La segnalazione certificata di inizio attività non costituisce un atto di avvio di un procedimento ad istanza di parte

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 10 giugno 2019, n. 3892.

La massima estrapolata:

La segnalazione certificata di inizio attività, anche nel settore edilizio, non costituisce un atto di avvio di un procedimento ad istanza di parte rispetto al quale l’amministrazione comunale deve esprimersi con atti di accoglimento o di diniego, ma costituisce, pur non essendo un provvedimento amministrativo impugnabile autonomamente (in ragione di quanto espressamente indicato dall’art. 19, comma 6-ter, l. 241/1990), esso stesso un(a parte del) titolo abilitativo a realizzare le opere edilizie descritte nel progetto allegato che si completa con il decorso del termine previsto dal legislatore laddove non vi siano stati interventi inibitori dell’amministrazione.

Sentenza 10 giugno 2019, n. 3892

Data udienza 31 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6989 del 2017, proposto dalla s.r.l. CO., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Ca., St. Zi. e Va. Bo. ed elettivamente domiciliato presso la segreteria della Sez. VI del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Gu. ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Pl. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sez. II, 15 febbraio 2017 n. 113, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’amministrazione appellata;
Esaminate le memorie e i documenti prodotti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 31 maggio 2018 il Cons. Stefano Toschei e uditi gli avvocati Gaetano Campolo, Stefano Zironi e Federico Gualandi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello la società Co. S.r.l. ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sez. II, 15 febbraio 2017, n. 113, con la quale è stato respinto il ricorso (R.G. n. 705/2014) proposto ai fini dell’annullamento (con il ricorso introduttivo) di un primo provvedimento (prot. n. 6060 del 23 giugno 2014), emesso dal Responsabile del II Settore “Governo e Sviluppo del Territorio” del Comune di (omissis), con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità /inammissibilità della S.C.I.A. depositata in data 18 giugno 2014 prot. n. 5916 nonché di un secondo provvedimento (prot. n. 6061 del 23 giugno 2014) emesso dal medesimo Responsabile con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità /inammissibilità della S.C.I.A. depositata in data 18 giugno 2014 prot. n. 5921, oltre ad altre e successive ordinanze (impugnate anche con il ricorso mediante motivi aggiunti) relative all’esecuzione del medesimo intervento edilizio.
2. – Dalla documentazione depositata in atti, sia nel corso del primo che in occasione del secondo grado di giudizio, può ricostruirsi la vicenda contenziosa qui in esame, nei limiti di quanto è di interesse per la decisione dell’appello, come segue:
– la s.r.l. Co. otteneva dal Comune di (omissis) il rilascio del permesso di costruire n. 741 del 20 gennaio 2011 per la realizzazione di un fabbricato ad uso abitativo nel Comparto C1.2 sub comparto 2, lotto 1, (che qui di seguito sarà indicato come “Lotto 1”) ed il permesso di costruire n. 5215 del 15 maggio 2012 per la realizzazione di un fabbricato ad uso abitativo nel Comparto C1.2 sub comparto 2, lotto 12, (che qui di seguito sarà indicato come “Lotto 12”);
– con SCIA prot. n. 4543 del 26 aprile 2012 e SCIA prot. n. 11040 del 25 settembre 2012 veniva avviata la realizzazione dei due fabbricati Lotto 1 e Lotto 12;
– in seguito ad un sopralluogo da parte di personale dell’Ufficio tecnico comunale in data 7 marzo 2013 ed all’emersione di talune difformità dai titoli abilitativi depositati presso il predetto Ufficio, erano adottate due ordinanze di sospensione dei lavori (12 marzo 2013 nn. 11/2013 e 12/2013), con apposizione dei relativi sigilli;
– in data 15 marzo 2013 e 21 marzo 2013, previa rimozione dei sigilli apposti venivano eseguiti due ulteriori sopralluoghi per il Lotto 1 ed il Lotto 12, ai quali seguiva l’adozione di due ulteriori ordinanze di sospensione dei lavori (nn. 22 e 23 del 2013), raccogliendosi in esse le difformità edilizie non le contestazioni alla esecuzione dei lavori già sviluppate con le precedenti ordinanze di sospensione con riferimento alle accertate difformità con norme edilizie ed antisismiche;
