Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 6 febbraio 2019, n. 902.
La massima estrapolata:
E’ necessario il permesso di costruire tutte le volte in cui venga in rilievo un intervento il quale, per dimensioni, altezza e conformazione, risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001.
Sentenza 6 febbraio 2019, n. 902
Data udienza 24 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti:
-numero di registro generale 7912 del 2012, proposto da Se. Mo. e M. Te. Do., rappresentati e difesi dall’avvocato Mi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ca. e Ro. Mu., domiciliata “ex lege” in Roma, via (…);
l’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, non costituitosi in giudizio;
-numero di registro generale 7914 del 2012, proposto da Se. Mo. e So. Mo., rappresentati e difesi dall’avvocato Mi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;
l’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
-quanto al ricorso n. 7914 del 2012:
della sentenza del TAR del Lazio (sezione prima quater) n. 2531/2012, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi;
-quanto al ricorso n. 7912 del 2012:
della sentenza del TAR del Lazio (sezione prima quater) n. 2528/2012, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi;
Visti i ricorsi in appello, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di forma di Roma Capitale;
Vista la memoria unica, “con contestuale istanza di riunione”, presentata dagli appellanti;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2019 il cons. Marco Buricelli e udito l’avvocato An. Ca. per Roma Capitale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.(Ricorso n. r. g. 7912 del 2012) Con la sentenza n. 2528 del 9 febbraio – 15 marzo 2012, il TAR del Lazio -sezione I quater, si è pronunciato sul ricorso e sui motivi aggiunti n. r. g. 1233 del 2007, proposti dai signori Se. Mo. e M. Te. Do. e diretti all’annullamento:
a) della determinazione dirigenziale n. 1858 del 14.11.2006, con la quale il Comune di Roma ha ordinato la demolizione delle opere ivi indicate, e che saranno specificate in prosieguo, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001;
b) del nulla osta prot. n. 252 del 23.1.2003, emesso dall’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica, nella parte in cui l’assenso viene limitato alle sole opere di manutenzione ordinaria;
c) dell’atto prot. n. 1412 del 12.3.2007, con il quale l’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica ha respinto le denunce di inizio attività in sanatoria presentate e la richiesta di nulla osta ivi indicata, e ha contestualmente ordinato il ripristino dello stato dei luoghi;
d) del provvedimento prot. n. 1433 del 12.3.2007, con cui l’Ente Parco ha rigettato la richiesta di nulla osta presentata dalla Te. s.p.a. per l’esecuzione di lavori di scavo finalizzati alla posa in opera di cavi telefonici in Roma, via (omissis));
e) del provvedimento prot. n. 4780 del 24.7.2007, con il quale l’Ente Parco ha confermato il diniego alla realizzazione dello scavo rivolto alla posa in opera dei cavi telefonici.
Con la sentenza n. 2528/2012 il TAR ha accolto in parte uno dei motivi di ricorso, con il quale i ricorrenti avevano dedotto l’illegittimità della determinazione dirigenziale comunale n. 1858 del 14.11.2006, recante ordine di demolizione di opere abusive, per la parte relativa alle opere interne, al manufatto in muratura con tetto in legno di mt. 2,10 X 1,65 adibito ad alloggiamento dell’autoclave, e con riferimento agli impianti di scarico dei liquami con serbatoio interrato, in quanto qualificabili come interventi di manutenzione straordinaria, come tali non sanzionabili con la misura ripristinatoria applicata.
Il TAR ha poi, “simmetricamente”, accolto in parte l’atto di motivi aggiunti con esclusivo riferimento a quella parte del provvedimento prot. n. 1412 del 12.3.2007 dell’Ente Parco concernente l’ordine di ripristino relativo alle opere interne, al manufatto in muratura con tetto in legno di mt. 2,10 X 1,65 adibito ad alloggio dell’autoclave e agli impianti di scarico dei liquami con serbatoio interrato, “non riconducibili ad alcuna delle ipotesi ostative alla loro realizzazione previste dal d.P.R. n. 380/01 o dalla legge regionale n. 66/88”. Il giudice di primo grado, avuto riguardo al disposto di cui all’art. 16 della l. reg. n. 16 del 1988, ha ritenuto detti interventi tali da non alterare in maniera significativa lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio.
