Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 14 maggio 2019, n. 12863
La massima estrapolata:
Vìola l’obbligo di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto e di conservazione della cosa ricevuta ex art. 2790 cod. civ., il creditore garantito che, a fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento del bene in garanzia, non si attiva per procedere all’eventuale liquidazione del medesimo; del pari, è da ritenere contrario al canone di buona fede il comportamento del creditore garantito che non dia tempestivo e motivato riscontro alle sollecitazioni di liquidazione provenienti dal datore, che paventi il rischio concreto di deterioramento del bene in garanzia.
Sentenza 14 maggio 2019, n. 12863
Data udienza 7 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13425/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Behare Ivan Francesco, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 398/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 31/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con l’assorbimento dei restanti;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.- Con ricorso ex articolo 702 bis c.p.c., (OMISSIS) ha adito il Tribunale di Milano, per chiedere la condanna della Banca Popolare di Milano al risarcimento dei danni arrecatogli dal comportamento di questa. Ha esposto, in particolare, che la Banca creditore pignoratizio su titoli (OMISSIS) di suo proprieta’ – non aveva provveduto a liquidare i titoli nonostante il progressivo e forte deterioramento di valore che gli stessi andavano subendo sui mercati regolamentati e nonostante egli avesse piu’ volte sollecitato la relativa monetizzazione. A seguito del comportamento omissivo della Banca, prolungatosi in buona sostanza per circa due anni (dalla primavera del 2001 al 6 giugno 2003), i titoli dati in pegno – ha sottolineato l’attore – avevano perso grande parte del loro valore (sceso da Euro 96.852,60 a Euro 35.936,17).
Con ordinanza del 9 luglio 2014, il Tribunale di Milano ha accertato la violazione della Banca alle “prescrizioni di cui all’articolo 1375 c.c.”, condannando la medesima al risarcimento dei danni cosi’ causati.
2.- Interposta impugnazione da parte della Banca, la Corte di Appello ha integralmente riformato la decisione del giudice del primo grado, cosi’ respingendo le domande proposte da (OMISSIS).
In proposito, la sentenza ha prima di tutto rilevato che – “posto che la Banca non puo’ dirsi inadempiente rispetto a uno specifico obbligo contrattuale” – “occorre” procedere a “esaminare se il rapporto abbia avuto un’esecuzione conforme a buona fede” oggettiva. La sentenza ha poi ritenuto – per dare corso a questo necessario esame – di doversi assumere a “metro di valutazione della condotta delle parti… proprio la disciplina contenuta nella norma invocata dall’appellante”, come rappresentata dall’articolo 2795 c.c., sotto la rubrica di “vendita anticipata”.
Collocata in simile prospettiva l’analisi relativa alla verifica del rispetto della buona fede oggettiva, la Corte milanese ha osservato che la norma dell’articolo 2795 c.c., comma 1, (“se la cosa data in pegno si deteriora in modo da far temere che essa divenga insufficiente alla sicurezza del creditore, questi, previo avviso a colui che ha costituito il pegno, puo’ chiedere al giudice l’autorizzazione a vendere la cosa”) prevede una “facolta’ concessa al creditore, per proteggere il suo diritto di garanzia, minacciato dal “deterioramento” del bene ricevuto in pegno; se il creditore non se ne cura, restera’ con minori garanzie di quelle di cui aveva diritto”.
Passando all’esame dell’articolo 2795 c.c., comma 3 (“il costituente puo’ del pari, in caso di deterioramento o di diminuzione di valore del bene della cosa data in pegno, domandare al giudice l’autorizzazione a venderla oppure chiedere la restituzione del pegno, offrendo altra idonea garanzia reale che il giudice riconosca idonea”), la Corte milanese ha ritenuto che, per questa norma, “se il costituente si avvede di quello che il creditore non sa o non vuole valutare, cioe’ di un deterioramento del bene o di un’offerta di acquisto favorevole dello stesso, puo’ chiedere la vendita del bene medesimo, con deposito del ricavo, offrendo altra garanzia idonea”. Fermati questi assunti di ordine generale, con riferimento alla fattispecie concreta la Corte milanese ha rilevato che e’ “corretto osservare, con parte appellante, che il sig. (OMISSIS) non risulta avesse proposto alla Banca di sostituire la garanzia offerta, nel momento in cui ha richiesto di adoperarsi per la vendita delle azioni (OMISSIS), ne’ ha richiesto all’Autorita’ giudiziaria a procedere in proprio, in caso di diniego della Banca, sempre comunque offrendo idonea garanzia sostitutiva”; “d’altro canto, non risulta previsto dalla norma un ruolo attivo del creditore, nell’invitare il concedente alla sostituzione”.
