Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 10 ottobre 2018, n. 45733.
Le massime estrapolate:
In tema di prova, ai fini dell’affermazione della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio la chiamata di correo esige, oltre alla valutazione in ordine alla sua intrinseca attendibilità del dichiarante (avuto riguardo, in primo luogo, alla sua personalità, alle sue condizioni socioeconomiche e familiari, al suo passato, ai suoi rapporti con l’accusato, alla genesi remota e prossima della scelta processuale da lui compita; in secondo luogo, alle caratteristiche delle dichiarazioni accusatorie, sotto il profilo della loro precisione, coerenza, costanza e spontaneità), riscontri estrinseci a carattere individualizzante, cioè riguardanti direttamente l’incolpato, dotati di idoneità dimostrativa in relazione non soltanto al fattoreato contestato ma anche all’attribuzione dello stesso alla persona del chiamato, mentre non è richiesto detti riscontri abbiano natura di prova “autosufficiente”.
Sentenza 10 ottobre 2018, n. 45733
Data udienza 11 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere
Dott. MOGINI Stefano – rel. Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI MILANO;
nel procedimento a carico di:
TUTINO FILIPPO MARCELLO, nato a CALTANISSETTA il 16/01/1961;
avverso la sentenza del 20/09/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. STEFANO MOGINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PERLA LORI, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Uditi gli avvocati:
– DAL TOSO MARCO, del foro di MILANO in difesa della P.C. COMUNE DI MILANO e FORLONI ANTONELLA del foro di MILANO in difesa della P.C. REGIONE LOMBARDIA che si associano alle conclusioni del P.G. e si riportano alle conclusioni scritte depositate.
– SINATRA FLAVIO GIACOMO SALVO, del foro di GELA e ARICO’ GIOVANNI del foro di ROMA, in difesa di TUTINO FILIPPO MARCELLO, che insistono per l’inammissibilita’ del ricorso del P.G. e la conseguente conferma delle sentenze di primo e secondo grado.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano ricorre in data 9/3/2017 avverso la sentenza pronunciata il 20/9/2016 dalla Corte di assise di appello di Milano che ha confermato quella di primo grado con la quale Tutino Filippo Marcello e’ stato assolto per non aver commesso il fatto dal reato di concorso in strage attuata per finalita’ di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale nonche’ per agevolare l’attivita’ dell’associazione di tipo mafiosa “cosa nostra” con riferimento all’esplosione, il 27 luglio 1993 alle ore 23,14 nella Via Palestro di Milano davanti all’ingresso della Villa Reale, di un’ingente quantitativo di esplosivo costituito da una miscela di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina collocato all’interno della Fiat Uno targata MI 7P2498 che ha causato la morte dei vigili del fuoco Ferrari Alessandro, La Catena Carlo, Pasotto Sergio, Picerno Stefano, che erano intervenuti sul posto, e del cittadino marocchino Driss Moussair, oltre al ferimento, anche con postumi permanenti, di altre dodici persone.
2. Il Procuratore Generale ricorrente deduce i seguenti motivi.
2.1. Erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., per avere la Corte di assise di appello di Milano attribuito alla locuzione “altri elementi di prova” un valore e una portata che vanno ben al di la’ dell’interpretazione costante datane nel tempo dalla giurisprudenza di legittimita’.
Dopo aver premesso, in conformita’ a quanto gia’ affermato dalla Corte di primo grado, che la ricostruzione del fatto in contestazione e la sua qualificazione giuridica hanno gia’ formato oggetto di numerose sentenze passate in giudicato che hanno accertato la responsabilita’ dei concorrenti di Tutino Filippo Marcello separatamente giudicati, la Corte di assise di appello ha centrato la sua valutazione sul coinvolgimento del Tutino nel fatto a lui contestato sulla chiamata in correita’ formulata dal collaboratore di giustizia Spatuzza Gaspare, anch’egli condannato in via definitiva per concorso nel delitto in contestazione.
Spatuzza aveva infatti affermato che Tutino Filippo Marcello era stato scelto per partecipare alla strage in quanto conoscitore della citta’ di Milano, dove aveva fornito supporto logistico al gruppo di persone materialmente incaricate di preparare ed eseguire la strage di via Palestro, andando a prendere alla Stazione Centrale lo stesso Spatuzza e Giuliano Francesco, rubando l’autovettura poi fatta esplodere in Via Palestro, partecipando al trasporto dell’esplosivo e alla sua collocazione all’interno di detta autovettura.
Dopo aver ritenuto provata la credibilita’ soggettiva dello Spatuzza, oggetto di positiva valutazione espressa da numerose sentenze, e l’attendibilita’ oggettiva delle sue dichiarazioni, entrambe le Corti di merito hanno peraltro ritenuto mancanti per il Tutino Filippo Marcello i necessari riscontri esterni individualizzanti.
Il pubblico ministero ricorrente ritiene in primo luogo contraddittoria con le conclusioni raggiunte l’affermazione della Corte di assise di appello secondo la quale la valenza individualizzante del riscontro e’ strettamente legata alle caratteristiche del fatto reato in relazione al quale deve formularsi la valutazione della chiamata, sicche’ quando, come nel caso di specie, un delitto viene programmato ed eseguito da un’organizzazione mafiosa e, per la sua gravita’ e caratteristiche intrinseche, non puo’ essere stato commesso che da persone appartenenti all’associazione o a questa legate da strettissimo rapporto, la dimostrazione di un tale rapporto tra il chiamato e l’associazione costituisce gia’ di per se’ un idoneo elemento di riscontro.
Da un lato, infatti, la Corte afferma che l’appartenenza del chiamato all’associazione a cui e’ riconducibile l’esecuzione del reato costituisce un riscontro della chiamata in correita’ ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, mentre, dall’altro, tale riscontro non sarebbe idoneo a fondare un giudizio di responsabilita’ per mancanza di valore individualizzante. In vero, la norma teste’ citata non richiederebbe in maniera assoluta che “gli altri elementi di prova” abbiano tale carattere, essendo il giudice tenuto unicamente a fondare la propria valutazione in punto di responsabilita’ del chiamato su una valutazione unitaria dei riscontri che corroborino la chiamata.
Del resto, le stesse sentenze di merito riconoscono che la chiamata in correita’ di Spatuzza nei confronti di Tutino Filippo Marcello e’ soggettivamente e oggettivamente attendibile, poiche’ confortata da numerosi riscontri, seppure non dotati di carattere individualizzante, di tal che l’assoluzione era stata pronunciata ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.
La sentenza impugnata non avrebbe inoltre valutato correttamente la chiamata in correita’ dello Spatuzza nei confronti del Tutino.
In particolare, la Corte di assise di appello avrebbe mancato di correlare, come avrebbe dovuto, tale chiamata con tutti gli elementi di prova presenti nel processo, attraverso un ragionamento unitario e coerente, necessitato dalla stessa complessita’ della vicenda.
La sentenza impugnata, pur dando atto dell’esistenza delle dichiarazioni “de relato” del collaboratore di giustizia Romeo Pietro, non ha tenuto conto che esse costituiscono riscontro individualizzante della chiamata in correita’ di Spatuzza. La Corte di secondo grado ha preso per buone le reticenti dichiarazioni rese dal Romeo all’udienza dibattimentale del 15/7/2014, palesemente condizionate, limitandosi a definire il dichiarante “riluttante e poco affidabile”, allorche’ nel giudizio di primo grado quelle stesse dichiarazioni erano state ritenute “estremamente importanti, in quanto confermano, de relato attraverso Giuliano, la partecipazione di Tutino Marcello alla fase esecutiva della strage”.
Del resto, ad opposte conclusioni e’ giunta la Corte di assise di Firenze, la quale nella sentenza del 24/2/2016 esprime una valutazione di piena attendibilita’ del collaborante Romeo Pietro; e tale valutazione e’ tanto piu’ significativa se si considera che anche in quel processo, nei confronti di Tagliavia Francesco, il Romeo funge da riscontro decisivo alle dichiarazioni di Spatuzza. Anche in quel caso Romeo aveva appreso de relato dalle confidenze di Giuliano Francesco – condannato con sentenza definitiva per la strage di Via Palestro – sulle stragi mafiose “nel continente”, come in questo processo.
In definitiva, secondo il pubblico ministero ricorrente, la sentenza impugnata svaluta immotivatamente le dichiarazioni del Romeo, laddove al contrario, in tema di chiamata in correita’, gli “altri elementi di prova” che, a norma dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, confermano l’attendibilita’ della dichiarazione non devono valere a provare il fatto-reato e la responsabilita’ dell’imputato, perche’ in tal caso la suddetta disposizione sarebbe del tutto pleonastica.
La funzione processuale degli “altri elementi di prova” e’ invece semplicemente quella di confermare l’attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie, il che significa che tali elementi sono in posizione subordinata e accessoria rispetto alla chiamata in correita’, avendo essi idoneita’ probatoria rispetto al thema decidendum non da soli, ma in riferimento alla chiamata. Altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilita’ dell’imputato, non entrerebbe in gioco la regola dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, ma quella generale in tema di pluralita’ di prove e di libera valutazione di esse da parte del giudice.
Il pubblico ministero ricorrente richiama quindi, limitandosi alla loro elencazione, altri elementi di prova risultanti dal processo ritenuti idonei a riscontrare la chiamata in correita’ dello Spatuzza (il viaggio aereo di Tutino Filippo Marcello da Palermo a Milano alla vigilia della strage col nome falso Tutino Benedetto; le ragioni dell’allontanamento dell’imputato da Palermo; il suo insediamento a Milano; la partecipazione alla strage come riabilitazione nell’ambito di cosa nostra e il suo rientro a Palermo; il possesso da parte dell’imputato dell’autovettura Fiat Uno con la quale egli sarebbe andato a prendere Spatuzza alla Stazione Centrale; l’accertata, costante disponibilita’ dell’immobile della suocera da parte del Tutino; l’accertata appartenenza dell’imputato a cosa nostra; le dichiarazioni di Brusca Giovanni, che ha confermato che gli esecutori materiali delle stragi appartenevano alla “famiglia di Brancaccio”, tra i cui affiliati vi sono certamente i fratelli Vittorio e Tutino Filippo Marcello).
