Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 12 marzo 2019, n. 7028.
La massima estrapolata:
Le opere necessarie per eliminare le barriere architettoniche sono di fondamentale importanza per la vivibilità dell’appartamento con la conseguenza che nel valutare la legittimità o meno dell’installazione di un ascensore nel vano scale da parte del singolo condominio si deve tenere conto del principio di solidarietà, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili
Sentenza 12 marzo 2019, n. 7028
Data udienza 29 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22527/2014 R.G. proposto da
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS);
– ricorrente in via incidentale –
e
(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS) con domicilio eletto in (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 793/2014, depositata in data 27.3.2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.11.2018, dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persone del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso, chiedendo l’accoglimento del terzo, del sesto, dell’ottavo e del dodicesimo motivo del ricorso principale, con assorbimento o rigetto di quello incidentale;
uditi l’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS), per delega dell’avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata in data 27.1.2000, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), esponendo di esser proprietari di un appartamento sito al secondo piano dell’edificio sito in (OMISSIS), acquistato da (OMISSIS) in data (OMISSIS); che i convenuti, titolari di porzioni esclusive facenti parte del condominio, avevano radicalmente modificato l’immobile, realizzando una sopraelevazione, un ascensore e numerose innovazioni vietate.
Hanno chiesto di condannare le controparti: a) al pagamento dell’indennita’ di sopraelevazione; b) ad eliminare l’ascensore realizzato all’interno dell’androne comune, l’apertura creata sulla parete perimetrale ad est dell’edificio, gli scarichi posti sulle terrazze del terzo piano e nel sottotetto e a ripristinare il precedente sistema di scolo, il marciapiedi lungo il lato est del fabbricato e le tubazioni di scarico interrate, gli angolari in acciaio ancorati ai gradini al piano terra fino al pianerottolo al secondo piano, il quadro elettrico sul vano scale condominiale, due tubazioni poste lungo le pareti perimetrali est e sud del fabbricato per il passaggio di acque nere, il cancello carraio lungo il lato ovest, il vano per il ricovero di oggetti vari insistente su uno spazio scoperto condominiale, nonche’ c) a ricostruire il tetto secondo l’originaria forma e tipologia e a ripristinare la botola di accesso al sottotetto.
Hanno altresi’ chiesto il risarcimento del danno o il pagamento di un indennizzo in caso di mancato accoglimento delle domande di riduzione in pristino, con vittoria di spese.
I convenuti hanno resistito alla domanda, instando per la chiamata in causa di (OMISSIS), originario proprietario della unita’ abitativa, venduta successivamente, in data (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS), assumendo di avergli corrisposto l’indennita’ di sopraelevazione e chiedendo di essere manlevati in caso di condanna.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 2453/2007, ha condannato i convenuti al pagamento dell’indennita’ di sopraelevazione pari ad Euro 13.532,73 oltre accessori e ha dichiarato l’illegittimita’ dell’ascensore collocato nel vano scala, delle terrazze a livello create in sostituzione del tetto a falde, del nuovo sistema di scarico delle acque, del cancello carraio, ordinando il ripristino della botola che conduceva al vano sottotetto e della canna fumaria di proprieta’ esclusiva, respingendo alcune domande che qui non richiama.
Ha inoltre dichiarato il difetto di legittimazione passiva di (OMISSIS) rispetto alla domanda di manleva proposta dai convenuti, disponendo la separazione della causa.
Con sentenza n. 629/2011 il medesimo Tribunale ha condannato i convenuti al pagamento di Euro 14.522, 76 oltre accessori, a titolo di risarcimento dei danni per le modifiche non eliminabili, dichiarando la cessazione della materia del contendere sulle altre domande e regolando le spese.
Entrambe le sentenze, impugnate in via principale da (OMISSIS) e da (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche’ in via incidentale da (OMISSIS) e (OMISSIS), sono state confermate dalla Corte distrettuale di Venezia sulla scorta delle medesime argomentazioni poste a base della sentenza di primo grado.
La cassazione della sentenza di appello e’ chiesta da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di 19 motivi di ricorso, illustrati con memoria. I ricorrenti hanno inoltre depositato controricorso in replica al ricorso incidentale di (OMISSIS).
(OMISSIS) ha depositato controricorso con ricorso incidentale in un unico motivo e memoria illustrativa.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale censura l’omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che la sentenza non abbia considerato che la sopraelevazione ed i lavori al fabbricato erano stati ultimati in data 30.3.1997, allorquando (OMISSIS) era ancora condomino ed aveva gia’ ottenuto il pagamento dell’indennita’ ex articolo 1127 c.c..
Il secondo motivo censura la violazione dell’articolo 1127 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando che la Corte d’appello abbia attribuito a (OMISSIS) e ad (OMISSIS) l’indennita’ di sopraelevazione benche’ fosse stata gia’ versata al (OMISSIS). Si assume inoltre che, al momento della vendita del (OMISSIS), i lavori erano gia’ iniziati ed in parte completati nelle loro strutture essenziali almeno riguardo al tetto, come era evincibile dalle risultanze probatorie.