– seguiva l’avvio di un procedimento dinanzi alla Procura della Repubblica di Bologna, per il quale successivamente è stata disposta l’archiviazione;
– la società Co. presentava quindi al Comune di (omissis), oltre ad alcune istanze di annullamento in autotutela delle ordinanze di cui sopra, anche istanze di autorizzazione sismica alla Regione Emilia-Romagna, ai sensi dell’art. 11 l.r. 19/2008, che venivano rilasciate con le determinazioni 28 novembre 2013 nn. 15797 e 15798;
– in seguito all’archiviazione del procedimento penale avviato e alla inutile richiesta (nuovamente formulata nell’aprile 2014 al Comune di (omissis)) di intervento in autotutela, la Co. presentava agli uffici comunali, al fine di proseguire i lavori e completare la costruzione edilizia, in data 18 giugno 2014, la SCIA prot. n. 5916 riferita al “Lotto 1” (cfr. doc. n. 24 fascicolo e la SCIA prot. n. 5921 riferita al “Lotto 12”, rispetto alle quali il Comune di (omissis), con provvedimenti prot. nn. 6060 e 6061 del 23 giugno 2014, le dichiarava entrambe irricevibili/inammissibili.
3. – La Co. quindi proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, chiedendo l’annullamento degli atti comunali inibitori dell’esecuzione dei lavori.
Venuta a conoscenza, tramite accesso documentale, dell’attività volta dal Comune di (omissis) ad ottenere dalla Regione l’annullamento in autotutela delle autorizzazioni in materia di tutela antisismica rilasciate alla Co. con contestuale avvio di un nuovo procedimento penale, la società otteneva una nuova archiviazione del procedimento (ri)avviato con decreto del 23 luglio 2015.
Nella fase cautelare del presente giudizio la Co., dopo avere visto respinte per due volte le richieste cautelari dinanzi al giudice di primo grado, otteneva in sede di appello, con ordinanza n. 1330/2016 della Sesta sezione del Consiglio di Stato, l’accoglimento della domanda “ai soli fini di una rapida fissazione nel merito del ricorso di primo grado”.
La Co. intendeva riavviare i lavori, ma era destinataria dell’ordinanza n. 5046 dell’11 maggio 2016, con la quale il Comune di (omissis) disponeva la sospensione dei lavori, nonché il sequestro del cantiere, con segnalazione alla Procura della Repubblica, di talché la società presentava ricorso recante motivi aggiunti per ottenere l’annullamento anche del nuovo atto.
Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, con la sentenza 15 febbraio 2017 n. 113, respingeva sia il ricorso introduttivo che quello recante motivi aggiunti.
Il Tribunale amministrativo ha ritenuto infondati i motivi dedotti in primo grado dalla odierna appellante in quanto:
– nella materia edilizia, al cospetto dell’adozione di provvedimenti repressivo sanzionatori, viene in emersione un esercizio di potere vincolato da parte dell’amministrazione procedente, rispetto al quale non è immaginabile che si renda necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento;
– va considerato irrilevante il rilascio delle autorizzazioni sismiche regionali con riferimento alla legittimità dei provvedimenti inibitori alla prosecuzione dei lavori impugnati, atteso che era necessaria la presentazione di due domande di sanatoria al Comune con richiesta di autorizzazione sismica con obbligo di rispetto delle NCT 2008, ai sensi dell’art. 22, comma 2, l.r. 19/2008;
– d’altronde è stato documentalmente dimostrato che in seguito alle specifiche indagini strutturali effettuate dalla ditta Technoprove è emerso che l’autorizzazione sismica in sanatoria è stata rilasciata dalla Regione sulla base di elaborati riportanti una rappresentazione non veritiera delle opere realizzate;
– le considerazioni positive (espresse dal giudice di primo grado) in ordine alla completezza e correttezza dell’istruttoria svolta dagli uffici comunali pongono chiarezza in ordine alla infondatezza degli ulteriori motivi di ricorso, anche con riferimento ai motivi aggiunti.
4. – Lamenta la società Co., in sede di appello, la sostanziale impostazione errata dello scrutinio svolto dal giudice di primo grado ed attraverso il quale sono stati respinti il ricorso introduttivo ed i seguenti motivi aggiunti.
In particolare l’appellante, affidandosi a quattro motivi di appello, ha segnalato che:
– anzitutto la Co. rileva come il giudice di primo grado abbia respinto il primo motivo di ricorso con il quale si deduceva la violazione dell’art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241, facendo riferimento a provvedimenti e relativi procedimenti di repressione di abusi edilizi, non tenendo conto che nella specie non si è al cospetto di provvedimenti sanzionatori ad iniziativa d’ufficio, ma di provvedimenti di rigetto di due segnalazioni di inizio attività, adottati senza la trasmissione alla parte interessata del preavviso di diniego, ai sensi dell’art. 10-bis l. 241/1990, circostanza che avrebbe consentito, al pari della comunicazione di avvio del procedimento, un fattivo contraddittorio tra le parti prima dell’adozione dei provvedimenti impugnati;
– la motivazione della sentenza non è adeguata in relazione alla meticolosa descrizione dei fatti che ha corredato il ricorso di primo grado, accompagnata da una analitica contestazione delle illegittimità evidenziatesi nel percorso istruttorio che ha portato all’adozione degli atti impugnati, anche tenendo conto dell’interesse pubblico che li dovrebbe sostenere e che non si intravvede, in quanto “non si comprende come l’eventuale ripresa dei lavori (tacciata con l’inammissibilità della SCIA) avrebbe recato pregiudizio all’interesse pubblico, dato che il Comune di (omissis) non ha mai accertato in via definitiva alcun abuso, né tantomeno comminato alcuna sanzione” (così, testualmente, a pag. 13 dell’atto di appello);
– la sentenza si presenta poco approfondita con riferimento alla dinamica dei fatti che hanno condotto all’adozione dei provvedimenti impugnati, tenuto conto che il Comune non ha indicato quali fossero le norme edilizie violate nella realizzazione dei fabbricati di cui ai Lotti 1 e 12, né ha affrontato adeguatamente gli argomenti legati alle contestate difformità rispetto ai titoli abilitativi già rilasciati;
– la sentenza inoltre ha aderito pianamente alla impostazione della difesa comunale secondo la quale necessiterebbe la presentazione da parte di Co. di SCIA in sanatoria, tenuto conto che i sopralluoghi hanno dimostrato la presenza, anche sotto il profilo della compatibilità con il rischio sismico delle opere realizzate, di difformità modeste rispetto ai titoli rilasciati.
Avendo la sentenza respinto la domanda risarcitoria, la Co. ha contestato la valutazione operata dal primo giudice sulla infondatezza della predetta domanda, ritenendo tale ritenendo tale rigetto privo di motivazione e reiterandola in sede di appello.
5. – Si è costituita in giudizio il Comune di (omissis), contestando quanto sostenuto dalla Co. nell’atto di appello e chiedendone la reiezione, con conferma della sentenza di primo grado, stante la sua correttezza.
Entrambe le parti hanno presentato memorie, anche di replica, confermando le conclusioni già rassegnate nei precedenti scritti difensivi.
6. – Il Collegio ritiene che, alla luce dei motivi di appello dedotti ed all’esito dello scrutinio di tutta la documentazione prodotta, sia nel giudizio di appello che nel corso del processo di primo grado, il gravame vada respinto.
7. – La segnalazione certificata di inizio attività, anche nel settore edilizio, non costituisce un atto di avvio di un procedimento ad istanza di parte rispetto al quale l’amministrazione comunale deve esprimersi con atti di accoglimento o di diniego, ma costituisce, pur non essendo un provvedimento amministrativo impugnabile autonomamente (in ragione di quanto espressamente indicato dall’art. 19, comma 6-ter, l. 241/1990), esso stesso un(a parte del) titolo abilitativo a realizzare le opere edilizie descritte nel progetto allegato che si completa con il decorso del termine previsto dal legislatore laddove non vi siano stati interventi inibitori dell’amministrazione.