Il TAR ha, viceversa, giudicato irricevibile per tardività il ricorso introduttivo per ciò che attiene alla impugnazione del nulla osta prot. n. 252 del 23.1.2003 emesso dall’Ente Parco, nella parte in cui l’assenso viene circoscritto alle sole opere di manutenzione ordinaria, e ciò perché “l’atto impugnato risale ad oltre quattro anni prima rispetto al deposito del ricorso (avvenuto il 13.2.2007) e risulta, all’epoca, notificato al soggetto che aveva presentato la richiesta di nulla osta, ovvero la società To. Ca. s.a.s. “. La circostanza che i ricorrenti si trovassero a poter disporre del documento “è confermata dalla comunicazione d’inizio dei lavori del 26.2.2003 presentata dalla società alla quale è stato allegato il nulla osta impugnato”. Inoltre, soggiunge il TAR, “la successione a titolo particolare nel diritto dominicale non è, sulla base della normativa vigente, evento idoneo a riaprire i termini d’impugnazione degli atti notificati al precedente proprietario”.
Nel merito, poi, in sintesi estrema il giudice di primo grado ha considerato legittima e corretta la qualificazione delle seguenti opere abusive (“manufatto in legno di mt. 3,00 x 4,00 adibito a deposito attrezzi, legnaia in muratura di mt. 3,00 x 0,67, modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra e viceversa, sul prospetto ovest due canne fumarie di cui una in muratura e l’altra in rame, sul prospetto est una struttura orizzontale in legno di mt. 7,40 x 4,30 su un lato e mt. 3,40 x 1,40 sull’altro adibita a tettoia e terrazza, strada di mt. 135 circa, piazzale in betonelle, marciapiede lungo il perimetro dell’edificio “) come rientranti nell’ambito della ristrutturazione edilizia in quanto, in base a ciò che prevede l’art. 3, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, “attraverso un “insieme sistematico di opere” portano “ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente” incidendo sensibilmente sulla consistenza volumetrica, sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio preesistente”, sicché “vanno escluse nella fattispecie le ipotesi della manutenzione ordinaria e straordinaria e del restauro e risanamento conservativo, prospettate nella censura, le quali hanno ad oggetto interventi finalizzati, invece, alla mera sostituzione e rinnovazione di parti preesistenti di edifici…”.
Dal che, la reiezione delle censure di violazione di legge e difetto di istruttoria e di motivazione.
E’ stata poi respinta anche la doglianza imperniata sul “gravato diniego di nulla osta all’esecuzione delle opere di scavo per l’allaccio della utenza telefonica”, diniego che il TAR ha considerato giustificato sulla base del disposto di cui all’art. 48 del d.P.R. n. 380/2001.
Ininfluente, inoltre, la dedotta violazione dell’art. 10 – bis della l. n. 241 del 1990, dovendosi fare applicazione della “preclusione giurisdizionale all’annullamento prevista dall’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, stante la natura vincolata e la correttezza sostanziale degli atti impugnati”.
2.Con il ricorso in appello n. r. g. 7912 del 2012 i signori Moresco hanno sostanzialmente riprodotto le censure articolate nel ricorso introduttivo di primo grado, adattandole all’impianto motivazionale della decisione impugnata.
Gli appellanti hanno criticato prima di tutto la statuizione di irricevibilità riguardante il nulla osta prot. n. 252 del 23.1.2003 dell’Ente Parco, risalente, come detto, a oltre quattro anni prima del deposito del ricorso di primo grado.
In proposito, gli appellanti sostengono di avere avuto conoscenza degli atti indirizzati alla società costruttrice e venditrice soltanto in data successiva al 2003 e di averli acquisiti solo in sede di accesso formale agli atti ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990. Sussisterebbero i presupposti per la rimessione in termini per errore scusabile. Segue l’esposizione, nel merito, delle ragioni per le quali l’atto dell’Ente Parco del 23.1.2003 non sarebbe conforme a legge.
