Nel preliminare caparra e penale possono coesistere

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 gennaio 2025| n. 236.

Nel preliminare caparra e penale possono coesistere

Massima: In tema di contratto preliminare, la caparra confirmatoria, al pari della clausola penale stipulata per il caso di inadempimento, rivelano il comune intento di indurre l’obbligato all’adempimento e, pertanto, ambedue possono coesistere nell’ambito dello stesso contratto. I due istituti, tuttavia, differiscono quanto ad ambito di applicazione, giacché la caparra confirmatoria trova applicazione quando, per effetto del recesso, il contratto non possa essere più adempiuto, mentre la clausola penale è applicabile laddove colui che non è inadempiente preferisca domandare l’esecuzione del contratto o la risoluzione.

 

Ordinanza|7 gennaio 2025| n. 236. Nel preliminare caparra e penale possono coesistere

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto – Efficacia del contratto – Caparra confirmatoria – Clausola penale – Coesistenza nello stesso contratto – Distinzione tra i due istituti – Conseguenze

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 18186/2019) proposto da:

Ca.Ro. (C.F.: Omissis), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. An.Br., elettivamente domiciliato in Roma, viale Ma.N., presso lo studio dell’Avv. Ma.An.;

– ricorrente –

contro

Na.Sa. (C.F.: Omissis)

Na.Gi. (C.F.: Omissis

Na.Do. (C.F.: Omissis

Na.Co. (C.F.: Omissis)

Na.Ro. (C.F.: Omissis)

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Mi.Ma., elettivamente domiciliati in Roma, via Mu.Cl., presso lo studio dell’Avv. Gi.Ra.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 317/2019, pubblicata il 29 marzo 2019, asseritamente notificata il 29 marzo 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano.

Nel preliminare caparra e penale possono coesistere

FATTI DI CAUSA

1.- Con decreto ingiuntivo n. 17/2008 del 17 gennaio 2008, il Tribunale di Brindisi (Sezione distaccata di Francavilla Fontana) ingiungeva il pagamento, a carico di Na.Sa., Na.Gi., Na.Co., Na.Do. e Na.Ro. e a favore di Ca.Ro., della somma di Euro 130.000,00, di cui Euro 30.000,00 a titolo di restituzione dell’acconto versato ed Euro 100.000,00 a titolo di penale, in ragione dell’inadempimento degli ingiunti promittenti alienanti al contratto preliminare di vendita del suolo edificatorio sito in S, in catasto al foglio n. (Omissis), particelle nn. (Omissis), per il prezzo convenuto di Euro 930.000,00, avendo tali promittenti venditori, per un verso, disatteso i formali inviti di presentarsi dal notaio per la stipula del definitivo e, per altro verso, alienato l’immobile promesso in vendita a terzi, sicché il preliminare avrebbe dovuto ritenersi risolto.

Con atto di citazione notificato il 26 marzo 2008, Na.Sa., Na.Gi., Na.Co., Na.Do. e Na.Ro. proponevano opposizione avverso l’emesso provvedimento monitorio, chiedendone la revoca e spiegando, in via riconvenzionale, domanda di risoluzione del contratto preliminare del 23 novembre 2005 per inadempimento imputabile a colpa esclusiva del promissario acquirente, con la condanna di quest’ultimo al pagamento, in favore degli opponenti, a titolo di penale, al netto dell’acconto già ricevuto di Euro 30.000,00, della somma residua di Euro 70.000,00.

Si costituiva in giudizio Ca.Ro., il quale contestava l’opposizione avversaria e, in via riconvenzionale, chiedeva che fosse pronunciata la risoluzione del preliminare per inadempimento dei promittenti venditori, con la condanna dei predetti, in solido, al risarcimento dei danni subiti nella misura di Euro 350.000,00 o nella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia.

Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2073/2015, depositata il 7 dicembre 2015, notificata il 21 dicembre 2015, accoglieva l’opposizione spiegata e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto, pronunciando, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dagli opponenti, la risoluzione del contratto preliminare del 23 novembre 2005 per inadempimento del promissario acquirente e condannando quest’ultimo al pagamento della penale nella misura stabilita dall’art. 11 del preliminare per complessivi Euro 100.000,00, di cui Euro 30.000,00 già ricevuti in acconto, con il contestuale rigetto della riconvenzionale di risoluzione proposta dal promissario acquirente.

