Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 gennaio 2025| n. 252.
Appalto il committente ed il diritto a opera conforme
Massima: Nel contratto d’appalto, il committente ha diritto di ottenere l’opera realizzata con le modalità costruttive previste nel contratto e nel capitolato, in difetto di modifiche al progetto concordate tra le parti (salva la particolare disciplina per le variazioni necessarie) e, pertanto, può pretendere l’eliminazione delle varianti introdotte dall’appaltatore, anche se queste non importino una diminuzione di valore dell’opera o ne comportino aumento.
Ordinanza|7 gennaio 2025| n. 252. Appalto il committente ed il diritto a opera conforme
Integrale
Tag/parola chiave: Appalto (contratto di) – Progetto – Variazioni – In genere varianti introdotte dall’appaltatore – Diritto del committente alla eliminazione – Incidenza sul valore dell’opera – Irrilevanza.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9232/2019 R.G. proposto da:
Am.An., in proprio e quale ex-socio accomandatario della ED.AR. Sas DI Am.An. E C. rappresentato e difeso dagli avvocati GI.D. e PI.GI.;
– ricorrente –
contro
Ma.Fr. e Va.Ro., elettivamente domiciliati in R, (OMISSIS), presso lo studio dell’avv.to CA.IA., che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato AL.BE.;
– controricorrenti –
nonché
Am.Lu.; ZU.IN.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4193/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
Appalto il committente ed il diritto a opera conforme
FATTI DI CAUSA
1. I coniugi Va.Ro. e Ma.Fr. stipulavano, in data 18.07.2002, con ED.AR. di Am.An. e C. Sas (di seguito anche semplicemente ED.AR., un contratto di appalto per la costruzione di un immobile a rustico in Castiglione Olona, Varese, per il corrispettivo di Euro 129.000,00. I lavori oggetto di appalto proseguivano sino al dicembre 2002, quando venivano sospesi a causa di irregolarità del ponteggio; dopo vari scambi epistolari, in data 30.04.2003, le parti raggiungevano un’intesa per la ripresa delle attività, in forza della quale i committenti corrispondevano all’appaltatrice il residuo dovuto su una fattura emessa in precedenza, precisamente in data 08.01.2003, per le opere eseguite sino a quella data, nonché versavano in anticipo il corrispettivo per le lavorazioni non ancora realizzate, mentre ED.AR. si impegnava a terminare l’opera entro il 31.05.2003, sette mesi prima rispetto al termine originariamente fissato al 31.12.2003. Tuttavia, i lavori venivano nuovamente sospesi nel mese di giugno 2003 per questioni connesse alla sicurezza del cantiere. A seguito della seconda sospensione, la ditta appaltatrice, con missiva del 25.06.2003, comunicava di essere in attesa delle determinazioni della committenza circa l’eventuale prosecuzione delle attività; i committenti, per parte loro, comunicavano ad ED.AR. il recesso dal contratto, chiedendo la restituzione delle somme pagate anticipatamente per le opere mai eseguite, nonché il risarcimento per i vizi e i difetti di quelle realizzate, ed invitavano contestualmente l’impresa appaltatrice e il Direttore dei Lavori ad un sopralluogo per la verifica in contraddittorio dello stato dell’immobile; successivamente, a seguito di un nubifragio verificatosi in data 21.07.2003, i coniugi Va.Ro.-Ma.Fr. denunciavano ulteriori vizi, manifestatisi in conseguenza dell’evento atmosferico.
2. I committenti, rimasto senza esito l’invito al sopralluogo, presentavano quindi al Tribunale di Varese ricorso per accertamento tecnico preventivo, all’esito del quale il CTU nominato, Ing. Fo., quantificava in complessivi Euro 24.194,43 i costi delle opere necessarie per l’ultimazione dell’immobile al rustico, oltre che per porre rimedio ai vizi e ai difetti riscontrati.
3. Successivamente, sulla base delle risultanze dell’istruzione preventiva, i coniugi Va.Ro.-Ma.Fr., deducendo di aver medio tempore eseguito tramite altra ditta le opere di ripristino e rimedio, con esborsi maggiori di quelli preventivati in sede di ATP, ottenevano dal Tribunale di Varese, in danno della ditta appaltatrice e del socio accomandatario, Am.An., nonché del Direttore dei Lavori, Am.Lu., il decreto ingiuntivo n. 85/2008, emesso in data 18.01.2008, per la somma complessiva di Euro 49.823,32, comprensiva anche del rimborso delle spese di istruzione preventiva.
