Corte di Cassazione, civile, Sentenza|28 ottobre 2022| n. 31995.

Presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condomini

La “presunzione legale” di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della “res”, sia nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo (sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali), dispensa il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta “probatio diabolica”. Ai condomini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all’art. 1117 cod. civ. basta dimostrare la rispettiva proprietà esclusiva nell’ambito del condominio per provare anche la comproprietà di quei beni che tale norma contempla. Ne deriva che quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nella richiamata disposizione, è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si fosse riservato l’esclusiva titolarità dell’area (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte del merito, nel confermare il rigetto delle domande di accertamento della proprietà condominiale, quale spazio da destinarsi a parcheggio ex art. 1117 cod. civ., dell’area circostante l’unità immobiliare posta al piano rialzato di proprietà esclusiva della costruttrice del fabbricato, proprietaria altresì di distinto immobile non compreso nel condominio ma confinante con esso, aveva fatto affidamento soltanto sui titoli di acquisto dei condomini ricorrenti anziché individuare l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà, dalla quale si era generata la situazione di condominio edilizio, con correlata operatività della presunzione ex art. 1117 cod. civ. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, risultavano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari).

Sentenza|28 ottobre 2022| n. 31995. Presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condomini

Data udienza 19 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Parti comuni – Presunzione di comunione – Operatività – Conseguenze in punto di assolvimento dell’onere probatorio in caso di azione di rivendica esercitata dal Condominio o dal condomino

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. ROLFI Federico V.A. – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 10703/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1976/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 26/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/10/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge N. 137 DEL 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ALESSANDRO PEPE, il quale ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso ed il rigetto dei restanti motivi.

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FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 1976/2016 della Corte d’appello di Palermo, pubblicata il 26 ottobre 2016.
Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La Corte d’appello di Palermo ha respinto l’appello avanzato da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la sentenza resa in data 14 agosto 2010 dal Tribunale di Palermo, cosi’ confermando il rigetto delle domande proposte dagli stessi nei confronti di (OMISSIS) (cui erano succeduti in corso di causa gli eredi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Gli attori, partecipanti del Condominio di (OMISSIS), avevano domandato l’accertamento della proprieta’ condominiale, quale spazio da destinarsi a parcheggio ex articolo 1117 c.c., dell’area circostante l’unita’ immobiliare posta al piano rialzato di proprieta’ esclusiva di (OMISSIS) (costruttrice del fabbricato), nonche’ l’eliminazione di una finestra e di altri manufatti realizzati dalla (OMISSIS), proprietaria altresi’ di distinto immobile non compreso nel condominio ma confinante con l’area in contesa. La Corte d’appello ha ritenuto che non avrebbe avuto senso alcuno l’inserimento nei titoli di proprieta’ degli appellanti di una riserva d’uso in favore della (OMISSIS), proprio perche’ ne era proprietaria esclusiva. La circostanza che negli stessi contratti di acquisto le unita’ immobiliari degli appellanti erano identificate come confinanti con la proprieta’ (OMISSIS) e’ apparsa decisiva ai giudici di appello al fine di individuare il regime dominicale dell’area circostante l’immobile gia’ ” (OMISSIS) oggi (OMISSIS)”. Tale conclusione e’ sembrata alla Corte di Palermo non contrastata ne’ dai dati catastali, ne’ dalla individuazione dell’area destinata a parcheggio contenuta nelle concessioni rilasciate.