2.2. Vizi di motivazione in riferimento al passaggio argomentativo sopra evocato, secondo il quale quando, come nel caso di specie, un delitto viene programmato ed eseguito da un’organizzazione mafiosa e, per la sua gravita’ e caratteristiche intrinseche, non puo’ essere stato commesso che da persone appartenenti all’associazione o a questa legate da strettissimo rapporto, la dimostrazione di un tale rapporto tra il chiamato e l’associazione costituisce gia’ di per se’ un elemento di riscontro idoneo a fondare la responsabilita’ del chiamato per il reato fine dell’associazione.
3. I difensori di Tutino Filippo Marcello, Avvocati Giovanni Arico’ e Flavio Sinatra, hanno depositato in data 20/9/2017 note difensive di udienza.
3.1. Con tali note si segnala che il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano in data 9/3/2017 risulta essere stato depositato presso la Segreteria di quell’Ufficio, che successivamente ha provveduto, con nota emessa in pari data a firma del Direttore amministrativo, alla trasmissione alla Cancelleria della Prima Sezione della Corte di assise di appello di Milano. L’inoltro risulta essere stato successivamente curato, sempre in data 9/3/2017, da soggetto non provvisto di delega e presso un ufficio diverso da quello previsto dalla legge.
3.2. Osservano inoltre i difensori che il ricorso del pubblico ministero rappresenta la mera riproposizione delle medesime doglianze poste a fondamento dell’atto di appello, senza che vi sia da parte del ricorrente una congrua valutazione e contestazione delle argomentazioni, esplicite e coerenti, con cui la Corte territoriale le ha disattese.
La Corte territoriale avrebbe infatti dato corretta applicazione nel caso di specie al principio di diritto secondo cui il rapporto tra il chiamato e l’associazione non costituisce valido riscontro in tema di fatti omicidiari (richiamo e’ fatto, tra l’altro, a Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Montalto e altri, Rv. 241820, secondo la quale “La sola appartenenza all’organismo centrale di un’organizzazione criminale di stampo mafioso (nella specie “Cosa nostra”), investita del potere di deliberare in ordine alla commissione dei cosiddetti “omicidi eccellenti”, pur costituendo un indizio rilevante, non ha, tuttavia, valenza dimostrativa univoca circa il contributo di ciascuno dei suoi componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che i singoli componenti, informati in ordine alla delibera da assumere, prestino il proprio consenso, anche tacito, fornendo cosi’ il loro contributo allo specifico reato).
Il ricorso si distaccherebbe inoltre dall’insegnamento secondo cui il sindacato di legittimita’ sulla valutazione delle chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perche’ un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in se’ stessi e nel loro reciproco, dovendo ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, quando e’ fondato, come nel caso di specie, su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto.
In specie, la chiamata in correita’, per assurgere al rango di prova pienamente valida a carico del chiamato, ai fini dell’affermazione della penale responsabilita’ di costui, abbisogna, oltre che di una positiva valutazione in ordine alla sua intrinseca attendibilita’, anche di riscontri estrinseci i quali, a differenza di quanto puo’ ammettersi ai fini dell’adozione di misure cautelari, debbono avere carattere individualizzante, cioe’ riferirsi a fatti che riguardano direttamente la persona dell’incolpato, in relazione a tutti gli specifici reati a lui addebitati.
La memoria passa in rassegna gli elementi di prova, anche di carattere logico, citati nel ricorso, per concludere che sono stati sottoposti dai giudici di merito a rigoroso vaglio, utilizzando i criteri razionali di apprezzamento della prova, sicche’ il ricorso del p.m. si rivelerebbe inammissibile.
In particolare, la circostanza che il Tutino all’epoca dei fatti fosse in possesso di una Fiat Uno lascia indimostrato, per assenza di idoneo riscontro alle dichiarazioni dello Spatuzza, che essa venne utilizzata per trasportare per le vie di Milano lo stesso Spatuzza o altri suoi sodali.
Entrambe le sentenze di merito sottopongono poi ad attenta valutazione le dichiarazioni rese da Romeo Pietro, privilegiando correttamente quelle, trancianti, rese in contraddittorio, laddove il ricorso omette di allegare quelle precedenti, sollecitando cosi’ una loro valutazione alternativa “in fiducia”, nonostante la doppia conforme pronuncia sul loro contenuto, sicche’ la doglianza si porrebbe, sotto diversi profili, al di fuori del perimetro di cognizione del giudice di legittimita’. Ne’ potrebbe ritenersi omologabile la posizione del Tutino a quella di Tagliavia Francesco, oggetto di accertamento definitivo circa la sua partecipazione alla strage dei Georgofili a Firenze, stante la diversita’ del contenuto delle dichiarazioni rese dal Romeo nel presente procedimento rispetto a quelle rese dallo stesso Romeo nel procedimento fiorentino nei confronti di Tagliavia.