2.- Con atto di citazione notificato il 20 gennaio 2016, Ca.Ro. proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) che erroneamente era stato ritenuto colpevole per ritardo nella progettazione e nella richiesta del titolo edilizio inerente al complesso edilizio da erigere sul terreno promesso in vendita, in cui erano compresi alcuni appartamenti oggetto dell’eventuale permuta contrattualmente prevista; 2) che il mancato rispetto della data fissata per la stipula del definitivo era la conseguenza, non già di un contegno colpevole, bensì dell’oggettiva perdurante incertezza degli esatti confini del fondo promesso in vendita; 3) che non ricorreva alcun inadempimento in ordine alla presentazione innanzi al notaio in data 25 maggio 2007 di soggetto diverso dall’appellante, in quanto da questi prescelto; 4) che non si era tenuto conto del contegno inadempiente dei promittenti venditori, che avevano ceduto l’immobile a terzi prima della stipula del contratto definitivo, fissata per il 10 maggio 2007; 5) che era stata erroneamente dichiarata assorbita la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta dal promissario acquirente.

Si costituivano nel giudizio di impugnazione Na.Sa., Na.Gi., Na.Co., Na.Do. e Na.Ro., i quali instavano per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto dell’appello, con la conferma della decisione impugnata.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione spiegata e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia appellata.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che ogni incertezza sui confini era venuta meno sin dal 10 novembre 2005, ben prima della data fissata per la stipula del contratto definitivo al 23 novembre 2006, avendo l’ingegnere – incaricato dall’ufficiale giudiziario di dare esecuzione a sentenza intervenuta in altro procedimento – definitivamente tracciato i confini precedentemente controversi di parte del fondo oggetto del preliminare; b) che la previsione contrattuale che consentiva ai promittenti venditori di scegliere alternativamente tra acquisizione del prezzo del fondo e permuta tra il terreno e alcuni degli appartamenti da realizzarsi era stata correttamente qualificata come elemento essenziale del contratto preliminare;

c) che l’essenzialità di detta pattuizione emergeva inequivocabilmente: – dal contenuto letterale del contratto preliminare, che prevedeva l’anticipazione della stipula ove fossero state effettuate le cancellazioni delle formalità e fosse stata ottenuta la concessione edilizia; – dal contegno delle parti contraenti e, in particolare, del medesimo appellante, che – con nota del 15 novembre 2006 – aveva giustificato il mancato rispetto del termine fissato per la stipula del contratto definitivo proprio evidenziando l’impossibilità di presentare il progetto edilizio a causa della perdurante (in realtà da tempo superata) incertezza dei confini; d) che, in ogni caso, anche a voler prescindere dal carattere essenziale della predetta clausola, l’appellante si era reso certamente inadempiente, non avendo comunque ed immotivatamente indicato il nominativo del notaio e la data della stipula del definitivo nel termine assegnato dagli appellati – dichiaratisi comunque pronti alla stipula nel termine originariamente previsto dal preliminare – nella diffida datata 6 novembre 2006;

e) che il promissario acquirente non si era presentato personalmente innanzi al notaio in data 25 maggio 2007 e non aveva nominato per iscritto alcun acquirente alternativo, come era emerso dalla prova raccolta; f) che, invece, era comparso dinanzi al notaio il legale rappresentante di una società – della quale il Ca.Ro. aveva affermato di essere socio -, offrendo di saldare il prezzo della vendita da stipularsi mediante assegni di conto corrente bancario, mezzo di pagamento certamente non ordinario, trattandosi di somma ingentissima pari ad Euro 900.000,00; g) che conseguentemente non era stato possibile stipulare il contratto definitivo, anche questa volta per esclusiva responsabilità dell’appellante; h) che l’appellante si era già reso inadempiente, non provvedendo tempestivamente a richiedere la concessione edilizia e comunque rifiutandosi di indicare la data della stipula e il nominativo del notaio prescelto entro il termine previsto dal preliminare ed entro il termine assegnato dagli appellati nella diffida del 6 novembre 2006; i) che, alla luce dei predetti contegni del promissario acquirente, il Tribunale, con motivazione ineccepibile, aveva escluso che la vendita del fondo da parte degli appellati, in favore di soggetto terzo, potesse costituire inadempimento contrattuale dei promittenti venditori; l) che, non essendo i promittenti venditori inadempienti agli obblighi rivenienti dal preliminare, non potevano essere tenuti a risarcire alcun danno.

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, Ca.Ro.