In secondo luogo, e in ogni caso, passando al merito, per quanto riguarda la qualificazione degli interventi fatti rientrare dall’autorità amministrativa – in modo corretto, per il TAR – nell’alveo della ristrutturazione edilizia, ad avviso degli appellanti la sentenza avrebbe sbagliato nell’escludere il carattere pertinenziale delle opere descritte sopra (sulla natura pertinenziale delle opere “de quibus” si veda, in particolare, pag. 18 ric. app.), e nel considerare gli interventi, ad esempio, di modifica di alcuni vani porta – finestra in finestra e viceversa (in memoria si menziona la sopravvenienza della “normativa mitigatrice” dettata dal d.P.R. n. 31/2017, in virtù del quale l’apertura, modifica o spostamento delle finestre in zona gravata da vincolo paesaggistico sarebbe liberamente ammessa), o le realizzazione di canne fumarie, o altri interventi asseritamente di modesta entità, inidonei a trasformare lo stato fisico dell’immobile, quali opere, appunto, di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001, necessitanti, pertanto, di permesso di costruire, anziché, come andava fatto, quali interventi di manutenzione straordinaria, o di risanamento conservativo.
E l’Amministrazione preposta alla tutela dei valori ambientali e/o naturalistici avrebbe dovuto porre in comparazione detti valori con gli interessi dei privati, anziché sacrificarli oltre il limite della ragionevolezza, come è stato fatto.
Quanto allo scavo stradale sulla via (omissis), allo scopo di dotare l’edificio degli appellanti di un allaccio idoneo di cavi telefonici, nell’appello si ribadisce l’illegittimità, per violazione dei princì pi di proporzionalità e ragionevolezza, del diniego di nulla osta opposto dall’Ente Parco a Te., atteso che l’allaccio dell’utenza telefonica riguarda un immobile la legittimità del quale, sul piano urbanistico – edilizio, è in gran parte non contestata.
Roma Capitale ha svolto una difesa di mera forma (pur essendosi difesa con memoria in primo grado).
L’Ente Parco non si è costituito.
3.Con il ricorso n. r. g. 7914/2012, il signor Se. Mo. e la figlia So. Mo. hanno impugnato la sentenza del TAR Lazio n. 2531 del 2012.
La sentenza n. 2531/2012 è “gemella” della sentenza n. 2528 del 2012, e riguarda sempre interventi eseguiti sull’immobile di famiglia.
Gli atti amministrativi impugnati sono identici a quelli elencati sopra, al p. 1., fatta eccezione per la determinazione dirigenziale n. 1858/2006.
Nel ricorso definito con la sent. n. 2531/2012, la determinazione dirigenziale comunale di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi è la n. 1859/2006.
L’accoglimento parziale in primo grado ha riguardato, in maniera simmetrica al primo ricorso, l’ordinanza comunale n. 1859/2006 esclusivamente nella parte relativa alla disposta rimozione di opere interne, dell'”alloggiamento in muratura della caldaia di mt 0,70 X 0,70 e altezza pari a mt 2,20″ e dell'”impianto di scarico dei liquami che, in quanto realizzati all’interno dell’edificio e concernenti impianti tecnologici sono qualificabili, al più, come manutenzione straordinaria”.
Per il resto, argomentazioni e statuizioni della sentenza n. 2531/2012 coincidono con quelle della decisione riassunta sub 1.
Analogamente, i motivi dell’appello n. r. g. 7914/2012 ricalcano le censure dedotte con il gravame n. r. g. 7912/2012.
Anche nel secondo appello, Roma Capitale si è limitata a chiedere il rigetto della impugnazione.
In prossimità dell’udienza del 24.1.2019 parte appellante ha depositato una memoria unica per entrambe le impugnazioni, “con contestuale istanza di riunione”.
4.Gli appelli vanno riuniti, come prevede l’art. 70 del cod. proc. amm., per ragioni evidenti di connessione soggettiva e oggettiva, per essere decisi con un’unica sentenza.