In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata risulta essere: a) effettiva, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni poste a base della decisione adottata; b) non manifestamente illogica, ne’ internamente contraddittoria, ovvero incompatibile con gli atti del processo.
4. Le parti civili Comune di Milano, rappresentato in forza di procura speciale dall’Avv. Marco Dal Toso dell’Avvocatura Comunale di Milano, Picerno Domenico e Picerno Elisabetta, con l’Avv. Danilo Ammannato, hanno depositato, rispettivamente in data 8/9/2017 e 22/2/2018, due separate memorie defensionali con le quali, in pieno accordo con il ricorso presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano, sollecitano l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va in primo luogo esaminata, per ragioni di priorita’ logica, la doglianza con la quale le difese del Tutino hanno sollecitato una pronuncia di inammissibilita’ del ricorso del pubblico ministero per vizi attinenti alle modalita’ di deposito.
Si tratta in vero di doglianza aspecifica e infondata, posto che l’atto di impugnazione e’ pervenuto regolarmente presso la cancelleria del giudice a quo ed il relativo deposito e’ stato effettuato da addetta in servizio presso la Procura Generale ricorrente, identificata con indicazione onomastica nell’annotazione apposta in calce alla pertinente nota del direttore amministrativo.
Osserva al riguardo il Collegio che l’inammissibilita’ dell’impugnazione per l’inosservanza delle formalita’ prescritte dall’articolo 582 c.p.p. sussiste solamente se vi sia concreta incertezza sulla legittima provenienza dell’atto dal soggetto titolare del relativo diritto, e non anche quando l’identita’ della persona che materialmente la presenta risulti desumibile dal complessivo esame del documento, con la conseguenza che la stessa puo’ essere dichiarata soltanto se la violazione, che e’ addebitabile al pubblico ufficiale ricevente, assume caratteristiche tali da far escludere anche la possibilita’ della presunzione della legittima provenienza dell’atto, ne’, in proposito, alcun onere di controllo puo’ essere ascritto a colui che lo presenta sull’operato della persona addetta a riceverlo. (Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, Avallone e altri, Rv. 260443, in fattispecie in cui e’ stata esclusa l’inammissibilita’ dell’appello del P.M., in relazione al quale l’ufficio ricevente non aveva provveduto ne’ ad identificare il presentatore dell’atto, ne’ ad attestare l’esistenza di una delega in favore di quest’ultimo; Sez. 1, n. 46171 del 05/11/2009, Tancredi, Rv. 245508).
2. Il ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano e’, nel suo complesso, infondato.
2.1. La prova sugli elementi che fondano la responsabilita’ di un individuo nell’ambito di una fattispecie pluripersonale puo’ essere data dalle dichiarazioni di un correo.
Si tratta peraltro, notoriamente, di una prova che richiede mezzi di valutazione particolarmente sofisticati, attesi gli specifici rischi che, dapprima la concreta esperienza giudiziaria e, quindi, l’espresso apprezzamento del legislatore e le stesse norme regolatrici della materia (in particolare l’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4), collegano alla chiamata in correita’ (Sez. 6, n. 8929 del 17/09/2014, Tagliavia, Rv. 263654).
Le Sezioni unite di questa Corte (Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina) hanno illustrato i presupposti sistematici e gli snodi argomentativi che devono orientare la valutazione delle prove dichiarative, ed in particolare quelle consistenti nelle dichiarazioni di collaboratori.
Le Sezioni unite hanno al riguardo esplicitamente affermato che nei commi 2 e seguenti dell’articolo 192 c.p.p. “si codifica, forse superfluamente, apparendo sufficiente la previsione contenuta nel comma 1 dello stesso articolo, un “segnale didattico” per la valutazione di dati probatori che, isolatamente considerati, si rivelano di minore efficacia dimostrativa, quali – da un lato – gli indizi in genere e – dall’altro – quegli specifici indizi costituiti dai contributi dichiarativi di coimputati del medesimo reato, di imputati in procedimento connesso (…) la selezione di tali linee-guida lungo le quali il giudice, nell’operazione intellettiva di valutazione di questa tipologia di prove, deve muoversi si atteggia a metodo euristico, normativamente imposto, per scrutinare prove legalmente acquisite e verificarne la conducenza rispetto all’enunciazione accusatoria; si pone, almeno in apparenza, come deroga al principio del libero convincimento, senza determinarne, pero’, una effettiva contrazione o addirittura il superamento sotto il profilo contenutistico; non introduce, in via indiretta, un limite negativo di prova legale a tale principio e quindi una regola di esclusione probatoria (…)”, purche’ naturalmente il giudice compia un uso razionale del fattore di prova.
Le considerazioni enunciate conducono – per quanto puo’ assumere rilievo in questa sede ad alcune specificazioni in ordine al modello normativo di ragionamento probatorio ed ai relativi riflessi sul piano della motivazione.
