Integra il reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2 la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori ed al coniuge, omettendo di versare l’assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 ottobre 2018, n. 46014.

Le massime estrapolate:

Integra il reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2 (in esso risultando assorbito il reato previsto dall’articolo 12 sexies di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, richiamato dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3) la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori ed al coniuge, omettendo di versare l’assegno di mantenimento. Si evince, peraltro, dalla stessa formulazione letterale delle disposizioni ora menzionate, che non vi e’ equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico, poiche’ la norma non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti, bensi’ ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione.
Ai fini della configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, nell’ipotesi di corresponsione parziale dell’assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilita’ dei mezzi economici che il soggetto obbligato e’ tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacita’ economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale

Sentenza 11 ottobre 2018, n. 46014

Data udienza 19 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia Ann – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/12/2015 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato in mesi tre di reclusione ed Euro 100,00 di multa la pena inflitta a (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, per avere fatto mancare alla moglie ed alla figlia minore i mezzi di sussistenza. L’ (OMISSIS), a carico del quale era stato posto in sede di separazione un assegno dell’importo di 900 Euro mensili aveva autoridotto l’importo inviando alla beneficiaria un importo minore, pari a seicento Euro mensili dal settembre 2008 al gennaio 2009.
2. Con unico e articolato motivo l’ (OMISSIS) denuncia vizio di motivazione e conseguente erronea applicazione della legge penale per la ritenuta configurabilita’ del reato. Secondo il ricorrente il giudice di appello, che a tal riguardo non ha esaminato uno specifico motivo di gravame, non aveva verificato se, in ragione del parziale adempimento corrispondente a quasi due terzi dell’importo fissato, si fosse in presenza di una condotta corrispondente alla effettiva e omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, ma aveva fatto discendere la responsabilita’ dalla mancata integrale corresponsione dell’importo dell’assegno fissato dal Presidente del Tribunale addebitandogli, a comprova della condotta, che non avesse adito il giudice per conseguire la riduzione dell’importo dovuto. In buona sostanza, assume, la Corte ha operato la equiparazione fra l’obbligazione civilistica del pagamento dell’assegno alimentare – che come noto e’ fondato sulla comparazione delle condizioni economiche dei coniugi – e quello, nascente dalla legge, di assicurare al coniuge ed ai figli minori i bisogni elementari dell’esistenza. La fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, conclude, non sanziona il mero inadempimento civilistico ma occorre che gli aventi diritto all’assistenza versino in condizioni di bisogno; che l’obbligato sia in condizioni di fornire i mezzi di sussistenza e la ricorrenza dell’elemento psicologico del reato, che richiede il dolo specifico, e quindi la necessita’ di valutare se nel momento in cui in cui il ricorrente provvedeva ad un adempimento parziale, sostenendo anche talune spese per il figlio minore ovvero tenendolo con se’ per un periodo di tempo utile a far abbassare la quota necessaria al mantenimento del destinatario, avesse coscienza di erogare alla figlio ed alla ex moglie mezzi di sussistenza insufficienti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perche’ i motivi che ne sono a fondamento sono generici e manifestamente infondati.
2. La Corte di appello partenopea, nel respingere il motivo di gravame dell’imputato strutturato in termini sovrapponibili all’odierno motivo di ricorso ha richiamato, confermandone il giudizio di attendibilita’, le dichiarazioni rese dalla persona che, asseverate da quelle rese dal padre della donna, aveva ricostruito le precarie e difficili condizioni economiche nelle quali la persona offesa si era venuta a trovare dopo la separazione e per effetto del mancato versamento dell’assegno fissato in sede di separazione, per il mantenimento suo e del figlio minore, nell’importo di novecento Euro mensili, importo che, pacificamente, l’imputato si era autoridotto a quello di Euro seicento mensili. Nella sentenza di primo grado, alla quale quella impugnata rimanda, erano state evidenziate le condizioni personali ed economiche di (OMISSIS) che, priva di lavoro, non aveva avuto in assegnazione la casa coniugale, di proprieta’ del marito, e che, non potendo essere accolta, per ragioni di spazio, nell’abitazione dei genitori aveva dovuto prendere in locazione un appartamento per il quale corrispondeva un canone di locazione di trecento Euro; aveva dovuto arredare l’immobile, operazione per la quale aveva contratto un finanziamento per il quale corrispondeva oltre cento Euro mensili e che sopportava, con il resto della somma ricevuta, le spese di bollette e di mantenimento, sue e del bambino venendo aiutata dai genitori. La donna era alla ricerca di un’attivita’ lavorativa, di difficile reperimento, mentre l’ex coniuge, anche questo dato e’ indiscusso, era titolare di un’accorsata attivita’ economica. Rileva il Collegio, da qui la genericita’ ed aspecificita’ dell’odierna impugnazione, che con tali evidenze fattuali non si confronta il proposto ricorso che, viceversa, si diffonde nella ricostruzione di profili in diritto concernenti gli elementi strutturali della fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 570 c.p., comma 2 ed i tratti differenziali con la fattispecie di inadempimento civilistico, correlata al mancato versamento dell’assegno di separazione e che sono stati, con chiarezza, delineati nella giurisprudenza di legittimita’.