Hanno resistito, con controricorso, Na.Sa., Na.Gi., Na.Co., Na.Do. e Na.Ro.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente si rileva che manca agli atti la relata di notifica della sentenza impugnata, notifica asseritamente avvenuta il 29 marzo 2019.

Nondimeno, il ricorso per cassazione è ugualmente procedibile, poiché è stato notificato prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato, ossia il 28 maggio 2019 (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 11386 del 30/04/2019; Sez. 6-3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013).

2.- Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 1385 c.c. nonché dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito confermato la condanna del promissario acquirente al pagamento della penale contrattualmente convenuta, pur in difetto di una domanda di risoluzione del contratto preliminare, avendo gli opponenti chiesto la pronuncia della risoluzione del contratto preliminare del 23 novembre 2005 per colpa esclusiva del promissario acquirente, non già ai sensi dell’art. 1453 c.c., bensì ai fini dell’applicazione dell’art. 1385, secondo comma, c.c.

Osserva l’istante che i promittenti alienanti avrebbero inteso esercitare il diritto di recesso, rinunciando alla possibilità di conseguire per via giudiziale la risoluzione del contratto, sicché la relativa condanna avrebbe dovuto essere disposta nei limiti dell’importo della versata caparra confirmatoria.

2.1.- Il motivo è infondato.

Infatti, con l’atto di opposizione, i promittenti alienanti hanno chiesto espressamente la pronuncia della risoluzione del contratto preliminare di vendita del 23 novembre 2005 per inadempimento imputabile al promissario acquirente, invocando altresì la condanna di quest’ultimo al pagamento della “penale” pattuita nel preliminare per l’importo complessivo di Euro 100.000,00, di cui Euro 30.000,00 già versati a titolo di acconto.

Pertanto, a prescindere dal richiamo all’art. 1385, secondo comma, c.c., nelle conclusioni rassegnate e accolte dalla pronuncia di primo grado, non vi è stato alcun riferimento all’esercizio del diritto potestativo di recesso, né alla previsione di una caparra confirmatoria, poiché il versamento della somma di Euro 30.000,00 è stato espressamente imputato alla corresponsione di un acconto.

Ora, la caparra confirmatoria differisce dalla penale, perché ha valore di acconto della prestazione da adempiere e non già quello, proprio della penale, di anticipata liquidazione del danno. Accertare se, nel caso concreto, l’anticipato versamento di una somma di danaro o di altre cose fungibili, nella intenzione delle parti, sia stata effettuata a titolo di caparra o di penale, è compito del giudice del merito, il cui apprezzamento, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 367 del 14/02/1967).

E peraltro, in tema di contratto preliminare, la caparra confirmatoria, al pari della clausola penale stipulata per il caso di inadempimento, rivelano il comune intento di indurre l’obbligato all’adempimento e, pertanto, ambedue possono coesistere nell’ambito dello stesso contratto. I due istituti, tuttavia, differiscono quanto ad ambito di applicazione, giacché la caparra confirmatoria trova applicazione quando, per effetto del recesso, il contratto non possa essere più adempiuto, mentre la clausola penale è applicabile laddove colui che non è inadempiente preferisca domandare l’esecuzione del contratto o la risoluzione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 35068 del 29/11/2022; Sez. 1, Sentenza n. 925 del 09/05/1962).

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Nella specie, i promittenti venditori hanno appunto pacificamente esercitato l’azione di risoluzione giudiziale, chiedendo il pagamento della penale prevista (non corrisposta anticipatamente).

3.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369 e 1371 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la previsione contrattuale consentisse ai promittenti venditori di scegliere alternativamente tra acquisizione del prezzo del fondo e permuta tra il terreno ed alcuni degli appartamenti da realizzarsi, sulla scorta degli elementi valorizzati.

Obietta l’istante che la Corte salentina si sarebbe discostata dalla gerarchia dei criteri di ermeneutica contrattuale, avendo utilizzato il solo criterio letterale, senza alcuna integrazione con il criterio funzionale, dalla cui applicazione sarebbe emerso che il promissario acquirente poteva valutare liberamente se e quando edificare sul lotto oggetto del futuro contratto di vendita e, solo nell’ipotesi in cui avesse ritenuto opportuno edificare in tempi rapidi e contenere i tempi necessari per conseguire il rilascio del necessario permesso di costruire, i promissari acquirenti si obbligavano a sottoscrivere i progetti, le istanze e tutti gli atti riservati al proprietario del suolo, oggetto dell’intervento edilizio.

Sicché la possibilità di anticipare la richiesta di concessione edilizia non sarebbe stata certamente finalizzata ad integrare un elemento essenziale del futuro contratto di vendita, in ordine alle modalità di pagamento del prezzo, ma sarebbe stata esclusivamente volta ad arrecare un vantaggio al promissario acquirente, nella prospettiva del suo pur sempre libero ed autonomo utilizzo dell’immobile, di cui sarebbe divenuto proprietario.

Con la conseguenza che non avrebbe potuto essere integrato l’inadempimento del promissario acquirente, in dipendenza del mancato ottenimento del permesso di costruire entro la data fissata per la stipula del definitivo.

3.1.- Il motivo è inammissibile.

Ed invero il giudice di merito ha ritenuto essenziale nell’economia complessiva del contratto preliminare la previsione che consentiva ai promittenti venditori di scegliere alternativamente tra acquisizione del prezzo del fondo e permuta tra il terreno e alcuni degli appartamenti da realizzare.

L’essenzialità di detta pattuizione è stata ricavata: – dal contenuto letterale del contratto preliminare, che prevedeva l’anticipazione della stipula ove fossero state effettuate le cancellazioni delle formalità e fosse stata ottenuta la concessione edilizia; – dal contegno delle parti contraenti e, in particolare, del medesimo appellante, che – con nota del 15 novembre 2006 – aveva giustificato il mancato rispetto del termine fissato per la stipula del contratto definitivo proprio evidenziando l’impossibilità di presentare il progetto edilizio a causa della perdurante (in realtà da tempo superata) incertezza dei confini.

Ora, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 18214 del 03/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009).

Nella specie, la sentenza impugnata ha fornito un’interpretazione del preliminare supportata dal richiamo all’elemento letterale, come suffragato dal contegno – anche posteriore alla stipula – assunto dalle parti, ai sensi dell’art. 1362, primo e secondo comma, c.c., rendendo una lettura plausibile del negozio.

Per converso, la contestazione del ricorrente mira ad ottenere una lettura alternativa, nei termini anzidetti inammissibile.

4.- Con il terzo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1184, 1185 e 1454 c.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto che il promissario acquirente si fosse reso certamente inadempiente, non avendo comunque ed immotivatamente indicato il nominativo del notaio e la data di stipula del definitivo nel termine assegnato dagli appellati nella diffida datata 6 novembre 2006, mentre il termine convenuto nel contratto avrebbe dovuto reputarsi stabilito in favore di entrambe le parti del contratto, sicché il creditore non avrebbe potuto esigere la prestazione prima della scadenza.

Sostiene l’istante che la diffida sarebbe stata intimata dai promittenti alienanti nei confronti del promissario acquirente molti giorni prima della scadenza del termine entro il quale il contratto definitivo di compravendita avrebbe dovuto essere stipulato, con l’effetto che sarebbe stata inidonea a produrre l’effetto risolutivo del contratto.

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Con l’ulteriore conseguenza che il vincolo negoziale si sarebbe protratto ben oltre la scadenza contrattualmente convenuta, in mancanza di un termine essenziale in favore di alcuno dei contraenti e perdurando l’interesse di ognuno all’esecuzione del preliminare di compravendita.

4.1.- Il motivo è infondato.

Secondo lo stesso assunto del ricorrente, il contratto preliminare concluso il 23 novembre 2005 tra le parti prevedeva, all’art. 9, che il termine “massimo” per la stipula dell’atto pubblico di compravendita fosse fissato di comune accordo in dodici mesi dalla sottoscrizione del preliminare, ossia scadesse il 23 novembre 2006, salva la possibilità di un’ulteriore proroga di sei mesi, qualora non fosse stato possibile procedere alla stipula per cause indipendenti dalla volontà delle parti e salvo il diritto per il promissario acquirente e per i promittenti venditori di anticipare la vendita, ove fossero state effettuate le cancellazioni delle formalità e fosse stata ottenuta la concessione edilizia.

Per l’effetto, la sentenza impugnata ha stabilito che l’appellante si era reso inadempiente, non avendo comunque indicato il nominativo del notaio e la data della stipula del definitivo nel termine assegnato dagli appellati nella diffida datata 6 novembre 2006, che intimava al promissario acquirente di provvedere alla stipula del definitivo in vista della scadenza del termine “massimo” originariamente previsto dal preliminare e non già prima della sua scadenza.

Peraltro, nella pronuncia d’appello si allude al riconoscimento, a cura dello stesso promissario acquirente, del mancato rispetto del termine fissato per la stipula del contratto definitivo alla stregua della dedotta impossibilità di presentare il progetto edilizio a causa della perdurante incertezza dei confini.