4. Con due distinti atti di citazione, Am.Lu. da una parte, e Am.An., in proprio e quale socio accomandatario della ED.AR., dall’altra, si opponevano al decreto ingiuntivo, assumendo la nullità del provvedimento monitorio, non fondato su prova scritta, l’illegittimità del recesso operato dai coniugi Va.Ro.-Ma.Fr. e l’inesistenza dei vizi e dei difetti lamentati, denunciando, in ogni caso, l’ingerenza dei committenti nell’esecuzione delle lavorazioni, tale da eliminare ogni autonomia operativa della ditta appaltatrice. Am.Lu. chiedeva, inoltre, di poter chiamare in causa la propria Compagnia di assicurazione, ZURICH INSURANCE COMPANY S.A., mentre la ED.AR. spiegava domanda riconvenzionale, chiedendo l’importo di Euro 34.382,37 a titolo di corrispettivo per le opere extra-contratto realizzate. Gli opposti si costituivano in entrambe i giudizi, poi riuniti, contestando le argomentazioni e le pretese delle controparti. Istruita la causa con CTU ed assunzione delle prove per interpello e per testi, con sentenza n. 1011/2015 del 10.09.2015, il Tribunale di Varese revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento in favore degli opposti della somma di Euro 38.707,20 oltre interessi, rigettando la domanda di garanzia proposta da Am.Lu. verso la propria Compagnia di assicurazione.
5. Sul gravame di Am.An. e di ED.AR., cui resistevano i coniugi Va.Ro.-Ma.Fr. spiegando appello incidentale volto alla conferma del decreto ingiuntivo opposto, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 4193/2018 del 20.09.2018, confermava la pronuncia di primo grado. Il giudice del gravame, riassunti i fatti di causa, evidenziava, in particolare, per quel che ancora rileva nelle presente sede di legittimità, che: a) risultava incontrovertibile che la cessazione dei lavori prima del loro completamento era avvenuta per irregolarità di cantiere dovute esclusivamente alla responsabilità dell’impresa appaltatrice, la quale, con la missiva del giugno 2003, sostanzialmente, ma inopinatamente, aveva rimesso alla committenza la decisione sul da farsi, senza che ne fosse comprensibile la ragione; b) il CTU aveva confermato l’esistenza dei vizi lamentati dai committenti, confermando, altresì, sostanzialmente, i costi di ripristino stimati in sede di ATP, quantificati all’esito del giudizio di opposizione in Euro 27.253,23, mentre aveva escluso che potessero essere prese in considerazione le fatture della ditta DI., prodotte dagli opposti per dimostrare le maggiori spese asseritamente sostenute, non contenendo le stesse alcuna specificazione della quantità e qualità delle opere realizzate; c) con riferimento alle opere extra-contratto, esposte nelle fatture nn. 1 e 2 del 2004 emesse dalla ditta appaltatrice e poste alla base della domanda riconvenzionale, il CTU aveva accertato che alcune voci risultavano eseguite in difformità al progetto, altre non risultavano eseguite, mentre quelle eseguite in aggiunta al progetto, su istanza dei committenti o comunque necessarie, ammontavano ad Euro 2.678,85; d) le censure mosse dagli appellanti alla CTU, basate sostanzialmente sul fatto che il consulente non aveva eseguito alcun accesso in loco, non tenevano conto né del lungo arco temporale trascorso dall’abbandono del cantiere da parte dell’appaltatrice (essendo stato, nel frattempo, l’immobile rifinito dai coniugi Va.Ro.-Ma.Fr.), né del fatto che il CTU si era basato sulla descrizione dei luoghi già svolta in sede di ATP, alla quale nessuna censura avevano rivolto gli appellanti; e) che, nel caso di specie, non risultava dimostrata alcuna ingerenza dei committenti, non potendo essere definite in tali termini le soventi visite in cantiere di Va.Ro., né, tanto meno, quelle del figlio, all’epoca privo della competenza necessaria per condizionare consapevolmente l’attività costruttiva; f) che, ove anche le intromissioni della committenza ci fossero state, sarebbe stato comunque onere dell’appaltatore far risultare per iscritto il proprio dissenso; d’altra parte, risultava troppo generica la deposizione resa sul punto dal teste Ca.Be., poiché da essa non risultava né il contesto, né il contenuto delle supposte ingerenze dei committenti.
