Corte di Cassazione, penale, Sentenza|20 settembre 2021| n. 34866.
Procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta, il diritto di quest’ultimo alla nomina di un interprete o alla traduzione degli atti è funzionale alle comunicazioni con il difensore finalizzate alla presentazione di richieste o memorie nel corso del procedimento, sicché grava sull’interessato l’onere di formulare apposita richiesta al giudice dell’esecuzione, evidenziando tale necessità.
Sentenza|20 settembre 2021| n. 34866. Procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta
Data udienza 12 maggio 2021
Integrale
Tag – parola: PENA – SOSPENSIONE CONDIZIONALE – Procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Mariastefani – Presidente
Dott. TARDIO Angela – Consigliere
Dott. FIORDALISI Domenic – rel. Consigliere
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 23/11/2020 della CORTE APPELLO di GENOVA;
udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;
lette le conclusioni del PG;
Il Procuratore generale, Fulvio Baldi, chiede l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
Procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ricorre avverso l’ordinanza del 23 novembre 2020 della Corte di appello di Genova, che ha revocato ex articolo 168 c.p., comma 1, n. 2, il beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso dal Tribunale di Trieste con sentenza del 27 novembre 2017, definitiva il 28 gennaio 2018.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che (OMISSIS), nel quinquennio dalla sentenza emessa dal Tribunale di Trieste in data 27/11/2017 irrevocabile il 28/01/2018 concessiva del beneficio, era stato nuovamente condannato per un delitto commesso anteriormente a una pena che, cumulata con quella condizionalmente sospesa, superava i limiti di cui all’articolo 163 c.p.; che, infatti, era stato condannato alla pena di anni sette di reclusione dalla Corte di appello di Genova con sentenza dell’11 febbraio 2020, definitiva il 30 giugno 2020, in ordine ad un reato, commesso il 2 e il 3 dicembre 2017, prims del passaggio in giudicato della prima sentenza.
La Corte di appello di Genova, in particolare, ha respinto l’eccezione dedotta dalla difesa in ordine alla mancata assistenza di un interprete di lingua afgana nel procedimento di cognizione svolto dinanzi al Tribunale di Trieste ed alla mancata traduzione in detta lingua della citata sentenza e quindi per la mancata conoscenza del processo da parte del condannato, evidenziando che l’unico rimedio esperibile in un caso siffatto era quello della rescissione del giudicato ai senso dell’articolo 629 bis c.p.p.; il giudice dell’esecuzione ha precisato altresi’ che il decreto con il quale era stata disposta l’udienza, a seguito della richiesta del pubblico ministero di revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena, non doveva essere tradotto in lingua afgana, non rientrando tra gli atti indicati tassativamente tra quelli che devono essere tradotti ai sensi dell’articolo 143 c.p.p., comma 2, essendo prevista solo la traduzione delle sentenze e dei decreti penali di condanna.
2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’articolo 143 c.p.p., comma 2, e articolo 666 c.p.p., perche’ il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che la giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 1, n. 20275 del 06/05/2010, Monstar, Rv. 247212) aveva avuto modo di chiarire che ogni provvedimento relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena, prodromica dell’esecuzione penale, e ogni altro atto che faccia emergere l’esistenza di un contenzioso penale di cui il destinatario dell’atto sia ignaro devono essere tradotti allo straniero in una lingua a lui nota, a pena di nullita’. La traduzione, infatti, persegue lo scopo di consentire al condannato di provocare il controllo giurisdizionale sulla legittimita’ del titolo esecutivo, in modo da permettergli, se necessario, di esperire la procedura di cui all’articolo 175 c.p.p..
Il ricorrente, inoltre, evidenzia che il procedimento di revoca della sospensione condizionale della pena e’ in grado di incidere sul contenuto della sentenza, che rientra tra gli atti di cui e’ espressamente prevista la traduzione, attraverso la revoca di una sua statuizione (quella, appunto, relativa alla sospensione condizionale della pena); pertanto, non si comprende il provvedimento impugnato nella parte in cui il giudice dell’esecuzione afferma che la traduzione sia necessaria per la sentenza, ma non per la revoca di una sua rilevante statuizione e per tutti gli atti ad essa funzionali.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’articolo 168 c.p., comma 1, n. 2, e articolo 629 bis c.p.p., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perche’ il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che la sentenza concessiva del beneficio della sospensione condizionale della pena non era passata in giudicato, in quanto non era stata tradotta in una lingua conosciuta dall’imputato.