Essi sono fondati solo in (minima) parte, con riferimento alla censura di violazione dell’art. 48 del d.P.R. n. 380 del 2001 e del principio di proporzionalità, tale da consentire la riforma della statuizione di primo grado di rigetto del ricorso relativamente al diniego di nulla osta alla esecuzione delle opere di scavo per l’allaccio della utenza telefonica (agli immobilità di proprietà dei ricorrenti nel loro insieme considerati, è da ritenere, secondo logica), salvo e riservato il riesercizio del potere amministrativo, “depurato”, ove possibile, dal vizio rilevato in sentenza (v. “infra”, p. 4.3.).
Sul resto, vale a dire nei suoi nuclei centrali, gli appelli riuniti sono infondati e vanno respinti.
Le statuizioni del TAR di parziale accoglimento fuoriescono, come appare evidente, in mancanza di appello incidentale del Comune, dal perimetro della controversia odierna.
4.1. Preliminarmente, è privo di fondamento e dev’essere disatteso il motivo con cui parte appellante deduce, “in rito”, “errata declaratoria di irricevibilità “.
Sul punto, la sentenza impugnata è ineccepibile:
-l’atto impugnato risale a oltre quattro anni prima del deposito del ricorso;
-all’epoca, l’atto venne notificato alla richiedente, s.a.s. To. Ca., la quale accluse il nulla osta impugnato, n. 252 del 23.1.2003, alla comunicazione di inizio lavori del 26.2.2003;
-la successione a titolo particolare nel diritto dominicale non è evento idoneo a riaprire i termini di impugnazione degli atti notificati o comunicati al precedente proprietario;
-la tardività non è superabile deducendo che i ricorrenti hanno avuto piena conoscenza dell’atto “in occasione dell’accesso ex l. n. 241/1990 esercitato in vista della impugnativa della determinazione comunale”, atteso che l’accesso agli atti non comporta un differimento del termine per impugnare;
-né può essere utilmente invocata l’applicazione della rimessione in termini per errore scusabile (art. 37 del c.p.a.), dato che “nel processo amministrativo la rimessione in termini per errore scusabile di cui all’art. 37 cod. proc. amm. costituisce un istituto di carattere eccezionale, in quanto deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini d’impugnazione: di conseguenza il cit. art. 37 deve considerarsi norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria, che esso presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe comportare un grave “vulnus” del pariordinato principio di parità delle parti relativamente al rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale” (Cons. Stato, Ad. plen. n. 32 del 2012).
4.2. Sulla qualificazione da dare agli interventi eseguiti, inerenti, giova rammentarlo, alla realizzazione di: “manufatto in legno di mt. 3,00 x 4,00 adibito a deposito attrezzi, legnaia in muratura di mt. 3,00 x 0,67, modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra e viceversa, sul prospetto ovest due canne fumarie di cui una in muratura e l’altra in rame, sul prospetto est una struttura orizzontale in legno di mt. 7,40 x 4,30 su un lato e mt. 3,40 x 1,40 sull’altro adibita a tettoia e terrazza, strada di mt. 135 circa, piazzale in betonelle, marciapiede lungo il perimetro dell’edificio “, in termini generale va ricordato che l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo applicabile “ratione temporis” alla fattispecie in esame, dispone che “interventi di ristrutturazione edilizia” (sono) gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ((ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente)), fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.
L’art. 10 del t. u. edilizia, nel testo applicabile “ratione temporis”, stabilisce a sua volta che “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia ((che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e)) che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee (omissis), comportino mutamenti della destinazione d’uso”.
Ciò premesso sul piano normativo, sempre in via preliminare va considerato che il TAR ha correttamente preso in esame dette opere, realizzate su un’area assoggettata a vincolo paesistico, nel loro “insieme sistematico”, che porta “ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente” incidendo in modo tutt’altro che irrilevante sulla consistenza volumetrica, sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio preesistente, confermando nella sostanza la qualificazione che ne aveva dato l’Amministrazione comunale.
Questo perché, prima di tutto, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti.
I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”.
Essi, al contrario, nel – peculiare, invero – contesto qui in discussione, debbono essere vagliati in un quadro di insieme, e non segmentato.