Va in primo luogo confermato che la chiamata di correo e’ una prova che non si trova in una posizione ancillare che la renda apprezzabile solo nei casi in cui si affianchi ad una prova diversa e da sola sufficiente (ex multis, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, rv. 260607). Si deve aggiungere poi, con chiarezza, che gli “altri elementi” utili per confermarne l’attendibilita’ possono consistere in una qualunque fonte di conoscenza, alla sola condizione che il loro valore confermativo sussista veramente. Cosi’, perfino una chiamata di correo o una dichiarazione etero-accusatoria de relato possono essere riscontrate da una fonte narrativa del medesimo genere, sia pure a condizione dell’utilizzo di parametri proporzionati all’entita’ dei “rischi” connaturati alla situazione (in tal senso, espressamente, S.U., n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, rv. 255143). Allo stesso modo, non e’ necessario che l’elemento di riscontro sia rappresentato da una prova diretta o storica, ben potendo accadere, sempre con le cautele del caso, che la conferma sia ottenuta per il mezzo della prova logica (tra le molte, Sez. 3, Sentenza n. 44882 del 18/07/2014, rv. 260607).
La seconda implicazione degli enunciati d’apertura attiene alla garanzia di efficacia della funzione confermativa dell’elemento di riscontro.
Oggetto della prova sono i fatti che si riferiscono all’imputazione (articolo 187 c.p.p., comma 1). Cio’ non vuol dire che siano ammissibili e valutabili solo prove concernenti gli elementi essenziali della fattispecie contestata (la condotta, l’evento, la causalita’, l’elemento soggettivo), poiche’ il criterio di pertinenza attiene a tutte le circostanze utili per la verifica delle ipotesi ricostruttive formulate dalle parti (Sez. 2, Sentenza n. 2622 del 09/12/2003, rv. 227245).
Nondimeno, l’oggetto diretto, minimo ed indispensabile dell’accertamento demandato al giudice e’ costituito proprio dagli elementi che fondano la colpevolezza dell’imputato per il reato ascrittogli, secondo il criterio dell’esclusione di ogni ragionevole dubbio (articolo 533 c.p.p., comma 1).
Ne discende che, in materia di apprezzamento della chiamata di correo, occorre che gli elementi di conferma dell’ipotesi di accusa attengano non solo allo specifico fatto criminoso in contestazione, in termini di sussistenza e di corrispondenza alla fattispecie incriminatrice. Ma e’ necessario, ancora, che gli elementi in discorso confermino in modo specifico la partecipazione al fatto della persona accusata, nei termini che fondano la relativa contestazione.
Cio’ non implica, come in sostanza gia’ si e’ detto, che l’elemento confermativo non possa consistere nella prova logica desumibile dall’accertamento di una circostanza diversa. Occorre pero’ che si tratti di una prova logica effettivamente pertinente al fatto, che lo confermi in modo puntuale, e non valga semplicemente ad incrementare, in termini generali ed astratti, la credibilita’ dell’accusa.
Detto altrimenti, la cosiddetta convergenza del molteplice non esige che gli elementi concorrenti riguardino la medesima circostanza di fatto che assume rilievo nell’economia della contestazione. Se cosi’ fosse, verrebbe meno il criterio di sufficienza del riscontro logico che poco sopra si e’ richiamato, e che non risulta oggetto di particolari contestazioni nel dibattito giurisprudenziale (ancora, Sez. 6, Sentenza n. 1249/14 del 26/09/2013, rv. 258759; Sez. 1, Sentenza n. 33398 del 04/04/2012, rv. 252930).
Tuttavia – giova ripetere – la convergenza deve riguardare circostanze tutte pertinenti alla specifica partecipazione criminosa, come del resto piu’ volte affermato da questa Corte (ad esempio, oltre a S.U., Aquilina, e Sez. 6, Tagliavia, piu’ volte citate, si possono richiamare Sez. 1, n. 28221 del 14/02/2014, rv. 260936; Sez. 3, n. 3255/10 del 10/12/2009, rv. 245867; Sez. 2, n. 13473 del 04/03/2008, rv. 239744; Sez. 1, n. 1263/07 del 20/10/2006, rv. 235800; Sez. 6, n. 6221/06 del 20/04/2005, rv. 233085).
In definitiva, la chiamata in correita’, per assurgere al rango di prova pienamente valida a carico del chiamato, ai fini dell’affermazione della penale responsabilita’ di costui, abbisogna, oltre che di una positiva valutazione in ordine alla sua intrinseca attendibilita’ (avuto riguardo, in primo luogo, alla personalita’ del chiamante, alle sue condizioni socio economiche e familiari, al suo passato, ai suoi rapporti con l’accusato, alla genesi remota e prossima della scelta processuale da lui compiuta; in secondo luogo alle caratteristiche delle dichiarazioni accusatorie, sotto il profilo della loro precisione, coerenza, costanza, spontaneita’ etc.), anche di riscontri estrinseci i quali, a differenza di quanto puo’ ammettersi ai fini dell’adozione di misure cautelari, debbono avere carattere individualizzante, cioe’ riferirsi a fatti che riguardano direttamente la persona dell’incolpato, in relazione a tutti gli specifici reati a lui addebitati (Sez. 6, n. 7240 del 16/04/1998, Civardi e altro, Rv. 210734).
