Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 maggio 2024| n. 12535.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio di cui sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la “ricostruzione” allorché tali componenti siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria, in presenza dei quali, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima. (Nella specie, la S.C. ha qualificato come nuova costruzione una sopraelevazione comportante modifica della sagoma dell’edificio ed un incremento della sua superficie utile e della sua cubatura, per realizzare un sottotetto suscettibile di essere sfruttato per scopi abitativi).
Ordinanza|8 maggio 2024| n. 12535. Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
Data udienza 11 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Proprieta’ – Limitazioni legali della proprieta’ – Rapporti di vicinato – Distanze legali (nozione) – Nelle costruzioni – Convenzioni private – Demolizioni e ricostruzioni nuova costruzione realizzata in sostituzione di precedente – Differenza dalla semplice ricostruzione – Entità della modifica di volume e superficie – Irrilevanza – Conseguenze in tema di rispetto delle distanze legali – Fattispecie in tema di sopraelevazione.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. MONDINI Ctonio – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Rel. – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 15684-2019 proposto da:
Da.Pa. , elettivamente domiciliato in ROMA, (…), nello studio dell’avv. VA.VA., rappresentato e difeso dall’avv. AL.BE.
– ricorrente –
contro
Ca.Gi. , rappresentato e difeso dagli avv.ti MA.CA. e MA.BA. e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
nonché contro
Da.Ma.
– intimato –
avverso la sentenza n. 1435/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/03/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere Oliva
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
FATTI DI CAUSA
Con ricorso per denuncia di nuova opera del 26.7.2004 Ca.Gi. evocava in giudizio Da.Ma. e Da.Pa. innanzi il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Casoria, invocando la sospensione delle opere di sopraelevazione intraprese dai convenuti per realizzare un sottotetto.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale, con ordinanza del 25.8.2004, ordinava la sospensione dei lavori fissando il termine di 30 giorni per l’introduzione del giudizio di merito.
Con atto di citazione notificato il 16.9.2004 Ca.Gi. introduceva il giudizio predetto, evocando i convenuti innanzi il medesimo ufficio giudiziario campano e chiedendo la loro condanna all’arretramento del fabbricato di loro proprietà, eretto a distanza dal confine e dal fabbricato dell’attore inferiore a quella prevista dalla norma del regolamento locale, ed al risarcimento del danno.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale, con sentenza n. 409/2012, accoglieva la domanda di arretramento, rigettando invece quella risarcitoria per difetto di prova del danno lamentato dall’attore.
Con la sentenza impugnata, n. 1435/2019, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame proposto da Da.Pa. e Da.Ma. avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Da.Pa. , affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso Ca.Gi. .
Da.Ma. , intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 81, 99 c.p.c. , 2907, 872, 873, 832, 1027, 1028, 1029, 1031, 1079 e 1158 c.c. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. , perché la Corte di Appello non avrebbe rilevato che il Ca.Gi. , originario attore, difettava di legittimazione attiva, non avendo egli fornito la prova del suo diritto di proprietà, e comunque non avendo dimostrato che il suo fabbricato, eretto in parte sulla linea di confine tra i fondi ed in parte invece con arretramento di 3,5 metri rispetto alla stessa (distanza ridotta a 2,10 metri dal filo esterno dei balconi), era stato realizzato conformemente alle prescrizioni della normativa urbanistica ed edilizia vigente. Il ricorrente, in proposito, si diffonde sul carattere abusivo del fabbricato del Ca.Gi. , la cui sanatoria non implicherebbe anche la costituzione di un diritto di servitù al suo mantenimento a distanza irregolare dal confine.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia invece la nullità della sentenza e la violazione degli artt. 112, 163, 167, 183 c.p.c. , 872, 873, 1079 e 2697 c.c. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , perché la Corte distrettuale avrebbe pronunciato oltre la domanda, affermando l’esistenza del diritto del Ca.Gi. di mantenere il suo fabbricato a distanza irregolare dal confine. Il ricorrente evidenzia che nelle sue difese egli aveva sollevato eccezione riconvenzionale, allegando proprio la circostanza che l’edificio del Ca.Gi. si trovasse a distanza irregolare dal confine e dal fabbricato di proprietà Da., poiché quest’ultimo sarebbe stato realizzato prima di quello dell’originario attore in prime cure.