E ha concluso che “di conseguenza appare errato il ragionamento del primo giudice, laddove qualifica non corrispondente a buona fede il comportamento di un contraente (la Banca) che non ha violato la legge, mentre non valuta allo stesso modo la condotta omissiva dell’altro (il cliente), il quale non si e’ avvalso delle facolta’ che la stessa norma gli apprestava, per ottenere la vendita a prezzo migliore, cioe’ ponendo egli in essere l’omissione, che erroneamente e’ stata imputata alla Banca”.
3.- (OMISSIS) ha presentato ricorso contro la sentenza della Corte di Appello di Milano, articolando tre motivi per la sua cassazione.
La Banca Popolare di Milano ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno inoltre depositato memorie ex articolo 380 bis c.p.c..
4.- Nel contesto della propria memoria, la Banca (OMISSIS) ha, tra le altre cose, sollevato la questione di “illegittimita’ costituzionale dell’articolo 380 bis c.p.c. in relazione all’articolo 24 Cost., comma 2 e all’articolo 111 Cost., commi 1, 2 e 6”.
5.- La controversia e’ stata chiamata all’adunanza non partecipata del 22 maggio 2018, Sezione Sesta-1.
6.- In esito all’adunanza, il Collegio ha rilevato, con ordinanza 4 ottobre 2018, n. 24382, la manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalita’ prospettata dalla Banca, anche richiamando a proprio supporto i precedenti rappresentati da Cass. 10 gennaio 2017, n. 395 e da Cass., 2 marzo 2017, n. 5371.
7. In detta ordinanza il Collegio ha altresi’ constatato che “sulla complessa questione di diritto di cui al ricorso, in se’ stessa di particolare rilievo per il profilo operativo, non sussistono precedenti interventi di questa Corte”.
In via correlata, il Collegio ha poi ritenuto, “a norma dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 3, di non potere ravvisare evidenze decisorie tali da consentire la definizione del ricorso presso la c.d. sezione filtro, sicche’ lo stesso deve essere avviato alla discussione in pubblica udienza presso la sezione che e’ tabellarmente competente”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8.- I motivi di ricorso presentati da (OMISSIS) denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.
Il primo motivo assume, “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’articolo 1375 c.c. laddove la Corte di Appello individua – esclusivamente – nella “legge” (nello specifico nelle opzioni di condotta contemplate nell’articolo 2795 c.c.), il “metro di valutazione delle condotte delle parti”; quando invece l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e’ espressione di un dovere giuridico a carattere generale, che trova il suo fondamento nel vincolo di solidarieta’ contenuto nell’articolo 1175 c.c. e costituisce espressione dello stesso valore costituzionale di cui all’articolo 2 Cost.; in altre parole, il principio di “buona fede” sussume un reticolo di comportamenti a matrice solidaristica da apprezzarsi in relazione a ciascun caso concreto – ovviamente ulteriori rispetto agli obblighi e divieti previsti dalla legge”.
Il secondo motivo assume poi, “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di ampia e articolata discussione tra le parti. Ciascuno dei quali, se fosse stato tenuto in debito conto dalla Corte del territorio, anche singolarmente e a maggior ragione nel loro reciproco intreccio logico e teleologico, avrebbe senz’altro condotto a un esito diverso della controversia”.
Il terzo motivo assume ancora, “ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione/disapplicazione dell’articolo 2790 c.c.”, laddove prevede l’obbligo in capo al creditore di “custodire la cosa ricevuta in pegno”; “violazione/disapplicazione dell’articolo 1800 c.c., in tema di doveri in capo al sequestratario-depositario (la cui affinita’ giuridica con creditore pignoratizio appare evidente)”; “violazione dell’articolo 1710 c.c. e articolo 1718 c.c., comma 2” (applicabile perche’ “a monte della costituzione in pegno vi era tra la Banca e l’odierno ricorrente un mandato di “deposito, custodia e amministrazione titoli””).