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La sentenza impugnata ha poi negato la natura di veduta, ai fini dell’applicazione della disciplina sulle distanze, all’apertura realizzata sul muro dell’edificio a confine con l’area destinata a parcheggio, stante la presenza di una grata che impediva la inspectio, rilevando che gli attori avevano domandato la sola chiusura di essa, e non gia’ la sua “regolarizzazione”.
Ancora, la Corte d’appello ha ritenuto legittime la tettoia e la grondaia realizzate nella proprieta’ (OMISSIS) (OMISSIS) con funzione di riparazione dall’acqua.
Il ricorso e’ stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge N. 137 DEL 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020.
I ricorrenti hanno presentato memoria.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione degli articoli 2697, 1117 e 840 c.c. quanto all’accertamento della proprieta’ della corte circostante la proprieta’ (OMISSIS) (OMISSIS), bene che si presume condominiale salvo prova di titolo contrario. Si allegano anche le risultanze della concessione edilizia e del certificato di abitabilita’.
Sul punto, i controricorrenti deducono che si tratta di “doglianza di merito”, e che comunque l’area in questione non puo’ essere considerata condominiale ne’ in base ai titoli di proprieta’ depositati ne’ in base alle risultanze della CTU espletata.
1.1 II primo motivo di ricorso e’ manifestamente fondato, avendo la Corte d’appello di Palermo fatto cattiva applicazione sia dell’articolo 1117 c.c. che dell’articolo 2697 c.c.
1.2. La causa verte, per quanto accertato in fatto, su di un cortile posto all’interno del condominio di (OMISSIS), ed in particolare sulla porzione di tale cortile circostante l’unita’ immobiliare, posta al piano rialzato del fabbricato, di proprieta’ esclusiva di (OMISSIS) (costruttrice del complesso), la quale e’ proprietaria altresi’ di distinto immobile non compreso nel condominio ma confinante con esso.
1.3. Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene intesa come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’articolo 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di piu’ edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l’accesso, o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture (Cass. Sez. 2, 08/09/2021, n. 24189; Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3739; Cass. Sez. 2, 02/08/2010, n. 17993; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241).
In particolare, pure le aree da destinare obbligatoriamente ad appositi spazi a parcheggi, ai sensi della speciale normativa urbanistica dettata dal L. n. 1150 del 1942 articolo 41-sexies, introdotto dall’articolo 18 della L. n. 765 del 1967, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale ai sensi dell’articolo 1117 c.c., come peraltro risulta testualmente dallo stesso articolo successivamente all’entrata in vigore della L. n. 220 del 2012 (Cass. Sez. 6 – 2, 10/09/2020, n. 18796; Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16070).
La presunzione legale di comunione, stabilita dall’articolo 1117 c.c., si reputa inoltre operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di piu’ edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarieta’ condominiale (cosi’, ad esempio, Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 24/05/1972, n. 1619).
1.4. Come visto, la Corte d’appello di Palermo ha affermato che non avrebbe avuto senso alcuno l’inserimento nei titoli di proprieta’ degli appellanti di una riserva d’uso in favore della (OMISSIS), proprio perche’ ne era proprietaria esclusiva. E’ poi apparsa decisiva ai giudici di appello la circostanza che negli stessi contratti di acquisto le unita’ immobiliari degli appellanti erano definite come confinanti con la proprieta’ (OMISSIS).

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1.5. Questa conclusione si rivela erronea.
L’individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall’articolo 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o piu’ unita’ immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, 07/07/1993, n. 7449). Era decisivo accertare, mediante apposito apprezzamento di fatto, l’eventuale obiettiva destinazione primaria del cortile di causa a dare aria, luce ed accesso al servizio esclusivo della unita’ immobiliare di proprieta’ (OMISSIS). La prima verifica che i giudici del merito avrebbero percio’ dovuto compiere, per dire applicabile, o meno, la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli articoli 1117 c.c. e ss., concerneva la relazione di accessorieta’ necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava il bene in contesa (inserito tra le parti comuni – se il contrario non risulta dal titolo – dall’articolo 1117 c.c.) alla individuata porzione di proprieta’ singola. Ove poi debba applicarsi l’articolo 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in piu’ proprieta’ individuali. La situazione di condominio, regolata dagli articoli 1117 e seguenti del Codice civile, si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprieta’ di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unita’ immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.
La “presunzione legale” di proprieta’ comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della res, sia nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo (sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in piu’ proprieta’ individuali), dispensa, quindi, il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica. Ai condomini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all’articolo 1117 c.c. basta dimostrare la rispettiva proprieta’ esclusiva nell’ambito del condominio per provare anche la comproprieta’ di quei beni che tale norma contempla. Ne deriva che quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’articolo 1117 c.c., e’ onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprieta’ esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si fosse riservato l’esclusiva titolarita’ dell’area (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852).