12. Avverso la suddetta sentenza Am.An. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
13. Va.Ro. e Ma.Fr. hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria depositata in prossimità dell’adunanza, mentre Am.Lu. e Zurich Insurance Company S.A. sono rimasti intimati.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “Estinzione della società anteriormente alla instaurazione del giudizio; difetto della capacità processuale della società estinta; nullità del procedimento e della sentenza, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.”. Il ricorrente deduce che la ED.AR. era già estinta al momento dell’instaurazione del giudizio, introdotto con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo in data 08.01.2008: la società, infatti, aveva deliberato il proprio scioglimento in data 20.12.2004 ed era stata cancellata dal Registro delle Imprese, con l’iscrizione della suddetta delibera, in data 21.02.2005. Sul piano delle conseguenze processuali, secondo la prospettazione del ricorrente, ne sarebbe conseguito il difetto di capacità processuale della società ingiunta, oltre che il difetto di integrità del contraddittorio, dovuto alla mancata partecipazione al giudizio di tutti gli ex soci del sodalizio, subentrati a quest’ultimo in forza di un fenomeno di tipo successorio.
1.1 La censura è inammissibile.
Occorre premettere che, come dedotto dal ricorrente (cfr. pag. 14 del ricorso), e come peraltro risulta dall’esame del ricorso per decreto ingiuntivo, consentito a questa Corte stante l’error in procedendo denunciato, i coniugi Va.Ro.-Ma.Fr., nel dare espressamente atto che la ED.AR. risultava cancellata dal Registro delle Imprese, avevano sostenuto che la ditta appaltatrice doveva tuttavia “ritenersi tuttora esistente e processualmente legittimata (passivamente) in rapporto al presente procedimento monitorio” (cfr. pag. 22 ricorso monitorio). ED.AR. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo senza contestare la propria perdurante esistenza ed operatività a seguito della cancellazione dal Registro delle Imprese, ed ha spiegato, anzi, domanda riconvenzionale per il pagamento delle proprie fatture nn. 1 e 2 del 2004 relative alle opere extra-contratto, concludendo per la condanna dei “ricorrenti al pagamento in solido in favore dell’opponente ED.AR. dell’importo complessivo di Euro 34.382,37, o di quello diverso, maggiore o minore, che dovesse risultare di giustizia…” (cfr. pag. 12 opposizione a d.i.). Inoltre, è stata sempre l’impresa appaltatrice ad aver proposto appello, unitamente al socio accomandatario, avverso la sentenza di primo grado, insistendo nelle proprie conclusioni.
Con la censura in esame, il ricorrente si è limitato a dare atto che la cancellazione della società era intervenuta già prima della proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, ma non si è confrontato in alcun modo con l’effettiva dinamica dello svolgimento processuale, idonea a superare la presunzione di cessazione della società ed attestante, anzi, la continuazione dell’operatività sociale anche dopo l’iscrizione della delibera di scioglimento nel Registro delle Imprese (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625325).
D’altra parte, quanto al fenomeno successorio che avrebbe interessato i soci della ED.AR., dedotto dall’Am.An. onde sostenere il difetto di integrità del contraddittorio, esso risulta contraddetto dall’azione spiegata direttamente dalla società per ottenere il pagamento delle proprie fatture. In parte qua, peraltro, il motivo risulta inammissibile, anche perché il ricorrente avrebbe dovuto dare atto, sin dalle fasi di merito, delle risultanze del bilancio finale di liquidazione della società (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11411 del 29/04/2024, Rv. 670798), individuando i soggetti in ipotesi subentrati nella posizione creditoria già facente capo al sodalizio: infatti, “L’eccezione di difetto del contraddittorio per violazione del litisconsorzio necessario può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità, a condizione che l’esistenza del litisconsorzio risulti dagli atti e dai documenti del giudizio di merito e la parte che la deduca ottemperi all’onere di indicare nominativamente le persone che devono partecipare al giudizio, di provare la loro esistenza e i presupposti di fatto e di diritto che giustifichino l’integrazione del contraddittorio” (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23634 del 28/09/2018, Rv. 650383; in senso conforme, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11043 del 05/04/2022, Rv. 664378).