Ciò non toglie che si possano, qui di seguito, formulare talune considerazioni specifiche sulle opere realizzate anche “singolarmente considerate”, in particolare circa la modifica di alcuni vani porta finestra in finestra, e viceversa, profilo sul quale sembra appuntarsi l’attenzione degli appellanti, specie in memoria, e sulle canne fumarie.
Sul primo aspetto, relativo alla modifica dei prospetti, occorre operare una distinzione tra i concetti di sagoma e prospetto. Il primo, riguarda la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti; il secondo individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne. Attengono al prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio, realizzati sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti.
La modifica dei prospetti, pertanto, deve considerarsi quale intervento edilizio autonomo, riconducibile (sempre avendo riguardo alla disciplina applicabile applicando il principio “tempus regit actum”), al “genus” della ristrutturazione edilizia, riscontrabile in fattispecie quali apertura di nuove finestre, chiusura di quelle preesistenti e loro apertura in altre parti; nella apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso; nella trasformazione di vani finestra in altrettante porte – finestre (in tema di modifiche di prospetti e necessità di permesso di costruire v. Cass. pen. nn. 921/2017, 20846/2015, 30575/2014, 38338/2013, 834/2008).
Al contrario, non sarebbe da ricondursi a tale tipologia di intervento tutto ciò che, pur riguardando la facciata dell’edificio, non ha rilievo edilizio, o si concretizza nel rinnovamento o nella sostituzione delle finiture dell’immobile, nell’integrazione o nel mantenimento in efficienza degli impianti tecnologici esistenti, o che si sostanzia in interventi interni al fabbricato.
Ma non è questo il nostro caso e, sotto detta angolazione, come rilevato sopra al p. 1., in tema di opere interne e impianti tecnologici (alloggiamento dell’autoclave e della caldaia), il TAR ha accolto in parte i ricorsi, con statuizioni sulle quali è sceso il giudicato.
Dunque, gli interventi comportanti modifiche dei prospetti descritti nella fattispecie rientrano nella tipologia, applicabile “ratione temporis”, della ristrutturazione edilizia e, in quanto tali, richiedono il rilascio del permesso di costruire, sicché le sentenze impugnate, sul punto, sono corrette e vanno confermate.
L’intervento di modifica di alcuni vani porta – finestra in finestra e viceversa, già di per sé qualificabile come intervento di ristrutturazione da assoggettare a permesso di costruire, è stato accompagnato, come si è detto sopra, da una serie di opere ulteriori che, come si è anticipato, il TAR ha correttamente considerato nel loro insieme.
In relazione al principio “tempus regit actum” non può quindi trovare applicazione la sopravvenuta “normativa mitigatrice” di cui al d.P.R. n. 31/2017, salve rimanendo ovviamente eventuali iniziative autonome che parte appellante riterrà di assumere alla luce della normativa sopravvenuta più favorevole.
Sul tema “canne fumarie”, e sulla necessità, sempre “ratione temporis”, di un permesso di costruire qualora l’impatto sia significativo, va rammentata la giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto.
Per Cons. Stato, VI, n. 553 del 2016, è necessario il previo rilascio del permesso di costruire, rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile. Si ritiene occorrente il permesso di costruire tutte le volte in cui venga in rilievo un intervento il quale, per dimensioni, altezza e conformazione, risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre soltanto l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria (ma non è questo il nostro caso), con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001.
Data l’incidenza delle canne fumarie e l’esigenza di valutare gli interventi nell’insieme, dunque, la statuizione del TAR sul punto risulta corretta.
Nemmeno può poi trovare accoglimento la deduzione secondo la quale, nel caso in esame, circa il deposito attrezzi, la legnaia e la tettoia, verrebbero in considerazione opere di natura pertinenziale.
Vengono invece in rilievo manufatti che, per consistenza e tipologia, hanno comportato una trasformazione del territorio e del suolo non irrilevante e che in modo corretto sono stati fatti ricadere nella categoria degli interventi che richiedono il permesso di costruire ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In proposito, più volte questo Consiglio di Stato ha rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze.
La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico / edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 2.1.2018, n. 24, 2.2.2017, n. 694, 4.1.2016, n. 19, 11.3.2014, n. 3952; Sez. V, n. 817 del 2013; Sez. IV, n. 615 del 2012).