Il giudice dell’esecuzione, quindi, fornendo sul punto una motivazione viziata, avrebbe erroneamente fatto riferimento all’istituto della rescissione ex articolo 629 bis c.p.p., nonostante vi fosse la prova che la sentenza del Tribunale di Trieste non era divenuta ancora definitiva.
Procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
1.1. Il sistema processuale riconosce il diritto dell’imputato a conoscere il contenuto di tutti gli atti di accusa nel procedimento in sede di cognizione, tuttavia, l’esercizio di tale diritto viene disciplinato nell’ordinamento processuale in modo da renderlo compatibile con le esigenze di certezza e celerita’ del processo e i principi sulla tipicita’ dei mezzi di impugnazione.
La giurisprudenza di legittimita’, in tale ordine di idee, ha gia’ specificato che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto non integra ipotesi di nullita’ ma, se vi e’ stata specifica richiesta di traduzione ovvero questa e’ stata disposta dal giudice, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile e, pertanto, il motivo di impugnazione dedotto sul punto ha l’unico effetto di consentire la regolarizzazione dell’eventuale omissione e rimettere cosi’ in termini l’imputato (Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019, Kartivadze, Rv. 277775). Inoltre, l’obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento davanti all’autorita’ giudiziaria che procede, mentre per quelli gia’ formati, che vengono acquisiti al processo, si applica la disciplina dettata dall’articolo 143 c.p.p., comma 2, e articolo 242 c.p.p., comma 1, con la conseguenza che la loro traduzione e’ obbligatoria solo se l’utilizzazione di essi possa pregiudicare i diritti di difesa dell’imputato e sempre che quest’ultimo abbia eccepito il concreto pregiudizio derivante dalla mancata commutazione linguistica (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261936). In ogni caso, l’obbligo di traduzione degli atti processuali in favore dell’imputato o del condannato alloglotta, che non comprende la lingua italiana, va escluso ove la notificazione degli atti nei suoi confronti debba avvenire presso il difensore, come nel caso dell’irreperibilita’ dell’imputato o del condannato (in tal senso, Sez. 2, n. 12101 del 17/02/2015, Le Wet, Rv. 262773).
Il diritto alla nomina di un interprete, tuttavia, e’ espresso dall’articolo 143 c.p.p., comma 1, prima parte, soltanto con riferimento agli atti relativi alla comprensione dell’accusa formulata contro l’imputato, alla necessita’ di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui l’imputato alloglotta partecipa (Sez. 5 n. 29205 del 16/02/2016, P.C. in proc. Rahul Jetrenda, Rv. 267616). Per il resto, il diritto all’interprete e alla traduzione di singoli atti processuali trova la sua regolamentazione sia nella seconda parte dell’articolo 143 c.p.p., comma 1, che sancisce il diritto all’assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni col difensore, prima di rendere un interrogatorio ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento, sia nell’articolo 143 c.p.p., comma 2, che consente la traduzione soltanto di alcuni atti, indicati anche qui in modo tassativo, cioe’ i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, le sentenze e i decreti penali di condanna.
Da ultimo, l’articolo 143 c.p.p., comma 3, detta una disposizione di chiusura, stabilendo che e’ sempre possibile che il giudice accolga la specifica richiesta di traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere le accuse a suo carico.
Nel procedimento di esecuzione invece il diritto alla traduzione degli atti trova disciplina principalmente nell’articolo 143 c.p.p., comma 1 seconda parte, quando e’ funzionale alla presentazione di una richiesta o una memoria nel corso del procedimento, sicche’ l’interessato ha l’onere di formulare apposita richiesta al giudice dell’esecuzione evidenziando tale necessita’ funzionale alla presentazione di una precisa richiesta o una memoria.
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha evidenziato che il condannato nella memoria depositata in data 11/11/2020 si era lamentato:
a) della mancata nomina dell’interprete e della mancata conoscenza del processo nel processo celebrato dinanzi al Tribunale di Trieste;
b) della mancata traduzione della sentenza del Tribunale di Trieste in data 27/11/2017, irrevocabile il 28/01/2018, conclusiva dello stesso, al fine di dedurne il mancato passaggio in giudicato;
c) della mancata traduzione del decreto che dispone la celebrazione della udienza camerale dinanzi alla Corte di appello di Genova, quale giudice dell’esecuzione, che ha emesso poi l’ordinanza di accoglimento della richiesta del pubblico ministero di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena a seguito dell’intervenuta condanna alla pena di anni sette di reclusione pronunciata dalla Corte di appello di Genova con sentenza dell’11/02/2020 irrevocabile il 30/06/2020 e
d) della mancata traduzione dell’ordinanza della Corte di appello di Genova il 23.11.2020 a conclusione del procedimento di esecuzione.
