio grado di giudizio. L’accoglimento (parziale) del mezzo da essi proposto e la riforma, in relazione, della sentenza impugnata ha, dunque, comportato l’esercizio del “potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata”, giacché esso “sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione” (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 13 luglio 2020, n. 14916, Rv. 658671-01; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 3, ord. 12 aprile 2018, n. 9064, Rv. 648466-01).

Quanto, poi, alla mancata compensazione delle spese d’appello, se è vero che il rigetto della domanda risarcitoria proposta dai già attori ha comportato una soccombenza parziale degli stessi, trattandosi di capo autonomo di domanda rispetto a quello di restituzione della “res commodata”, così da giustificare la compensazione – in tutto o in parte – delle spese di lite (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 31 ottobre 2022, n. 32061, Rv. 666063-01), siffatta evenienza implicava solo la possibilità, ma non certo la necessità, di provvedere a norma dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ.

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7.2. Il secondo motivo è inammissibile.

7.2.1. Invero, visto che l’interesse ad impugnare va sempre valutato con riguardo “al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-02), deve rilevarsi che l’odierno ricorrente non chiarisce quale sarebbe stata, appunto, l’utilità pratica che egli avrebbe tratto da una declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti (per l’esistenza di un supposto giudicato sul punto), in luogo del rigetto della stessa.

Di qui, pertanto, l’inammissibilità del motivo.

7.3. Il terzo motivo non è fondato.

7.3.1. Se è vero, infatti, che il “giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice alla domanda se la parte interessata non ha proposto specifica impugnazione”, è comunque fatto salvo – tra gli altri – il caso “in cui tale qualificazione” risulta “incompatibile con le censure formulate dall’appellante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2023, n. 31330, Rv. 669467-01).

Nella specie, l’impugnazione della sentenza che aveva ritenuto improponibile la domanda – esito affermato sul presupposto che dovesse essere esperito, nella specie, il tentativo di conciliazione ex art. 11 del D.Lgs. 1 settembre 2009, n. 150, essendosi ritenuto quello corrente tra le parti un contratto agrario – si fondava su una censura, la natura di comodato del suddetto contratto, per l’appunto incompatibile con la qualificazione giuridica che è stata data dalla sentenza appellata.

7.4. Il quarto motivo è inammissibile.

7.4.1. Esso, infatti, non coglie, né quindi contrasta, la “ratio decidendi” della sentenza impugnata (donde la sua inammissibilità: cfr. Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01; Cass. Sez. 2, ord. 9 aprile 2024, n. 9450, Rv. 670733-01), ovvero l’impossibilità di utilizzare la prova testimoniale della simulazione, pur assunta innanzi al giudice di prime cure poi riconosciuto come incompetente, essendosi ritenuta la testimonianza inammissibile, non sussistendo l’ipotesi di illiceità del contratto dissimulato, come richiesto dall’art. 1417 cod. civ.

Il motivo, dunque, avrebbe dovuto dimostrare l’illeceità del contratto dissimulato, o, al più, l’utilizzabilità di quella prova, e non limitarsi ad affermare che esso Di.Pa. aveva “provveduto nuovamente ad articolare la prova testimoniale”.

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7.5. Il quinto motivo non è fondato.

7.5.1. Il mandato rilasciato in calce alla comparsa di risposta (contenente anche il gravame incidentale), predisposta nell’interesse dei Pulcini e dalla Sp.Sa., prevedeva la nomina e costituzione del difensore a rappresentare e difendere costoro, “con ogni più ampia facoltà di legge”, nel giudizio di appello promosso dal Di.Pa., senza fare menzione del potere di impugnare la sentenza in via incidentale.

Ciò, però, non basta per ritenere la procura inidonea a tale scopo. Difatti, questa Corte – sul presupposto che “l’interpretazione della procura al difensore, al fine di individuare l’ambito del mandato conferitogli dalla parte, costituisce valutazione riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivata” – ha ritenuto, in passato, di confermare la sentenza di merito, “che aveva interpretato la formula di conferimento dell’incarico di “rappresentarlo e difenderlo nella fase di gravame con ogni facoltà di legge” come comprensiva del potere di compiere ogni attività processuale utile all’appellato, ivi compresa quella di proporre appello incidentale)” (Cass. Sez. 2, sent. 1 marzo 2007, n. 4864, Rv. 595329-01). Si tratta, per vero, di un indirizzo che ha ricevuto l’avallo – ormai da tempo – delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nell’affrontare (e risolvere positivamente) la diversa questione relativa alla sussistenza, in capo al difensore, del potere di proporre appello incidentale anche nel caso in cui la procura sia stata apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione in appello, ha ritenuto costituire “affermazione pacifica” quella secondo cui “la procura alle liti per il grado d’appello espressa in termini generici con atto pubblico o scrittura privata autenticata, ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., comma 2” – contenuta nella comparsa di costituzione in appello – “comprende il potere di proporre appello incidentale” (così, in motivazione, al par. 2., Cass. Sez. Un., sent. 14 settembre 2010, n. 19510, Rv. 614141-01).

7.6. Infine, neppure il sesto motivo è fondato.

7.6.1. Va, infatti, dato seguito al principio secondo cui “l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se riguarda un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale, o se investe lo stesso capo per motivi diversi da quelli già fatti valere, dovendosi consentire alla parte che avrebbe di per sé accettato la decisione di contrastare l’iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione l’assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata, in coerenza con il principio della cd. parità delle armi tra le parti ed al fine di evitare una proliferazione dei processi di impugnazione”; affermazione compiuta in un caso – come quello oggetto della sentenza qui impugnata – di impugnazione incidentale tardiva proposta dal “destinatario di un appello principale relativo al solo capo delle spese” (Cass. Sez. 3, ord. 5 settembre 2022, n. 26139, Rv. 665649-01).

Inoltre, deve rilevarsi che l’art. 334 cod. proc. civ., nel legittimare all’impugnazione tardiva la parte contro cui l’impugnazione tempestiva è stata proposta, esprime una regola che legittima l’impugnazione incidentale di quest’ultima in via assolutamente generale, se l’impugnazione è diretta contro l’impugnante principale.

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.

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9. A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando Di.Pa. a rifondere, a Pu.Fr., Pu.Ma., Pu.Ro. e Sp.Sa., le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 30 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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