Paternità: curatore speciale nomina discrezionale e non esclusiva

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31567.

Paternità: curatore speciale nomina discrezionale 

Massima: Nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, la nomina del curatore speciale è eventuale e frutto di una scelta discrezionale del giudice, che non determina una legittimazione concorrente con quella del genitore, nè, tantomeno, la esclude.

 

Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31567. Paternità: curatore speciale nomina discrezionale 

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Filiazione – Filiazione naturale – Dichiarazione giudiziale di paternita’ e maternita’ – Legittimazione dichiarazione giudiziale di paternità – Procedimento – Curatore speciale – Nomina – Obbligatorietà – Esclusione – Legittimazione attiva – Ammissibilità – Esclusione.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Relatore

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1512/2024 R.G. proposto da:

Ve.Vi., elettivamente domiciliato in MATERA VIA NA.50., presso lo studio dell’avvocato RO.NI. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VE.MA. (Omissis), come da procura speciale in atti.

– ricorrente –

contro

St.Ma., in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sulla minore St.Ka., elettivamente domiciliata in MATERA VIA DE.CR., presso lo studio dell’avvocato MO.DO. (Omissis) che la rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.

– contro ricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 485/2023 depositata il 29/09/2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere LAURA TRICOMI.

Paternità: curatore speciale nomina discrezionale 

RILEVATO CHE:

1. – Il Tribunale di Matera, con sentenza n.614/2022, resa nel giudizio di riconoscimento di paternità naturale promosso da St.Ma., ha dichiarato il rapporto di paternità tra la minore St.Ka. (n. (Omissis)) e Ve.Vi. e, per l’effetto, ha ordinato all’Ufficiale di Stato Civile competente di procedere alla trascrizione della sentenza; ha, inoltre, condannato Ve.Vi. a corrispondere a St.Ma., quale mantenimento della figlia minore, la somma mensile di Euro 250,00, oltre il 50% delle spese straordinarie preventivamente concordate, da versare entro il 14 di ogni mese a partire dall’agosto 2022; ha condannato Ve.Vi. a corrispondere alla figlia la somma di Euro 56.083,00, quale risarcimento da danno endofamiliare, nonché, in favore della madre, la somma di Euro 45.654,00 quale rimborso pro quota di tutte le spese sostenute dalla nascita della minore a tutt’oggi; ha condannato il convenuto al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 7.795,00, oltre accessori ed al pagamento delle spese di CTU, separatamente liquidate.

L’appello proposto da Ve.Vi. è stato parzialmente accolto dalla Corte di appello di Potenza che, in parziale riforma della sentenza impugnata, che ha confermato nel resto, ha condannato Ve.Vi. a corrispondere a St.Ma., quale rimborso pro quota delle spese sostenute per il mantenimento della minore, la minor somma di Euro 13.044,00, oltre interessi dalla sentenza al saldo ed al pagamento dei due terzi delle spese di lite, come liquidate.

Ve.Vi. ha proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza di appello con quattro mezzi. St.Ma. ha replicato con controricorso e memoria.

E’ stata disposta la trattazione camerale.

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CONSIDERATO CHE:

2.1. – Con il primo motivo sono svolte plurime censure: i) violazione e falsa applicazione dei principi fondamentali in tema di azioni di status riguardanti i minori e degli artt. 269 e 273 c.c., 7 e 8 Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva con L. n. 176/1991, nonché alla Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli del 25.01.1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 77/2003; ii) nullità della sentenza e del procedimento per vizio di costituzione del rapporto processuale e per violazione del principio del contraddittorio, a cagione della mancata nomina del curatore speciale del minore in violazione dell’art. 78 c.p.c.; iii) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La statuizione è volta a far valere la nullità della sentenza per vizio di costituzione del rapporto processuale e per violazione del principio del contraddittorio, a cagione della mancata nomina del curatore speciale del minore ex art. 78 c.p.c.

La censura concerne la seguente statuizione della Corte di merito “nel procedimento disciplinato dall’art. 250 c.c., come novellato dall’art. 1 della I. n. 219 del 2012, teso al riconoscimento del figlio che non abbia compiuto i quattordici anni, quest’ultimo non assume la qualità di parte, per cui la nomina di un curatore speciale è necessaria solo ove il giudice lo ritenga opportuno in considerazione del profilarsi, in concreto, di una situazione di conflitto di interessi. Quanto, poi, attiene, in particolare, al giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, la nomina del curatore speciale è eventuale, e frutto di una scelta discrezionale del giudice, che non determina una legittimazione concorrente con quella del genitore, né, tantomeno, la esclude (Cass. n. 23170/2007). Deve, inoltre, porsi in luce che nel corso del giudizio di primo grado, avendo la minore compiuto il quattordicesimo anno di età, la stessa ha validamente ed autonomamente prestato il proprio consenso alla prosecuzione dell’azione in linea con quanto previsto, sul punto, dalla Suprema Corte – omissis – (Cass. n. 472/2023)”.

