Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 marzo 2024| n. 8036.
Prestazione sanitaria resa in ambito di pronto soccorso e la valutazione della diligenza del medico
In caso di prestazione sanitaria resa in ambito di pronto soccorso, in presenza di una sintomatologia aspecifica del paziente, la valutazione della diligenza del medico deve essere operata avuto riguardo alla rapidità dell’inquadramento diagnostico e alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento per confermare la diagnosi e predisporre con speditezza le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al pronto soccorso. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni conseguenti al ritardo della diagnosi di una mielopatia cervicale in ernie discali, proposta da un paziente che, al momento dell’accesso al pronto soccorso, presentava sintomi non specifici di tale malattia neurologica e tali da indurre alla verifica soltanto dell’alternativa tra una patologia cardiaca e una di rilevanza ortopedica e che era stato dimesso nella stessa giornata, dopo che erano stati esclusi, all’esito di esami strumentali, disturbi cardiaci, con diagnosi di artrosi acromion-claveare sinistra, con segni di conflitto sub acromiale ed artrosi cervicale e consiglio di sottoporsi a visita ortopedica).
Ordinanza|25 marzo 2024| n. 8036. Prestazione sanitaria resa in ambito di pronto soccorso e la valutazione della diligenza del medico
Data udienza 26 febbraio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Professionisti – Attivita’ medico – Chirurgica prestazione sanitaria resa in ambito di pronto soccorso – Sintomatologia aspecifica del paziente – Criteri per la valutazione della diligenza del medico – Rapidità dell’inquadramento diagnostico – Determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere Rel./Est.
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24458/2021 R.G. proposto da:
Im.Ci., elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato MA.CO., rappresentato e difeso dall’avvocato EL.BR.;
-ricorrente-
contro
AZIENDA REGIONALE SANITARIA – USL VALLE D’AOSTA, in persona del legale rappresentante pro tempore, VENTURI ELENA, elettivamente domiciliati in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato GI.GR., rappresentati e difesi dall’avvocato SI.TR.;
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 699/2021, depositata il 17/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2024 dal Consigliere ENZO VINCENTI.
Prestazione sanitaria resa in ambito di pronto soccorso e la valutazione della diligenza del medico
RITENUTO CHE:
1. – Con ricorso affidato a sette motivi, Im.Ci. ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Torino, resa pubblica in data 17 giugno 2021, che ne rigettava il gravame avverso l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del Tribunale di Aosta che, a sua volta, ne aveva dichiarato improcedibile nei confronti della Amtrust Europe Ltd. e, quindi, respinto nei confronti dell’Azienda Regionale Sanitaria USL della Valle d’Aosta e del medico El.Ve. la domanda risarcitoria avanzata in ragione dei danni patiti in conseguenza della prestazione sanitaria resa dalla El.Ve. siccome asseritamente connotata da colpa professionale.
A tal riguardo, l’attore, a fondamento della domanda (proposta dopo l’esperimento di accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c.), aveva dedotto che, in data 29 settembre 2012, si era recato presso il pronto soccorso dell’ospedale civile della Valle d’Aosta lamentando una dolenzia, perdurante da circa sette/dieci giorni, nella regione emitoracica sinistra superiore con formicolio distale alle dita e alla mano sinistra, nonché una dolenzia alle articolazioni interfalangee delle dita della stessa mano sinistra.
Nell’occasione, egli veniva visitato dalla El.Ve. che, all’esito di esami strumentali, escludeva esservi disturbi cardiaci e diagnosticava una “artrosi acromion-claveare sinistra, con segni di conflitto sub acromiale ed artrosi cervicale”, dimettendolo nella stessa giornata, con prescrizione di antidolorifici e consiglio di recarsi dal proprio medico curante e di sottoporsi a visita ortopedica.
Stante il peggioramento delle proprie condizioni di salute, egli si recava nuovamente, in data 4 dicembre 2012, presso lo stesso pronto soccorso, ove, all’esito di TAC cerebrale, veniva ricoverato d’urgenza e dopo l’effettuazione di esami strumentali gli veniva diagnosticata una “mielopatia cervicale in ernie discali C5-C6-C7”, che richiedeva un’immediata operazione chirurgica, cui seguiva un periodo di terapia riabilitativa all’esito della quale egli riacquistava solo una limitata autonomia nella deambulazione e rimaneva afflitto da gravi postumi invalidanti.