Ne consegue l’inammissibilità del motivo di doglianza.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 comma 2, 1659 e 1661 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”. Il ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui ha escluso, per un verso, le ingerenze dei committenti nell’attività costruttiva, ed ha osservato, per altro verso, che, ove anche dette ingerenze ci fossero state, sarebbe stato comunque onere dell’appaltatore, per essere sollevato da responsabilità, far risultare per iscritto il proprio dissenso. L’Am.An. deduce, in particolare, che l’appaltatore è sì tenuto a manifestare il proprio dissenso, ma solamente nel caso in cui le istruzioni impartite dal committente risultino “palesemente errate”, laddove nel caso di specie le opere difformi al progetto non solo non avrebbero influito sulla complessiva funzionalità dell’opera, ma si sarebbero rivelate addirittura migliorative; lamenta, ancora, che il giudice di merito avrebbe malamente apprezzato le risultanze istruttorie, in quanto le continue visite al cantiere sia del committente Va.Ro., che aveva anche eseguito personalmente talune lavorazioni, sia del figlio Giordano, poi divenuto nuovo Direttore dei Lavori in sostituzione del geom. Am.Lu., costituirebbero prova, quantomeno presuntiva, della continua vigilanza esercitata dai committenti, tale da annullare l’autonomia decisionale della ED.AR. Sas, piccola impresa a conduzione familiare priva di effettiva capacità di resilienza. La Corte d’Appello avrebbe inoltre errato a pretendere dalla medesima EDIL ART la prova scritta del proprio dissenso alle istruzioni impartite dalla committenza, in spregio al consolidato orientamento di legittimità secondo cui l’appaltatore può provare con tutti i mezzi, e dunque anche mediante presunzioni, le variazioni ordinate dal committente.
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2.1 La censura è inammissibile.
Si osserva, in primo luogo, che la CTU, richiamata nella decisione impugnata, ha dato atto della realizzazione da parte dell’impresa appaltatrice sia di opere extra-contratto, sia di opere previste nel contratto ma eseguite in modo difforme al progetto, sia, infine, di veri e propri vizi e difetti di costruzione. Ciò premesso, il ricorrente non ha dedotto alcunché in merito alle lavorazioni che il CTU aveva ritenuto affette da vizi di costruzione, ma si è limitato ad elencare le sole variazioni al progetto di cui il consulente aveva descritto la portata migliorativa, ovvero l’irrilevanza nell’economia dell’opera, onde sostenere che le istruzioni impartite dalla committenza, non essendo palesemente erronee né foriere di conseguenze negative, in nessun caso avrebbero potuto comportare la responsabilità dell’appaltatore che vi aveva dato seguito. In parte qua, dunque, la censura in esame difetta di specificità, in quanto sarebbe stato onere del ricorrente confrontarsi piuttosto con i passi della relazione peritale in cui erano stati descritti i vizi e i difetti dell’opera che il giudice di merito ha ritenuto sussistenti.
Quanto alla dedotta ingerenza dei committenti, nella parte in cui il ricorrente deduce che il giudice di merito avrebbe malamente apprezzato il compendio istruttorio, il motivo in esame è inammissibile, in quanto non tiene conto che “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del
giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194).
Nella parte in cui il ricorrente deduce, in senso contrario a quanto accertato dal giudice di merito, che la presenza in cantiere dei committenti si sarebbe risolta in un vero e proprio condizionamento dell’attività costruttiva, la censura risulta inoltre inammissibile, in quanto, sotto l’apparente denuncia di un vizio di violazione di legge, finisce, in realtà, per risolversi in una critica alla valutazione delle prove. Si deve invero ribadire che, “In tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6035 del 13/03/2018, Rv. 648414). Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha ritenuto che le semplici visite in cantiere di Va.Ro. non potessero essere intese, di per sé, quali ingerenze e che la stessa cosa valeva per il figlio Giordano, all’epoca praticante geometra, privo della “competenza necessaria per una consapevole ingerenza nell’attività costruttiva” (cfr. pag. 10 della sentenza). Il ricorrente dirige le proprie contestazioni proprio contro tale ricostruzione, sostenendo che i committenti avrebbero scelto di appaltare i lavori ad una piccola impresa a conduzione familiare “le cui dimensioni erano note ed apprezzate… proprio perché confacenti all’obiettivo di dirigere di fatto i lavori e di somministrare varianti in corso d’opera” (cfr. pag. 22 del ricorso), essendo peraltro in possesso delle necessarie conoscenze tecniche per valutare l’operato dell’impresa appaltatrice, tanto che Va.Ro. aveva anche eseguito di persona alcuni lavori, mentre il figlio Riccardo aveva assunto dal 17.04.2003 la qualifica di Direttore dei Lavori.