I due motivi, che vertono su questioni connesse e vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
Non sussiste la denunciata violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiche’ la Corte di merito, valutando le risultanze istruttorie (in particolare, l’interrogatorio formale dei resistenti e le dichiarazioni del teste (OMISSIS)), ha ritenuto che le opere fossero state ultimate dopo della vendita del (OMISSIS) (cfr. sentenza pag. 24), e non, come sostenuto dai ricorrenti, gia’ alla data del 30.3.1997.
La censura sollecita, in realta’, un diverso apprezzamento delle prove che non puo’ avere ingresso in sede di legittimita’ neppure il tramite la denunciata violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non puo’ investire il modo in cui il giudice abbia valutato le risultanze processuali e che non puo’ prospettarsi ove il fatto sia stato valutato, pur senza dar atto di tutti gli elementi acquisiti al processo (Cass. s. u. 8053/2014; Cass. 11892/2016).
La circostanza che essi fossero iniziati prima del (OMISSIS) non consentiva di riconoscere in capo al (OMISSIS) l’indennita’ ex articolo 1127 c.c..
Detta indennita’, che trova fondamento in un’ipotesi di responsabilita’ da atto lecito, matura allorquando l’ampliamento in altezza dell’edificio o la creazione di una maggior volumetria o superficie della porzione posta all’ultimo piano determini un aumento proporzionale del diritto di comproprieta’ sulle parti comuni e un maggior utilizzo di queste ultime da parte del condomino che abbia realizzato la sopraelevazione (Cass. 16794/2007; Cass. 23256/2016; Cass. 22032/2004).
Essa compete – pertanto – a colui che rivestiva la qualifica di condomino al tempo della sopraelevazione od ai suoi successori secondo le regole che disciplinano il subentro nei diritti di credito, non a colui che sia divenuto successivamente contitolare delle parti comuni.
Difatti, valendo detta indennita’ come corrispettivo del valore dell’area che l’autore della sopraelevazione sottrae agli altri comproprietari, e’ solo dal momento in cui l’opera e’ realizzata che si produce una perdita di utilita’ e di sfruttamento da parte degli altri condomini, poiche’ e’ solo in tale momento che viene ad esser ridotto il diritto di comunione di questi ultimi sull’area edificabile (Cass. 1463/1962; Cass. 664/1967; Cass. 3453/1962; Cass. 1263/1999).
1.1. In ogni caso, l’epoca di ultimazione dei lavori e lo stato del loro completamento sono state oggetto di un accertamento in fatto (cfr. sentenza pag. 24), che sfugge al sindacato di legittimita’ per violazione di legge.
L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si riferisce al tipico “error in iudicando” e, nel menzionare la violazione o falsa applicazione di legge, sintetizza i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioe’ quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso esaminato e – il secondo – l’applicazione della norma alla fattispecie concreta, una volta correttamente individuata ed interpretata. In relazione al primo momento, la violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata. La falsa applicazione consiste invece o nell’assumere la fattispecie concreta sotto una norma non applicabile o nel trarre dalla norma conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass. 13.12.2012, n. 22912; Cass. 26.9.2005, n. 18782; Cass. 11.8.2004, n. 15499; Cass. 7.8.2003, n. 11936).
Per contro, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e invade la tipica valutazione del giudice di merito.
2. Il terzo motivo censura la violazione della L. n. 13 del 1989, articolo 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando alla Corte di merito di aver ritenuto illegittima, per violazione dell’articolo 1120 c.c., l’installazione dell’ascensore, non considerando che l’impianto era necessario per la presenza, nello stabile, di un soggetto portatore di inabilita’. Assumono i ricorrenti che il danno non poteva essere quantificato nell’importo di Euro 3821,78 e che l’impianto non poteva considerarsi illegittimo, data la limitata portata della modifica arrecata ai gradini ed il ridotto pregiudizio determinato dalla apertura della porta dell’ascensore.
Il motivo e’ fondato.
La Corte distrettuale, confermando le conclusioni cui era giunto il tribunale, ha stabilito che l’ascensore era stato realizzato in violazione degli articoli 1102 e 1120 c.c. (cfr. sentenza pag. 26 e ss.) e tale accertamento escludeva la legittimita’ dell’impianto anche alla stregua delle disposizioni della L. n. 13 del 1989, poiche’ l’articolo 2, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, faceva salvi i limiti imposti dall’articolo 1120 c.c., comma 2, (Cass. 6129/2017; Cass. 4096/2012), il che di per se’ escludeva l’applicabilita’ della normativa volta al superamento delle barriere architettoniche.