Incertezza che, in realtà, era stata già da tempo superata, all’esito della delimitazione dei confini effettuata dal tecnico incaricato dall’ufficiale giudiziario incaricato in esito alla definizione di altra vertenza giudiziaria.

5.- Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 1403 c.c., per avere la Corte del gravame evidenziato che il promissario acquirente non si era presentato personalmente innanzi al notaio per la data del 25 maggio 2007 e non aveva nominato per iscritto un acquirente alternativo (posto che il contratto preliminare prevedeva la possibilità che il definitivo potesse essere concluso da persona da nominare).

E ciò senza considerare che la dichiarazione di nomina e l’accettazione, pur dovendo essere redatte nella stessa forma usata per il contratto, non avrebbero richiesto formule sacramentali, potendo ravvisarsi in qualsiasi atto idoneo ad esprimere la volontà del contraente di sostituire a sé un terzo nella stipulazione del definitivo e quella del terzo designato di assumere la titolarità del rapporto negoziale.

Aggiunge l’istante che sarebbe stato sufficiente che alla controparte fosse pervenuta una comunicazione scritta, indicante la chiara volontà di designazione del terzo in capo al quale doveva concludersi il contratto e la sua accettazione.

Senonché la nomina della C.R. Srl, di cui il Ca.Ro. era socio, sarebbe emersa inequivocabilmente dalla circostanza che tutte le istanze di concessione del permesso di costruire presentate al Comune di Santeramo in Colle, di cui gli opponenti avevano dichiarato di aver preso visione, riportavano la firma di Santoro Antonella, quale amministratrice unica della C.R..

5.1.- Il motivo è inammissibile.

La censura si fonda, infatti, su circostanze nuove e aspecifiche.

Risulta infatti dedotta per la prima volta in sede di legittimità la circostanza relativa alla presentazione del permesso di costruire a nome della C.R. e, in ogni caso, non è specificato da quale documento possa desumersi tale fatto.

Ad ogni modo, il fatto che nel contratto per persona da nominare la dichiarazione di nomina non richieda formule sacramentali e che il suo contenuto non sia legislativamente determinato in modo rigido, non esclude che possa ravvisarsi in qualsiasi dichiarazione del contraente, che se ne sia riservata la facoltà, con la quale egli nomini la persona che deve acquistare i diritti ed assumere gli obblighi nascenti dal contratto da lui stipulato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21254 del 29/09/2006; Sez. 3, Sentenza n. 21140 del 04/11/2004; Sez. 2, Sentenza n. 15164 del 29/11/2001; Sez. 2, Sentenza n. 12965 del 29/09/2000).

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Il che non può tuttavia desumersi dalla mera presentazione del permesso di costruire sul suolo oggetto del preliminare, che non costituisce certo una dichiarazione di nomina.

6.- Il quinto motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1277 e 1375 c.c., per avere la Corte di secondo grado reputato integrato l’inadempimento del promissario acquirente sulla scorta della considerazione che, in sua vece, si fosse presentato dinanzi al notaio il legale rappresentante della C.R., offrendo di saldare il prezzo della vendita mediante assegni di conto corrente bancario, mezzo di pagamento certamente non ordinario rispetto ad una somma ingente di Euro 900.000,00.

Precisa l’istante che l’offerta dell’assegno bancario avrebbe assicurato ugualmente la disponibilità della somma dovuta e non avrebbe legittimato il creditore a rifiutare il pagamento stesso, essendo all’uopo necessario che il rifiuto fosse sorretto anche da un giustificato motivo, che il creditore avrebbe dovuto allegare all’occorrenza e provare, stante che anche l’acconto di Euro 30.000,00 era stato versato mediante sei assegni bancari al momento della sottoscrizione del preliminare.

6.1.- Il motivo è inammissibile.

Infatti, a fronte della mancata presentazione del promissario acquirente nella data fissata del 25 maggio 2007 davanti al notaio designato e dell’impossibilità di stipulare il definitivo con il legale rappresentante della società C.R. Srl, presentatosi in quella sede senza la previa dichiarazione di nomina, il rilievo sull’offerta della somma dovuta mediante assegno bancario ha avuto un ruolo meramente rafforzativo dell’inadempimento dedotto, che è rimasto fermo a prescindere dalla idoneità del pagamento offerto da un terzo senza la previa dichiarazione di nomina.