Orbene, le deduzioni in commento non denunciano alcuna effettiva violazione dei parametri normativi indicati nella rubrica del motivo in esame e si risolvono, piuttosto, nella proposizione di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta propria dal giudice di merito (senza tenere conto, peraltro, che dopo la nomina di Va.Gi. a Direttore dei Lavori l’impresa appaltatrice non risulta aver eseguito alcuna lavorazione).
Ne consegue, per quanto sopra esposto, l’inammissibilità della censura.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: “Inosservanza dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.: nullità della sentenza per omessa pronuncia su domande ed eccezioni proposte dalla parte”. Il ricorrente deduce che
l’esclusione, da parte del giudice di merito, delle ingerenze dei committenti non sarebbe stata comunque idonea né ad assorbire la questione della sussistenza delle variazioni ordinate da questi ultimi, né a comportare il rigetto della domanda riconvenzionale, stante la diversità ontologica tra variazioni dell’opera, che trovano espressa disciplina negli artt. 1659, 1660 e 1661 c.c., ed ingerenze. Inoltre, prosegue l’Am.An., il rigetto della domanda riconvenzionale, con la quale la ditta appaltatrice aveva richiesto il corrispettivo per le opere extra-contratto volute dalla committenza, non avrebbe potuto comportare automaticamente anche il rigetto dell’eccezione basata sui medesimi fatti, volta a paralizzare la pretesa risarcitoria della controparte sul presupposto che l’appaltatore avrebbe dovuto rispondere delle sole opere non eseguite a regola d’arte, e non anche delle mere variazioni al progetto, insuscettibili di essere considerate alla stregua di vizi.
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3.1 La censura è inammissibile, in quanto, al pari della precedente, non si confronta con la ratio della decisione impugnata: la Corte d’Appello, infatti, ha esaminato la questione delle opere extra-contratto, confermando la CTU, la quale “dopo aver rilevato che le stesse erano quelle esposte nelle fatture 1 e 2 del 2004 e definite “opere in variante” e affermato che la suddivisione dei costi era stata effettuata su computo metrico redatto dal geom. Fe., rilevava che tra le voci indicate nelle fatture alcuni lavori era(no) stati realizzati in difformità al progetto o non erano esistenti (pagg. 9 e ss relazione CTU Fo.): il complessivo delle opere extra contratto ammontava a Euro 2.678,85″ (cfr. pag. 8 della sentenza).
Tali argomentazioni, tenuto conto della suddivisione dei lavori eseguiti dalla ED.AR. in opere extra-contratto assentite, difformità al progetto non assentite e difetti di costruzione, sono sufficienti a motivare il rigetto delle difese dell’impresa appaltatrice, sia che le si consideri in termini di domanda riconvenzionale, sia che le si consideri come semplice eccezione.
Occorre premettere, sul punto, che “Nel contratto d’appalto, il committente ha diritto di ottenere l’opera realizzata con le modalità costruttive previste nel contratto e nel capitolato, in difetto di modifiche al progetto concordate tra le parti (salva la particolare disciplina per le variazioni necessarie), e, pertanto, può pretendere l’eliminazione delle varianti introdotte dall’appaltatore, anche se queste non importino una diminuzione di valore dell’opera o in ipotesi ne comportino aumento” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2723 del 06/03/1993, Rv. 481288; in senso conforme Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6363 del 05/06/1991, Rv. 472537). Alla luce del superiore principio di diritto, cui si intende assicurare continuità, risulta pertanto corretto, dal punto di vista metodologico, il riconoscimento in favore della ditta appaltatrice delle sole opere extra-contratto di cui era stata accertata la realizzazione su accordo delle parti; parimenti corretto, risulta, altresì, il riconoscimento in favore dei coniugi Va.Ro.-Ma.Fr. del risarcimento del danno commisurato ai costi necessari, oltre che per eliminare i vizi, anche per rendere conformi al progetto le opere previste sin dall’origine in contratto, ma eseguite in modo difforme dall’appaltatore: come ha correttamente osservato, del resto, la Corte d’Appello, il committente ha diritto non solo ad ottenere “un’opera esente da vizi”, ma anche “un risultato tecnico conforme alle proprie esigenze” (cfr. pag. 9 della sentenza).