Ritiene la Corte che l’eccezione cosi’ formulata e’ stata correttamente ritenuta infondata, perche’ tali atti non rientrano tra quelli tassativamente indicati tra quelli che devono essere tradotti, ai sensi dell’articolo 143 c.p.p., comma 2; in particolare l’assenza di traduzione della sentenza del Tribunale di Trieste non era stata indicata come presupposto di una richiesta al giudice dell’esecuzione di traduzione della sentenza, per poter articolare una specifica richiesta o per presentare una memoria, bensi’ come vizio che avrebbe impedito il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Al di la’ dei casi previsti dall’articolo 143 c.p.p., comma 1, prima parte, e articolo 143 c.p.p., comma 2, con una elencazione tassativa insuscettibile di applicazione analogica, le esigenze del condannato alloglotta nel procedimento di esecuzione possono essere soddisfatte dall’articolo 143 c.p.p., comma 1, seconda parte, a seguito di specifica richiesta di traduzione di singoli atti funzionale alla presentazione di una richiesta o di una memoria.
All’uopo e’ evidente che con riferimento alla sentenza del Tribunale di Trieste, la deduzione difensiva era stata formulata al solo fine di eccepire l’assenza del passaggio in giudicato della sentenza, circostanza rilevante solo in sede di rescissione del giudicato per quanto si dira’ meglio in ordine al secondo motivo di ricorso.
Non e’ stata formulata una richiesta ai sensi della seconda parte dell’articolo 143 c.p.p., comma 1, circa le comunicazioni del condannato col difensore, ne’ una richiesta ai sensi dell’articolo 143 c.p.p., comma 3 sulla traduzione in lingua afgana di atti ritenuti essenziali per conoscere le accuse a carico.
Non sussiste pertanto il vizio di nullita’ per come denunciato col primo motivo di ricorso.
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Il sistema processuale, per come ha gia’ precisato in modo condivisibile la giurisprudenza di legittimita’ (Sez. U. n. 15498 del 26/11/2020 – dep. 2021 – Lovric Valentina, Rv. 280931), non prevede che le nullita’ assolute ed insanabili derivanti dall’omessa citazione dell’imputato e/o del suo difensore, siano deducibili mediante incidente di esecuzione, ai sensi dell’articolo 670 c.p.p., in ragione dell’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza, per l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che si assuma derivata dalle nullita’ stesse, in quanto e’ possibile far valere tale vizio solo attraverso la richiesta di rescissione del giudicato, ai sensi dell’articolo 629-bis c.p.p..
Infatti, la richiesta formulata dal condannato, finalizzata alla declaratoria di non esecutivita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 670 c.p.p., in ragione di nullita’ che avevano riguardato vizi del procedimento di cognizione celebratosi dinanzi al Tribunale di Trieste (che aveva poi emesso la sentenza del 27/11/2017 irrevocabile il 28/01/2018 concessiva del beneficio della sospensione condizionale della pena, revocato dal giudice dell’esecuzione per la sopravvenuta condanna alla pena di sette anni di reclusione inflitta dalla Corte di appello di Genova in data 11/02/2020 irrevocabile il 30/06/2020, per delitto commesso il 3.12.2017, cioe’ prima del 28/01/2018), non e’ riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato, ai sensi dell’articolo 568 c.p.p., comma 5, e dell’articolo 629 bis c.p.p., perche’ e’ improprio parlare non solo di riqualificazione, ma anche di conversione del mezzo di impugnazione, al di fuori dei casi previsti in via tassativa dal legislatore, quando non concorrano in via simultanea distinti rimedi impugnatori proposti per avversare uno stesso provvedimento giudiziale, ma sia stato esperito un unico strumento, potenzialmente riferibile a diversi modelli legali, cosi’ come si evince dal contenuto dell’istanza introduttiva e della memoria dell’11/11/2020 alla Corte di appello di Genova, richiamate nel secondo motivo del ricorso.
Sicche’ sussisteva la preclusione indicata dalla Corte genovese, in sede di esecuzione, a pronunciarsi anche solo in via incidentale su tale questione, perche’ tale deduzione avrebbe dovuto essere oggetto di apposita azione di rescissione del giudicato, ai sensi dell’articolo 629 bis c.p.p. seguendo la procedura ivi prevista.
D’altronde, la giurisdizione esecutiva non ha il compito di emendare o integrare in via postuma il giudicato, ma soltanto di riscontrare la regolarita’ formale e sostanziale dell’esecuzione penale.
2. In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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