La grave patologia neurologica era, quindi, da correlarsi eziologicamente alla condotta colposa della El.Ve. che, in occasione dell’accesso al P.S. in data 29 settembre 2012, non aveva neppure ipotizzato l’esistenza di disturbi neurologici.
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2. – La Corte territoriale, nel rigettare il gravame dell’Im., osservava (in sintesi e per quanto ancora interessa in questa sede) che: a) alla El.Ve. era addebitata la “negligente pretermissione, nel frangente del 29.9.2012, di ogni indagine volta ad appurare la patologia degenerativa di natura neurologica all’epoca già in essere, poi accertata nella sua gravità soltanto dopo poco più di due mesi quando la stessa era oramai giunta ad uno stato conclamato” e, in particolare, le veniva ascritta “l’omessa effettuazione … di una risonanza magnetica nucleare, unico esame diagnostico veramente necessario, ma sufficiente, per comprendere la venuta insorgenza di mielopatia cervicale in ernie discali specificamente localizzate, con conseguenti compressioni del midollo spinale sofferenze endomidollari”; b) dalla consulenza espletata in sede di procedimento ex art. 696-bis c.p.c. risultava che: b.1) le condizioni cliniche del paziente, in occasione dell’accesso del 29.9..2012, non si presentavano “connotate da emergenza e urgenza”, essendo la sintomatologia del paziente “non univoca ed in un certo senso aspecifica”; b.2) la El.Ve. aveva, quindi, incentrato “la propria attenzione su possibili problematiche cardiache od ortopediche, le uniche congetturabili alla stregua dell’anamnesi riferita dal paziente e concretamente indagabili nell’immediato”; b.3) i risultati delle indagini diagnostiche effettuate avevano, quindi, condotto, per un verso, ad escludere la sussistenza di patologia cardiaca acuta e, per altro verso, a “congetturare, attesi oltretutto i sintomi riferiti, “una degenerazione artrosica a carico dell’articolazione acromion-claveare e della colonna cervicale medio-distale””; b.4) “(p)er contro, “non vi era alcun sintomo suggestivo” che deponesse “per una patologia neurologica, quindi, non vi era alcuna ragione per trattenere in pronto soccorso il sig. Im.Ci. o per ricoverarlo”, mentre era invece “corretto rinviarlo all’attenzione del medico curante suggerendo una visita ortopedica e una terapia antinfiammatoria””; b.5) “(a) dire il vero, e nonostante il silenzio serbato sul punto dal verbale stilato dalla El.Ve., quest’ultima consigliò altresì l’effettuazione di una risonanza magnetica, come riferito dall’interessato al collegio peritale”; b.6) “(i)n ogni caso, il ricorso ad una siffatta indagine diagnostica non era “un esame di primo livello (almeno non nelle condizioni cliniche presentate dal sig. Im.Ci. al momento dell’accesso presso il pronto soccorso dell’ospedale di Aosta il 29 settembre 2012), quindi non eseguibile in pronto soccorso, poiché non erano presenti elementi di urgenza/emergenza”, competendo una tale “decisione …, eventualmente, allo specialista ortopedico in seguito all’esame obiettivo e ad una accurata raccolta anamnestica”; c) era, pertanto, da escludersi “qualsiasi profilo di colpa nell’approccio diagnostico e terapeutico tenuto sempre” dalla El.Ve., la quale, in occasione del secondo accesso dell’Im. (nel dicembre 2012), “resosi più caratteristico e indicativo di un “risentimento neurologico” il complesso dei sintomi accusati dal paziente”, ne dispose il ricovero “nel corso del quale gli approfondimenti clinici rivelarono l’effettiva patologia dallo stesso sofferta che poi determinò l’intervento chirurgico”; d) né, infine, la responsabilità della El.Ve. era predicabile in base alla “supposizione affacciata dal collegio peritale, secondo cui la patologia degenerativa neurologica e la sofferenza midollare potevano essere già attuali a fine settembre 2012”, avendo i consulenti tecnici “puntualizzato che non vi era modo di dimostrare un siffatto quadro clinico già in essere la data in questione, comunque non escludibile a priori”; d.1) “(i)n ogni caso, anche ritenendo che una tale ipotizzata prospettazione sia conforme alla verità storica, non verrebbero infirmate le considerazioni in ordine al giudizio da assegnare all’operato del sanitario, del tutto immune da censure di sorta”.
