Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 4 febbraio 2019, n. 853.
La massima estrapolata:
Non è sufficiente la motivazione del diniego fondata su una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate.
Sentenza 4 febbraio 2019, n. 853
Data udienza 29 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 905 del 2013, proposto da
Pe. Pa. e Pe. Gi., rappresentate e difese dall’avvocato An. Di Li., con domicilio eletto presso lo studio Sa. Mu. in Roma, via (…);
contro
Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Di Ma., Lu. Me., con domicilio eletto presso lo studio Pa. Ri. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima n. 01257/2012, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 29 gennaio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati An. Di Li. e Lu. Me.;
Rilevato in fatto che:
– la presente controversia ha ad oggetto l’appello proposto nei confronti della sentenza 1257\2012 con cui il Tar Salerno ha respinto il ricorso, proposto dall’originaria parte ricorrente, avverso i provvedimenti recanti rigetto dell’istanza di condono ai fini paesaggistici di lavori abusivi consistenti in opere eseguite dal ricorrente in assenza di titolo, sulla constatazione che il manufatto risulta realizzato sulla sponda del fiume Fu. e, per questo, impedirebbe la riqualificazione dell’alveo;
– con il presente appello l’originaria parte ricorrente riproponeva le censure sollevate in primo grado e respinte dal Tar, oltre a censurare le argomentazioni svolte dal giudice di prime cure;
– il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello;
– in seguito al decesso di parte ricorrente, Pe. Ma., il giudizio veniva riassunto dalle eredi, Pe. Pa. e Pe. Gi., con atto notificato in data 25\7\2018;
– alla pubblica udienza del 29\1\2019 la causa passava in decisione.
Considerato in diritto che:
– l’appello è fondato sotto gli assorbenti profili del dedotto difetto di motivazione del diniego impugnato in via principale, con conseguente applicabilità del principio di cui all’art. 74 cod proc amm;
– se la sentenza appellata risulta del tutto carente in termini di approfondimento, non avendo esaminato nel dettaglio le censure dedotte da parte ricorrente, le stesse determinazioni amministrative non risultano aver adeguatamente esplicato le ragioni sottese al diniego, anche a fronte degli elementi tecnici forniti da parte istante;
– la motivazione del diniego impugnato non appare adeguata in quanto non rispondente ai parametri già individuati, anche dalla giurisprudenza della sezione, in termini di doverosa rispondenza ad un modello che contempli la descrizione, dell’edificio e del progetto, del contesto paesaggistico in cui esso si colloca e del rapporto tra edificio e contesto, teso a stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2016, n. 4707);
– in linea di diritto, va ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di determinazioni paesaggistiche, l’amministrazione è tenuta ad esternare adeguatamente l’avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall’altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto;
– al riguardo, come noto, la tutela del paesaggio, avente valore costituzionale e funzione di preminente interesse pubblico, è nettamente distinta da quella dell’urbanistica;
– in tale ottica, la funzione dell’autorizzazione paesaggistica è quella di verificare la compatibilità dell’opera edilizia che si intende realizzare con l’esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo, dovendo l’autorità preposta unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell’intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso;
– in proposito, la normativa vigente non sancisce in modo automatico l’incompatibilità di un qualunque intervento sul territorio con i valori oggetto di tutela per cui, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo sia chiamata a valutare l’effettiva consistenza e la localizzazione dell’intervento oggetto di sanatoria, al fine di confermare o escludere la concreta compatibilità dello stesso con i valori tutelati nello specifico contesto di riferimento, non può ritenersi sufficiente il generico richiamo all’esistenza del vincolo, essendo al contrario necessario un apprezzamento di compatibilità da condurre sulla base di rilevazioni e di giudizi puntuali (cfr. ad es. Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2016 n. 5108);
– conseguentemente, il diniego di autorizzazione paesaggistica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, dovendo specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta (sia in relazione al vincolo che ai caratteri del manufatto) ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo;
– non è sufficiente, quindi, la motivazione del diniego fondata su una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5016);
– applicando tali coordinate al caso di specie, dall’analisi della documentazione in atti emerge la fondatezza dei vizi dedotti in relazioni alla tipologia di opere in questione;
– il diniego conclusivo ha condensato la propria valutazione in una formula stereotipata, e quindi del tutto carente degli elementi necessari, secondo gli orientamenti consolidati sopra riassunti, nonché irrilevante ai fini della richiesta sanatoria speciale, essendosi limitata alla valutazione di impossibilità della riqualificazione dell’alveo a fronte della vicinanza con il fiume;
– la p.a. odierna appellata, lungi dal richiamare ed approfondire i caratteri dell’intervento in oggetto in raffronto all’effettivo stato dei luoghi, ha riassunto la propria inadeguata valutazione nella formula generica predetta;
– emerge quindi un totale difetto di motivazione sulle effettive ragioni di incompatibilità fra l’opera in questione ed il vincolo applicato, sia con riferimento alla consistenza ed alla rilevanza delle opere in sé che in relazione ai caratteri specifici, rispetto all’area in dettaglio coinvolta, del vincolo applicato;
– a quest’ultimo riguardo, infatti, il concetto di riqualificazione non ha alcuna rilevanza rispetto alla diversa prospettata condonabilità del manufatto, la quale si fonda su parametri tanto peculiari quanto da interpretare con particolare attenzione in caso di area soggetta a vincolo;
– piuttosto, la riqualificazione presuppone la prospettazione di un’attività di futura modifica dell’area, di per sé contraddittoria e distinta rispetto alla diversa specifica valutazione della condonabilità di un abuso;
– alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato e va accolto, con conseguente, in riforma della sentenza appellata, accoglimento del ricorso di primo grado in relazione all’assorbente motivo indicato;
– le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado
Condanna parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore di parte appellante, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
Leave a Reply