Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 19 febbraio 2020, n. 4247.

La massima estrapolata:

In ordine al procedimento per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti di avvocato di cui all’art.28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dall’art.34, comma 16, lett. a), del d.lgs. n. 150 del 2011, ove il professionista, agendo ai sensi dell’art. 14 del citato decreto legislativo, chieda la condanna del cliente inadempiente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in più fasi o gradi del giudizio, la competenza è dell’ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa.

Sentenza 19 febbraio 2020, n. 4247

Data udienza 3 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f.

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez.

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23372-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dal se’ medesimo;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), nella qualita’ di Amministratore del CONDOMINIO DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di NAPOLI (r.g. n. 15147/2017), depositata il 15/06/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’affermarsi la competenza del Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, a decidere sulle domande proposte cumulativamente;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza in data 15 giugno 2018 il Tribunale di Napoli ha dichiarato la propria incompetenza in relazione alla domanda di liquidazione dei compensi professionali proposta dall’avvocato (OMISSIS) per il patrocinio svolto in favore del Condominio (OMISSIS), nel giudizio definito in primo grado dal medesimo Tribunale con sentenza n. 5826/2014 e in sede di gravame dalla locale Corte d’appello con sentenza n. 4007/2015.
Ad avviso del Tribunale se la domanda ha ad oggetto la richiesta di compensi per l’attivita’ professionale svolta in piu’ gradi del giudizio, l’intera lite rientra nella competenza del giudice di secondo grado (o di quello che abbia conosciuto per ultimo della controversia), essendo solo questi in condizione di valutare l’intera attivita’ svolta e di liquidare il compenso nella misura piu’ adeguata.
Avverso detta decisione l’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso per regolamento di competenza strutturato in un unico motivo.
Il Condominio (OMISSIS) ha depositato memoria difensiva.
In quella sede il ricorrente ha sostenuto che il Tribunale adito avrebbe disatteso le indicazioni della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4485 del 2018, secondo cui nei procedimenti Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 14, quando le prestazioni del difensore siano svolte dinanzi ad uffici giudiziari diversi, per ottenere il relativo compenso occorrerebbe proporre domande autonome dinanzi a ciascun giudice adito per il processo, con esclusione della possibilita’ di riconoscere al giudice di secondo grado (o al giudice che abbia trattato per ultimo il giudizio) la competenza per l’intera controversia.
2. La trattazione del regolamento di competenza art. 380-bis c.p.c. dinanzi alla Sesta Sezione Civile, Sottosezione Seconda.
3. La Sezione remittente ha rilevato che:
a) nella originaria formulazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28 era stabilito che il legale per ottenere la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intendeva seguire la procedura di cui all’articolo 633 c.p.c. e segg., doveva proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo;
b) secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimita’ formatosi in riferimento alla originaria formulazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28 il carattere funzionale ed inderogabile della competenza ivi prevista – con conseguente necessita’ di proporre la domanda al Capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo – comunque non impediva al difensore che avesse svolto il patrocinio in piu’ gradi di instaurare un unico giudizio per ottenere l’intero corrispettivo;
c) in tale ultimo caso la domanda doveva essere proposta all’ufficio giudiziario che per ultimo avesse trattato il processo, sull’assunto che solo quest’ultimo fosse in condizione di valutare l’opera svolta nella sua globalita’ e liquidare il compenso in misura adeguata, sicche’ per le prestazioni rese in primo ed in secondo grado, la competenza restava radicata dinanzi al giudice d’appello (Cass. n. 13586/1991; Cass. n. 6033/1987; Cass. n. 4704/1989; Cass. n. 4215/1983; Cass. n. 3256/1953);
d) con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011 – il cui articolo 14 contiene la disciplina delle controversie prima disciplinate dall’articolo 28 cit. e ss., stabilendo che tali controversie nonche’ l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 c.p.c., contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti agli avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto – gran parte della giurisprudenza di legittimita’ si e’ orientata nel senso di considerare attratte al rito sommario speciale di tutte le controversie riguardanti i compensi dei difensori, pure se concernenti l’an della pretesa;
e) l’elemento principale che ha portato a tale conclusione e’ da rinvenire nel Decreto Legislativo n. 150 del 2001, articolo 3, comma 1, che per tutte le controversie disciplinate dal neo-istituito rito sommario di cognizione ha escluso l’applicabilita’ delle disposizioni di cui agli all’articolo 702-ter c.p.c., commi 2 e 3, con conseguente impossibilita’ di disporre il passaggio della causa al rito ordinario ove le difese svolte delle parti richiedano un’istruzione non sommaria;
f) quest’ultima norma e’ stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale anche per il fatto che e’ sembrato che la disposizione abbia confermato “l’impossibilita’ di ricorrere al procedimento speciale nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso” (cosi’, testualmente, Corte Cost., sentenza n. 65 del 2014);
g) con la sentenza delle Sezioni unite n. 4485 del 2018, richiamata dal ricorrente, la soluzione dell’ampliamento del thema decidendum anche all’an delle pretese e’ stato ribadito ed ulteriormente sviluppato e dalla generale regolazione con la procedura prevista dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 di tutte le controversie afferenti alle questioni concernenti il diritto agli onorari forensi si e’ fatta derivare la preclusione per il difensore della possibilita’ di utilizzare il rito ordinario di cognizione piena ovvero il rito sommario codicistico di cui agli articoli 702-bis c.p.c..