2.2. – Il primo motivo è infondato perché nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, la nomina del curatore speciale è eventuale ed è frutto di una scelta discrezionale del giudice, che non determina una legittimazione concorrente con quella del genitore, né, tantomeno, la esclude (Cass. n. 23170/2007), di guisa che nessun obbligo correva in ordine alla nomina del curatore speciale; non risulta, inoltre, che sia stato rappresentato un interesse della minore in tal senso, tanto più che la minore ebbe anche a prestare il suo consenso all’azione.

3.1. – Con il secondo motivo sono svolte plurime censure: i) nullità della sentenza e del procedimento per violazione e/o erronea applicazione dei principi fondamentali in tema di giudicato interno, in relazione agli artt. 2909 c.c., 324 e 329 c.p.c; ii) nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione apparente, in relazione agli artt. 132, c. 2, n. 4), c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111, c. 6, cost.

A parere del ricorrente, nel delibare il terzo motivo d’appello, la Corte territoriale avrebbe errato nel rilevare che il capo della pronuncia di prime cure relativo alla ritenuta declaratoria di sussistenza, ex art. 269 c.c., del rapporto di paternità tra la minore St.Ka. e Ve.Vi., era coperto da giudicato, per effetto ed in conseguenza della mancata proposizione di uno specifico motivo di appello sul punto, e nell’aggiungere a ciò argomenti, a suo parere, non pertinenti in ordine al valore del rifiuto paterno a sottoporsi ad indagini genetiche.

Sostiene poi il ricorrente che il motivo di appello aveva riguardato sia la statuizione affermativa del rapporto di filiazione, sia le altre.

3.2. – Il secondo motivo e infondato e va respinto.

3.3. – È necessario premettere, per il corretto inquadramento della specifica questione, che – come si evince dalla stessa sentenza di appello – il ricorrente con il primo motivo di appello ebbe a dedurre la nullità della sentenza di primo grado per inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale ex art. 50 quater e 161 c.p.c. e che tale motivo di appello venne accolto dalla Corte di merito.

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Segnatamente, in proposito, la Corte di appello ha affermato che “… l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale costituisce, per effetto del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161, primo comma, c.p.c. un’autonoma causa di nullità della decisione, che si converte in motivo di impugnazione, con la conseguenza che rimane ferma la validità degli atti che hanno preceduto la pronuncia della sentenza nulla e resta esclusa la rimessione degli atti al primo giudice, ove quello dell’impugnazione sia anche giudice del merito … (Cass. n.5232/2020)”. Nel passare, poi, ad individuare le conseguenze della anzidetta statuizione sul giudizio in corso, ha affermato “Quindi, l’adito Collegio, quale giudice dell’impugnazione è anche giudice del merito, potendo, così decidere appunto nel merito, alla luce di tutta la documentazione e dell’istruttoria espletata nel primo grado del giudizio.”

Questa statuizione, che ha accolto il gravame proposto da Ve.Vi. con il primo motivo di appello – e non e stata impugnata in sede di ricorso per cassazione – risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità anche più recente, secondo la quale “l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c. al successivo art. 161, comma primo, un’autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell’impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla (Cass., sez. un., n. 28040 del 25/11/2008; v. anche Cass. n. 13907 del 18/06/2014 e Cass., ord., n. 16186 del 20/06/2018).” (così in motivazione, Cass. n. 9424/2023)

A ciò consegue che la Corte di merito, ove ricorra la nullità della sentenza di primo grado, non può pronunciarsi come giudice di seconda istanza ma, proprio attesa la nullità della sentenza di primo grado, deve rinnovare la decisione come se fosse stata nella posizione del giudice di primo grado e non può prendere in esame l’appello nella misura in cui questo è volto a proporre specifiche critiche proprio alla sentenza già dichiarata nulla.

La Corte di appello si è attenuta a questo principio e il percorso decisionale è svolto rettamente, secondo i principi dinanzi ricordati.

Invero, la Corte di appello ha esaminato la domanda di dichiarazione giudiziale della paternità nel merito e ha ritenuto, sulla scorta dell’istruttoria svolta in primo grado, che la stessa fosse stata provata in quanto ha fatto applicazione del consolidato principio secondo il quale “Nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, comma 2, c. p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda.” (Cass. n. 28886/2019; Cass. n.7092/2022, tra molte), prendendo atto della mancata presentazione di Ve.Vi. alla convocazione disposta a tal fine dal nominato CTU in primo grado.

Tale decisione, lungi dall’essere eccentrica nel percorso motivazionale – come sembra sostenere il ricorrente -, ne costituisce il fulcro decisionale.