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3. – Resistono con congiunto controricorso l’Azienda USL Valle d’Aosta ed El.Ve..
4. – Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 115 e 194 c.p.c., “per avere la Corte di appello fondato il rigetto della proposta impugnazione su circostanze e fatti non allegati né provati ed irritualmente acquisiti in giudizio” e, segnatamente, “il fatto che la El.Ve. aveva consigliato di praticare una risonanza magnetica”, che non era stato tempestivamente eccepito dai convenuti, ma soltanto “allegato autonomamente dai cc.tt.uu., che, sostanzialmente, hanno colmato, sul punto, la lacuna difensiva avversa”, rendendo, tuttavia, affetta da nullità insanabile la c.t.u., come da esso Im.Ci. eccepito “nel corso dell’intero giudizio”.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la circostanza per la El.Ve. avesse prescritto ad esso Im.Ci. una risonanza magnetica nucleare fosse “inconfutabile”, qualificando “come atto fidefacente la relazione peritale” e attribuendo, quindi, efficacia di prova legale ad un atto che ne era privo (potendo semmai assurgere a tanto “il verbale di consulenza redatto dai cc.tt.uu.”), mentre avrebbe dovuto ritenere come mai espresso dalla El.Ve. il “consiglio di effettuare una RMN … perché non risultante dal verbale di pronto soccorso”.
3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2730 e 2735 c.c., ove si dovesse ritenere che il giudice di appello abbia “inteso le dichiarazione del CTP come una “confessione”” resa da esso Im.Ci. ai consulenti tecnici, in quanto si tratterebbe “di dichiarazione mai direttamente resa dall’Im. e non risultante da alcun atto del giudizio”.
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4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., “con conseguente violazione dell’art. 116 c.p.c.”, per aver la Corte territoriale, nonostante avesse dato atto del “silenzio serbato sul punto dal verbale stilato dalla El.Ve.”, “modificato e liberamente apprezzato le risultanze del verbale di pronto soccorso, avente invece portata fidefacente”, assumendo che lo stesso medico avesse consigliato anche “l’effettuazione di una risonanza magnetica”, a tal riguardo facendo riferimento ad “altri elementi, peraltro acquisiti irritualmente”.
Inoltre, si argomenta ancora in ricorso, il giudice di appello avrebbe illegittimamente attribuito valore di dichiarazione confessoria della parte alla “missiva inviata dal ctp all’odierno ricorrente” (ove si affermava che il consulente di parte non era a conoscenza “che al paziente fosse stato consigliato di eseguire la RMN”), quale atto che non poteva avere tale natura e neppure avrebbe potuto “sostituirsi al verbale di pronto soccorso rispetto alle attività compiute dalla Dott.ssa El.Ve.”.
5. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione, rispettivamente, degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2730, 2732 e 2735 c.c., “per aver la Corte d’appello liberamente apprezzato dei fatti oggetto di confessione”, ossia l’aver la El.Ve., come risultante dal referto di Pronto Soccorso, “prescritto solo una valutazione ortopedica, ma non la RMN”, ciò integrando una confessione stragiudiziale e, dunque, una prova legale che non poteva essere oggetto di libero apprezzamento da parte del giudice di merito.
6. – Con il sesto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. “e delle altre norme che disciplinano la prestazione del medico, con particolare riferimento all’art. 2236 c.c.”, degli artt. 115 e 194 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente disconosciuto la responsabilità professionale della El.Ve., mancando di considerare che nella c.d. “medicina di emergenza” “l’approccio alla cura del malato” è “ma non solo in relazione al trattamento terapeutico urgente, ma primariamente rapido inquadramento diagnostico ed alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento, per confermare la diagnosi, in modo da predisporre con speditezza e le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al pronto soccorso”.