Tuttavia, nel valutare l’effettiva incidenza sul godimento e l’utilizzazione degli spazi comuni da parte degli altri condomini, la sentenza ha erroneamente dato rilievo al fatto che l’ascensore aveva occupato parte del pianerottolo comune, aveva modificato il vano scale con invasione e riduzione dei gradini, limitando la luminosita’ dell’appartamento dei resistenti.
La pronuncia non e’, sul punto, conforme a diritto, poiche’ il limite fissato dall’articolo 1120 c.c., u.c., non si indentifica nel semplice disagio ovvero nel minor godimento che l’innovazione procuri al singolo condomino rispetto a quella goduta in precedenza, ma con l’inutilizzabilita’ del bene secondo la sua normale destinazione (Cass. 21342/2018; Cass. 15308/2011).
Proprio con riguardo all’installazione dell’ascensore nel vano scale, questa Corte ha precisato che la limitazione, per alcuni condomini, della originaria possibilita’ di utilizzazione delle scale e dell’andito occupati dall’impianto non rende l’innovazione lesiva del divieto posto dall’articolo 1120 c.c., comma 2, anche se, se a fronte della minore utilizzabilita’ delle parti comuni, gli altri comproprietari non abbiano ricevuto alcun vantaggio compensativo (Cass. 15308/2011; Cass. 2010/9033; Cass. 4152/1994).
La sola riduzione dei gradini o l’occupazione dello spazio comune, disgiunta dall’accertamento dell’impossibilita’ di servirsi delle scale o dello spazio condominiale, o dal concreto apprezzamento della riduzione di luminosita’ alla porzione esclusiva, non consentivano di ritenere l’opera in contrasto con il limite imposto dall’articolo 1120 c.c., comma 2. e non giustificavano il risarcimento del danno (sostitutivo della riduzione in pristino), dato che la stessa coesistenza di piu’ unita’ immobiliari in un unico fabbricato richiede il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi della convivenza che e’ propria dei rapporti condominiali, dei contrapposti interessi dei singoli proprietari.
3. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dolendosi che la Corte di merito, incorrendo in ultra-petizione, abbia confermato la statuizione con cui il primo giudice aveva dichiarato d’ufficio del difetto di legittimazione passiva di (OMISSIS), ritenendo che, sebbene l’interessato non avesse sollevato alcuna eccezione, la questione fosse rilevabile d’ufficio.
Il motivo e’ infondato.
La circostanza che la Corte di merito abbia ritenuto rilevabile d’ufficio, in luogo che su eccezione di parte, il difetto di titolarita’ passiva del rapporto controverso, non puo’ in alcun caso dar luogo al vizio di ultra-petizione, potendo al piu’ sostanziare una violazione di legge, peraltro neppure sussistente in concreto.
Questa Corte, componendo un contrasto tra le sezioni semplici, ha recentemente precisato che, a differenza della legittimazione ad agire (che attiene al diritto di azione e spetta a chiunque intenda tutelare un diritto, assumendo di esserne titolare), la titolarita’ del rapporto sostanziale controverso attiene direttamente alla posizione soggettiva vantata in giudizio ed e’ elemento costitutivo della pretesa che l’attore ha l’onere di allegare e di provare, potendo tuttavia il giudice tener conto di tutte le risultanze processuali e della stessa condotta processuale del convenuto che risulti incompatibile con la suddetta contestazione.
Il difetto di titolarita’ del rapporto in contestazione puo’ esser eccepito o rilevato d’ufficio/anche in sede di legittimita’/sempre che risulti dagli atti in base a documenti (o ad altri mezzi di prova) ritualmente acquisiti nel corso del giudizio di merito (Cass. 10531/2013; Cass. 13792/2016; Cass. s. u. 2951/2016).
4. Il quinto motivo denuncia il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la Corte territoriale abbia omesso di definire la domanda di risarcimento del danno che i ricorrenti avevano proposto verso (OMISSIS) e che trovava titolo nella percezione da parte di questi dell’indennita’ di sopraelevazione.
Il sesto motivo censura la violazione dell’articolo 106 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando alla Corte di merito di aver qualificato la domanda proposta verso il (OMISSIS) come garanzia impropria a causa dell’assenza di un rapporto contrattuale diretto tra il questi e i ricorrenti; che, per contro, gia’ in primo grado era stato dedotto che il (OMISSIS) aveva percepito l’indennita’ di occupazione e che questi, nell’ipotesi che il giudice avesse ritenuto che detta indennita’ spettava ai successivi acquirenti, fosse condannato a risarcire i danni provocati dall’indebita percezione delle somme. Si configurava, quindi, non un’ipotesi di garanzia impropria, ma di chiamata del terzo quale responsabile del danno, non occorrendo, comunque, neppure nelle ipotesi di vera e propria garanzia impropria, la sussistenza di alcun rapporto contrattuale diretto tra le parti.