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1.6. La Corte d’appello di Palermo doveva percio’ dirimere la lite non facendo affidamento sui titoli di acquisto dei condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ma individuando l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprieta’, da cui si genero’ la situazione di condominio edilizio, con correlata operativita’ della presunzione ex articolo 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o piu’ unita’ immobiliari. Sarebbe quindi occorso verificare se nel titolo originario sussistesse una chiara ed univoca volonta’ di riservare esclusivamente all’unita’ immobiliare (OMISSIS) la proprieta’ del cortile ad essa circostante. Altrimenti, una volta sorta la comproprieta’ delle parti comuni dell’edificio indicate nell’articolo 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprieta’ esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale e’ opponibile ai terzi (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 09/12/1974, n. 4119). Tanto meno risultano dirimenti per la soluzione della questione dedotta i dati catastali o le risultanze delle concessioni edilizie rilasciate.
Una volta eventualmente accertato con le specificate modalita’ di indagine il nesso di condominialita’, l’uso di tali beni da parte della (OMISSIS) e dei suoi aventi causa (OMISSIS) dovrebbe trovare regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale e’ costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocita’, che escludono la possibilita’ di fare ricorso alla disciplina in tema di servitu’, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell’altro. In particolare, i condomini hanno diritto a servirsi del cortile anche per il maggior vantaggio delle rispettive unita’ immobiliari di proprieta’ individuale, ma con le limitazioni poste dall’articolo 1102 c.c., ovvero il divieto di alterarne la destinazione e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini.
1.7. Va da ultimo considerato che l’accoglimento del primo motivo di ricorso (e dunque la ravvisata necessita’ di riesaminare se sussista o meno il diritto di condominio sulla porzione di cortile circostante l’unita’ immobiliare (OMISSIS)- (OMISSIS)) non comporta ex se l’assorbimento delle restanti censure, le quali attengono ad opere realizzate sulla proprieta’ esclusiva posta a confine con il parcheggio. I giudici di rinvio procederanno, pertanto, dapprima a determinare gli esatti confini della proprieta’ condominiale e della proprieta’ (OMISSIS)- (OMISSIS), alla luce dei principi enunciati, e poi, sulla base di tale acclarato presupposto di fatto, verificheranno l’applicabilita’ delle ulteriori regole giuridiche enunciate in questa sentenza. 2. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 887, 902 e 903 c.c., nonche’ dell’articolo 113 c.c., quanto al rigetto della domanda di eliminazione della veduta realizzata sull’edificio di proprieta’ (OMISSIS) a confine con il parcheggio condominiale. La sentenza impugnata ha tratto dalla fotografia “A” allegata alla CTU il convincimento che non si trattasse di una veduta, ai sensi dell’articolo 900 c.c., ma di una luce, per la presenza di una grata che impedisce la inspectio, “nonostante l’altezza di tale apertura rispetto al pavimento interno”, trovando percio’ applicazione l’articolo 901 c.c. Ad avviso della Corte d’appello, di tale luce sarebbe stato possibile chiedere la “regolarizzazione”, ma non la chiusura, come fatto dagli attori, la cui domanda doveva percio’ essere respinta. I ricorrenti riportano lo stralcio dell’elaborato peritale che descrive la finestra “con inferriata e priva di grata”, il cui davanzale e’ all’altezza di m. 1,70 dal piano dell’area di parcheggio e di m. 1,37 dal pavimento dell’appartamento. Viene quindi invocata l’applicazione dell’articolo 903, comma 2, c.c. per l’apertura di luci nel muro comune.

