Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 12 settembre 2018, n. 40444.
La massima estrapolata:
Non scatta il reato di violazione dei sigilli per il custode che commette negligenza sulla vigilanza ma non coopera concretamente all’effrazione.
Sentenza 12 settembre 2018, n. 40444
Data udienza 17 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 5447 della Corte di appello di Roma del 16 settembre 2015;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GENTILI Andrea;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con decisione assunta in data 16 settembre 2015, ha confermato, quanto alla affermazione della penale responsabilita’ di (OMISSIS) in relazione alla violazione dell’articolo 349 cod. proc. pen., la sentenza emessa il precedente 25 gennaio 2010 dal Tribunale di Civitavecchia, riformando, tuttavia, la predetta decisione; con riguardo al trattamento sanzionatorio, essendo stato questo ridotto da mesi 9 di reclusione ed Euro 200,00 di multa a mesi 8 di reclusione ed Euro 150,00 di multa in funzione della avvenuta dichiarazione di estinzione dei contestati reati contravvenzionali edilizi, medio tempore prescritti.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), articolando un primo motivo di impugnazione avente ad oggetto la riqualificazione del fatto a lei addebitato nei termini di agevolazione colposa a non di concorso nella violazione dei sigilli.
In via subordinata la ricorrente ha lamentato, nell’ordine, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; la mancata applicazione del regime del reato continuato con riferimento al altro reato per il quale la stessa gia’ e’ stata oggetto di sentenza di condanna; infine la declaratoria di intervenuta prescrizione del reato a lei ascritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato per quanto di ragione e, pertanto, lo stesso deve essere accolto, nei termini di cui in motivazione.
Deve osservarsi che la ricorrente ha lamentato, con il primo motivo di impugnazione, il fatto che con la sentenza di merito impugnata lei stessa e’ stata ritenuta responsabile del reato di cui all’articolo 349 cpv. cod. pen., sebbene la motivazione della sentenza della Corte territoriale capitolina descriva a suo carico una condotta qualificabile, semmai, come agevolazione colposa e non come violazione dei sigilli.
Al riguardo rileva il Collegio che questa Corte ha chiarito come il custode del bene sottoposto a sequestro non risponde del reato doloso previsto dall’articolo 349 c.p., comma 2, ma dell’illecito amministrativo di cui al successivo articolo 350 cod. pen., quando la violazione dei sigilli, da terzi perpetrata, sia la conseguenza della violazione, dovuta a negligenza o a trascuratezza, dei doveri di vigilanza imposti al custode medesimo, ricorrendo, invece, la responsabilita’ penale di questo laddove la manomissione del bene sia riconducibile ad una condotta intenzionale diretta, anche eventualmente per il tramite di altri soggetti concorrenti, a porre in essere la effrazione in questione (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 23 aprile 2015, n. 16900); sempre a tale proposito e’ stato, altresi’, precisato come la prova del dolo in capo al custode del bene – elemento necessario, come ora si e’ visto, ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 349 cod. pen. ed allo scopo di compiere la diagnosi differenziale con la figura contermine di cui al successivo articolo 350 cod. pen. – deve essere fornita dalla pubblica accusa e non puo’ essere desunta dalla negligenza e trascuratezza con la quale il custode ha svolto il proprio compito di vigilanza (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 16 febbraio 2017, n. 7371).
Con riferimento al caso in questione la Corte di appello, lungi dal dimostrare la partecipazione diretta, sebbene anche non materiale, della (OMISSIS) all’episodio di violazione dei sigilli a lei addebitato, ha, viceversa, valorizzato, ai fini della affermazione della penale responsabilita’ di questa, il fatto che la medesima, sulla quale incombeva il dovere di impedire l’evento, non sia stata in grado di fornire la prova del caso fortuito o della forza maggiore che le avrebbero impedito di svolgere appieno il dovere di vigilanza e custodia su di lei incombente.
Una siffatta motivazione, ad avviso del Collegio si pone, pero’, in aperto contrasto con il riportato, e pienamente condiviso, orientamento giurisprudenziale in forza del quale, ove non si voglia in sostanza procedere ad una sostanziale intepretatio abrogans dell’articolo 350 cod. pen., ai fini della integrazione del reato di violazione dei sigilli ad opera del custode del bene staggito, non e’ sufficiente che questi, per negligenza o trascuratezza, abbia omesso di esercitare la opportuna vigilanza sul bene, in tal modo trascurando il dovere su di lui gravante di impedire l’evento (violazione che trova la sua sanzione non a livello penale ma a livello di illecito amministrativo secondo i termini di cui all’articolo 350 cod. pen.), ma e’ necessario, laddove la violazione non sia immediatamente attribuibile alla sua materiale condotta, che egli abbia comunque positivamente cooperato, sia pure attraverso una mera opera di consapevole agevolazione, con coloro i quali hanno effettivamente e personalmente provveduto alla immutatio loci.
Nulla avendo, in tal senso, addotto a livello dimostrativo la Corte di appello con la sentenza impugnata, quest’ultima, in accoglimento della censura formulata dalla ricorrente, deve essere annullata, con assorbimento dei residui motivi di impugnazione.
Non vi e’ luogo all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata posto che – non sussistendo gli elementi per la affermazione della evidenza della mancanza di responsabilita’ della imputata rispetto al fatto a lei addebitato – in ragione del tempo trascorso dal momento in cui esso si e’ verificato, il reato contestato e’ sicuramente ad oggi estinto essendo ampiamente decorso il termine per la sua prescrizione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
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