Tale procedura di esercizio di attività “liberalizzata”, con riferimento alla posizione dell’amministrazione comunale che riceve la SCIA, costituisce l’incipit per l’avvio di un procedimento di controllo, d’ufficio (che nulla ha a che vedere con un procedimento ad istanza di parte, posto che per cominciare i lavori, oltre allo spirare del termine di trenta giorni previsto dall’art. 19, comma 6-bis, primo periodo, l. 241/1990, l’interessato non deve attendere il giudizio favorevole manifestato o altra forma autorizzatoria espressa dall’amministrazione), della compatibilità della realizzazione edilizia indicata nella SCIA ed eseguita nel concreto dalla parte interessata che può concludersi, alternativamente, con una sorta di non liquet o di “archiviazione”, nell’ipotesi in cui non debbano formularsi contestazioni alla procedura seguita dall’interessato ed alla compatibilità della realizzazione dei lavori con le disposizioni normative generali e speciale in materia edilizia (e non solo), ovvero con l’assunzione di provvedimenti di carattere inibitorio, indicati nell’art. 19, comma 3, l. 241/1990 e richiamati nel successivo comma 4, in caso di contestazione tardiva rispetto ai termini fissati dal citato comma 3, hanno natura di provvedimenti sanzionatori ad effetto, talvolta, preventivo ed anticipatorio rispetto agli ordinari mezzi sanzionatori apprestati in via generale, in materia di repressione dell’abusivismo edilizio, dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Peraltro, in ordine all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 7 l. 241/1990, si riscontra una copiosa giurisprudenza che ha fatto proprio un consolidato principio, rispetto al quale il Collegio non ha ragione per derogare, in base al quale va esclusa la necessità di trasmettere la comunicazione di avvio del procedimento al soggetto che abbia presentato una d.i.a. (ovvero una s.c.i.a.), prima dell’esercizio a lui sfavorevole dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1800, e 25 gennaio 2013, n. 489, quest’ultima con riferimenti ulteriori): la disciplina che ha previsto l’articolazione dei poteri dell’amministrazione si pone in evidente deroga alle disposizioni generali, previste dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Le sopra riferite considerazioni escludono anche che al procedimento di controllo avviato dall’amministrazione sulla segnalazione certificata di inizio dei lavori edilizi, trattandosi di un procedimento non avviato ad istanza di parte, possano trovare applicazioni di cui all’art. 10-bis l. 241/1990, dal momento che l’obbligo di comunicare il preavviso di rigetto è riferibile, per espressa indicazione di legge, ai soli procedimenti ad istanza di parte.
Ad ogni modo, stante quanto si dirà nel prosieguo con riferimento alla non condivisibilità dei motivi di appello ed alla infondatezza dei motivi di ricorso dedotti in primo grado, non vi è dimostrazione che la partecipazione procedimentale – peraltro già avvenuta in forza delle numerose missive trasmesse agli uffici comunali accompagnate anche da ripetute richieste di annullamento in autotutela dei provvedimenti poi impugnati in sede giurisdizionale, dal contenuto analiticamente oppositivo (il che equivale ad una partecipazione procedimentale “di fatto”) – avrebbe condotto l’amministrazione ad assumere una determinazione finale di diverso contenuto rispetto alla scelta effettuata e qui contestata, di talché il motivo di appello va respinto con riferimento alle previsioni dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. 241/1990.
8. – La Co. riferisce (nelle memorie depositate nel presente grado di giudizio) che il Comune di (omissis) nel 2016 aveva affidato l’incarico ad una società esterna, la Technoprove S.r.l., di eseguire alcuni rilievi sia sull’immobile del Lotto 1 che su quello del Lotto 12; tali rilievi sono stati trasfusi nelle relazioni comunali del 22 settembre 2016, prot. n. 10092 (per il Lotto n. 12) e del 29 novembre 2016, prot. n. 12772 (per il Lotto n. 1).
L’esito dell’indagine tecnica svolta ha permesso di concludere, ad avviso del Comune, nel senso che nel corso dell’esecuzione dei lavori sono state apportate numerose varianti al progetto assentito con il rilascio del primigenio permesso di costruire, di talché necessitava, da parte della società interessata, la presentazione di una istanza di sanatoria edilizia.