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2.1. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Stabilire se un’apertura abbia i requisiti necessari per consentire un comodo e normale affaccio sul fondo del vicino, e se in particolare, l’inferriata apposta per garantire la sicurezza e la grata di cui essa sia eventualmente munita, nonche’ l’altezza del lato inferiore, ai sensi dell’articolo 901 c.c., escludano, per la collocazione, per l’ampiezza delle maglie e per ogni altra caratteristica, tale possibilita’, si risolve in un apprezzamento di fatto che sfugge al sindacato di legittimita’ per violazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. Sez. 2, 27/06/1974, n. 1922; Cass. Sez. 2, 25/07/1964, n. 2045).
Nella specie, la Corte d’appello ha valutato che l’apertura oggetto di lite impedisce la inspectio per la presenza di una grata (ovvero, come correggono i ricorrenti, sulla base della denominazione adoperata dal CTU, di una “inferriata”), pur considerando che, in relazione alla “altezza di tale apertura rispetto al pavimento interno”, non sono state osservate le prescrizioni dell’articolo 901 c.c. L’articolo 901 c.c. prevede, invero, che le luci devono avere, quanto all’altezza, un doppio requisito: a) un’altezza minima interna (con riferimento al posizionamento del lato inferiore della luce) non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare aria e luce, se esse sono al piano terra, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; per stabilire, peraltro, se il lato inferiore di una luce prospiciente su fondo altrui rispetta l’altezza minima normativamente prevista – prima o seconda ipotesi dell’articolo 901 n. 2 c.c. -, occorre accertare se tale luce si trova al piano terreno o al piano superiore rispetto al fondo suddetto, e non gia’ rispetto al locale in cui essa si trova; b) un’altezza esterna non minore di due metri e mezzo dal suolo del vicino, a meno che si tratti di un locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l’altezza stessa; pertanto, la riduzione a due metri e’ limitata all’ipotesi di luce aperta in un locale situato a un livello di altezza superiore, che sia pari ad un intero piano abitativo e non possa essere estesa a qualunque altra ipotesi di dislivello (cosi’ Cass. Sez. 2, 21/07/2005, n. 15292; Cass. Sez. 2, 10/03/1997, n. 2127).
E’ qui dirimente osservare, tuttavia, come la Corte d’appello di Palermo abbia, nella sostanza, preso atto che l’apertura realizzata sull’edificio di proprieta’ (OMISSIS) fosse priva dei requisiti prescritti per le luci (“nonostante l’altezza di tale apertura rispetto al pavimento interno…”), affermando che era pero’ necessario chiederne la “regolarizzazione” e “non la chiusura” in quanto veduta diretta, come prospettato dagli attori. Appartiene alla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, adito allo scopo di sentir dichiarare l’illegittimita’ di alcune vedute, ne abbia imposto la regolarizzazione invece come luci, diversi essendo i presupposti ed i rimedi per l’una e l’altra disciplina (ad esempio, Cass. Sez. 2, 02/02/2009, n. 2558; Cass. Sez. 2, 05/01/2011, n. 233; Cass. Sez. 2, 21/02/2006, n. 3724). Questa ratio decidendi sulla diversita’ tra la proposta domanda di chiusura della veduta e la eventuale pronuncia di regolarizzazione della luce non e’ stata specificamente censurata dai ricorrenti.
La circostanza che si tratti di luce aperta in muro divisorio tra proprieta’ confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell’articolo 880 c.c., con conseguente applicabilita’ del disposto dell’articolo 903 c.c. (il quale, oltre a consentire, al comma 1, l’apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al fondo altrui, stabilisce, al comma 2, come regola di ordine generale, che “se il muro e’ comune, nessuno dei proprietari puo’ aprire luci senza il consenso dell’altro”, restando percio’ salvo il diritto a mantenere le luci in tale ipotesi soltanto ove acquisito “iure ser-vitutis”) da’ luogo a questione non esaminata nella sentenza impugnata. Il secondo motivo di ricorso, agli effetti dell’articolo 366, comma 1, n. 6, c.c., specifica che tale questione venne espressamente esplicitata nella pagina 11 della comparsa conclusionale d’appello. Nel giudizio di appello, come in quello di primo grado, la comparsa conclusionale ha, pero’, la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni gia’ ritualmente proposte, sicche’, ove con tale atto sia prospettata per la prima volta una questione nuova, il giudice del gravame non puo’, e non deve, pronunciarsi al riguardo (tra le tante, Cass. Sez. 1, 23/06/2022, n. 20232). Tanto meno essa e’ ora proponibile come motivo di ricorso per cassazione, implicando accertamenti di fatto che non possono svolgersi per la prima volta nel giudizio di legittimita’.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 115 c.p.c. in ordine al rigetto della domanda di arretramento della tettoia e della pensilina invadenti lo spazio sovrastante il parcheggio condominiale per una estensione di cm. 50. Si tratta, come riferisce la richiamata CTU, di tettoia su cui cadono le acque piovane.
4. Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 949, comma 2, 840, comma 2, e 1065 c.c., nonche’ dell’articolo 113 c.p.c., sempre con riguardo al rigetto della domanda di arretramento della tettoia asservita alla terrazza del primo piano della proprieta’ (OMISSIS)- (OMISSIS) e di eliminazione della tettoia ancorata alla sottostante veduta.
4.1. Terzo e quarto motivo di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, per la loro evidente connessione, e sono fondati nei sensi di seguito precisati.
4.2. La Corte d’appello di Palermo ha affermato che la tettoia e la piccola grondaia realizzate nella proprieta’ (OMISSIS) (OMISSIS) si limitano a svolgere una funzione di riparazione dall’acqua piovana che altrimenti cadrebbe verso il suolo e non sono in grado di “creare alcun asservimento del fondo sottostante”.
4.3. Questa Corte, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto della domanda definita e dei fatti comunque accertati nelle fasi di merito, per come esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, ritiene fondata la questione sollevata nel terzo e nel quarto motivo con riferimento alla disciplina posta dall’articolo 908 c.c., norma diversa da quelle specificamente indicate dai ricorrenti.
4.4. La Corte d’appello di Palermo ha violato il disposto dell’articolo 908 c.c., il quale impone al proprietario dell’edificio l’obbligo di costruire i tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nel suo terreno e non nei fondi finitimi, escludendo la configurabilita’ di un limite legale della proprieta’ analogo a quello previsto dal successivo articolo 913, che disciplina il deflusso delle acque che scolano naturalmente. Pertanto, una deroga alla disciplina contenuta nell’articolo 908 c.c., come quella che nel caso di specie si ha per realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo di proprieta’ condominiale conseguente alla costruzione di una tettoia sporgente sullo spazio aereo di quest’ultimo, puo’ trovare il suo fondamento unicamente nella costituzione di una servitu’ di stillicidio e di sporto, la quale, facendo venire meno il limite legale della proprieta’ imposto dalla norma in oggetto, consenta tale scolo e l’immissione nel fondo confinante (Cass. Sez. 2, 07/12/1977, n. 5298; Cass. Sez. 2, 29/10/1976, n. 3982), legittimando altrimenti la proposizione di una azione negatoria volta altresi’ alla rimozione delle opere abusivamente realizzate.
5. Conseguono l’accoglimento del primo, del terzo e del quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il rigetto del secondo motivo, nonche’ la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, la quale riesaminera’ la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi agli enunciati principi, e provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

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P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

 

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