In vero, ai fini dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, il riscontro alla chiamata in correita’ puo’ dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell’oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato (Sez. 1, n. 29679 del 13/06/2001, Chiofalo e altri, Rv. 219889).
Ne consegue che i riscontri esterni alla chiamata di correita’ richiesti dall’articolo 192 c.p.p.devono avere ad oggetto direttamente la persona dell’incolpato e devono possedere idoneita’ dimostrativa in relazione allo specifico fatto a questi attribuito (Sez. 3, n. 3255 del 10/12/2009, Genna, Rv. 245867). Dunque, la chiamata in correita’ o in reita’ non puo’ di per se’ sola costituire prova piena della responsabilita’ e necessita di riscontri, che possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente, potendo quindi risolversi in altre chiamate in correita’ purche’ totalmente autonome, sicche’ la conoscenza del fatto da provare non sia stata appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioe’ riguardare non soltanto il fatto reato ma anche la riferibilita’ dello stesso all’imputato, mentre non e’ richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perche’, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita’ (Sez. 1, n. 1263 del 20/10/2006, Alabiso e altri, Rv. 235800; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260607).
2.2. Ebbene, la Corte territoriale ha dato corretta applicazione a tali principi di diritto allorche’ ha ritenuto di confermare integralmente – del resto in perfetta assonanza con plurime decisioni definitive pronunciate su fatti diversi e/o collegati, ovvero sullo stesso fatto oggetto del presente giudizio nei confronti di altri imputati – il giudizio di assoluta attendibilita’ intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni di Spatuzza Gaspare, e tuttavia ha affermato che i pur esistenti riscontri di carattere logico e fattuale al suo narrato non erano idonei a superare ogni ragionevole dubbio in ordine alla partecipazione di Tutino Filippo Marcello all’attentato di Via Palestro, mancando essi del carattere individualizzante richiesto dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, in quanto non riferibili direttamente alla persona dell’incolpato e/o allo specifico fatto a questi attribuito.
Mette conto preliminarmente rammentare che, secondo i principi piu’ volte espressi da questa Suprema Corte, ai fini del controllo di legittimita’ sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i Giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 33875 del 12/05/2015, Beruschi e altri, Rv. 264577; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorche’ i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico – giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma prospettino circostanze gia’ esaminate e chiarite nella decisione di primo grado (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615).
2.3. Delle coordinate ermeneutiche descritte sub 2.1. la sentenza impugnata ha, in particolare, fatto buon uso, allorche’ ha escluso che quando, come nel caso di specie, un delitto viene programmato ed eseguito da un’organizzazione mafiosa e, per la sua gravita’ e caratteristiche intrinseche, non puo’ essere stato commesso che da persone appartenenti all’associazione o a questa legate da strettissimo rapporto, la dimostrazione di un tale rapporto tra il chiamato e l’associazione costituisca di per se’ un idoneo elemento di riscontro alle dichiarazioni etero-accusatorie di un collaborante.
L’appartenenza all’associazione mafiosa e’ infatti, per sua natura, elemento privo del carattere individualizzante idoneo ad attribuire alla chiamata la necessaria concludenza dimostrativa in relazione ai reati-fine dell’associazione e, in particolare, allo specifico delitto di strage contestato al chiamato in questa sede, giacche’ dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilita’ di “posizione” o da “riscontro d’ambiente”” (vedi, tra le molte, Sez. 6, n. 3194 del 15/11/2007, rv. 238402).
2.4. Immune dai vizi logici e giuridici dedotti dal pubblico ministero ricorrente deve altresi’ ritenersi la valutazione offerta dalla Corte di assise di appello alle dichiarazioni “de relato” del collaboratore di giustizia Romeo Pietro.
A tale riguardo, il Collegio rileva che, contrariamente agli assunti del pubblico ministero ricorrente, la sentenza di primo grado non ha affatto ritenuto quelle stesse dichiarazioni “estremamente importanti, in quanto confermano, de relato attraverso Giuliano, la partecipazione di Tutino Marcello alla fase esecutiva della strage”, poiche’ il teste’ richiamato passaggio della sentenza di primo grado (pag. 105, con espresso riferimento alle dichiarazioni di Drago Giovanni, che il pubblico ministero ricorrente attribuisce ad un errore materiale), lungi dal riferirsi all’apprezzamento della Corte di assise, si limita a riportare testualmente la memoria scritta in quella sede depositata dal pubblico ministero (in particolare le pagine 75 e ss. di tale memoria), come fatto palese dalla valutazione espressa dalla stessa Corte di assise nella medesima sentenza, la’ dove (pagine 98 e ss.) chiaramente si afferma che nessuna delle dichiarazioni rese dai collaboranti Drago, Cannella, Spataro, Calvaruso, Romeo, Di Filippo, Carra, Ciaramitano, Grigoli e Tranchina, che pure confermano gli stretti rapporti tra Tutino Filippo Marcello e i Graviano, rappresenta riscontro individualizzante di quelle rese da Spatuzza Gaspare in ordine al fatto specifico del coinvolgimento del Tutino nella strage di Via Palestro.