9.- Il primo motivo di ricorso si sostanzia nel porre l’interrogativo sul ruolo che il canone generale della buona fede oggettiva venga a svolgere rispetto alla disciplina che il codice civile detta per la “vendita” della cosa data in pegno, che sia posta in essere non gia’ al fine di far “conseguire al creditore quanto gli e’ dovuto” – secondo quanto prevede l’articolo 2796 c.c. in funzione satisfattiva del relativo diritto -, bensi’ per l’esigenza di conservare il valore della garanzia; e per questo motivo dalla norma dell’articolo 2795 c.c. definita appunto nei termini di “vendita anticipata”.
Secondo il motivo, la Corte di Appello milanese ha errato perche’ ha letto e ricostruito la norma dell’articolo 2795 c.c. del tutto a prescindere dal canone della buona fede oggettiva, come se questo non fosse, in definitiva, presente nel vigente sistema normativo. E ha errato pure perche’ non ha neppure preso in considerazione, nell’ambito del rapporto sviluppatosi tra le parti, le sollecitazioni, che (OMISSIS) ha rivolto alla Banca, per ottenere la “sostanziale “cooperazione”” di questa “onde contenere il danno da progressiva erosione del valore del titolo (OMISSIS)”.
10.- Il motivo e’ fondato, secondo i termini che qui in appresso vengono a illustrarsi.
11.- Nell’avviare l’esposizione, appare opportuno osservare che la norma dell’articolo 2795 c.c. – su cui la sentenza impugnata ha concentrato la propria attenzione -, e che e’ dedicata alla “vendita anticipata” del bene dato in pegno, si muove in una prospettiva affatto diversa da quella assunta dall’articolo 2796 c.c., che pure risulta rubricata in termini di “vendita della cosa” che e’ stata presa in garanzia.
Quest’ultima disposizione considera infatti la “vendita” del bene in funzione satisfattiva del diritto garantito; nell’ottica, quindi, del potere del creditore di soddisfare anche in modo coattivo il proprio diritto. Per contro, la norma dell’articolo 2795 c.c. si preoccupa del valore del bene di cui al pegno; e percio’ prende in considerazione la “vendita” nei termini di strumento di conservazione del valore economico del medesimo, di guisa da evitarne il decremento o almeno arginarlo.
Il tenore della norma e’ del tutto chiaro in proposito, a propria fattispecie essa assumendo appunto il caso del “deterioramento” della cosa, che (per qualunque ragione accada e in qualunque modo si conformi) fa “temere che essa divenga insufficiente alla sicurezza del credito”.
Non e’ un caso, del resto, che la norma dell’articolo 2795 c.c. ponga a raffronto della posizione del creditore garantito non gia’ quella del debitore come tale, quanto piuttosto quella del costituente, o datore, del bene che e’ stato preso in pegno.
12.- Con peculiare riferimento alla fattispecie standard della vendita con funzione conservativa del valore del bene dato in garanzia, va adesso rilevato che il creditore garantito – non vantando titoli proprietari – non puo’ procedere in via autonoma all’alienazione del bene che e’ in via di deterioramento (a questo specifico riguardo e’ anche importante notare, al di la’ della disposizione dell’articolo 2792 c.c., che il creditore pignoratizio, se puo’ esercitare l’azione di rivendica ex articolo 2789 c.c., lo fara’ pur sempre in luogo e vece del datore che sia proprietario del bene).
Il datore del pegno invece, in quanto (almeno normalmente) proprietario del bene, ha di per se’ titolo per alienare quest’ultimo. Sennonche’, non avendo egli (piu’) il possesso del bene – che per l’appunto risulta nelle mani del creditore (in via diretta o mediata ex articolo 2786 c.c., comma 2) – non puo’ consegnarlo all’acquirente; e non puo’ quindi dare pieno corso esecutivo all’alienazione medesima. Il che molte volte si traduce – come accade nell’ipotesi di titoli immessi in un mercato regolamentato, che nel concreto qui occupa in un’impossibilita’ pratica di porre in essere l’alienazione.
Risulta dunque evidente, dalle esposte notazioni di base, che per procedere alla “vendita anticipata”, cioe’ conservativa del valore economico del bene che e’ in garanzia, risulta in buona sostanza necessario – di per se’ stesso – tanto il consenso del datore, quanto quello del creditore.
