Nel reato di evasione dagli arresti domiciliari il dolo e’ generico

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 ottobre 2018, n. 46017.

Le massime estrapolate:

Nel reato di evasione dagli arresti domiciliari il dolo e’ generico e consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente.
In relazione al reato di evasione, nella sua manifestazione fenomenica, non rileva la volonta’ di recuperare la liberta’ ma, allontanandosi dal luogo assegnato, la volonta’ e consapevolezza della violazione della prescrizione di non lasciare il domicilio senza l’ordine del giudice, avuto riguardo alla funzione di controllo svolta dalla misura degli arresti domiciliari e dalla detenzione domiciliare ai fini di attuazione della pretesa punitiva. Ne consegue che qualsiasi condotta di volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari o detenzione domiciliare, in difetto di previa autorizzazione da parte della competente autorita’ giudiziaria, vale ad integrare il reato previsto e punito dall’articolo 385 c.p., comportando la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice al rispetto dell’autorita’ delle decisioni giudiziarie, a tale riguardo non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, ne’ la durata o la distanza dello spostamento, ne’ i motivi alla base della determinazione del soggetto agente, trattandosi di situazione ovviabile mediante la richiesta di mutamento del domicilio della restrizione

Sentenza 11 ottobre 2018, n. 46017

Data udienza 19 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia An – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 4 luglio 2016 della Corte di appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Marinelli Felicetta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) impugna la sentenza indicata in rubrica che, con le concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, ha rideterminato in mesi otto di reclusione la pena inflittagli per il reato di cui all’articolo 47 Ord. Pen. in relazione all’articolo 385 c.p..
E’ indiscusso che il giorno (OMISSIS) alle ore 13:42 il ricorrente, ristretto in regime di detenzione domiciliare e autorizzato a lasciare il domicilio dalle ore 10:00 alle ore 12:00 per provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, si recava in una cabina telefonica e chiamava i Carabinieri per chiedere loro cosa fare dal momento che poteva recarsi alla mensa che distribuiva cibo presso una vicina chiesa solo dalle 15:00 alle ore 17:00.
2. Con unico e articolato motivo di ricorso il difensore denuncia vizio di violazione di legge (in relazione agli articoli 42 e 43 c.p. e articolo 59 c.p., comma 4) e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato. Il ricorrente, richiamate le decisioni di questa Corte che hanno escluso la sussistenza dell’elemento psicologico del reato e la offensivita’ del fatto in presenza di fattispecie nelle quali l’agente aveva lasciato l’abitazione per l’impossibilita’ della convivenza, recandosi, per la via piu’ vicina dai Carabinieri, sostiene che chiave di lettura dell’odierna vicenda processuale, in una interpretazione che valorizzi in concreto il principio di offensivita’, sia la volonta’ dell’agente di recuperare la liberta’, e che tale dolo specifico che non e’ rinvenibile nel caso in esame tenuto conto che l’imputato aveva chiamato personalmente i Carabinieri ed aveva indicato il luogo dove si trovava e dove veniva trovato dalla pattuglia nel frattempo sopraggiunta. Viene, cosi’, meno per difetto dell’elemento psicologico del reato, la tipicita’ del fatto. Secondo il ricorrente si verte in ipotesi similare a quella dell’autoconsegna, valorizzata dalla giurisprudenza di legittimita’, per escludere la punibilita’ delle condotte nelle quali l’imputato si era recato in caserma per sottrarsi a difficili situazioni di convivenza. In ogni caso deve ritenersi che il (OMISSIS) abbia agito supponendo, erroneamente, di essere giustificato nell’allontanamento dal domicilio per l’imminente pericolo di non poter nutrirsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perche’ proposto per motivi manifestamente infondati.
2.E’ erroneo il punto di partenza della ricostruzione difensiva secondo la quale il reato di evasione costituisce fattispecie di reato a dolo specifico con la conseguenza che, la telefonata effettuata dall’imputato ai Carabinieri, informandoli dell’allontanamento e di dove si trovasse, ne denota la insussistenza della volonta’ di recuperare la liberta’ e sottrarsi ai controlli venendo, per l’effetto, meno l’offensivita’ in concreto del fatto-reato.