Va, inoltre, osservato che il riferimento contenuto in sentenza al “giudicato interno” ed alla mancanza di uno specifico motivo di appello sulla ritenuta declaratoria di sussistenza della paternità – su cui il ricorrente si è soffermato per articolare la censura – costituisce solo un argomento erroneo utilizzato dalla Corte di merito, ma non decisivo, sol che si consideri che la Corte di merito doveva rinnovare la decisione come se fosse stata nella posizione del giudice di primo grado e non poteva prendere in considerazioni richieste di rinnovazione di atti istruttori formulate con l’atto di appello e ciò ha fatto, compiutamente esplicitando le ragioni della pronuncia di declaratoria di sussistenza della paternità e della non contrarietà della stessa all’interesse della minore della stessa.

4.1. – Anche con il terzo motivo sono svolte plurime censure: i) nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione apparente in relazione agli artt. 132, c. 2, n. 4), c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111, c. 6, cost.; ii) violazione ed erronea applicazione dei principi fondamentali in tema di azione di regresso tra condebitori; iii) nullità della sentenza e del procedimento a cagione dell’erronea percezione e/o ricognizione del contenuto oggettivo della prova. in relazione all’art. 115 c.p.c.

La censura concerne la statuizione con la quale la Corte territoriale ha proceduto ad accertare e liquidare l’indennizzo risarcitorio da deprivazione del rapporto genitoriale.

4.2. – Il motivo è inammissibile.

4.3. – Com’è noto, in tema di ricorso per cassazione, costituisce ragione d’inammissibilità l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza, quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le censure, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 3125/2024; Cass. n. 26790/2018; Cass. n. 7009/2017; v. anche Cass. n. 36881/2021).

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L’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, riconducibili alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c. può essere superata solo se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, Sentenza n. 9100/2015; v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3125 del 02/02/2024 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 39169/2021).

Come emerge dalla lettura della rubrica del motivo di ricorso, sopra riportata, Ve.Vi., ha formulato, con esso, cumulativamente plurime censure, ricondotte ai numeri 3 e 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.

A tale rappresentazione non segue, tuttavia, la chiara e ordinata illustrazione di ogni specifica ragione di doglianza in riferimento a ciascuno dei parametri invocati, esponendo le censure un modo confuso, mescolando affermazioni in diritto addebitate alla Corte d’Appello, ma non correlate a specifici passaggi motivazionali della sentenza impugnata, con valutazioni in fatto non condivise, cui la parte ha contrapposto le proprie, ai fini della rappresentazione di una realtà diversa da quella ritenuta provata dal giudice di appello.

Il motivo si risolve in diffuse critiche alla sentenza impugnata, di cui la parte ha prospettato l’erroneità, l’illegittimità e la non condivisione, in violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. e, sotto altro profilo, ha criticato la valutazione delle emergenze istruttorie compiute dalla Corte di merito e l’apprezzamento dei fatti, proponendo censure che si pongono ben al di là del perimetro delimitante l’area di cognizione del giudice di legittimità.

Ne discende l’inammissibilità del motivo di ricorso così proposto.

5.1. – Con il quarto motivo si denuncia la violazione ed erronea applicazione dei principi fondamentali in tema di regolamentazione delle spese processuali in relazione agli artt. 91, 50-quater e 161 c.p.c.

Il ricorrente, ricordando che, nel caso di specie, dal testo dell’impugnata sentenza risulta in termini di irrefutabile certezza che, accogliendo il primo motivo di gravame dell’odierno ricorrente, la Corte territoriale, dopo aver dichiarato la nullità della pronuncia di prime cure ai sensi degli artt. 50-quater e 161 c.p.c., ha deciso la causa quale “giudice del merito . alla luce di tutta la documentazione e dell’istruttoria espletata nel primo grado del giudizio”, si duole che di essere stato condannato al pagamento delle spese processuali relative sia al primo che al secondo grado di giudizio e illegittima, proprio perché la Corte del distretto ha definito la controversia “come se fosse nella posizione del giudice di primo grado”.

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5.2. – Il motivo e infondato.

5.3. – La declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, nei termini già esaminati in relazione al secondo motivo di ricorso, ha fatto salva l’attività processuale compiuta in quel grado e ha attribuito al giudice di secondo grado la decisione della causa “alla luce di tutta la documentazione e dell’istruttoria espletata nel primo grado del giudizio”.

La statuizione con cui la Corte di appello ha liquidato le spese di giudizio del primo e del secondo grado risulta immune da vizi, in quanto ha preso in considerazione l’attività difensiva effettivamente svolta nei due gradi e la soccombenza parziale, in ragione dell’accoglimento del primo motivo di appello, del ricorrente disponendo la parziale compensazione, per un terzo, di quanto liquidato.

6. – In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, con la precisazione che la condanna alle spese relative alla controricorrente, ammessa al gratuito patrocinio e risultata vittoriosa, a norma dell’art. 133 del D.P.R. n.115/2002, va disposta a favore dello Stato.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Non è dovuto il pagamento di un’ulteriore somma, a titolo di contributo unificato, posto che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002, non è soggetto al contributo unificato il processo comunque riguardante la prole.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito, in favore dello Stato;

– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 10 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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