I due motivi – che vertono sulle medesime questioni e che vanno esaminati congiuntamente – sono inammissibili per le osservazioni che seguono.
I ricorrenti erano stati convenuti in giudizio per il pagamento dell’indennita’ di sopraelevazione, che essi sostenevano di aver gia’ corrisposto al (OMISSIS), ed avevano chiamato in causa quest’ultimo per essere manlevati per l’ipotesi che fossero stati condannati a versare nuovamente la suddetta indennita’ in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), successivi acquirenti dell’immobile, oltre che per ottenere il ristoro “degli ulteriori danni, spese, costi di ripristino, minor valore dell’immobile e quant’altro riconosciuto a favore degli attori”.
Si evince dal controricorso (pag. 26) ed e’ confermato dall’esame della sentenza di primo grado, che il Tribunale aveva distinto le pretese dei ricorrenti aventi titolo nel pagamento dell’indennita’ di sopraelevazione, da quelle relative agli ulteriori pregiudizi lamentati in giudizio, osservando che le prime richiedevano la proposizione di un’azione di indebito oggettivo, che non essendo stata formulata, poteva e doveva essere azionata separatamente, salva l’eventuale prescrizione (cfr. sentenza di primo grado, pag. 23), e che le residue richieste erano precluse dalla mancanza di un rapporto contrattuale diretto tra i condomini che avevano sopraelevato e il (OMISSIS).
La statuizione con cui il tribunale, ricondotta la pretesa originata dal pagamento alla previsione dell’articolo 2033 c.c., ha ritenuto non proposta la domanda di ripetizione, non risulta censurata in appello mentre e’ solo con riferimento alle ulteriori richieste risarcitorie che il giudice di primo grado ha ritenuto configurabile un’ipotesi di garanzia impropria (tanto che, come risulta dalla decisione impugnata, i ricorrenti hanno replicato in sede di gravame che il titolo posto a fondamento della chiamata del terzo doveva rinvenirsi nel preliminare del 28.7.1997; cfr. sentenza di appello, pag. 19 e 20).
Di conseguenza, la domanda fondata sul pagamento dell’indennita’, per come riqualificata dal Tribunale, essendo stata definita in rito con pronuncia passata in giudicato, non puo’ essere riesaminata neppure dalla diversa angolazione prospettata dai ricorrenti.
5. Il settimo motivo censura la violazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la sentenza non abbia prudentemente valutato le risultanze processuali ed abbia omesso di considerare che, con il contratto preliminare del 28.7.1997, sottoscritto dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) e il (OMISSIS), i resistenti si erano dichiarati a conoscenza ed avevano prestato il consenso ai lavori in corso di esecuzione presso l’edificio condominiale, accollandosi le relative spese, e che, con altra scrittura, redatta in pari data, era stato acconsentito a (OMISSIS) di eseguire i lavori ai terrazzi. A tali documenti occorreva riconoscere la natura di confessione stragiudiziale relativamente al consenso prestato all’effettuazione delle opere.
Si assume inoltre che, poiche’ le opere erano state ultimate il 30.3.1997, prima degli accordi del 28.7.1997, i resistenti erano consapevoli di quali lavori avessero accettato.
Il motivo e’ infondato poiche’ la sentenza di appello, esaminando il contenuto delle dichiarazioni con cui il (OMISSIS) aveva acconsentito all’effettuazione dei lavori di straordinaria manutenzione e alla sopraelevazione, assumendosene l’onere per quanto di sua spettanza, ha precisato che tale consenso non poteva ricomprendere anche le numerose violazioni e i danni derivati dall’esecuzione dei lavori (lesione del decoro architettonico, imposizione o eliminazione di servitu’, pregiudizi non eliminabili con la riduzione in pristino).
Tale apprezzamento, del tutto corretto e condivisibile, e’ comunque incensurabile poiche’ competeva comunque al giudice di merito l’indagine sul contenuto e sul significato delle dichiarazioni della parte, al fine di stabilire se esse comportassero il riconoscimento di un fatto contrario al dichiarante (Cass. 1428/1980; Cass. 4940/1978; Cass. 2239/1967; Cass. 827/1966), non essendo in alcun caso censurabile in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., poiche’ dette norme sono invocabili allorche’ il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali o considerato come facenti piena prova, recependoli senza vaglio critico, elementi soggetti a valutazione (Cass. 13960/2014; Cass. 11892/2016; Cass. 13960/2014).
6. L’ottavo motivo denuncia violazione degli articoli 115 e 166, 329 e 345 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la pronuncia abbia errato nel quantificare l’indennita’ di sopraelevazione, poiche’, aderendo alle conclusioni del c.t.u., specificamente contestate in giudizio, non ha considerato che il valore dell’area libera di costruzione era inferiore di circa il 50% rispetto a quello accertato, e, nel quantificare il danno, occorreva detrarre dal computo complessivo i millesimi di proprieta’ dei ricorrenti.