3. Al riguardo, infatti, questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 44629 del 17/10/2013, B., Rv. 256905) ha stabilito che integra il reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2 (in esso risultando assorbito il reato previsto dall’articolo 12 sexies di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, richiamato dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3) la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori ed al coniuge, omettendo di versare l’assegno di mantenimento. Si evince, peraltro, dalla stessa formulazione letterale delle disposizioni ora menzionate, che non vi e’ equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico, poiche’ la norma non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti, bensi’ ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione (Sez. 6, 4 ottobre 2012, n. 43527, n.m.). Cio’ corrisponde, si osserva, alla funzione assegnata dal legislatore a tali disposizioni, che e’ quella di garantire che il soggetto obbligato assista con continuita’ i figli e gli altri soggetti tutelati. Se da un lato, quindi, non puo’ ritenersi che la condotta delittuosa sia integrata da qualsiasi forma di inadempimento, dall’altro lato, trattandosi di reato doloso, la stessa deve essere accompagnata dal necessario elemento psicologico. In particolare, sul piano oggettivo, deve trattarsi di un inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilita’ dei mezzi economici che il soggetto obbligato e’ tenuto a fornire. Il reato non puo’ ritenersi automaticamente integrato con l’inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorche’ la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale deve valutarne in concreto la “gravita’”, ossia l’attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende, appunto, ad evitare. Conclusivamente si afferma che, ai fini della configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, nell’ipotesi di corresponsione parziale dell’assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilita’ dei mezzi economici che il soggetto obbligato e’ tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacita’ economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (Sez. 2, n. 24050 del 10/02/2017 – dep. 15/05/2017, P.C. in proc. A, Rv. 270326).
4. Ritiene il Collegio che le concrete modalita’ dei fatti enucleati dalle sentenze di merito, e come accennato pretermessi dalla ricostruzione difensiva, consentono di escludere ictu oculi la fondatezza della tesi del ricorrente e di ritenere viceversa accertato che la condotta dell’imputato, in relazione alla concreta obbligazione alla quale era tenuto, alla reiterazione dell’inadempimento ed alle ragioni, che restano inespresse, dell’autoriduzione sia tale da integrare la violazione degli obblighi di assistenza familiare delineati nella fattispecie penale.
5. E’ escluso, in primo luogo, che il ricorrente si sia trovato, per imprevedibili ragioni, in condizioni economiche tanto difficili e precarie da non poter adempiere alle obbligazioni assunte e, con chiarezza, deve ribadirsi che, di regola, non puo’ essere considerata sufficiente, ai fini di elidere l’antigiuridicita’ della condotta, la mera affermazione del diritto alla autoriduzione dell’assegno, dovendo la parte in ogni caso rivolgersi al giudice civile per ottenere eventuali revisioni dell’importo (Sez. 6, n. 715 del 01/12/2003, dep. 2004, Pisano, Rv. 228262, in motivazione) a meno della ricorrenza di situazioni in cui ci si trovi dinanzi ad un limitato ritardo, ad un parziale adempimento, ovvero ad una omissione dei pagamenti, che trovino ben precise giustificazioni nelle peculiari condizioni dell’obbligato ed appaiano agevolmente collocabili entro un breve, o comunque ristretto, lasso temporale, quando a fronte di un piu’ ampio periodo preso in considerazione risulti accertata la piena regolarita’ nel soddisfacimento dei relativi obblighi.
Alcuna di tali evenienze ricorre nel caso in esame in presenza della mera allegazione del diritto all’autoriduzione dell’assegno e, alfine, giustificata con il generico riferimento alla circostanza di avere sostenuto altre spese, in favore del figlio minore, e di averlo tenuto con se’, per periodi maggiori, si’ da far abbassare la quota necessaria al mantenimento del destinatario degli alimenti.
Per altro aspetto, rileva il Collegio che l’importo assegnato alla persona offesa (novecento Euro mensili) appare, gia’ per il numerarlo previsto, appena sufficiente ad assolvere funzioni di mantenimento, riferite alle necessita’ alimentari, di abitazione e di cura di una persona adulta e di un bambino di due anni: e, infatti, e’ accertato che solo per assicurarsi una casa di abitazione la persona offesa doveva sopportare una spesa mensile di oltre quattrocento Euro, costo al quale andavano aggiunte le spese per bollette e servizi indispensabili (luce, gas ed acqua).
6. E’ evidente, sulla scorta di questi dati, che il comportamento posto in essere dall’imputato – che ha autoridotto l’importo dell’assegno a cinquecento e poi seicento Euro mensili – ha fatto venir meno, in concreto, la fruizione dei mezzi di sussistenza da parte degli aventi diritto, risultando l’assegno da lui mensilmente versato nel periodo in esame non solo ridotto rispetto a quello, ex se modesto, stabilito dal giudice in sede di separazione ma anche in concreto inadeguato a far fronte ai bisogni ed alle necessita’ elementari dei beneficiari tanto che, come confermato dal padre della (OMISSIS), la donna e il figlio venivano aiutati dai genitori della (OMISSIS) sia ospitando lei e il bambino a pranzo e cena sia fornendole somme necessarie per l’acquisto di abiti, medicine ed altro.
Si e’, pertanto, in presenza dell’azione tipica della sottrazione agli obblighi di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, assistita dall’indispensabile elemento psicologico del reato, dal momento che, in assenza di cause di giustificazione reali, l’imputato ha proceduto alla autoriduzione dell’importo della somma dovuta corrispondendo alla (OMISSIS) l’importo dell’assegno chiaramente inadeguato, in presenza di condizioni personali (mancanza di lavoro) e familiari della beneficiaria a lui perfettamente note, a far fronte alle indispensabili esigenze di vita di se stessa e del figlio minore.
7. Alla dichiarata inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre che al pagamento processuali, della somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende, essendo imputabile a sua colpa la determinazione della causa di inammissibilita’.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.