Le due censure, suscettibili di essere trattate congiuntamente, sono infondate.
La Corte di Appello afferma che la questione della natura abusiva dell’immobile del Ca.Gi. sarebbe stata sollevata dall’odierno ricorrente soltanto nel corso del giudizio di secondo grado, e precisamente, per la prima volta, in sede di precisazione delle conclusioni, e ritiene che la relativa eccezione sia inammissibile, in quanto nuova (cfr. penultima pagina della sentenza impugnata). Il ricorrente non attinge specificamente tale statuizione, non dimostrando, nelle censure in esame, che la questione sarebbe stata in realtà sollevata prima del momento indicato dal giudice di seconda istanza, ma si limita a ribadire che essa era stata proposta anche in appello. Il che è vero, ma non ne esclude la tardività, posto che le eccezioni proponibili in sede di gravame sono soltanto quelle già formulate in prime cure, e comunque vanno introdotte con i motivi di appello, e non già in sede di precisazione delle conclusioni. Sul punto, va osservato che la sentenza impugnata indica quali erano i motivi di impugnazione che i Da. avevano sollevato, i quali vertevano tutti sulla legittimità dell’intervento di sopraelevazione contestato dal Ca.Gi. , sul fatto che esso non integrasse una nuova costruzione e che, comunque, esso fosse esentato dal rispetto delle norme in tema di distanze, trattandosi di volume tecnico (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata). Il ricorrente non indica, a contrario, di aver proposto uno specifico motivo di appello anche in relazione alla questione della natura abusiva del fabbricato di proprietà Ca.Gi. , né chiarisce in quale momento, e con quale strumento processuale, detta questione sarebbe stata, in ipotesi, introdotta nel giudizio di merito.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
In ogni caso, va osservato che il fatto che un immobile sia stato realizzato in violazione della normativa urbanistico – edilizia, o che sia stato comunque oggetto di procedimento di sanatoria di abusi edilizi, non esclude che esso sia comunque assistito dalla tutela generale prevista dalle norme in tema di distanze. Sul punto, va infatti ribadito il principio secondo cui “Le norme di cui all’art. 872, secondo comma, c.c. in tema di distanze tra costruzioni, nonché quelle integrative del codice civile in subiecta materia, sono le uniche che consentano, in caso di loro violazione nell’ambito dei rapporti interprivatistici, la richiesta, oltre che del risarcimento del danno, anche della riduzione in pristino, a nulla rilevando, per converso, il preteso carattere abusivo della costruzione finitima, il suo insediamento in zona non consentita, la disomogeneità della sua destinazione rispetto a quella (legittimamente) conferita al fabbricato del privato istante in conformità con le disposizioni amministrative in materia, la sua (asserita) rumorosità e non conformità alle prescrizioni antincendio, la sua insuscettibilità di sanatoria amministrativa, circostanze, queste, che, pur legittimando provvedimenti demolitori o ablativi da parte della P.A. , e pur essendo astrattamente idonee a fondare una pretesa risarcitoria in capo al presunto danneggiato, non integrano, in alcun modo, gli (indispensabili) estremi della violazione delle norme di cui agli artt. 873 e ss. c.c. (o di quelle in esse richiamate)” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5143 del 22/05/1998, Rv. 515733; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4372 del 27/03/2002, Rv. 553317).
Né si configura, nella decisione impugnata, alcun profilo di ultrapetizione, come prospettato dal ricorrente nel secondo motivo di doglianza, in quanto la Corte di Appello non ha affatto affermato la sussistenza di un diritto del Ca.Gi. di mantenere il suo fabbricato a distanza irregolare dal confine o dal fabbricato dei Da. , ma si è limitata ad esaminare le censure che questi ultimi avevano proposto avverso la decisione di prime cure, rigettandole.