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Sicché, sostiene il ricorrente, la El.Ve. sarebbe “incorsa nella denunciata responsabilità professionale medica, perché non ha neppure ipotizzato l’esecuzione di una RMN, unico esame utile a disvelare la patologia neurologica di cui realmente soffriva il paziente”, “mentre, nel caso, alcun corretto inquadramento diagnostico vi è stato, nemmeno quello utile a confermare o meno la diagnosi resa e ad individuare la reale patologia neurologica di cui soffriva l’Im.”.
Peraltro, anche ove la El.Ve. avesse consigliato l’effettuazione di RMN, sarebbe comunque sussistente l’inadempimento del sanitario, da ravvisarsi (come da giurisprudenza di legittimità: Cass. n. 19372/2021) “non nella mancata diagnosi, quanto, invero, nella mancata prosecuzione di quell’iter diagnostico”, poiché, nella specie, “è accertata l’omissione diagnostica”, “è accertata la sussistenza della patologia già all’epoca del primo accesso in pronto soccorso”, “è accertato che l’Im. ha patito le conseguenze nefaste di un rapido e non diagnosticato progredire nefasto della patologia”.
Il ricorrente assume, in definitiva, che la Corte territoriale avrebbe errato “nel ritenere che la omissione sia stata dovuta a una presunta inerzia dell’Im.”, essendo il medico tenuto ad “individuare la patologia, eseguire gli esami necessari a confermarla o ad escluderla, indirizzando il paziente verso accertamenti urgenti, per come richiesti dal caso concreto”, non potendo, “pur di fronte ad una sintomatologia compatibile con più patologie . limitarsi a suggerire al paziente ulteriori accertamenti diagnostici”, dovendo egli stesso disporli ovvero “indirizzare il paziente verso urgenti esami utili all’accertamento della patologia”.
7. – Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per “difetto e radicale contraddittorietà ed illogicità della motivazione”, là dove la Corte territoriale, per un verso, ha fondato la decisione sull’assunto (p. 11 della sentenza) che “la El.Ve. non sbagliò nel non far eseguire una risonanza magnetica, in quanto non si trattava, nelle condizioni di Im.Ci., di un esame di primo livello” (cosicché “null’altro doveva fare che rinviare a visita ortopedica”), mentre, per altro verso, ha affermato (pp. 9 e 11 della sentenza) della “presa in considerazione pure di una non escludibile patologia neurologica, che quindi meritava di essere verificata” e che la El.Ve., “nonostante il silenzio serbato sul punto dal verbale . consiglio altresì l’effettuazione di una risonanza magnetica”.
Il ricorrente sostiene che le anzidette affermazioni sarebbero intrinsecamente contraddittorie e tali da non consentire di comprendere “la reale ratio decidendi”, avendo il giudice di appello contemporaneamente affermato che “la El.Ve. non doveva far eseguire, né consigliare la risonanza” e che “comunque consigliò la risonanza”, così da rendere evidente di ritenere “sussistente una ragione per eseguirla”, e che, infine, “non si poteva escludere una patologia neurologica, che meritava di essere verificata”, da ciò evincendosi “che la El.Ve. non poteva ignorarla”.
Sarebbero, altresì, insanabilmente contraddittorie l’affermazione secondo cui non sussisteva la colpa professionale del sanitario pur non potendo essere esclusa la sussistenza della patologia (p. 11 della sentenza), nonché l’affermazione (p. 12) sull’assenza di “sintomi suggestivi della patologia neurologica, pur avendo poco prima accertato che l’Im. si era recato in Pronto soccorso proprio per quei sintomi”.
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Infine, la contraddittorietà e l’illogicità radicali della motivazione sussisterebbero nel fatto che la decisione non poteva fondarsi, come è stato, sulla circostanza che la El.Ve. aveva prescritto la RMN, in quanto tale prescrizione non vi fu, privando così la motivazione “del suo supporto logico, espresso nella sentenza impugnata a più riprese”.
8. – È logicamente prioritario l’esame del settimo motivo di ricorso.
Esso è infondato.
La Corte territoriale ha, infatti, adottato un impianto giustificativo della propria decisione ben lungi dal presentare quella anomalia motivazionale (tra cui, per l’appunto, la contraddittorietà intrinseca che si coglie nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili) suscettibile di tramutarsi in violazione di legge (art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.) costituzionalmente rilevante (art. 111 Cost.), in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tra le tante: Cass., S.U., n. 8053/2014; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 7090/2022).