Inoltre, la sentenza impugnata, in totale coerenza con quella di primo grado, esamina partitamente le divergenti dichiarazioni rese dal Romeo nel corso delle indagini e, poi, in dibattimento.
A tale riguardo, la Corte territoriale procede ad un apprezzamento comparativo tra dichiarazioni procedimentali e dichiarazioni dibattimentali che si palesa giuridicamente corretto e privo di profili di illogicita’. La sentenza impugnata utilizza infatti le divergenti e ondivaghe dichiarazioni del Romeo, ivi comprese quelle lette a fini di contestazione ai sensi dell’articolo 500 c.p.p., per pervenire, correttamente applicando il disposto del comma 2 dello stesso articolo 500, ad un giudizio di complessiva inaffidabilita’ del dichiarante e di assoluta genericita’ delle dichiarazioni, peraltro de relato, da lui rese in dibattimento.
Tali ultime dichiarazioni sono, in vero, le sole ad essere dotate di potenziale idoneita’ a valere come elemento di riscontro o come prova dei fatti in esse narrati (Sez. 3, n. 20388 del 17/02/2015, QH., Rv. 264035; Sez. 2, n. 13910 del 17/03/2016, Migliaro e altro, Rv. 266445) ed il loro negativo apprezzamento da parte delle Corti di merito, che hanno concordemente ritenuto l’assenza di un concreto e specifico apporto conoscitivo in ordine al coinvolgimento del Tutino nelle stragi sul continente (vedi p. 68 della sentenza impugnata e pp. 97-98, 102-105 della sentenza di primo grado, ove richiamo alle frasi “No, non so niente”; “Io non mi ricordo che ruolo ha avuto…”; “Si, mi ricordo ora che ho fatto questa dichiarazione, pero’ io tante cose ora non me le ricordo piu'”), deve ritenersi immune da rilievi di illogicita’.
Ne’ il giudizio, di piena attendibilita’ di Romeo Pietro e di idoneita’ delle sue dichiarazioni a fungere da riscontro esterno alle dichiarazioni accusatorie rese da Spatuzza Gaspare nei confronti di Tagliavia Francesco, cui e’ pervenuta la Corte di assise di Firenze nel processo a carico di quest’ultimo per la strage di Via dei Georgofili puo’ di per se’ valere a rendere illogico o altrimenti viziato l’opposto esito valutativo delle conformi sentenze assolutorie pronunciate dalle Corti milanesi nei confronti di Tutino Filippo Marcello. Si tratta infatti di posizioni processuali distinte, delle quali il pubblico ministero ricorrente predica in modo del tutto generico la parificazione senza nemmeno documentare il giudizio di merito espresso dalla Corte fiorentina.
Infine, l’allegazione da parte del pubblico ministero ricorrente circa l’esistenza di intimidazioni in danno del Romeo, pregresse o contestuali al suo esame, oltre rappresentare argomento non dedotto nei precedenti gradi di giudizio, deve ritenersi sprovvista della specifica base fattuale e dei presupposti procedurali necessari ai sensi dell’articolo 500 c.p.p., commi 4 e 5, sicche’ sotto tale profilo il ricorso appare precluso in questa sede di legittimita’ (Sez. 1, n. 37066 del 06/04/2004, P.G. in proc. Arena ed altri, Rv. 229701).
2.5. La sentenza impugnata e’ immune dai vizi dedotti dal pubblico ministero ricorrente anche per quanto attiene alla valutazione degli altri elementi di prova evidenziati nell’atto di impugnazione. Tutti quegli elementi, infatti, sono stati sottoposti a puntuale e dettagliato esame da parte di entrambe le Corti di merito, che, pur ritenendoli capaci di riscontrare positivamente le dichiarazioni accusatorie dello Spatuzza, hanno purtuttavia concordemente escluso la loro valenza individualizzante, vuoi perche’ non riferiti direttamente alla persona dell’incolpato, vuoi perche’ sprovvisti di idoneita’ dimostrativa in relazione allo specifico fatto a questi attribuito.