I risultati di tale approfondimento tecnico, specifica la Co., sono stati contestati da una perizia tecnica di parte in virtù della quale emerge, rispetto a quanto rilevato dal Comune, un quadro di dissonanza realizzative significativamente più tenue. Il perito, peraltro un tecnico specializzato in strutture in cemento armato, ha confermato la fondatezza delle contestazioni che la Co. aveva mosso alle ordinanze di sospensione dei lavori del 2003, facendo emergere un complesso di modesti interventi edilizi in contrasto con il progetto a suo tempo assentito, e ciò in comparazione con le relazioni che la Technoprove S.r.l. aveva prodotto nel corso dello svolgimento del mandato affidatole dal Comune.
La relazione peritale, peraltro, depositata anche nel corso del procedimento penale, ha provocato, in ragione dei suoi contenuti, l’archiviazione di detto procedimento.
Da ciò discende, ad avviso della odierna appellante, la prova della insufficiente istruttoria svolta dal Comune nell’adozione sia dei provvedimenti inibitori sia della successiva ordinanza di sospensione dei lavori, adottata all’esito della loro ripresa.
Va considerata ininfluente l’archiviazione del procedimento penale rispetto alla procedura amministrativa di verifica e contestazione circa la compatibilità delle opere realizzate con quelle previste nel progetto a suo tempo assentito dagli uffici comunali competenti, non rilevando in tale ultima sede la dimostrazione della commissione di reati edilizi, trattandosi di una autonoma valutazione dei fatti e dei comportamenti propria del giudice penale e non essendosi realizzata in sede penale (per quello che emerge dalla documentazione depositata) una effettiva comparazione tra le posizioni opposte espresse nella perizia di parte e nelle relazioni redatte dagli uffici a seguito di sopralluoghi.
Peraltro, dalla lettura di tali ultimi atti si delinea un quadro di significativa lontananza tra quanto progettato e quanto realizzato.
Nella relazione riferita al Lotto 1, nella parte recante le conclusioni, si legge sostanzialmente (ed in parte espressamente) che:
A) sono state riscontrate talune violazioni delle norme antisismiche quali: a) la sopraelevazione del fabbricato (con riferimento alla quale la variante sostanziale, rispetto al progetto assentito, si radica nell’aumento dell’altezza dell’intero fabbricato di una percentuale superiore al 5%, con conseguente violazione delle disposizioni della l.r. 19/2008, delle norme antisismiche e della disciplina di cui al d.P.R. 380/2001, imponendo la richiesta di un nuovo titolo abilitativo ed il deposito di un nuovo progetto strutturale; b) la realizzazione di una struttura costruita con un sistema completamente differente rispetto all’iniziale progetto, sicché la modifica costituisce, ai fini della normativa sismica, una variante sostanziale nonché una variante essenziale, rispetto alla quale è necessario il rilascio di un apposito titolo edilizio la richiesta di un nuovo titolo abilitativo ed un nuovo deposito; c) l’ottenimento dell’autorizzazione di compatibilità sismica n. 15797 del 28 novembre 2013 si riferisce ad opere preesistenti e non alle opere realizzate successivamente, determinandosi quindi un intervento costruttivo incompatibile con detta autorizzazione e violativo della normativa antisismica. Le difformità costruttive rispetto all’iniziale progetto assentito non risultano, quindi, essere state sanate sia dal punto di vista sismico sia dal punto di vista edilizio, permanendo con riferimento ad esse una duplice incompatibilità sia con la normativa antisismica che con quella edilizia;
B) parimenti sono state evidenziate violazioni delle norme recate dal d.P.R. 380/2001, in particolare con riferimento all’art. 31, ed in particolare: a) riferibili alla già segnalata sopraelevazione del fabbricato; b) all’aumento della superficie complessiva e del volume del fabbricato, con particolare riferimento ad un intero piano del fabbricato che mai era stato dichiarato e previsto negli elaborati progettuali allegati alla richiesta di titolo edilizio.