4. Con specifico riguardo alla ipotesi, che ricorre nella specie, di attivita’ professionale svolta per il medesimo cliente dinanzi a piu’ uffici giudiziari nell’ambito dello stesso processo, la Sezione remittente sottolinea che nella anzidetta sentenza delle SU e’ stato puntualizzato che, in tali casi, in base al combinato disposto dell’articolo 28 cit. e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 il difensore puo’:
a) proporre distinte domande davanti a ciascuno degli uffici di espletamento delle prestazioni senza far luogo al cumulo (soluzione desunta dal comma 2 dell’articolo 14 cit.);
b) proporre le domande in cumulo con il rito monitorio davanti al tribunale competente in via ordinaria ex articolo 637 c.p.c., comma 1, ovvero davanti al tribunale del luogo indicato dall’articolo 637 c.p.c., comma 3, salva, in tutti i casi, la prevalenza del foro del consumatore, con riguardo alla competenza territoriale (Decreto Legislativo n. 206 del 2005, ex articolo 33, comma 2, lettera u).
5. La soluzione del presente regolamento di competenza dipende dalla valutazione della tesi del Tribunale di Napoli secondo cui se la domanda ha ad oggetto la richiesta di compensi per l’attivita’ professionale svolta dell’avvocato in piu’ gradi del giudizio in favore del medesimo cliente, l’intera lite rientra nella competenza del giudice di secondo grado (o di quello che abbia conosciuto per ultimo della controversia), essendo solo questi in condizione di valutare l’intera attivita’ svolta e di liquidare il compenso nella misura piu’ adeguata.
Tale valutazione deve essere effettuata alla luce dei principi affermati da questa Sezioni unite nella sentenza n. 4485 del 2018 cit.
6. Di qui la formulazione dei seguenti quesiti, entrambi volti a chiarire il quadro sistematico e le indicazioni operative che emergono dalla suddetta sentenza delle Sezioni Unite n. 4485 del 2018 sul punto indicato:
a) se, nell’attuale quadro normativo, esclusa la possibilita’ di proporre la domanda in via ordinaria o ai sensi dell’articolo 702-bis c.p.c. e ss., resti tuttora impregiudicata la possibilita’ di chiedere i compensi per attivita’ svolte in piu’ gradi in un unico processo dinanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia (e, quindi, nello specifico, alla Corte di appello di Napoli), dando continuita’ all’orientamento maggioritario formatosi nel vigore della L. n. 794 del 1942, articolo 28, anche tenendo conto dell’affermata natura non inderogabile della competenza del giudice adito per il processo;
b) se, invece, i criteri di competenza per dette controversie vadano ricercati esclusivamente sulla base del coordinamento tra il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, comma 2, e l’articolo 637 c.p.c., lasciando al ricorrente la sola alternativa di proporre piu’ domande autonome (per i compensi relativi a ciascun grado di causa) dinanzi ai singoli giudici aditi per il processo o di cumularle dinanzi al tribunale competente ex articolo 637 c.p.c. (con salvezza del cd. foro del consumatore), restando in ogni caso esclusa la competenza del giudice che abbia conosciuto per ultimo del processo.
7. La Sesta Sezione Civile, Sottosezione Seconda, ritenendo che la questione cui si riferiscono entrambi i suddetti quesiti si profili come “questione di massima di particolare importanza”, ai sensi dell’eventuale assegnazione a queste Sezioni unite.
8. Il Primo Presidente ha disposto in conformita’ e la causa e’ stata discussa all’odierna udienza, previa acquisizione della relazione dell’Ufficio del Massimario.
9. Il pubblico ministero ha, quindi, depositato le proprie conclusioni scritte, nelle quali ha concluso per l’affermazione della competenza del Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, a decidere sulle domande proposte dall’avv. (OMISSIS).