Peraltro, sul punto, va anche tenuto conto del principio, affermato da questa Corte, secondo cui “E’ ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25843 del 05/09/2023, Rv. 668969; conf. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1395 del 19/01/2017, Rv. 642565 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3979 del 18/02/2013, Rv. 625272). La natura abusiva del fabbricato di proprietà Ca.Gi. , dunque, non costituirebbe circostanza ostativa all’eventuale accertamento dell’usucapione, da parte del suo proprietario, del diritto di mantenerla a distanza irregolare dal confine e/o dall’edificio di proprietà dell’odierno ricorrente.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
Né, infine, si pone alcuna questione di violazione del criterio della prevenzione, come allegato dal ricorrente sempre nel secondo motivo, sia perché anche questo argomento non risulta proposto con i motivi di gravame, sia perché, comunque, il titolo edilizio in base al quale l’edificio del Ca.Gi. fu eretto risale al 1975 (cfr. pag. 10 del controricorso) ed è stato sanato con concessione n. 103 del 3.6.2004 (cfr. pag. 3 del ricorso), emanata a seguito di domanda di condono del 15.10.1985 (cfr. pag. 10 del controricorso), mentre le opere di sopraelevazione contestate erano state realizzate dal Da.Ma. nel 2004, come risulta dal verbale della Polizia Municipale n. 55 del 2.8.2004, richiamato dalla stessa parte ricorrente nella sua esposizione in fatto (cfr. pag. 3 del ricorso). Una volta accertato, all’esito di una valutazione del fatto e delle prove riservata al giudice di merito, che le opere poste in essere dai Da. integravano una nuova costruzione, erano costoro a dover rispettare le distanze dall’edificio precedentemente eretto dal Ca.Gi. e dal confine tra i due fondi.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, 3 del regolamento edilizio del Comune di A , 873 c.c. , 31 della legge n. 47 del 1985, 39 della legge n. 724 del 1994, 32 del D.L. n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003 ed 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. , perché la Corte distrettuale avrebbe disapplicato la disposizione di cui all’art. 873 c.c. , applicando la normativa regolamentare locale a tutela di un immobile – quello del Ca.Gi. – edificato abusivamente e, segnatamente, in modo non conforme alle prescrizioni di legge in tema di distanze.
La censura è infondata, per le medesime considerazioni esposte in relazione ai primi due motivi del ricorso. Ad esse va aggiunto che la Corte distrettuale non ha affatto disapplicato la disposizione generale di cui all’art. 873 c.c. , ma si è limitata ad esaminare i motivi di gravame che i Da. avevano proposto avverso la decisione del Tribunale, nell’ambito dei quali non rientrava la questione della natura abusiva dell’immobile del Ca.Gi. , sollevata dal nuovo difensore dell’odierno ricorrente soltanto in sede di precisazione delle conclusioni in appello, e dunque tardivamente. Peraltro, la norma codicistica è derogabile dalla normativa locale soltanto qualora quest’ultima ponga limiti maggiori rispetto alla prima, e non nel caso inverso. Né è consentito, alla norma locale, di introdurre un concetto di costruzione diverso, e non coerente, con quello previsto dal codice. Sul punto, va ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “La nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 c.c. , è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 144 del 08/01/2016, Rv. 638534; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19530 del 07/10/2005, Rv. 584152; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23843 del 02/10/2018, Rv. 650629; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23845 del 02/10/2018, Rv. 650630).
Con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 63 del regolamento edilizio del Comune di A , 3 e 9 del D.M. n. 1444 del 1968, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. , perché la Corte partenopea avrebbe erroneamente qualificato il sottotetto realizzato dal ricorrente come nuova costruzione, ed avrebbe inoltre calcolato la distanza di 10 metri prevista dal D.M. n. 1444 del 1968 dal filo esterno dei balconi del fabbricato di proprietà Ca.Gi. , senza considerare che trattavasi di opere a loro volta realizzate in violazione delle norme in tema di distanze. Ad avviso del ricorrente, quindi, la Corte di Appello avrebbe dovuto, al massimo, ordinare l’arretramento del fabbricato di proprietà Da.Pa. sino al rispetto della distanza di 5 metri dal confine, prevista anche dalla norma regolamentare locale, poiché se l’edificio del Ca.Gi. avesse a sua volta rispettato detta prescrizione locale, la distanza tra le due fabbriche sarebbe stata di 10 metri, e dunque rispettosa della prescrizione generale di cui al già richiamato D.M. n. 1444 del 1968.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
La censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.
In particolare, è inammissibile nella parte in cui attinge la statuizione di merito all’esito della quale la Corte di Appello ha ritenuto che le opere realizzate dai Da. integrassero nuova costruzione e fossero dunque soggette al rispetto delle norme in tema di distanze. Sul punto, la Corte distrettuale ha affermato che la sopraelevazione comportava modifica della sagoma dell’edificio ed un incremento della sua superficie utile e della sua cubatura (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) ed ha evidenziato che le sue misure e caratteristiche dimostrassero che si trattava di opere finalizzate a realizzare un manufatto suscettibile di essere sfruttato per scopi abitativi (cfr. pag. 6 della sentenza). Su tali basi, la Corte di Appello ha escluso che l’intervento rientrasse nel novero del volume tecnico, e lo ha di conseguenza inquadrato nell’ambito della nuova costruzione. La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, cui va data continuità, secondo cui “Nell’ambito delle opere edilizie – anche alla luce dei criteri di cui all’art. 31, primo comma lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457 – la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la ricostruzione allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima” (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011, Rv. 619608; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12196 del 14/04/2022, Rv. 664390).
Inoltre, va ribadito anche che “… costituisce volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l’opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, perché destinata a contenere impianti serventi di un edificio principale, per esigenze tecnico funzionali dell’abitazione, che non possono essere ubicati nella stessa (come quelli connessi alla condotta idrica e termica)” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30708 del 27/11/2018, Rv. 651529; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2566 del 03/02/2011, Rv. 616505 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20886 del 26/11/2012, Rv. 624601).
La doglianza in esame, invece, è infondata nella parte in cui con essa si lamenta che l’arretramento avrebbe dovuto essere ordinato al massimo sino al rispetto della distanza di 5 metri dal confine, e non invece a quella di 10 metri dal fabbricato Ca.Gi. . Sul punto, va rilevato che quest’ultimo, come già evidenziato, risulta edificato prima della sopraelevazione contestata ai Da. , e dunque questi ultimi, nell’ampliare il loro edificio, avrebbero comunque dovuto operare nel rispetto della norma generale in tema di distanze, non potendo invocare, a loro favore, il criterio della prevenzione.
Quanto sopra, a prescindere dal rilievo che il tema della prevenzione, come già rilevato in occasione dello scrutinio del primo e secondo motivo di ricorso, non risulta proposto dall’odierno ricorrente con i motivi di appello, ed è quindi nuovo.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , perché la Corte territoriale non avrebbe considerato l’effettivo stato dei luoghi, e dunque da un lato il carattere abusivo del fabbricato di proprietà Ca.Gi. e la sua collocazione a distanza inferiore a quella legale dal confine, e dall’altro lato la circostanza che alla data in cui il Ca.Gi. presentò domanda di sanatoria del proprio cespite, le opere edilizie erano ancora in corso. La Corte di Appello, dunque, avrebbe dovuto, ad avviso del ricorrente, non solo non tener conto della detta sanatoria, ma anzi disporne l’annullamento.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
La censura è inammissibile, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme.
In ogni caso, va rilevato che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, “… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c. , (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi “fatti” nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Con la censura in esame, a ben vedere, il ricorrente torna a contestare la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove operate dalla Corte distrettuale, nel tentativo di ottenere una inammissibile revisione del giudizio di merito; la doglianza, di conseguenza, si colloca al di fuori dell’ambito dell’omesso esame utilmente denunziabile in sede di legittimità, ed è, sotto vari profili, inammissibile.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice “ristrutturazione”
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 11 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria l’8 maggio 2024.
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