Inoltre la Corte di merito non poteva considerare inammissibili i rilievi mossi dai tecnici di parte a causa del mancato deposito di osservazioni entro il termine concesso dal c.t.u..
Il motivo e’ fondato.
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibili le censure relative alla quantificazione dell’indennita’ di sopraelevazione, avendo rilevato che al termine del sopralluogo, il consulente aveva invitato i consulenti di parte a trasmettere un promemoria entro il 12.5.2008, invito che non aveva avuto alcun seguito.
Premesso che il giudizio di primo grado e’ stato proposto prima dell’entrata in vigore dell’articolo 195 c.p.c., comma 3, nel testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009, articolo 46, deve ritenersi che le parti potessero legittimamente formulare critiche dopo il deposito della relazione da parte del consulente tecnico d’ufficio, atteso che il diritto ad intervenire alle operazioni tecniche anche a mezzo di consulenti tecnici, non riguarda la stesura della relazione, che e’ atto riservato al consulente d’ufficio, ma soltanto l’accertamento materiale dei dati da elaborare (Cass. 5897/2011; Cass. 24792/2010; Cass. 2297/1973).
Questa Corte ha inoltre stabilito – riguardo al regime applicabile ratione temporis – che nessuna preclusione in appello puo’ derivare da eventuali mancate censure delle conclusioni del c.t.u. di primo grado, che siano state recepite nella sentenza, restando fermo solo l’obbligo di impugnare con motivi specifici la pronuncia, per la parte in cui si rapporta, in positivo o in negativo, alla relazione dell’ausiliare (Cass. 16684/2003; Cass. 5696/2004; Cass. 1920/1998).
Non e’ – inoltre – configurabile un’acquiescenza rispetto alle conclusioni tecniche del consulente, per il solo fatto che la parte non le abbia censurate subito dopo il loro deposito nel grado in cui siano state elaborate, poiche’ l’articolo 329 c.p.c. stabilisce che passano in giudicato, se non impugnate, le sole statuizioni contenute nella sentenza (Cass. 16292/2009).
7. Il nono motivo denuncia la violazione dell’articolo 1131 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte territoriale abbia pronunciato sulla legittimazione attiva dei condomini riguardo dell’azione di riduzione in pristino sebbene i ricorrenti avessero contestato la propria legittimazione passiva, sostenendo che la domanda potesse esser proposta esclusivamente nei confronti dell’amministratore del condominio.
Il motivo nei termini in cui e’ proposto e’ infondato, poiche’ la sentenza ha correttamente respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva dei ricorrenti, precisando che le contestazioni sollevate in primo grado avevano ad oggetto i lavori eseguiti dai singoli condomini sulle parti comuni ai danni degli altri e che non era possibile imputare tali attivita’ direttamente al condominio (cfr. sentenza pag. 22).
Non si configura difatti la responsabilita’ del condominio per il compimento di opere lesive delle porzioni comuni, ove gli interventi siano stati realizzati dai singoli e se il condominio non abbia concorso in alcun modo nell’esecuzione dei lavori e nella produzione del danno (Cass. 18168/2014; Cass. 642/2003; Cass. 2998/1981; Cass. 2991/1964).
8. Il decimo motivo denuncia la violazione dell’articolo 1136 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la sentenza non poteva escludere l’applicabilita’ delle norme del condominio minimo (richiamando erroneamente la pronuncia di legittimita’ n. 2046/2011, che era inconferente). Nel caso in esame, le opere erano state assentite dagli altri condomini e, trattandosi di condominio minimo, non occorreva una delibera assembleare, posto comunque che gli interventi erano urgenti.
Il motivo e’ infondato.
Sia in primo che in secondo grado si era discusso dei danni alle proprieta’ esclusive, tema riguardo al quale non veniva in considerazione l’articolo 1134 c.c., norma che disciplina il regime del rimborso delle spese anticipate dal singolo condomino sulle parti comuni nell’interesse anche degli altri comproprietari, conseguendone che correttamente la sentenza non ne ha tenuto conto.
Il fatto che poi il (OMISSIS) avesse assentito i lavori e che, trattandosi di condominio minimo, non occorresse una delibera assembleare, non escludeva il diritto al risarcimento del danno, poiche’ il consenso all’esecuzione dei lavori, come affermato dal giudice distrettuale, non poteva implicare alcuna accettazione dei danni ne’ alcuna rinuncia preventiva a richiederne la riparazione.
9. L’undicesimo motivo censura la violazione dell’articolo 1127 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che l’indennita’ di sopraelevazione andava calcolata in base al valore della area da occupare con riferimento alla data di inizio dei lavori, mentre la sentenza, senza dare risposta ai rilievi formulati dai tecnici di parte, avrebbe preso in considerazione il valore al momento della pronuncia, senza applicare la riduzione del 30% suggerito dal c.t.u., Il motivo e’ infondato.