10. In prossimita’ dell’udienza l’avv. (OMISSIS) ha depositato una memoria nella quale ha ribadito quanto sostenuto nel ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi delle censure.
1. Con l’unico motivo del ricorso per regolamento di competenza si sostiene l’erroneita’ della tesi seguita dal Tribunale di Napoli, secondo cui se la domanda dell’avvocato si riferisce a compensi professionali relativi all’attivita’ svolta in piu’ gradi del giudizio, l’intera lite rientra nella competenza del giudice di secondo grado o di quello che abbia conosciuto per ultimo della controversia, essendo solo questi in grado di valutare l’intera attivita’ svolta e di liquidare il compenso nella misura piu’ adeguata.
Ad avviso del ricorrente tale conclusione si basa su una isolata sentenza della Corte di cassazione (Cass. 17 dicembre 1991, n. 13586), seguita da alcuni giudici del merito, ma antecedente rispetto all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011 e comunque non conforme alle indicazioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4485 del 2018, secondo cui nei procedimenti Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 14, quando le prestazioni del difensore siano svolte dinanzi ad uffici giudiziari diversi, per ottenere il relativo compenso occorrerebbe proporre domande autonome dinanzi a ciascun giudice adito per il processo, con esclusione della possibilita’ di riconoscere al giudice di secondo grado (o al giudice che abbia trattato per ultimo il giudizio) la competenza per l’intera controversia.
II – Esame delle censure.
3. Il ricorso non e’ da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
4. Deve essere, in primo luogo, precisato che – diversamente da quel che sostiene il ricorrente – l’indirizzo favorevole alla proponibilita’ al giudice che ha deciso per ultimo la causa della domanda cumulativa relativa a tutti i compensi relativi alle prestazioni professionali svolte dall’avvocato per il medesimo cliente in piu’ gradi o fasi del processo L. 13 giugno 1942, n. 794, ex articolo 28 (nella formulazione originaria), non ha la sua fonte in una isolata sentenza di questa Corte (Cass. 17 dicembre 1991, n. 13586), ma in un risalente e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (vedi, per tutte: Cass. 9 ottobre 1953, n. 3256; Cass. 20 giugno 1983, n. 4215; Cass. 10 luglio 1987, n. 6033; Cass. 8 novembre 1989, n. 4704; Cass. 18 maggio 1994, n. 4824; Cass. 16 luglio 1994, n. 6700; Cass. 8 febbraio 1996, n. 1012 nonche’ successiva giurisprudenza in materia, ove il suddetto indirizzo non risulta essere stato motivatamente contraddetto).
A sostegno di tale tesi, si rilevava che – per l’indicata ipotesi – il testo normativo non stabiliva una competenza dei Capi degli uffici giudiziari pronunciatisi nel corso del processo inderogabile dei giudici dei diversi gradi del processo ne’ reciprocamente l’obbligo del legale di proporre piu’ ricorsi a tali diversi Capi dei vari uffici giudiziari e che, d’altra parte, la previsione della suindicata facolta’ era finalizzata a consentire di ottenere il provvedimento richiesto da parte del giudice piu’ di ogni altro in grado di valutare le prestazioni professionali inerenti all’intero procedimento.
5. Tale orientamento peraltro, per ragioni logico-sistematiche, va collegato all’altro indirizzo in base al quale, l’articolo 28 cit., nella parte relativa alla previsione dell’attivazione dello speciale procedimento in oggetto “dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura” espressione presente anche nel testo dell’articolo 28 attualmente vigente – deve essere interpretato nel senso che per “decisione della causa” deve intendersi il provvedimento conclusivo che definisce l’intero procedimento (Cass. 21 dicembre 2007, n. 27137), salvo restando che la procedura puo’ essere attivata anche in caso di prestazioni relative a giudizi non compiuti per ragioni processuali oppure a giudizi giunti regolarmente a termine ma non compiuti dal professionista per revoca o rinuncia al mandato o anche a giudizi definiti con transazione (Cass. 12 luglio 2000, n. 9241).
6. A fronte di tali orientamenti maggioritari, soltanto in poche pronunce e’ stata esclusa la possibilita’ di proporre l’anzidetta domanda cumulativa in un unico giudizio dinanzi al giudice che emesso l’ultima decisione nell’ambito del processo (in particolare: Cass. 9 gennaio 1973, n. 21 e Cass. 16 luglio 1997, n. 6493).
Peraltro, tali decisioni – oltre ad essere numericamente esigue non possono dirsi realmente in contrasto con l’indirizzo dominante perche’, dalle relative motivazioni, si desume che, in realta’, sono il frutto di un differente approccio ermeneutico basato sul valore preminente attribuito all’interpretazione letterale dell’articolo 28 cit. dell’epoca, mentre l’orientamento maggioritario risulta il frutto di una esegesi della norma non soltanto letterale ma anche logico-sistematica e teleologica.
7. Le premesse teoriche su cui e’ basato tale indirizzo minoritario sono le seguenti:
a) il procedimento speciale di cui alla L. n. 794 del 1942, articoli 28 e ss. e’ caratterizzato da peculiare semplicita’ di forme e da almeno tendenziale estrema rapidita’ – ed e’ stato concepito come strumento finalizzato ad attribuire agli avvocati per l’attivita’ professionale prestata ai loro clienti in materia giudiziale civile la liquidazione di compensi spettanti, sul presupposto della pacifica esistenza di un rapporto di patrocinio fra le parti;
b) per assicurare meglio il conseguimento del suddetto scopo e, “presumibilmente, anche per assegnare ai contendenti un giudice, per quanto possibile, autorevole ed esperto in cause eccezionalmente sottratte alla garanzia del doppio grado di merito, dato che l’ordinanza conclusiva delle stesse risulta impugnabile solo con il ricorso per cassazione a mente dell’articolo 111 Cost.”;
c) di qui la affermata necessita’ di interpretare il testo dell’articolo 28 cit. nel senso di riservare in modo inderogabile il compito di conoscere delle controversie in questione al Capo dell’ufficio giudiziario adito dal professionista istante per ottenere la liquidazione dei rivendicati emolumenti (Cass. n. 27 gennaio 1995, n. 993).
8. Tale ultima statuizione trova riscontro in un nutrito orientamento che, in base alla valorizzazione dell’uso della forma verbale “deve” – presente nell’articolo 28 dell’epoca – e’ pervenuto a configurare come funzionale ed inderogabile la competenza del Capo dell’ufficio giudiziario adito per i vari gradi o le varie fasi del processo (Cass. 14 aprile 1983, n. 2613; Cass. 6 marzo 1991, n. 2347; Cass. 24 marzo 1992, n. 3620; Cass. 27 gennaio 1995, n. 993; Cass. 12 settembre 1995, n. 9628; Cass. SU 23 marzo 1999, n. 182; Cass. 23 ottobre 2001, n. 13001; Cass. 16 luglio 2002, n. 10293; Cass. 6 dicembre 2013, n. 27402).
Con tale orientamento si e’ quindi giunti ad attribuire in via giurisprudenziale natura inderogabile alla competenza (all’epoca del Capo dell’ufficio giudiziario), oltretutto sulla base di una interpretazione esclusivamente letterale dell’articolo 28 cit. effettuata senza indagare – come prescrive l’articolo 12 preleggi l’intenzione del legislatore alla stregua dei criteri di interpretazione logico-sistematica e teleologica (vedi, per tutte: Corte Cost., sentenza n. 223 del 1991) ai quali va aggiunto il canone preferenziale dell’interpretazione conforme a Costituzione, rinforzato dal concorrente canone dell’interpretazione non contrastante con la normativa UE nonche’ con la CEDU (vedi, per tutte: Corte Cost., sentenza n. 206 del 2015).
10. Deve comunque essere precisato che entrambi i suddetti orientamenti – pur se muovendo da prospettive diverse e, quindi, utilizzando strumenti rispettivamente differenti – sono diretti a perseguire il medesimo obiettivo di garantire una risposta adeguata alla domanda azionata dal legale, partendo dalla considerazione anch’essa comune – delle peculiari caratteristiche del procedimento in oggetto, destinato a concludersi con un provvedimento sottratto alla garanzia del doppio grado di merito.
Ebbene, in base all’indirizzo che esclude la possibilita’ di proporre una domanda unica al giudice che abbia conosciuto per ultimo la controversia lo strumento migliore per dare risposta a tali esigenze e’ stato configurato nel riservare la competenza per il procedimento ex articolo 28 ad un giudice, per quanto possibile, autorevole ed esperto (il Capo dell’Ufficio).
Per l’indirizzo maggioritario, che invece consente la proposizione di una unica domanda nell’anzidetta ipotesi, la soluzione migliore per garantire una risposta il piu’ possibile adeguata, pur nell’estrema semplicita’ dello strumento processuale, e’ stata individuata nell’attribuzione della competenza al giudice che ha emesso la decisione definitiva nell’ambito del processo, sul presupposto che il giudice del grado e della fase finale del processo sia “quello particolarmente in grado di valutare le prestazioni professionali inerenti all’intero procedimento, dovendo per compito istituzionale seguire, ai fini della decisione richiestagli, lo svolgersi delle attivita’ processuali dall’atto introduttivo della lite al momento in cui il professionista ha proposto il ricorso di liquidazione in oggetto” (vedi per tutte: Cass. 10 luglio 1987, n. 6033).
E il fatto che a tale ultimo risultato si giunga in via giurisprudenziale non ne diminuisce la rilevanza, tanto piu’ che, come si e’ detto, anche l’affermazione della inderogabilita’ della competenza del giudice – che costituisce la base dell’altro orientamento e che e’ da escludere nell’attuale quadro normativo, come affermato nella sentenza n. 4485 del 2018 cit. – e’ di fonte giurisprudenziale e non legale.
11. Peraltro, deve essere sottolineato che l’orientamento minoritario, cui fa riferimento l’attuale ricorrente, si fonda sul riconoscimento della inderogabilita’ della competenza.
Ebbene, va posto in luce che nella richiamata sentenza 23 febbraio 2018, n. 4485 – dopo l’osservazione secondo cui “non parrebbe segnare una significativa differenza” il fatto che nel nuovo articolo 28 il verbo “deve” presente nel vecchio testo e’ stato sostituito dal verbo “procede” – si e’ precisato che il criterio di competenza previsto dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, comma 2, “non e’ dichiarato inderogabile espressamente dal legislatore e non si puo’ nemmeno considerarlo tale” per il fatto che le prestazioni oggetto della domanda sono legate allo svolgimento della funzione del giudice.
12. Alla suddetta condivisibile osservazione, che mina alle radici l’orientamento minoritario, nella sentenza n. 4485 cit. si aggiunge che:
a) “il criterio di competenza di cui all’articolo 14, comma 2, concerne soltanto l’ipotesi in cui si utilizzi la forma di introduzione con il procedimento sommario e si adisca l’ufficio presso il quale sono state svolte le prestazioni”;
b) “se l’avvocato non chiede il decreto ingiuntivo ed agisce con il ricorso ex articolo 702-bis, direttamente utilizzando uno dei criteri di competenza di cui al comma 1 ed al comma 3 dell’articolo 137 – recte: 637 – (non quello di cui al comma 2, che coincide con quello di cui dell’articolo 14, comma 2), l’azione resta comunque regolata dal rito sommario speciale di cui all’articolo 14, salvo appunto che per il profilo di competenza”.
Ne deriva che, nella suindicata sentenza, l’azione cumulativa ex articolo 14 cit. e’ stata considerata ammissibile, punto quindi ormai fermo, ma si e’ affermato che l’individuazione del giudice competente in tal caso deve essere effettuata in base ai commi primo e terzo dell’articolo 637 c.p.c. e non in applicazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, comma 2.
13. A tale ultimo riguardo, va preliminarmente rilevato che la precisazione richiesta dalla Sezione remittente porta ad escludere la suindicata opzione secondo cui, in caso di cumulo dell’azione per compensi relativi a vari gradi del medesimo giudizio, la soluzione possa essere costituita dalla combinazione tra le regole della competenza fissate dall’articolo 14 cit. con le regole sulla competenza fissate dall’articolo 637 c.p.c., commi 1 e 3, per il procedimento di ingiunzione.
Infatti, il sistema delineato dal nuovo testo della L. n. 794 del 1942, articolo 28 prevede due procedimenti per il recupero nei confronti del cliente dei compensi spettanti all’avvocato per l’attivita’ svolta nei giudizi civili: quello di cui agli articoli 633 c.p.c. e segg. e il procedimento speciale disciplinato dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 14).
In entrambi i casi, come indicato anche nel testo dell’articolo 28 attualmente vigente, l’azione puo’ essere proposta “dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura”, espressione complessivamente da intendere, come si e’ detto, nel senso che la “decisione della causa” e’ il provvedimento conclusivo che definisce l’intero procedimento (Cass. 21 dicembre 2007, n. 27137), ma l’azione e’ proponibile anche in caso di prestazioni relative a giudizi non compiuti per ragioni processuali oppure a giudizi giunti regolarmente a termine ma non compiuti dal professionista per revoca o rinuncia al mandato o anche a giudizi definiti con transazione (Cass. 12 luglio 2000, n. 9241) (vedi sopra punto 5).
I due procedimenti sono pero’ regolati in modo differente, anche con riguardo all’individuazione del giudice competente. E tali discipline non devono essere confuse.
14. Peraltro, ne’ il comma 1, ne’ il comma 3 dell’articolo 637 c.p.c. appaiono applicabili senza problemi al suindicato procedimento speciale.
Basta pensare che:
a) il comma 1 dell’articolo 637 prevede: “Per l’ingiunzione e’ competente il giudice di pace o in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria”, mentre l’articolo 14, comma 2, stabilisce che la decisione relativa al procedimento ex articolo 28 cit. e’ assunta dal Tribunale “in composizione collegiale”. Pertanto, si determinerebbe una asimmetria nel sistema se si affermasse che l’azione per i compensi proposta in forma distinta, qualora sia competente il Tribunale (per essere l’ufficio dinanzi al quale si e’ svolta la controversia), debba essere proposta ai sensi dell’articolo 14, comma 2, dinanzi al Tribunale collegiale, mentre quella in cumulo possa essere proposta dinanzi al Tribunale monocratico ai sensi del 637 c.p.c., comma 1;
b) il comma 3 dell’articolo 637 cit. stabilisce che: “Gli avvocati o i notai possono altresi’ proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono”. La norma e’ strettamente collegata al parere di congruita’ che deve corredare la domanda di decreto ingiuntivo nei casi previsti dall’articolo 633 c.p.c., nn. 2 e 3, anche dopo l’abrogazione delle tariffe e il vivace dibattito che ne e’ scaturito (vedi, per tutte: Cass. 15 gennaio 2018, n. 712; Cass. 5 gennaio 2011 n. 236). Mentre, nel caso in cui l’avvocato scelga la via del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 l’allegazione del suddetto parere non e’ prevista come obbligatoria.
15. Ma al di la’ di queste distonie, l’applicabilita’ dei criteri dell’articolo 637 c.p.c., commi 1 e 3, quando per l’azione in giudizio l’avvocato abbia scelto la strada del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 porterebbe all’individuazione di nuove e diverse competenze rispetto alla disciplina previgente e quindi l’interpretazione della normativa che ne deriverebbe sarebbe in contrasto con il principio fissato dalla L. Delega 18 giugno 2009, n. 69, articolo 54, comma 4, lettera a), che imponeva al legislatore delegato di tener fermi i criteri di competenza fissati dalla legislazione previgente (principio della c.d. invarianza delle competenze, piu’ volte richiamato da Cass. SU n. 4485 del 2018).
16. Il rispetto di tale ultimo principio e’ alla base anche della risposta che qui viene fornita al quesito proposto nell’ordinanza di rimessione, nel senso indicato dalla prima delle soluzioni alternative prefigurate (“resti impregiudicata la possibilita’ di chiedere i compensi per le attivita’ svolte in piu’ gradi in un unico processo dinanzi al giudice che ha conosciuto per ultimo la controversia”).
17. Da Cass. SU n. 4485 del 2018 e dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 2018, n. 24515; Cass. 18 settembre 2019, n. 23259) si desume chiaramente che le modifiche introdotte dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, con riguardo alla suddetta questione, non hanno certamente introdotto innovazioni incompatibili con l’indirizzo maggioritario di cui si e’ detto – al quale viene data sostanziale continuita’ – visto che in linea generale il legislatore ha anzi seguito gli orientamenti consolidati di questa Corte in materia, in coerenza del resto con i principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 69 del 2009.
Infatti, la nuova normativa si e’ limitata sul punto a eliminare la competenza funzionale del Capo dell’ufficio stabilendo che: “e’ competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera”, aggiungendo che “il tribunale decide in composizione collegiale” (articolo 14, comma 2, cit.).
18. Come osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 65 del 2014, la riserva di collegialita’ prevista per i procedimenti di liquidazione degli onorari forensi de quibus – caratterizzati da molteplici peculiarita’ che non si esauriscono nella sola riserva di collegialita’, ma attengono anche ai criteri di determinazione della competenza, al regime delle impugnazioni, alla possibilita’ di incardinare il giudizio in unico grado dinanzi alla Corte di appello, nonche’ di partecipare personalmente al procedimento, senza l’assistenza di un difensore – in un’ottica di valorizzazione delle garanzie defensionali, puo’ giustificarsi in termini di bilanciamento che il legislatore, con valutazione discrezionale insindacabile, ha ritenuto adeguato per compensare la riduzione dei rimedi e delle garanzie connessa, da un lato, all’esclusione dell’appello e, dall’altro lato, alla possibilita’ di partecipare personalmente al giudizio, rinunciando ad avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore.
Di qui la conclusione della Corte costituzionale secondo cui la riserva di collegialita’ per i procedimenti in esame ben puo’ costituire “una delle modalita’” attraverso le quali il legislatore ha disciplinato in maniera differenziata situazioni processuali eterogenee rispetto al modello ordinario, il che trova riscontro nell’orientamento espresso da Cass. SU 20 luglio 2012, n. 12609 e dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 3 ottobre 2019, n. 24754).
19. Ne deriva che – ad avviso della Corte costituzionale – per i giudizi di competenza del Tribunale la riserva di collegialita’ e’ da considerare come lo strumento utilizzato dal legislatore del 2011 per perseguire l’obiettivo di offrire una risposta adeguata – e rispettosa del diritto di difesa – alla domanda azionata dal legale con lo speciale procedimento in oggetto, onde compensare la riduzione dei rimedi e delle garanzie che caratterizza il procedimento stesso.
Ma deve essere precisato che la questione di costituzionalita’ esaminata nella sentenza n. 65 del 2014 cit. si riferiva esclusivamente alla composizione collegiale, anziche’ monocratica, del Tribunale e che, d’altra parte, la riserva di collegialita’ in contestazione e’ stata configurata come “una delle modalita’” attraverso le quali il legislatore ha disciplinato il suddetto procedimento speciale.
Ne consegue che tali statuizioni della Corte costituzionale risultano del tutto compatibili con la competenza per lo speciale procedimento de quo del Giudice di pace, con riguardo alla domanda di liquidazione dei compensi relativi a controversie decise da tale Giudice. Tale competenza, infatti, si deve considerare pacificamente esistente – in analogia con quanto accadeva prima con il Pretore e il Conciliatore – anche in assenza della collegialita’, potendosi desumere dalla anzidetta sentenza n. 65 del 2014 della Corte costituzionale – e, quindi, con un’interpretazione conforme alla Costituzione – che, nel caso del Giudice di pace, non e’ la “riserva di collegialita’” lo strumento previsto per compensare la riduzione dei rimedi e delle garanzie propria del procedimento speciale de quo, perche’ in questo caso tale obiettivo viene perseguito attraverso la presumibile snellezza della procedura e la semplicita’ della controversia, caratteristiche che peraltro, per la Corte costituzionale, sono “identificative” del procedimento speciale.
20. Infatti, da quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle diverse occasioni in cui ha avuto modo di esaminare il procedimento speciale in oggetto – vedi, per tutte sentenze n. 22 del 1973; n. 238 del 1976; n. 197 del 1998; n. 96 del 2008; n. 65 del 2004 – si desume che la permanenza nell’ordinamento di tale procedimento speciale la cui originaria disciplina e’ antecedente alla Costituzione – e che “si correla ontologicamente ad uno specifico giudizio contenzioso finalizzato soltanto alla sollecita liquidazione degli onorari di avvocato” per le controversie di un tipo ben delimitato (civili) – si giustifica per la sua snellezza e la tendenziale celerita’ (spec. Corte Cost., sentenza n. 96 del 2008, richiamata da Cass. 25 luglio 2013, n. 18070).
La snellezza e la tendenziale celerita’ del procedimento, unitamente con la tutela delle garanzie defensionali, condizionano, pertanto, anche l’individuazione del giudice competente, al pari delle molteplici peculiarita’ dell’istituto, la cui fisionomia non e’ stata modificata dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011 ne’ poteva esserlo, visto che la finalita’ del decreto era solo quella della riduzione e semplificazione dei riti civili (Corte Cost. sent. n. 65 del 2014 cit.).
Alle suddette caratteristiche e alla correlata tutela del diritto di difesa, risponde anche la proponibilita’ da parte dell’interessato di un giudizio in unico grado dinanzi alla Corte di appello (cui, anzi, la Corte costituzionale fa espresso riferimento nella sentenza n. 65 del 2014 cit.) per chiedere i compensi per attivita’ svolte in piu’ gradi o fasi di un unico processo, di cui la Corte d’appello sia il giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia.
E sempre in linea con le medesime esigenze va letto l’articolo 14, comma 2, cit., ove fa riferimento allo “ufficio giudiziario di merito”, con cio’ escludendo la possibilita’ di utilizzare il procedimento speciale dinanzi alla Corte di cassazione, visto che esso puo’ richiedere l’espletamento di attivita’ istruttoria. E cio’ nemmeno nel caso in cui gli onorari di cui si chiede il pagamento siano dovuti per il patrocinio dinanzi alla Corte stessa e la conseguente necessita’, a pena di inammissibilita’, della proposizione, per l’attivita’ svolta dall’avvocato dinanzi alla Corte di cassazione: (a) in caso di cassazione senza rinvio o di mancata riassunzione del giudizio di rinvio, dinanzi al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; (b) nel caso di cassazione con rinvio seguita da riassunzione del giudizio, dinanzi al giudice di rinvio (Cass. 1 agosto 2008, n. 20930). Questo trova conferma nell’articolo 14, comma 2, cit., si fa riferimento allo “ufficio giudiziario di merito”.