13.- La fattispecie della vendita con funzione conservativa viene per sua propria natura ad atteggiarsi, di conseguenza, come fenomeno di potenziale cooperazione tra datore del bene e creditore garantito.
In via correlata, la disposizione dell’articolo 2795 c.c. – la’ dove prevede e regola il separato potere del creditore e del datore di ottenere l'”autorizzazione” del giudice “a vendere la cosa” – viene a configurarsi come strumento di conservazione del valore del bene strutturato propriamente per il caso di conflitto, o anche, e piu’ semplicemente, per il caso di effettiva divergenza di opinioni tra il creditore e il datore.
Ne’ v’e’ bisogno di sottolineare in modo particolare il carattere subvalente di quest’ultimo strumento rispetto a quello rappresentato dalla cooperazione tra le parti (seppure cio’ non si venga a tradurre, per se’, nella prescrizione formale di un onere, secondo quanto senz’altro sconsigliato, del resto, dalla caratteristica di tendenziale urgenza che connota la materia in discorso). Basta pensare, al riguardo, alla semplicita’ di forme, di tempi e di costi che avvantaggia l’ipotesi della cooperazione tra le parti rispetto a quella dell’autorizzazione giudiziale.
14. Secondo quanto non controverso in causa – e come pure riscontrato, sul piano materiale della fattispecie, da piu’ passi della sentenza impugnata -, la fase non giudiziale di gestione del (rischio di) deterioramento economico del bene in garanzia e’ risultata, nella specie concretamente in esame, connotata da due tratti: le sollecitazioni liquidatorie del datore del pegno, da un lato; dall’altro, il protratto comportamento inerte del creditore garantito.
Preso atto di tale dato fattuale, la Corte milanese non ha tuttavia proceduto a esaminare il significato dello stesso sotto il profilo delle norme regolatrici, preferendo, per contro, andare senz’altro ad orientarsi nella direzione dell’interpretazione del disposto della norma dell’articolo 2795 c.c..
Ne deriva, secondo quanto reso evidente dalle osservazioni sin qui sviluppate, che si manifesta priva di una base reale l’assunto della sentenza, per cui il comportamento del datore dei titoli costituiti in pegno e’ stato disforme dai dettami della legge, per la nuda circostanza che “non si e’ avvalso della facolta’” che la norma dell’articolo 2795 c.c. gli apprestava.
15.- Non puo’ essere dubbio che, nei confronti del tema rappresentato dal rischio di deterioramento del bene in pegno, il datore della garanzia sia portatore di un interesse serio e importante a che si proceda alla vendita conservativa: la preservazione del valore economico risultando funzionale all’esigenza di non impegnare a garanzia dei beni ulteriori, per il caso di sopravvenuto deterioramento effettivo della prestata garanzia specifica; come pure a potere tornare a utilizzare liberamente il corrispondente valore economico del bene in garanzia, una volta portato a buon fine il rapporto in essere in quel momento.
Convergente con l’interesse del datore dovrebbe poi risultare, in linea di principio, quello del creditore garantito (nel presupposto, naturalmente, dell’effettivita’ del rischio di deterioramento del bene di cui si discute e salvi in ogni caso i rilievi relativi alle modalita’ e termini di vendita dello stesso). Che’ l’interesse di questi naturalmente si volge al mantenimento di una garanzia efficiente per la misura del credito che risulta in essere ovvero disponibile (nella “sufficienza sicurezza” del rientro di tale credito, d’altronde, l’interesse del creditore incontra l’invalicabile limite della sua rilevanza: eloquente al proposito si manifesta la diversa conformazione dei presupposti del potere di attivazione del giudice, che l’articolo 2795 pone, al comma 1, per il creditore e, al comma 3, per il datore).
D’altro canto, nemmeno va dimenticato, in proposito, che l’effettuazione della vendita conservativa e’, per sua natura, destinata a concludersi con la sostituzione – nella garanzia del credito – del ricavato della vendita in luogo del bene ceduto (cfr. cosi’, in modo espresso la norma dell’articolo 2803 c.c.; per un’applicazione del principio di base per cui pretium succedit in locum rei v., poi, la norma dell’articolo 2742 c.c.).