Si e’ gia’ detto che il diritto all’indennita’ di sopraelevazione trova titolo nella responsabilita’ da atto lecito del proprietario dell’ultimo piano che, nel realizzare la sopraelevazione, abbia accresciuto il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio.
Si e’ in presenza di un debito di valore da determinarsi con riferimento al tempo della sopraelevazione, in base al valore dell’opera come risultante dalla rivalutazione maturata nel periodo intercorrente tra le la realizzazione del piano e la pronuncia (Cass. 9032/1987; Cass. 630/1972; Cass.4681/1981).
Per il resto, la circostanza che la sentenza non abbia ritenuto di ridurre il valore dell’immobile del 30%, conformemente alle indicazioni del c.t.u., e’ profilo che attiene al merito e che esula dalla denunciata violazione di legge.
10. Il dodicesimo motivo censura la violazione dell’articolo 1127 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che erroneamente siano stati riconosciuti gli interessi e la rivalutazione dalla data in cui era sorto il credito, mentre andavano calcolati dalla messa in mora, che nella specie non era stata mai inviata.
Inoltre, avendo fissato la decorrenza degli interessi dal 30.3.1997, la Corte non avrebbe considerato che a quella data la qualita’ di condomino era ancora in capo al (OMISSIS), che, anche per tale motivo, doveva ritenersi l’unico legittimato a ricevere l’indennita’.
Il motivo e’ parzialmente fondato.
L’indennita’ di sopraelevazione e’ oggetto di un debito di valore cui non si applica la regola dettata dall’articolo 1224 c.c. per quelli di valuta, per cui gli accessori decorrono non dalla costituzione in mora, ma dal giorno di ultimazione del manufatto (Cass. 8096/2014; Cass. 12292/2003).
Tuttavia gli interessi e la rivalutazione dovevano esser calcolati a partire dalla data di effettiva ultimazione delle opere e non dal loro inizio (cfr. sentenza, pag. 25) per cui la sentenza e’ errata nel punto ha fissato la decorrenza della rivalutazione secondo indici istat e degli interessi legali dal marzo 1997, pur avendo stabilito che i lavori erano stati ultimati successivamente.
11. Il tredicesimo motivo censura la violazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto che i lavori eseguiti dai ricorrenti non fossero urgenti e necessari, sebbene essi fossero indispensabili per porre in sicurezza dell’edificio, per garantire il risparmio energetico e per realizzare l’ascensore, essendo emerso dalla perizia commissionata da tutti i condomini che sussisteva la necessita’ di eseguirli senza differimenti, dato il precario stato di manutenzione dello stabile.
Il motivo e’ infondato poiche’ il requisito di urgenza e l’utilita’ degli interventi poteva incidere – ai sensi dell’articolo 1134 c.c. – sull’eventuale diritto al rimborso pro quota della spesa anticipata dai ricorrenti, mentre era estraneo al tema dibattuto in giudizio, che verteva esclusivamente sulla sussistenza delle molteplici violazioni contestate e sulla lesione dei diritti dei condomini sulle parti comuni ai fini del risarcimento del danno.
12. Il quattordicesimo motivo censura la violazione dell’articolo 1120 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte distrettuale abbia ritenuto illegittime le opere ai sensi dell’articolo 1120 c.c., mentre occorreva considerare che gli interventi erano stati compiuti nell’esercizio della facolta’ concesse dall’articolo 1102 c.c., poiche’ tutte le opere erano state eseguite a spese dei ricorrenti e perche’ gli interventi al tetto erano urgenti ed erano state autorizzati dagli altri proprietari, mentre le altre opere erano finalizzate ad un migliore utilizzo dell’edificio.
Il motivo e’ infondato.
La legittimita’ delle opere seguite dai ricorrenti e’ stata specificamente valutata gia’ dal tribunale con riferimento sia ai limiti delle innovazioni vietate ai sensi dell’articolo 1120 c.c., che con riferimento alle facolta’ contemplate dall’articolo 1102 c.c. e pertanto la circostanza che le spese relative agli interventi fossero integralmente a carico dei ricorrenti non poteva impediva di ordinare il risarcimento del danno.
Sebbene l’articolo 1120 c.c. tende a disciplinare l’approvazione di quelle sole innovazioni che comportino oneri di spesa per tutti i condomini, occorre pero’ considerare che, ove la spesa relativa alle innovazioni sia interamente a carico di uno o piu’ condomini, trova applicazione la norma generale di cui all’articolo 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante puo’ pero’ servirsi della cosa comune sempre che non leda i diritti sui beni comuni o sulle singole proprieta’ esclusive (Cass. 24006/2004; Cass. 3508/1999).