Costituisce, in vero, affermazione indiscussa di questa Corte quella che nel reato di evasione dagli arresti domiciliari il dolo e’ generico e consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente (ex multis Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012, Ghouila, Rv. 252288; Sez. 6, n. 19218 del 08/05/2012, P.G. in proc. Rapillo, Rv. 252876).
In relazione al reato di evasione, nella sua manifestazione fenomenica, non rileva la volonta’ di recuperare la liberta’ ma, allontanandosi dal luogo assegnato, la volonta’ e consapevolezza della violazione della prescrizione di non lasciare il domicilio senza l’ordine del giudice, avuto riguardo alla funzione di controllo svolta dalla misura degli arresti domiciliari e dalla detenzione domiciliare ai fini di attuazione della pretesa punitiva. Ne consegue che qualsiasi condotta di volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari o detenzione domiciliare, in difetto di previa autorizzazione da parte della competente autorita’ giudiziaria, vale ad integrare il reato previsto e punito dall’articolo 385 c.p., comportando la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice al rispetto dell’autorita’ delle decisioni giudiziarie, a tale riguardo non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, ne’ la durata o la distanza dello spostamento, ne’ i motivi alla base della determinazione del soggetto agente, trattandosi di situazione ovviabile mediante la richiesta di mutamento del domicilio della restrizione (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 29679 del 13.03.2008, De Maria, Rv. 240642), conclusione perfettamente sovrapponibile alla persona detenuta ai sensi dell’articolo 47 Ord. Pen..
3.E, facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche, i giudici del merito hanno ritenuto conclamato dalle modalita’ dei fatti l’elemento psicologico del reato di evasione contestato al (OMISSIS) valorizzando, altresi’, che l’imputato era autorizzato a lasciare l’abitazione dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e che, durante tale orario, ben avrebbe potuto informare i Carabinieri delle sue difficolta’ a raggiungere la parrocchia per il pranzo, visto che l’orario di somministrazione non corrispondeva a quello in cui era autorizzato a lasciare il domicilio. La mera allegazione delle difficolta’ dell’imputato non e’ tale, inoltre, da assumere rilevanza quale stato di necessita’, idoneo a scriminare la illiceita’ della condotta neppure quale situazione erroneamente supposta, supposizione che deve basarsi non gia’ su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensi’ su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato (Sez. 6, n. 4114 del 14/12/2016, G, Rv. 269724) e nel caso, sia stato di necessita’ che erronea supposizione della sua ricorrenza, sono indimostrati.
4.1 principi affermati da questa Corte di legittimita’ nei casi di cd. autoconsegna non possiedono, ai fini della individuazione delle caratteristiche del dolo, la valenza che il ricorrente vi assegna pervenendo alla conclusione che, in tal guisa, il dolo della fattispecie in esame si connota come dolo specifico poiche’ tale conformazione del dolo non puo’ che discendere dalla struttura della norma incriminatrice. Ma, deve aggiungersi, in relazione alle fattispecie esaminate dalla Corte di legittimita’ e richiamate in ricorso assumono preponderante rilievo circostanze di fatto che escludono, prima ancora del dolo, la materialita’ stessa del reato (cfr. Sez. 6, n. 32668 del 02/03/2010, Marchi, Rv. 247997; Sez. 6, n. 16673 del 13/04/2010, Parlato, Rv. 247051), in presenza di pregresso avviso dell’agente all’autorita’ proposta ai controlli dell’allontanamento ovvero aspetti della condotta, il concomitante avviso e la documentata brevita’ dell’allontanamento, che hanno consentito di escludere si fosse verificata una reale sottrazione al controllo di Polizia, laddove, nella fattispecie in esame, e’ ignota la durata stessa dell’allontanamento.
5.Alla dichiarata inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre che al pagamento processuali, della somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende, essendo imputabile a sua colpa la determinazione della causa di inammissibilita’.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.