La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume” (Cons. Stato, Sez. IV, 2.2.2012, n. 615, cit.).
Nell’ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un “manufatto edilizio” (cfr. Sez. VI, 24.7.2014, n. 3952). Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.
Esaminando da vicino la fattispecie, anche alla luce della documentazione in atti, il carattere pertinenziale delle opere sembra escluso proprio in ragione delle caratteristiche dei manufatti e della considerazione e valutazione degli stessi compiuta in maniera globale e unitaria dalla pubblica autorità .
Evidente, poi, la trasformazione del territorio e, comunque, l’alterazione dello stato dei luoghi legata alla realizzazione di strada, marciapiedi e piazzale.
Di qui, la correttezza della decisione comunale, avallata nelle sentenze impugnate, di applicare la sanzione della demolizione di cui all’art. 31 del t. u. n. 380 del 2001 (a differenza di quanto sostiene la parte appellante, la quale invoca, implicitamente ma non per questo meno sicuramente, la irrogazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del t. u. dell’edilizia, considerando inapplicabile il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del t. u. medesimo).
4.3.Quanto alle statuizioni giudiziali di primo grado relative al diniego dell’Ente Parco, datato 12.3.2007, e confermato in data 24.7.2007, a fronte della domanda di nulla osta inerente alla realizzazione delle opere di scavo necessarie per l’allaccio della utenza telefonica (agli immobili di proprietà dei ricorrenti nel loro insieme considerati, è da ritenere, secondo logica), premesso che, sebbene il diniego di autorizzazione fosse indirizzato a Te., non si poteva dubitare di un interesse differenziato dei proprietari a impugnare l’atto negativo, in quanto lesivo in via diretta di posizioni soggettive loro proprie, è corretta e va accolta la deduzione delle parti appellanti per cui, se è vero che la “ratio” dell’art. 48 del d.P.R. n. 380/2001 è quella di rendere inutilizzabili gli edifici abusivi, è vero anche d’altra parte che in maniera plausibile, come affermato negli atti di appello, la regolarità della volumetria principale degli edifici non sembra essere in contestazione, e che con gli atti sanzionatori contestati in questa sede viene ordinato unicamente il ripristino di talune difformità .
Appare quindi esatto rilevare, come fanno gli appellanti, che l’atto in prevenzione risulta “esuberante rispetto alla natura degli abusi contestati”, ossia che nella peculiare situazione in discussione è sproporzionato vietare operazioni preordinate alla attivazione della utenza telefonica, in relazione a un immobile dove l’abuso risulta sussistere soltanto per talune opere rispetto a una volumetria principale – stando alle fotografie prodotte – regolare, o regolarizzata, sul piano urbanistico – edilizio.
Rimane assorbito il profilo di censura basato sulla violazione dell’art. 10 – bis della l. n. 241 del 1990, dedotto a pag. 19 ric. app. .
In conclusione, gli appelli riuniti sono fondati soltanto in parte e, per l’effetto, le sentenze impugnate vanno riformate esclusivamente laddove hanno respinto, anziché accoglierlo, il motivo riferito al diniego di autorizzazione alle opere di scavo.
Resta salvo il riesercizio dell’azione amministrativa sul punto, beninteso ove permanga l’interesse delle parti private al riguardo, tenendo conto di quanto precisato in sentenza.
L’esito complessivo delle controversie riunite giustifica la compensazione delle spese del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, li accoglie in parte, entro i limiti e per le ragioni specificati in motivazione (v. p. 4.3.) e, per l’effetto, in riforma parziale delle sentenze impugnate, accoglie parzialmente i ricorsi di primo grado e annulla gli atti dell’Ente Parco del 12.3.2007 e del 24.7.2007 di diniego, e conferma, del nulla osta richiesto da Te. s.p.a. per la realizzazione dello scavo finalizzato alla posa in opera dei cavi telefonici in Roma, Via (omissis)), salvie e riservati gli ulteriori provvedimenti della P. A. .
Spese del doppio grado dei giudizi riuniti compensate.
Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Marco Buricelli – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
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