13. Il quindicesimo motivo denuncia la violazione dell’articolo 1079 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la sentenza abbia erroneamente ritenuto ammissibile la condanna dei ricorrenti al pagamento dell’indennita’ di sopraelevazione maggiorata di un ulteriore importo a titolo di risarcimento del danno, invocando l’articolo 1079 c.c. senza che fosse stata proposta un’actio con fessoria o negatoria servitutis, tralasciando che l’indennita’ era volta proprio a compensare il minor utilizzo delle parti comuni da parte degli altri comproprietari ed il decremento di valore delle porzioni esclusive.
Il motivo e’ fondato nei termini che seguono.
L’indennita’ di sopraelevazione ex articolo 1127 c.c., comma 4, deriva dalla responsabilita’ da atto lecito del proprietario dell’ultimo piano che, realizzando la sopraelevazione, abbia aumentato il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio.
Sebbene non includa, neppure implicitamente, la richiesta risarcitoria derivante dalla compromissione statica o architettonica dell’edificio, ovvero dalla diminuzione di aria e luce ai piani sottostanti, azione che origina, al contrario, dal fatto illecito dei singoli ex articolo 2043 c.c., tuttavia implica un giudizio di liceita’ dell’opera che, ove eseguita, non legittima ulteriori pretese risarcitorie.
In altri termini, l’azione volta al pagamento dell’indennita’ ex articolo 1227 c.c. suppone l’accertata inesistenza dei presupposti applicativi dell’articolo 2043 c.c. (Cass. 23256/2016; Cass. 1694/1975).
La Corte di merito, riconoscendo, in relazione alla sopraelevazione, sia l’indennita’ che il risarcimento, e’ quindi incorsa nella violazione denunciata.
13. Il sedicesimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza asserito che la c.t.u. era esente da errori, trascurando che il consulente non doveva commisurare l’indennizzo al minor godimento delle parti esclusive (salvo che per la canna fumaria), ma a quello delle parti comuni e doveva ripartire l’indennita’ in base ai millesimi di proprieta’.
Il motivo e’, per piu’ aspetti, inammissibile.
La circostanza che il giudice di merito abbia ritenuto esaustiva la c.t.u., benche’ quest’ultima avesse determinato l’indennizzo per la svalutazione dell’immobile in base a parametri asseritamente errati, non sostanzia il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiche’ la norma, nella sua formulazione attuale, consente di censurare l’omessa valutazione di una circostanza di fatto, intesa come accadimento oggettivo, risultante dagli atti o dalla pronuncia, ed avente carattere decisivo, senza alcuna attinenza a valutazioni, questioni o punti della controversia (Cass. 17761/2016; Cass. 21152/2014).
Inoltre il fatto che il danno sia stato computato in base al valore di proprieta’ dell’immobile dei resistenti e non sul minor godimento delle parti comuni in rapporto ai millesimi di proprieta’, non trova riscontro nella sentenza impugnata e il motivo di censura non indica dove e quando la questione sia stata dibattuta, ne’ riporta neppure per sintesi le critiche mosse alla relazione tecnica ed il contenuto di quest’ultima al fine di evidenziare la sussistenza della violazione denunciata.
Giova ricordare che per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, e’ necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa gia’ dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisivita’ e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. 11482/2016; Cass. 16368/2014; Cass. 13845/2013).
14. Il diciassettesimo motivo censura la violazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo che la sentenza, nel determinare il valore delle proprieta’ dei resistenti, non abbia tenuto conto di quello risultante dal preliminare di acquisto e dal rogito di trasferimento, pari rispettivamente ad Euro 91.929,33 e ad Euro 74.886,25, avendo recepito acriticamente gli accertamenti del c.t.u., che aveva stimato un importo pari ad Euro 133.762,34.
Il diciottesimo motivo censura la violazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte distrettuale ritenuto provati e comunque incontestati i danni all’immobile dei resistenti e per averli liquidati nell’importo di Euro 5500,00, benche’ alla data dell’atto di trasferimento (30.10.1997) i lavori fossero gia’ ultimati e quindi nulla potesse emergere riguardo alla condizione dei beni prima del trasferimento.
La stima e l’accertamento del danno sarebbe stata desunta da una c.t.u. meramente esplorativa, che nulla aveva riferito in proposito, e che era, a sua volta, fondata su una consulenza di parte redatta nel 1999, priva di valore probatorio.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Corte di merito, con apprezzamento in fatto, ha conferito prevalenza alle conclusioni del c.t.u. e alle valutazioni espresse nell’elaborato per stabilire il valore delle proprieta’ esclusive dei resistenti.
Non era decisivo che il prezzo degli immobili risultante dai rogiti fosse inferiore al valore dei beni recepito in sentenza, poiche’ il preliminare e il successivo atto di trasferimento erano stati perfezionati anni prima, mentre occorreva calcolare l’indennita’ con riferimento in base ai valori attualizzati al momento della decisione, trattandosi di debito di valore.
14.1. I danni agli immobili dei resistenti sono stati riscontrati sulla base della situazione di fatto descritta dal c.t.u. e sulla base delle testimonianze assunte in giudizio (cfr. sentenza pag. 27 e ag. 31). Non si profila quindi la violazione denunciata ne’ con riguardo all’articolo 2697 c.c.(poiche’ la decisione non si fonda sull’applicazione del criterio formale dell’onere della prova, ne’ tale onere e’ stato erroneamente posto a carico della parte che non ne era gravata in base alla scissione, riguardo alla fattispecie concreta, tra fatti costitutivi, oggetto della domanda, e fatti deducibili in via di eccezione), ne’ con riferimento all’articolo 116 c.p.c., la cui violazione e’ denunciabile in cassazione solo se il giudice di merito: a) abbia valutato una determinata prova per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza processuale (come, ad esempio, valore di prova legale); b) abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova legale, restando esclusa la possibilita’ di contestare il modo in cui il giudice abbia apprezzato le testimonianze, comparato le risultanze processuali e selezionato quelle ritenute idonee a sostenere la decisione (Cass. 27.12.2016, n. 27000; Cass. Cass. n. 26965 del 2007; Cass. n. 20119 del 2009; Cass. n. 13960 del 2014).
16. Il diciannovesimo motivo censura la violazione dell’articolo 1223 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando
che la sentenza abbia quantificato il risarcimento senza tener conto che, per eliminare i pregiudizi alla proprieta’ esclusive, erano sufficienti interventi di ordinaria manutenzione (tinteggiatura delle pareti, stuccatura delle soglie di due vani, rifacimento della pavimentazione e del rivestimento dei servizi) che i titolari avrebbero dovuto comunque effettuare periodicamente, data la vetusta’ dell’immobile. Il risarcimento non poteva essere quantificato in violazione del principio della compensatio lucri cum damno, attribuendo ai resistenti un importo superiore al pregiudizio effettivo. Il motivo e’ inammissibile.
Il ricorso non indica, in violazione del principio di necessaria specificita’ dei motivi di impugnazione, dove e se siano state dedotte e provate le condizioni di manutenzione degli immobili al momento della realizzazione dei lavori in modo che dovesse escludersi anche solo un aggravamento del danno – tale da dover comportare un azzeramento del risarcimento – a causa delle opere eseguite, ne’ tali questioni – e la dedotta applicabilita’ del principio della compensatio lucri cum damno – risultano menzionate nella sentenza. impugnata.
17. Con l’unico motivo del ricorso incidentale del (OMISSIS) si censura la violazione degli articoli 91, 92 e 106 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio, ritenendo la reciproca soccombenza delle parti, non avvedendosi’ che il Tribunale aveva invece condannato gli attuali ricorrenti al pagamento delle spese in favore del (OMISSIS). Si assume inoltre che non era lecito ritenere le parti reciprocamente soccombenti in appello, poiche’ la chiamata in giudizio del (OMISSIS) era stata determinata dal contenuto delle eccezioni sollevate dagli convenuti, i quali erano tenuti a sostenere i costi del processo.
Il motivo, che non puo’ dichiararsi inammissibile (come eccepito dai ricorrenti in via principale), dato che la mancata indicazione su cui si fonda l’impugnazione, non impedisce di individuare esattamente il contenuto della censura, e’ tuttavia infondato.
La Corte di merito non ha – in primo luogo – affatto riformato la sentenza di primo grado relativamente alla condanna alle spese in favore del (OMISSIS) (che e’ stata integralmente confermata), ma la compensazione disposta con riferimento alle altre processuali. Inoltre ha compensato le spese di appello per aver rigettato l’appello incidentale con cui il (OMISSIS) aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno ex articolo 96 c.p.c..
Non risulta quindi leso il principio – desumibile dall’articolo 91 c.p.c. – secondo cui le spese non possono esser poste a carico della parte totalmente vincitrice, ne’ la sentenza ha ritenuto erroneamente sussistente la soccombenza reciproca, poiche’, in caso di rigetto sia dell’impugnazione incidentale che di quella principale, il giudice, pur non essendovi obbligato, puo’ regolare in tal modo le spese, secondo una valutazione rimessa alla sua discrezionalita’ ed insindacabile in sede di legittimita’ (Cass. 18173/2008; Cass. 3405/1980).
In conclusione, sono accolti il terzo, l’ottavo, il dodicesimo ed il quindicesimo motivo del ricorso principale, sono respinte le altre censure unitamente al ricorso incidentale del (OMISSIS).
La sentenza e’ cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimita’, con esclusione di quelle relative ai rapporti tra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale, che restano compensate in ragione della reciproca soccombenza.
Si da’ atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente incidentale e tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
accoglie il terzo, l’ottavo, il dodicesimo ed il quindicesimo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi unitamente al ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimita’, con esclusione di quelle relative ai rapporti tra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale, che sono integralmente compensate.
Si da’ atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente incidentale e’ tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
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