16.- Ora, in presenza delle coordinate appena richiamate, il canone generale della buona fede oggettiva non puo’ non imporre al creditore garantito – come pure, peraltro, al datore della garanzia (nonche’ al debitore, ove diverso da questi) – di prendere in considerazione ed esaminare il tema di un’eventuale vendita anticipata del bene preso in garanzia, laddove il rischio di un suo deterioramento venga sensibilmente a manifestarsi in modo oggettivo.
Non di meno, il detto canone viene a comportare il dovere del creditore di fornire una risposta adeguata e tempestiva al datore che lo solleciti a procedere alla liquidazione del bene, allegando una concreta sussistenza del rischio in discorso; e di fornire, nel caso di manifestato dissenso, una motivata risposta (in modo da dare, in tale ultima ipotesi, spazio sostanziale all’effettiva applicazione della norma dell’articolo 2795 c.c., comma 3).
Per pervenire a simili esiti, non v’e’ bisogno – occorre adesso sottolineare – di fare immediato riferimento ai principi di ordine costituzionale, secondo la prospettiva pur suggerita dalla requisitoria del P.M. (e per certi versi affacciata anche dal ricorrente), che si richiama a un importante indirizzo di questa Corte, inteso appunto a valorizzare, nella prospettiva della buona fede oggettiva, soprattutto il canone della solidarieta’ costituzionale (tra le altre, il riferimento va, per i tempi piu’ recenti, alla nota pronuncia di Cass., 12 luglio 2016, n. 14188).
Per la specie in esame, appare in realta’ sufficiente dare seguito e corso alla tradizionale impostazione che questa Corte assume, nei termini di sostanza basica della clausola generale di buona fede oggettiva: e cosi’ richiamare il dovere di necessaria salvaguardia dell’interesse altrui, nel limite in cui non venga a pregiudicare il proprio interesse oggettivo (cfr., ad esempio, Cass., 31 maggio 2010, n. 13202; Cass., 10 novembre 2011, n. 22819).
17.- Cio’ posto, non puo’ condividersi l’impostazione della Corte milanese per cui non viola il canone di buona fede oggettivo il comportamento del creditore garantito che rimane inerte di fronte al delinearsi di un rischio sensibile di deterioramento del bene preso in garanzia.
Una simile prospettiva assume, in realta’, che la linea guida del comportamento di tale creditore rimanga in ogni caso la libera (e dunque insindacabile) cura del proprio esclusivo interesse. Il che equivale, lo si e’ appena visto, a ritenere il vigente sistema disciplinare della garanzia pignoratizia (se non altro) impermeabile ai dettami della buona fede oggettiva ovvero alla stessa sottratto. Senza tenere in alcun conto, oltretutto, che la posizione del datore risulta connotata – per regola (e nell’assoluta normalita’ dei casi, comunque) – dalla titolarita’ del diritto di proprieta’ del bene del cui deterioramento si discute (e puo’ non essere inutile rilevare, in proposito, pure che le spese necessarie per la conservazione della cosa sono, nella previsione legislativa dell’articolo 2790 c.c., comma 2, poste a carico non gia’ del “debitore”, bensi’ del “datore”).
Nemmeno puo’ convincere, d’altra parte, l’ulteriore affermazione della Corte milanese, per cui – nel caso di rischio oggettivo di deterioramento del bene in garanzia – il sistema comunque non prevede un “ruolo attivo” del creditore garantito.
18.- In proposito, appare invero opportuno precisare che, per il tema in questione (del rischio di sopravvenuta perdita di valore del bene in garanzia), il canone della buona fede non si limita a integrare in via diretta, ex articolo 1375 c.c., il contenuto del rapporto contrattuale corrente tra datore e creditore garantito, imponendo a quest’ultimo di riscontrare le sollecitazioni liquidatorie che il primo formuli allegando un rischio concreto di deterioramento.
Viene altresi’ a incidere sui termini del rapporto contrattuale corrente tra i detti soggetti attraverso la costruzione contenutistica del dovere di custodia e conservazione del bene che la norma dell’articolo 2790 c.c. assegna appunto al creditore garantito: in via indipendente dall’iniziativa del datore e per il caso, appunto, in cui il rischio in discorso risulti oggettivamente e sensibilmente apprezzabile.
La giurisprudenza di questa Corte ha in particolare chiarito che la custodia del creditore, che risulta prescritta da questa disposizione, “si sostanzia nell’obbligo di mantenere la cosa nel medesimo stato e modo di essere in cui si trovava al momento costitutivo dell’obbligo, con la conseguente necessita’ di adottare tutte le misure al riguardo idonee in relazione alle circostanze concrete del caso, della relativa perdita e deterioramento il creditore pignoratizio rispondendo secondo le regole generali” (cfr. Cass., 30 ottobre 2007, n. 22860; ma da segnalare, in specie, e’ anche la pronuncia di Cass., 1 marzo 1986, n. 1309, per cui il creditore garantito da pegno su quote di s.r.l. ha il dovere, nei confronti del datore, di “vigilare sul buon andamento dell’amministrazione della societa’, al fine di proteggere l’integrita’ del patrimonio” di questa).
Il dovere di custodia, dalla norma dell’articolo 2790 c.c. posto a carico del creditore garantito, integra dunque un obbligo di protezione della posizione del datore, che – in caso di rischio sensibile di deterioramento del bene – risulta funzionale al sostanziale mantenimento di un valore economico corrispondente a quello originario.
Intimo alla prescrizione del dovere di conservazione – cosi’ come pure coerente con il canone della buona fede – viene percio’ a manifestarsi l’assunzione, da parte del creditore garantito, di un ruolo attivo, e propositivo di una cooperazione con il datore, in ordine a una tempestiva ed efficiente liquidazione del bene che mostri un sensibile rischio di deterioramento.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di precisare pure che – (anche) in relazione alla prescrizione del dovere di conservazione del bene in garanzia – “laddove la custodia venga… effettuata da soggetti qualificati da particolare qualita’ soggettive (banche, intermediari finanziari, ecc.) e’ alla diligenza professionale ex articolo 1176 c.c., comma 2, che deve aversi riguardo” (cfr. ancora, Cass., n. 22860/2007). Ne’ puo’ sottovalutarsi al riguardo come, nella fattispecie concreta qui in esame, oggetto della garanzia pignoratizia fossero titoli quotati nel mercato regolamentato (la sussistenza in proposito, di un ruolo anche attivo in capo al creditore garantito, che si e’ appena riscontrata, non esclude – e’ necessario pure puntualizzare per dar conto esatto del sistema vigente – l’eventualita’ di un’applicazione, nel caso, della norma dell’articolo 1227 c.c., comma 2, tenuto conto del comportamento e della natura del creditore garantito, come pure della natura del datore e di tutte le altre circostanze che risultino proposte dalla fattispecie concreta, cosi’ da portare, in ipotesi, pure a una qualche riduzione del risarcimento dovuto).
19.- A maggior ragione errata – occorre ancora rilevare – si manifesta l’affermazione della Corte milanese per cui il datore, interessato a procedere alla liquidazione del bene in sensibile rischio di deterioramento, avrebbe comunque l’onere – nel momento in cui richieda al creditore garantito di “adoperarsi per la vendita” dei titoli – di offrire in sostituzione del bene in essere altra “idonea garanzia sostitutiva”.
In effetti, la sentenza cade in proposito in un radicale fraintendimento della norma dell’articolo 2795 c.c., posto che la norma non richiede in alcun modo un “raddoppio” di impegno economico in capo al garante (al bene da liquidare prima e al riscosso poi, aggiungendosi un bene ulteriore, sempre in garanzia). Raddoppio di cui, del resto, viene a sfuggire l’utilita’ e il bisogno.
20.- La sentenza impugnata va quindi cassata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Milano, che, in diversa composizione, la esaminera’ in conformita’ alle regole sopra enunciate e, in particolare, al principio di diritto per cui “viola l’obbligo di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto e di conservazione della cosa ricevuta ex articolo 2790 c.c., il creditore garantito che, a fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento del bene in garanzia, non si attiva per procedere all’eventuale liquidazione del medesimo; del pari, e’ da ritenere contrario al canone di buona fede il comportamento del creditore garantito che non dia tempestivo e motivato riscontro alle sollecitazioni di liquidazione provenienti dal datore, che paventi il rischio concreto di deterioramento del bene in garanzia”.
21.- L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta assorbimento del secondo e del terzo motivo.
22.- Alla determinazione delle spese relative al giudizio di legittimita’ provvedera’ il giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Milano, che, in diversa composizione, provvedera’ pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimita’.
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