9. – Nella relazione riferita al Lotto 12, nella parte recante le conclusioni, si legge sostanzialmente (ed in parte espressamente) che:
A) sono state riscontrate talune violazioni delle norme antisismiche in quanto, come per il Lotto 1, anche per il Lotto 12 è emersa una significativa difformità tra l’intervento costruttivo realizzato e l’autorizzazione sismica n. 15798 del 28 novembre 2013, di modo che, anche in questo caso, le difformità costruttive rispetto all’iniziale progetto assentito non appaiono sanabili sia sotto il versante della tutela antisismica sia dal punto di vista edilizio, permanendo con riferimento ad esse una duplice incompatibilità sia con la normativa antisismica che con quella edilizia;
B) quanto alla violazione delle norme in materia di edilizia, anche con riferimento al Lotto 12 è stata riscontrata una sopraelevazione del fabbricato rispetto al progetto a suo tempo presentato presso gli uffici comunali, idonea quindi a costituire una variante sostanziale al progetto per la cui realizzazione è necessario il rilascio di un nuovo titolo abilitativo, con l’allegazione di un apposito progetto strutturale.
10. – Orbene, dalla lettura delle due relazioni, come si è già sopra anticipato, gli uffici comunali hanno potuto ricostruire l’intero assetto delle opere che hanno interessato i due fabbricati, dimostrando la rilevanze delle variazioni rispetto alle progettazioni assentite a suo tempo dal Comune di (omissis).
Nello stesso tempo, sotto il profilo della compatibilità della normativa antisismica, l’autorizzazione regionale rilasciata ha riguardato solo una parte delle opere realizzate, essendo stato dai medesimi uffici dimostrato come molti degli interventi edilizi successivamente effettuati non erano ricompresi (ratione temporis) nell’atto assentivo regionale, residuandone quindi la loro non dimostrata compatibilità con la normativa antisismica.
Le risultanze delle due relazioni non appaiono superate dalle conclusioni alle quali è giunto il professionista che per la Co. ha redatto la perizia giurata depositata in entrambi i gradi di giudizio. In tale lavoro peritale il professionista si è concentrato sulle contestazioni degli uffici comunali relativi al rispetto o meno della normativa antisismica nel corso della costruzione, concludendo nel senso che “(…) le variazioni/contestazioni espresse sono ininfluenti per quanto riguarda le capacità statica e sismica sia del LOTTO 12 che del LOTTO 1, quindi gli elementi contestati possono essere regolarmente denunciati anche dopo la loro esecuzione con una variante finale prima o contestualmente la fine lavori con IN QUANTO VARIANTI NON SOSTANZIALI/NON ESSENZIALI (…)” (così, testualmente, nella relazione peritale).
Tali conclusioni, peraltro, non tengono conto delle contestazioni edilizie che, insieme con quelle relative alla non verificata compatibilità delle opere effettivamente eseguite con la normazione antisismica, caratterizzano le relazioni dell’ufficio tecnico, non riuscendo quindi a superare la denunciata discrasia significativa tra opere realizzate e progetto assentito, rendendo necessaria la richiesta e l’eventuale rilascio di un titolo abilitativo a sanatoria anche sul fronte antisismico, avendo dovuto la Co. richiederlo prima di realizzare i lavori.
Le osservazioni fin qui svolte rendono, dunque, superabili le critiche mosse alla legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado ed alla sentenza che detto grado ha definito con tutti gli ulteriori motivi di appello, con conseguente reiezione del mezzo di gravame proposto e della domanda risarcitoria nuovamente presentata nel presente grado di giudizio.
11. – Si precisa che la presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., n. 5 del 2015, cit. nonché Cassazione civ., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all’ordine logico di esame delle questioni e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sugli eccepiti o rilevabili profili di inammissibilità dell’appello, nonché sulla violazione del divieto dei “nova” in appello e di risolvere la lite nel merito.
12. – Deriva, pertanto, da quanto sopra la infondatezza dei motivi di appello di talché il ricorso n. R.g. 6989/2017 va respinto potendosi, per l’effetto, confermare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sez. II, 15 febbraio 2017 n. 113, e con conseguente conferma della reiezione del ricorso introduttivo proposto nel giudizio di primo grado dalla s.r.l. Co..
Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla complessità della questione oggetto di controversia per compensare tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a. le spese del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 6989/2017, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sez. II, 15 febbraio 2017 n. 113, con conseguente conferma della reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (n. R.g. 705/2014).
Spese del secondo grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore

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