Rientra nella prima categoria l’accertata registrazione di un passeggero, rimasto ignoto, in un volo da Palermo a Milano, il giorno precedente alla strage, sotto il falso nome Tutino Benedetto. Del tutto immune da vizi logici e giuridici deve al riguardo ritenersi il discorso argomentativo, comune alle due sentenze di merito, le quali hanno sottolineato, da un lato, l’oggettiva significativita’ del dato, essendo stato provato che coloro che avevano avuto un ruolo esecutivo nelle stragi fossero ricorsi altre volte allo stratagemma di modificare leggermente i dati forniti alla compagnia aerea onde ostacolare la propria identificazione senza ricorrere all’uso di documenti falsi, e, purtuttavia, dall’altro, hanno escluso la univoca riferibilita’ di quell’elemento a Tutino Filippo Marcello, posto che il fratello Tutino Vittorio ebbe, secondo lo stesso Spatuzza, un ruolo attivo nella materiale esecuzione dell’attentato, mentre il collaborante nulla riferisce in ordine a comportamenti posti in essere da Tutino Filippo Marcello il giorno della strage.
L’iter motivazionale delle sentenze di merito deve altresi’ ritenersi immune da rilievi di illogicita’ la’ dove esamina la fonte dichiarativa dalla quale risulta che Tutino Vittorio e’ persona molto accorta e prudente, e nonostante cio’ esclude che il sopra descritto stratagemma possa essere unicamente ascritto al fratello, posto che l’uso di generalita’ solo parzialmente difformi da quelle reali per un viaggio aereo non rappresenta manifestazione di imprudenza o avventatezza (pp. 66-67 della sentenza impugnata; pp. 119 e ss. della sentenza di primo grado).
2.6. Si e’ gia’ detto della mancanza di carattere individualizzante dell’appartenenza del chiamato all’associazione mafiosa in relazione ai reati-fine dell’associazione. Tale principio deve essere ribadito anche in riferimento alla specifica e accertata appartenenza di entrambi i fratelli Tutino alla famiglia mafiosa di Brancaccio. E cio’ pure in presenza delle dichiarazioni di Brusca Giovanni, il quale ha confermato che gli esecutori materiali delle stragi appartenevano a quella compagine criminale senza peraltro riferire, per quanto attiene la strage di Via Palestro, specifici elementi a carico di Tutino Filippo Marcello.
2.7. Allo stesso modo, la motivazione della sentenza impugnata e’ congrua e conforme a logica allorche’ ritiene, in perfetta coerenza con le ragioni esposte dal primo giudice, che il riscontro alle dichiarazioni di Spatuzza, costituito dal fallimento della ricostruzione alternativa dei fatti proposta dall’imputato, circa le ragioni, interne al sodalizio mafioso, che avevano indotto i Graviano ad allontanare nel 1991, cioe’ due anni prima della strage, Tutino Filippo Marcello da Palermo vale solo a incrementare la credibilita’ della connessa dichiarazione di Spatuzza in ordine alla “riabilitazione” che sarebbe conseguita per il Tutino dalla sua partecipazione alla strage, ma non costituisce ancora idoneo riscontro individualizzante del suo concorso nell’attentato di Via Palestro (pp. 64-66 della sentenza impugnata, con puntuali riferimenti alle pp. 108-116 di quella di primo grado).
2.8. Del pari giuridicamente e logicamente corretta e’ la valutazione che entrambe le Corti di merito hanno dato all’accertata disponibilita’ dell’immobile della suocera da parte del Tutino, nel senso di una generica conferma della credibilita’ dello Spatuzza e dell’attendibilita’ del suo narrato, ma non quale riscontro dello svolgimento in quel luogo della riunione preparatoria e, a maggior ragione, della effettiva partecipazione di Tutino Filippo Marcello a quella riunione, sicche’ anche a tale riguardo la conclusione dei giudici di merito in ordine alla mancanza di idoneo riscontro individualizzante circa lo specifico fatto-reato a questi attribuito deve andare immune da censure.
2.9. Infine, non suscettibile di rilievi logici o giuridici deve ritenersi l’apprezzamento riservato dalla sentenza impugnata all’accertato possesso da parte dell’imputato, all’epoca della strage, di un’autovettura Fiat Uno di colore scuro che secondo Spatuzza il Tutino avrebbe usato per andare a riceverlo alla Stazione Centrale di Milano.
In effetti, la plateale smentita della ricostruzione alternativa fornita al proposito dal Tutino viene correttamente ritenuta da entrambe le Corti di merito rappresentare una conferma dell’attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie rese da Spatuzza, il quale riferisce ancora una volta una circostanza vera, ma non un riscontro oggettivo circa il fatto dell’incontro milanese tra i due e tanto meno un riscontro individualizzante in ordine al coinvolgimento del chiamato nel delitto di strage a lui ascritto in questa sede. Il dato del possesso da parte del Tutino di una Fiat Uno di colore scuro non serve infatti a riscontrare le dichiarazioni dello Spatuzza circa lo specifico utilizzo che di quella vettura venne fatto per trasportare i suoi sodali e in occasione del furto dell’autovettura dello stesso tipo poi utilizzata per occultare l’esplosivo sul luogo della strage.
Sicche’, anche a tale riguardo, nel caso di specie non e’ dato rilevare una convergenza dei dati probatori che riguardi, come necessario per pervenire a giudizio di condanna, circostanze tutte pertinenti alla partecipazione criminosa oggetto di imputazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso