Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 aprile 2024| n. 10047.
L’opposizione allo stato passivo ha natura di procedimento contenzioso a cognizione piena
In tema di fallimento, l’opposizione allo stato passivo ha natura di procedimento contenzioso a cognizione piena, assimilabile all’appello, e non di volontaria giurisdizione, di talché alle relative spese di lite si applicano i parametri forensi dei giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al Tribunale.
Ordinanza|15 aprile 2024| n. 10047. L’opposizione allo stato passivo ha natura di procedimento contenzioso a cognizione piena
Data udienza 14 febbraio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Opposizione allo stato passivo – Art. 98 legge fall. – Procedimento di volontaria giurisdizione – Esclusione – Si tratta, di un procedimento contenzioso a cognizione piena – Natura impugnatoria regolato da un rito speciale (art. 99 legge fall.). Credito tributario – Prescrizione azione esattiva – Credito previdenziale – Contestazione del curatore – Inidoneità del ruolo a fondare l’ammissione al passivo –
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere Rel.
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27516/2016 R.G. proposto da:
EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE Spa, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PA.TI. (…)
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (…) Srl IN LIQUIDAZIONE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato BU.FR. (…)
– controricorrente –
avverso DECRETO di TRIBUNALE SANTA MARIA CAPUA VETERE in R.G. n. 5885/2016, n.3630/2016, depositato il 02/11/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal Consigliere ANDREA FIDANZIA.
L’opposizione allo stato passivo ha natura di procedimento contenzioso a cognizione piena
FATTI DI CAUSA
Con decreto depositato il 2.11.2016 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da Equitalia Sud Spa (ora Equitalia Servizi di Riscossione Spa) avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento Eurofridge Srl in liquidazione non ha ammesso al passivo l’importo del credito, avente natura tributaria, di Euro 1.010,43, portato dalla cartella n. (…), nonché il credito, di natura previdenziale, dell’importo complessivo di Euro 543.263,74.
Il giudice di primo grado ha giustificato l’esclusione del credito tributario, in considerazione della prescrizione della cd. azione esattiva (per la intercorsa maturazione dei termini di prescrizione della c.d. actio iudicati in epoca successiva alla notificazione delle cartelle esattoriali).
Quanto al credito previdenziale, il Tribunale ne ha motivato l’esclusione per il mancato deposito della relativa documentazione di supporto (non essendo stata provata la pregressa notificazione delle cartelle al contribuente, in ipotesi funzionale al consolidamento della pretesa) e per la inidoneità del solo estratto di ruolo a fondare l’ammissione al passivo in presenza di contestazioni del curatore.
Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione Equitalia Servizi di Riscossione Spa, affidandolo a tre motivi.
La curatela del fallimento Eurofridge Srl ha resistito in giudizio con controricorso ed ha depositato, altresì, la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
L’opposizione allo stato passivo ha natura di procedimento contenzioso a cognizione piena
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2 D.Lgs. n. 546/1992 nonché la mancata declaratoria del parziale difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Ad avviso della società ricorrente, il giudice di primo grado ha errato nello statuire l’intervenuta prescrizione della pretesa creditoria, ma avrebbe dovuto dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alle cartelle afferenti i ruoli di natura tributaria, rientrando tali crediti nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie ex art. 2 D.Lgs. n. 546/1992. 2. Il motivo è infondato.
Va osservato che, in tema di riparto della giurisdizione in ordine alle controversie in materia tributaria, le Sezioni Unite di questa Corte (vedi Cass. S.U. n. 14648/2017; conf. Cass. n. 13767/2021) hanno sottoposto recentemente a revisione l’orientamento che attribuiva alle Commissioni tributarie la cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere, estendendosi ad ogni questione riguardante l’an o il quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti della esecuzione tributaria. Ne consegue che, alla luce del nuovo orientamento, ove in sede di ammissione al passivo fallimentare il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario verificatasi successivamente alla notifica della cartella di pagamento, la controversia deve ritenersi devoluta alla cognizione del giudice cui spetta la giurisdizione in merito alla predetta obbligazione. È stato, infatti, osservato che la notifica della cartella di pagamento non impugnata (o vanamente impugnata) dal contribuente nel giudizio tributario determina il consolidamento della pretesa fiscale e l’apertura di una fase che, per chiara disposizione normativa, sfugge alla giurisdizione del giudice tributario, non essendo più in discussione l’esistenza dell’obbligazione tributaria né il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 93 R.D. n. 267/42, 33 D.Lgs. n. 112/99, 87 e 88 d.P.R. n. 602/1973, 17 e 18 D.Lgs. n. 46/1999.
Espone la ricorrente che gli artt. 87 e 88 d.P.R. n. 602/73, che consentono, in caso di fallimento del debitore, di chiedere l’ammissione al passivo della procedura del credito tributario sulla base del ruolo (e se sorgono contestazioni il credito viene ammesso con riserva), si applicano anche in caso di domanda di insinuazione del credito di natura non tributaria. Ciò in quanto l’art. 18 del D.Lgs. n. 46/1999 estende le disposizioni di cui al titolo II del d.P.R. n. 602/72 (e quindi anche l’art. 87) alle entrate riscosse mediante ruolo di cui all’art. 17, tra le quali vanno annoverate, come nel caso di specie, quelle previdenziali.
Si duole la ricorrente che il Tribunale adito non ha ammesso i crediti previdenziali insinuati al passivo solo ed esclusivamente sul rilievo della mancata prova agli atti della notifica delle cartelle di pagamento, e non in base ad una valutazione di merito.
4. Il motivo è inammissibile, per non avere la ricorrente colto la ratio decidendi.
Va osservato che, recentemente, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 33408/2021, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui “Ai fini dell’ammissibilità della domanda d’insinuazione proposta dall’agente della riscossione e della verifica in sede fallimentare del diritto al concorso del credito tributario o di quello previdenziale, non occorre che l’avviso di accertamento o quello di addebito contemplati dagli artt. 29 e 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., in l. n. 122 del 2010, siano notificati, ma è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo”. Tale principio è stato successivamente ribadito dall’ordinanza n. 37006/2022, che ha precisato che “mentre il credito tributario, ove contestato, deve essere ammesso con riserva, spettando alla giurisdizione tributaria la cognizione in ordine alla sua effettiva esistenza, quello previdenziale deve essere accertato dal giudice fallimentare, avanti al quale spetta al creditore, in caso di contestazione da parte del curatore, offrire la relativa prova”.
Nel caso di specie, il giudice di primo grado non ha affatto affermato che ai fini dell’ammissione al passivo di un credito previdenziale occorra necessariamente la notifica della cartella di pagamento. Il riferimento a tale cartella è stato fatto al solo scopo di affermare che, “non essendo stata provata la pregressa notificazione delle cartelle al contribuente, in ipotesi funzionale al consolidamento della pretesa”, l’estratto di ruolo depositato era inidoneo a fondare l’ammissione al passivo in presenza di contestazioni del curatore: tali contestazioni, essendoci effettivamente state, oneravano la società ricorrente al deposito della “relativa documentazione a supporto della pretesa oggetto di contestazione del curatore”. In sostanza, il difetto di prova della notifica della cartella di pagamento è stato considerato dal Tribunale solo come un elemento impeditivo, pur in mancanza di opposizione, al consolidamento della pretesa.
Ne consegue che il giudice di primo grado non ha ammesso il credito previdenziale vantato dalla ricorrente non – come afferma quest’ultima – perché, ai fini della presentazione della domanda di insinuazione, è stata ritenuta imprescindibile la notifica della cartella di pagamento, e non sufficiente il deposito dell’estratto di ruolo, ma perché, in presenza di contestazioni del curatore, Equitalia non aveva fornito la prova della pretesa oggetto di contestazione, non avendo prodotto in giudizio documentazione giustificativa a supporto. Il giudice di primo grado ha quindi fatto corretto uso dei principi di questa Corte, svolgendo una valutazione di merito che non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, nei ristretti limiti di cui all’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ. (vizio neppure dedotto dalla ricorrente).
5. Con il terzo motivo e stata dedotta la violazione del combinato disposto dell’art. 13 comma 6° L. n. 247/2012 e dell’art. 14 D.M. n. 55/2014.
Si duole la ricorrente che il Tribunale, nel liquidare le spese di lite a favore della procedura nell’importo di Euro 9.000,00, oltre accessori di legge, avrebbe violato i c.d. parametri forensi.
Infatti, considerato il valore della causa in Euro 547.737,12, il Tribunale avrebbe dovuto riferirsi ai giudizi in camera di consiglio di cui all’art. 737 cod. proc. civ., per i quali i citati parametri prevedono per il suddetto scaglione la liquidazione di un importo massimo di Euro 4.320,00, più un eventuale incremento del 30%, e quindi Euro 5.616,00.
6. Il motivo è infondato.
Va osservato che il procedimento di opposizione allo stato passivo non è affatto un procedimento di volontaria giurisdizione, tanto è vero che le norme che lo disciplinano non richiamano in alcun modo il procedimento camerale di cui all’art. 737 e s. cod. proc. civ. Si tratta, infatti, di un procedimento contenzioso a cognizione piena, avente natura impugnatoria (sia pur non assimilabile all’appello) che è regolato da un rito speciale (art. 99 legge fall.). Infondate sono quindi le censure con cui la ricorrente contesta l’erronea applicazione dei “parametri forensi”, dato che si devono applicare non i parametri relativi ai procedimenti di volontaria giurisdizione, ma quelli relativi ai “giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al Tribunale”, che prevedono, con riferimento allo scaglione di cui è causa, importi pienamente compatibili con la somma di Euro 9.000,00 liquidata dal Tribunale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
L’opposizione allo stato passivo ha natura di procedimento contenzioso a cognizione piena
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 14.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply