Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 febbraio 2023| n. 4145.

Nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario

Nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto. (Principio affermato in un caso di accertamento giudiziale della paternità, nel quale la sentenza di merito aveva dato conto della sola situazione reddituale del padre e degli esborsi mensili sullo stesso gravanti, oltreché della condizione di studentessa universitaria della figlia, non autonoma economicamente, senza però indagare sulle risorse patrimoniali e reddituali della madre).

Ordinanza|10 febbraio 2023| n. 4145. Nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario

Data udienza 15 dicembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Figli – Accertamento giudiziale della paternità – Assegno di mantenimento – Privazione della figura paterna – Risarcimento del danno – Ripetizione pro quota delle spese sostenute – Artt. 147 e 337 ter, 2697, cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13605/2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)), come da procura speciale in atti.
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
-intimate-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 297/2021 depositata il 11/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/12/2022 dal Consigliere LAURA TRICOMI.
RITENUTO CHE:
1.- La Corte d’appello di Brescia, con sentenza in data 11/3/2021, ha confermato la decisione del Tribunale di Brescia nella parte in cui: era stata accolta la domanda di accertamento giudiziale della paternita’ proposta da (OMISSIS) per l’accertamento relativo alla figlia (OMISSIS) (nata il (OMISSIS)), nei confronti di (OMISSIS); era stato stabilito l’assegno di mantenimento a carico del padre nella misura di Euro 400,00= mensili, oltre ISTAT; ed era stato accertato il danno per la privazione della figura paterna liquidato in favore della figlia in Euro 40.000,00=; quindi, in parziale riforma della prima decisione, la Corte di merito ha parzialmente accolto la domanda di ripetizione pro quota delle spese sostenute dalla madre per il mantenimento della figlia fino alla data della domanda, determinando l’importo posto a carico di (OMISSIS) in Euro 44.700,00=, oltre interessi (dalla domanda).
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi; (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimaste intimate.

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CONSIDERATO CHE:

2.1.- Il ricorso e’ cosi’ articolato:
I) Violazione degli articoli 147 e 337 ter c.c. in relazione all’erronea determinazione dell’assegno di mantenimento per la figlia con violazione dei principi di proporzionalita’, censura dedotta anche sotto il profilo del vizio motivazionale. Il ricorrente si duole che, nel considerare il suo reddito di agente della Polizia municipale, non si sia tenuto conto delle uscite mensili per spese fisse che incidevano in maniera rilevante sulla effettiva disponibilita’; si duole inoltre che non sia stato rispettato il criterio di proporzionalita’ rispetto alle capacita’ reddituali e patrimoniali di entrambi i genitori, rimarcando che la situazione economica di (OMISSIS) non era stata documentata e non erano stati svolti accertamenti reddituali, possibili anche d’ufficio, avendo la Corte di appello asserito che “non risultava una disponibilita’ economica particolarmente elevata” cosi’ esprimendo una valutazione soggettiva. Lamenta che non sia stata nemmeno provata l’attuale assenza di reddito della figlia divenuta maggiorenne.
II) Violazione degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonche’ insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo – erronea valutazione delle prove acquisite nel giudizio di primo grado in ordine alla consapevolezza paterna della filiazione sin dal concepimento.
Il ricorrente, dopo avere osservato che non vi era prova in atti che identificasse con esattezza il periodo del concepimento, ricostruito in base a generali evidenze scientifiche, svolge una disamina delle testimonianze rese nel corso del giudizio di primo grado da (OMISSIS) e da (OMISSIS) per contestarne la attendibilita’ e la idoneita’ a provare la propria consapevolezza della paternita’ fin dal momento del concepimento. Deduce, di contro, che solo a seguito dell’espletamento della CTU nel corso del giudizio di primo grado egli acquisto’ tale consapevolezza, mutando le proprie domande e chiedendo che venisse giudizialmente accertata la genitorialita’.