In ogni caso, nelle obbligazioni pecuniarie, in mancanza di specifiche pattuizioni circa le modalità di pagamento, il debitore deve adempiere con moneta avente corso legale, ai sensi dell’art. 1277 c.c., potendosi desumere anche dal comportamento delle parti l’esistenza di un accordo tacito tale da far ritenere derogato detto principio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20643 del 30/09/2014;

nello stesso senso Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 9490 del 09/04/2021).

Nella specie, la Corte di merito – con accertamento insindacabile in questa sede – ha negato la sussistenza di un accordo tacito che imponesse al creditore di ricevere il pagamento a mezzo di assegni bancari del residuo prezzo di una compravendita immobiliare, pur avendo dapprima lo stesso accettato la consegna di assegni bancari per l’acconto versato in sede di preliminare (peraltro per un importo assai meno consistente).

7.- Il sesto motivo del ricorso riguarda, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1454 e 1455 c.c., per avere la Corte d’Appello escluso che la vendita del fondo da parte dei promittenti alienanti, in favore di terzi, potesse costituire inadempimento contrattuale degli stessi, in quanto tale vendita era avvenuta dopo che il contratto si era già risolto, non avendo il promissario acquirente richiesto tempestivamente la concessione edilizia e comunque non avendo indicato la data della stipula e il nominativo del notaio prescelto entro il termine previsto nel preliminare ed entro il termine assegnato dagli appellati nella diffida del 6 novembre 2006.

Espone l’istante che il decorso di un termine fissato ai sensi dell’art. 1184 c.c. non avrebbe comportato la risoluzione del contratto qualora non si fosse stabilito che i contraenti avevano perduto l’utilità economica che solo la tempestiva esecuzione delle prestazioni convenute avrebbe loro garantito.

7.1.- Il motivo è infondato.

Sul punto la sentenza impugnata ha dato atto che la vendita a terzi dell’immobile, a cura dei promittenti venditori (in data 8 marzo 2007), non integrava un inadempimento rilevante, in quanto intervenuta successivamente alla cristallizzazione dell’inadempimento determinante posto in essere dal promissario acquirente (per non aver richiesto tempestivamente la concessione edilizia e comunque per non avere indicato la data della stipula e il nominativo del notaio prescelto all’esito della diffida ad adempiere inviata).

Sicché, alla luce del difetto funzionale sopravvenuto determinatosi per effetto dell’inadempimento temporalmente precedente del promissario acquirente, si è reputato che l’inadempimento successivo dei promittenti alienanti trovasse giustificazione nella condotta determinante per lo scioglimento del rapporto imputabile alla controparte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3058 del 18/05/1985; Sez. 3, Sentenza n. 3098 del 12/09/1969).

Il che esclude che nella fattispecie potesse trovare applicazione il principio a mente del quale, con riguardo al contratto preliminare di vendita, poiché nella volontà espressa dal promittente venditore di trasferire al compratore, tramite il successivo contratto definitivo, la piena ed esclusiva disponibilità della cosa è implicito l’obbligo di non trasferire la stessa cosa ad altri, la condotta del proprietario del bene che, dopo averlo promesso in vendita a una persona, lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale, con il conseguente diritto del promissario acquirente alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno, il cui termine di prescrizione decorre, secondo la regola generale, dal momento in cui il diritto può esser fatto valere, e dunque dal momento dell’inadempimento costituito dalla vendita del bene al terzo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7066 del 14/04/2004; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8047 del 21/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 4142 del 10/02/2023).

Appunto perché la vendita a terzi dell’immobile, a cura dei promittenti venditori, trovava giustificazione nel precedente inadempimento del promissario acquirente, che non aveva concluso il definitivo neanche all’esito della diffida inviata.

E del resto i promittenti venditori, presentandosi davanti al notaio per la stipula del definitivo in data successiva (il 25 maggio 2007) alla vendita avvenuta in favore di terzi (avvenuta l’8 marzo 2007), hanno manifestato la persistente volontà di procedere all’alienazione a vantaggio del promissario acquirente, nonostante i pregressi inadempimenti di quest’ultimo (evidentemente impegnandosi a riacquistare il fondo nel frattempo alienato a terzi), qualora il promissario acquirente avesse dato esecuzione al preliminare consentendo la stipulazione del definitivo, il che non è accaduto (posto che dinanzi al notaio si è presentato il legale rappresentante di società terza, senza alcuna previa electio amici).

8.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Nel preliminare caparra e penale possono coesistere

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 21 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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