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8.1. – Il giudice di appello – proprio in riferimento alle doglianze dell’Im. incentrate sull’omessa effettuazione di RMN nel corso dell’accesso al P.S. del 29 settembre 2012, ritenuto “unico esame diagnostico veramente necessario, ma sufficiente, per comprendere l’avvenuta insorgenza” della mielopatia – ha, anzitutto, escluso (sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica medico-legale ex art. 696-bis c.p.c.) che la condotta tenuta nell’occasione dalla El.Ve. potesse integrare inadempimento della prestazione sanitaria di “emergenza od urgenza” in ragione del fatto che in siffatto perimetro non erano riconducibili le condizioni cliniche dell’Im., il quale presentava una “sintomatologia … non univoca ed in un certo qual senso aspecifica”, inducente alla verifica della sussistenza di una “manifestazione cardiaca acuta” oppure di “problematiche ortopediche” (e verso quest’ultime essendosi risolte le effettuate indagini strumentali), senza che vi fosse “”alcun sintomo suggestivo” che deponesse “per una patologia neurologica””, tale da rendere necessario che il paziente fosse trattenuto in Pronto Soccorso ovvero fosse ricoverato, risultando, invece, corretta la decisione di “rinviarlo all’attenzione del medico curante suggerendo una visita ortopedica e una terapia antinfiammatoria”.
La Corte territoriale ha, poi, preso in ulteriore considerazione la circostanza che la El.Ve., nonostante che non vi fosse traccia nel referto del P.S., avesse effettivamente consigliato all’Im. di effettuare una RMN; tuttavia, il giudice di appello ha evidenziato che, “(i)n ogni caso” – ossia, pur prescindendo dal fatto se un tale consiglio vi sia o meno stato -, la RMN non rappresentava un esame di “primo livello”, da eseguirsi, pertanto, in pronto soccorso e ciò, segnatamente, tenuto conto delle “condizioni cliniche presentate dal sig. Im.Ci. al momento dell’accesso” in data 29 settembre 2012, essendo la prescrizione della risonanza magnetica nucleare da rimettersi alla decisione dello specialistica ortopedico all’esito della relativa visita.
Infine, la Corte d’appello – pur reputando sufficienti le argomentazioni anzidette per il rigetto dell’appello – ha esaminato la censura dell’Im. basata “sulla supposizione … affacciata dal collegio peritale, secondo cui la patologia degenerativa neurologica e la sofferenza midollare potevano essere già attuali a fine settembre 2012”, così da potersi dire integrata la colpa medica nell’esecuzione di indagini diagnostiche solo parziali. Sul punto, il giudice di secondo grado ha evidenziato che un tale quadro clinico non era dimostrabile come sussistente alla data del 29 settembre, sebbene “non escludibile a priori”, ma che, “(i)n ogni caso” (seppure la patologia neurologica fosse stata già in atto a quella data), rimanevano valide le considerazioni già svolte sull’assenza di colpa della El.Ve.; ossia, quelle relative ad una condotta coerente, in sede di medicina d’urgenza e di emergenza, con la presenza di una sintomatologia non univoca e aspecifica tale da non evidenziare sintomi di una patologia neurologica e da consigliere, quindi, ulteriori indagini in pronto soccorso o anche un ricovero.
8.2. – La motivazione della sentenza impugnata (cfr. sintesi al Par. 2 del “Ritenuto che”; segnatamente pp. 10/12 della sentenza di appello) si sviluppa, quindi, in base ad un iter argomentativo pienamente intelligibile e privo di radicali aporie, dando contezza in modo coerente delle ragioni a fondamento della decisione di rigetto delle doglianze dell’appellante.
Queste, infatti, si snodano in base ad una ratio decidendi portante – quella per cui la El.Ve., nell’occasione dell’accesso dell’Im.Ci. al P.S. in data 29 settembre 2012, ha tenuto, “nell’approccio diagnostico e terapeutico”, una condotta “corrispondente alle regole dell’arte”, in quanto affatto coerente con la sintomalogia aspecifica che presentava il paziente -, intorno alla quale gravitano ulteriori rationes decidendi (consiglio di effettuare una RMN e presenza di patologia neurologica già alla data anzidetta) che, però, non smentiscono, né contraddicono quella, autonoma e da sola idonea a sorreggere la pronuncia di rigetto del gravame, che attiene all’esclusione – di volta in volta ribadita dal giudice di appello – di profili di colpa medica nell’operato della El.Ve..