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III) Violazione degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. nonche’ insufficienza motivazionale su un fatto controverso e decisivo per il giudizio – omessa valutazione da parte del Giudicante delle complessive prove acquisite in primo grado in ordine alla mancanza di consapevolezza di (OMISSIS) della filiazione sin dal concepimento. Il ricorrente si duole che il giudice del merito, acquisita la cartella clinica dalla quale risultava il suo ricovero presso l’Ospedale di (OMISSIS) tra il (OMISSIS), con diagnosi di accettazione di “disturbo bipolare in fase maniacale” e della diagnosi di dimissione relativa a “psicosi maniaco-depressiva di tipo maniacale “, non abbia tenuto conto di un problema di salute assolutamente grave e tale da indurre un disturbo della memoria, dell’attenzione e delle funzioni esecutiva che avrebbe dovuto indurre ad escludere la consapevolezza – memoria del concepimento e della possibile filiazione.
IV) Violazione dell’articolo 2043 e 2059 c.c. – riconoscimento di una condotta illecita dell’esponente ed assenza di prova sul punto – assenza di prova circa un danno non patrimoniale.
Il ricorrente deduce che il danno non puo’ essere in re ipsa e che non e’ stato provato da controparte la ricorrenza di un danno in capo alla figlia.
Sostiene, in linea con i motivi secondo e terzo, che non e’ stata provata la sua condotta illecita, e cioe’ la consapevolezza della paternita’ sin dal 2000, ne’ l’evento dannoso e deduce che il profilo di causalita’ doveva ritenersi interrotto dalla condotta della madre che aveva omesso di richiedere la tutela giudiziale per sedici anni.
V) Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 148 c.c..
Il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia parzialmente accolto l’appello incidentale di (OMISSIS), concernente la ripetizione pro quota delle spese anticipate e sostenute da sola per il mantenimento della figlia, in assenza, a suo parere, di qualsiasi elemento di prova, anche solo indiziario, che consentisse di stabilire se ed in che misura dette spese erano state effettivamente sostenute. Deduce anche che la (OMISSIS) non avrebbe fornito la prova della sua legittimazione attiva.

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3.1.- Il primo motivo e’ fondato, nei termini di seguito precisati, anche alla luce dei piu’ recenti arresti di legittimita’.
Invero, pur dandosi atto che la Corte bresciana ha rettamente valutato la situazione reddituale del ricorrente, tenendo conto degli esborsi mensili sullo stesso gravanti, anche se pro quota in concorso con la di lui moglie, ed ha valutato la condizione della figlia, priva di autosufficienza economica ed impegnata negli studi universitari, va rilevato che, di contro, il Giudicante non ha effettuato alcuna indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali della madre, ritenendo cio’ non necessario, alla luce di un superato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la determinazione del contributo che per legge grava sui genitori per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonderebbe su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge (Cass. n. 18538-2013).
Invero, dalla piu’ recente giurisprudenza e’ stato, invece, affermato il condiviso principio di diritto – cui in questa sede viene data continuita’ – secondo cui “nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalita’, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto.” (Cass. n. 4811/2018; conf. Cass. n. 19299/2020), valutazione a cui la Corte di merito dovra’ ora procedere in sede di rinvio.
3.2.- I motivi secondo e terzo, da trattarsi congiuntamente sono inammissibili perche’ non rispondono al modello del vizio denunciato e sollecitano la rivalutazione del merito in ordine alla valenza probatoria delle deposizioni testimoniali raccolte e delle condizioni di salute psichica del ricorrente all’epoca dei fatti considerati.
Questa Corte ha piu’ volte chiarito che sussiste la violazione dell’articolo 115 c.p.c. solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), ovvero abbia disatteso prove legali secondo il suo prudente apprezzamento – circostanze, queste, che non ricorrono nella fattispecie in esame – mentre non e’ censurabile per questa via il fatto che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. n. 20867-2020; conf. ex plurimis Cass. n. 29246-2021).
Analogamente, la doglianza di violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; al contrario, ove si deduca che il giudice abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (cfr. Cass. n. 18092/2020), e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054/2014; cfr. Cass. n. 34474/2019; Cass. n. 20867/2020).

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Nel caso di specie, le dedotte censure motivazionali non rispettano i canoni del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis), che impone al ricorrente l’onere di indicare, ai sensi dell’articolo 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’articolo 369, comma 2, n. 4, c.p.c.), il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e, soprattutto, la sua “decisivita’” (Cass. Sez. U. n. 8054/2014; Cass. n. 1241/2015; Cass. nn. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), restando esclusa la possibilita’ di denunziare, in sede di legittimita’, la mera insufficienza o contraddittorieta’ della motivazione (Cass. Sez. U. n. 33017/2018).
Va dunque ribadito che “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. n. 23153/2018; Cass. n. 11892/2016), sia perche’ la contestazione della persuasivita’ del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione e non piu’ censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia perche’ con il ricorso per cassazione la parte non puo’ rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimita’ (ex plurimis, Cass. n. 11863/2018; Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 16056/2016).
E’ evidente, infatti, che ammettere in sede di legittimita’ la verifica della sufficienza o della razionalita’ della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U. n. 28220/2018).

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Deve quindi concludersi che il ricorso, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, aspira, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito ed e’ in quanto tale inammissibile, poiche’ persegue surrettiziamente la trasformazione del giudizio di legittimita’ in un ulteriore grado di merito (Cass. Sez. U. n. 34476/2019; Cass. n. 5987/2021).
3.3.1.- Il quarto motivo ed il quinto motivo sono infondati e possono essere trattati congiuntamente perche’ connessi.
3.3.2.- Anche a scopo di completezza espositiva, e’ opportuno premettere che la Corte di appello ha accertato che: l’odierno ricorrente, la cui genitorialita’ e’ stata accertata giudizialmente, non ha adempiuto al proprio obbligo di mantenere, istruire ed educare la figlia; (OMISSIS) era stato consapevole della paternita’, sin dall’epoca del concepimento – a differenza di quanto ancora sostiene il ricorrente -; e il disinteresse mostrato nei confronti della figlia, oltre ad integrare una grave violazione dei doveri di cura e assistenza morale, ha inevitabilmente provocato una grave lesione dei diritti di quella, nascenti dal rapporto di filiazione, e cio’ a prescindere dal fatto che l’altro genitore l’abbia riconosciuta alla nascita e provveduto in via esclusiva al suo mantenimento.
3.3.3.-Secondo il consolidato orientamento di questa Corte l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass. n. 26205/2013; Cass. n. 5652/2012; Cass. n. 27653/2011; Cass. n. 23596/2006,), producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi dell’articolo 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’articolo 148 c.c..
L’obbligazione, come si e’ chiarito (Cass. n. 3079/2015), trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva e’ datata appunto al momento della nascita del figlio (fra le molte conformi, Cass. n. 23630/2009), per cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (articoli 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale. Con la ulteriore conseguenza che, anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo, tenuto percio’ a provvedere per intero al suo mantenimento, per cio’ stesso non viene meno l’obbligo dell’altro di ottemperare ai propri doveri (Cass. n. 26205/2013; Cass. n. 5652/2012) per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di genitorialita’.
Inoltre, come rimarcato dalla giurisprudenza di legittimita’ che ha enucleato la nozione di illecito endofamiliare, la violazione dei relativi doveri genitoriali non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali cagionati al figlio, ai sensi dell’articolo 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi recentemente e ripetutamente affermati da questa stessa Corte in tema di danni alla persona (Cass. n. 901/2018; Cass. n. 7513/2018; Cass. n. 2788/2019; Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 26301/2021).

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3.3.4.- Nel caso di specie, quanto alla domanda risarcitoria del danno non patrimoniale cagionato alla figlia, la Corte di merito, all’esito dell’esame del materiale probatorio acquisito, avendo accertato che il ricorrente aveva omesso di onorare i propri doveri di genitore, ha correttamente ritenuto sussistente il danno lamentato dalla figlia e risarcibile il relativo pregiudizio, in conseguenza della lesione di diritti inviolabili e/o fondamentali della persona, oggetto di tutela costituzionale (Cost., articoli 2 e 30) ed ai fini della quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dalla figlia per la totale assenza della figura paterna, i giudici di merito hanno legittimamente fatto ricorso al criterio equitativo per determinarne l’importo, non altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, criterio comunque non contestato dal ricorrente.
3.3.5.- Quanto alla domanda di ripetizione delle spese sostenute per il mantenimento della figlia avanzata dalla (OMISSIS), la decisione impugnata risulta conforme ai principi elaborati da questa corte di legittimita’, secondo cui: A) “Con la sentenza di accertamento della filiazione naturale si dichiara ed attribuisce in capo al figlio uno status che ha efficacia retroattiva con l’obbligo di rimborsare, pro quota, l’altro genitore che abbia provveduto integralmente al mantenimento del figlio.” (Cass. n. 17140 del 11/07/2017); B) “In materia di figli nati fuori del matrimonio, il diritto al rimborso delle spese in favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita, ancorche’ trovi titolo nell’obbligazione legale di mantenimento imputabile anche all’altro genitore, la cui paternita’ (o maternita’) sia stata successivamente dichiarata, ha natura in senso lato indennitaria, essendo diretto a ristorare colui che ha effettuato il riconoscimento dagli esborsi sostenuti, sicche’ il giudice di merito, ove l’importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, puo’ utilizzare il criterio equitativo, tenendo conto delle molteplici e variabili esigenze del figlio (soddisfatte o da soddisfare), legate allo sviluppo e alla formazione di studio e professionale, restando comunque indiscutibili le spese di sostentamento, sin dalla nascita, in base ad elementari canoni di comune esperienza.” (Cass. n. 16916 del 25/05/2022).
La motivazione della sentenza impugnata non si discosta dai principi enunciati. Invero, la determinazione del quantum e’ stata effettuata in riferimento ad una quantificazione minima delle spese, cumulando le ordinarie e le straordinarie, necessarie per il mantenimento, determinata negli importi, gia’ rivalutati, di Euro 200,00= mensili fino ai 10 anni di eta’ e di Euro 300,00 mensili fino alla proposizione della domanda, con un apprezzamento di merito in questa sede non sindacabile sicche’ la censura tende, in definitiva, ad un’inammissibile rivisitazione delle valutazioni compiute dalla Corte territoriale.

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4. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso, dichiarati inammissibili il secondo ed il terzo ed infondati il quarto ed il quinto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione, anche per le spese del presente grado.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52..

P.Q.M.

– Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibili il secondo ed il terzo ed infondati il quarto ed il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Bescia in diversa composizione, anche per le spese del presente grado;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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