21. La soluzione qui data alla questione proposta con l’ordinanza di rimessione oltre a rispondere alle suindicate esigenze e’ anche compatibile con la lettera dell’articolo 14, comma 2, del Decreto Legislativo n. 150 cit. ove 3i parla di “ufficio adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera”. Infatti, l’uso del singolare (“ufficio”, e soprattutto “processo”) induce a pensare che, se l’opera e’ stata prestata in piu’ gradi del processo sia possibile un’azione unitaria e l’ufficio sia da intendere come quello che ha definito il processo e quindi l’ultimo (di merito).
22. Tale soluzione e’ altresi’ la piu’ coerente sul piano della interpretazione teleologica e sistematica (come si e’ detto sopra: vedi punto 4 e 5).
Il giudice che decide la causa nel grado superiore ha una migliore visione d’insieme dell’opera prestata dall’avvocato.
Inoltre, questa soluzione meglio risponde alle ragioni di economia processuale che presidiano l’ordinamento e mirano ad evitare moltiplicazioni dei giudizi, in linea con i principi del giusto processo.
Secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale (vedi, per tutte: Corte Cost. sent. n. 281 del 2010) l’applicazione dei principi del giusto processo comporta che, per assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’articolo 24 Cost., in coerenza con l’articolo 6 della CEDU, devono essere evitati i frazionamenti di tutela processuale per la medesima vicenda e comunque si deve dare una risposta, possibilmente celere, alla domanda di giustizia proposta, con una decisione di merito che sia esauriente.
Ne consegue che alla possibilita’, nell’anzidetta ipotesi, di rivolgersi con un’unica domanda cumulativa al giudice del merito che abbia conosciuto per ultimo della controversia – originariamente configurata come ampiamente facoltativa – ora deve essere attribuita una configurazione adeguata ai suddetti principi.
23. Al riguardo, in particolare, sono ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte i seguenti indirizzi:
a) non e’ consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilita’ si traduce in una unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, ponendosi in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (tra le tante: Cass. SU 15 novembre 2007, n. 23726;
b) le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo – si’ da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attivita’ istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – la loro proposizione in autonomi e separati e’ possibile soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata del credito (vedi, per tutte: Cass. SU 16 febbraio 2017, n. 4090; Cass. 13 agosto 2018, n. 20714; Cass. 15 ottobre 2019, n. 26089;
c) pertanto, non viola il suddetto divieto di frazionamento della tutela processuale e non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un unico credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio – nella specie per il pagamento di compensi professionali non di tipo forense – agisca con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua, in quanto tale comportamento non si pone in contrasto ne’ con il principio di correttezza e buona fede nei confronti del debitore, ne’ con il principio del giusto processo, dovendosi riconoscere il diritto del creditore a una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per i crediti provati con documentazione sottoscritta dal debitore (Cass. 18 maggio 2015, n. 10177; Cass. 7 novembre 2016, n. 22574).
24. Il suddetto adeguamento comporta quindi che, come regola generale, nel procedimento L. n. 794 del 1942, ex articolo 28 (come modificato dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articoli 14 e 34) in caso di attivita’ professionale svolta dall’avvocato in piu’ gradi e/o fasi di un giudizio in favore del medesimo cliente la domanda per i relativi compensi deve essere proposta al giudice collegiale che abbia conosciuto per ultimo della controversia.
La proposizione da parte dell’avvocato di distinte domande davanti a ciascuno degli uffici di espletamento delle prestazioni professionali senza far luogo al cumulo e’ meramente residuale ed e’ una strada percorribile soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata del credito.
25. Alla luce delle suindicate precisazioni, la controversia oggetto della causa deve quindi essere decisa sulla base del seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui un avvocato abbia scelto di agire L. 13 giugno 1942, n. 794, ex articolo 28, come modificato dalla lettera a) del comma 16 del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 34, nei confronti del proprio cliente, proponendo l’azione prevista dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 e chiedendo la condanna del cliente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in piu’ gradi e/o fasi del giudizio, la competenza e’ dell’ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa”.
III – Conclusioni.
26. In applicazione del suddetto principio il ricorso deve essere rigettato e deve essere dichiarata la competenza della Corte d’appello di Napoli, in quanto l’azione e’ stata proposta cumulativamente ed il processo si e’ svolto in due gradi, l’ultimo dei quali dinanzi alla Corte d’appello di Napoli.
27. La novita’ delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese del regolamento di competenza.
28. Poiche’ con il ricorso per regolamento di competenza ha natura impugnatoria, in considerazione del rigetto del ricorso si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dall’articolo 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la competenza della Corte d’appello di Napoli. Compensa le spese del giudizio di regolamento di competenza.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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