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9. – I motivi dal primo al quinto sono inammissibili.
Con essi sono veicolate censure che si incentrano unicamente sulla ratio decidendi concernente la circostanza, contestata dal ricorrente, che la El.Ve. abbia consigliato, allorché lo stesso Im.Ci. si presentò al Pronto Soccorso il 29 settembre 2012, di effettuare una risonanza magnetica nucleare; non sono, quindi, svolte critiche di sorta sulla ratio decidendi, portante (come evidenziato in sede di scrutinio del settimo motivo di ricorso), relativa all’assenza di profili di colpa medica nella condotta della stessa El.Ve. a prescindere dalla circostanza anzidetta.
Trova, dunque, applicazione il principio secondo cui, essendo il ricorso per cassazione un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso – o, come nella specie, il singolo motivo di esso – che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (tra le molte: Cass., S.U., n. 7931/2013; Cass. n. 4293/2016; Cass. n. 16314/2019).
10. – Il sesto motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
10.1. – E’ infondato là dove censura la sentenza impugnata per non essersi conformata al principio secondo cui la medicina di urgenza/emergenza richiede un approccio volto anzitutto “al rapido inquadramento diagnostico e alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento, per confermare la diagnosi, in modo da predisporre con speditezza e le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al pronto soccorso”, giacché la Corte territoriale ha valutato la condotta della El.Ve. proprio sotto lo specifico profilo di esser stata resa come prestazione sanitaria in ambito di pronto soccorso, in armonia con le relative linee guida, avendo il medico operato la diagnosi – e di conseguenza disposto le opportune indagini diagnostiche e provveduto alla successive indicazioni terapeutiche – in ragione della sintomatologia aspecifica del paziente, inducente alla verifica soltanto dell’alternativa tra una patologia cardiaca e una di rilevanza ortopedica.
Né, peraltro, è concludente il richiamo al precedente di questa Corte (Cass. n. 19372/2021) in forza del quale si è affermato, rispetto alla prestazione di guardia medica, che sussiste la responsabilità del sanitario per la morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, se sia configurabile il suo inadempimento nella forma di una condotta omissiva o di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa, ove l’evento di danno si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, alla condotta del sanitario.
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Il principio enunciato in quel caso era, infatti, giustificato in ragione (cfr. pp. 4, 5, 9, 10 e 13 della sentenza n. 19372/2021, da cui sono tratte le citazioni che seguono) della “mancata prosecuzione dell’iter diagnostico di fronte ad una sintomatologia dolorosa toracica persistente che necessitava di un approfondimento clinico-strumentale al fine di pervenire all’accertamento della natura del dolore”; ossia – a differenza di quanto accertato nel caso qui in esame – per la presenza di un sintomo specifico della patologia di cui era affetto il paziente (poi deceduto a seguito di dissecazione aortica) corroborato dal suo “quadro clinico”, dovendo un sanitario “sempre prendere in considerazione l’ipotesi che un dolore toracico sottenda un problema cardio-vascolare e quindi procedere ad un approfondimento diagnostico” (là dove in quell’occasione il medico aveva dimesso il paziente con la diagnosi di “dolore da stress”).
Sono, poi, inammissibili i profili di censura che si appuntano sull’accertamento operato dalla Corte territoriale e sul convincimento dalla stessa maturato in applicazione dell’anzidetto principio, non integrando essi doglianze di errores in iudicando, giacché investenti direttamente la quaestio facti rimessa all’apprezzamento del giudice di merito.
10.2. – Sono, altresì, inammissibili, per le medesime considerazioni espresse al Par. 9 che precede (cui si rinvia), le censure che aggrediscono l’ulteriore ratio decidendi vertente sulla circostanza che la El.Ve. avesse consigliato l’effettuazione di RMN.
11. – Il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Im.Ci., ivi riportati.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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