Quanto, poi, alle dichiarazioni confessorie che i committenti avrebbero reso sia in sede di ATP, sia in sede di interpello, circa la realizzazione su loro iniziativa di talune varianti al progetto, con particolare riferimento a finestre, balconi e tegole (pagg. da 27 a 29 del ricorso), il ricorrente non tiene conto che dette opere, espressamente menzionate nel ricorso, sono state prese in considerazione dal CTU nel conteggio di quanto spettante all’appaltatore per opere extra-contratto.
Viceversa, l’Am.An. non ha indicato altre variazioni al progetto realizzate dall’impresa appaltatrice su specifica richiesta dei committenti; elementi utili in tal senso non possono essere tratti dalla deposizione del teste Ca.Be. riportata nel corpo del ricorso (cfr. pag. 30), che il giudice di merito ha considerato “troppo generica”, siccome relativa a non meglio precisate “variazioni”, senza alcuna indicazione della relativa portata e contenuto (cfr. pag. 10 della sentenza).
D’altra parte, il ricorrente non ha indicato nemmeno in che termini le variazioni in questione, ulteriori e distinte rispetto a quelle oggetto di confessione dei committenti, avrebbero influenzato l’esito complessivo dell’opera ed avrebbero, quindi, inciso sui reciproci rapporti di dare e avere tra le parti in modo differente rispetto a quanto accertato dal CTU; né l’indagine circa l’entità e la consistenza di tali lavorazioni può ritenersi demandata a questa Corte in ragione del vizio di omessa pronuncia denunciato con il motivo in esame: infatti, “Qualora sia denunziato un error in procedendo, la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto ed ha
il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia anche in questo caso, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la parte ha l’onere di indicare nel ricorso tutti gli elementi di fatto necessari ad individuare la dedotta violazione processuale, giacché il riesame del fatto processuale non implica che la Corte debba ricercare il fatto o gli atti processuali, colmando con indagini integrative le lacune nell’indicazione delle circostanze rilevanti per la valutazione della decisività della questione” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10410 del 18/07/2002, Rv. 555879; in senso conforme, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5148 del 03/04/2003, Rv. 561778; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6225 del 23/03/2005, Rv. 580259; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2140 del 31/01/2006, Rv. 588054; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 978 del 17/01/2007, Rv. 596924).
Anche sotto questo profilo, pertanto, la censura è inammissibile.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: “Violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1184 e 1185 c.c., dell’art. 1223 c.c., dell’artt. 1457 c.c., dell’art. 1460 c.c. e del combinato disposto degli artt. 1668 e 1671 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”. Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale avrebbe errato a ritenere l’appaltatore inadempiente alla data di sospensione dei lavori, senza considerare: a) che erano i committenti a versare, in realtà, in una condizione di inadempimento, in quanto avevano omesso di versare il saldo della fattura del 08.01.2003 per le opere eseguite fino a quella data, di talché ED.AR. era legittimata a sospendere i lavori in forza del principio inadimplenti non est adimplendum; b) che la sospensione dei lavori era comunque avvenuta in pendenza del termine per ultimare l’opera, con la conseguenza che l’appaltatore in nessun caso avrebbe potuto essere considerato inadempiente; c) che il termine fissato alla ripresa dei lavori per l’ultimazione dell’opera non aveva carattere essenziale; d) che il recesso intimato dai committenti con lettera del 30.06.2003, a lavori quasi del tutto ultimati, era contrario a buona fede; del pari pretestuoso era il contestuale invito ad eseguire un sopralluogo in contraddittorio, al quale l’appaltatore non poteva avere più interesse dopo lo scioglimento del rapporto contrattuale, non essendo possibile eseguire alcuna ulteriore lavorazione; e) che i danni conseguenti al nubifragio del 21.07.2003, oltre che dovuti a causa di forza maggiore, si erano comunque verificati dopo il recesso dei committenti, quando cioè il dovere di custodia dell’appaltatore si era oramai estinto.
4.1 La censura è inammissibile.
La Corte d’Appello ha accertato, infatti, che i lavori erano stati sospesi per ben due volte a causa di irregolarità di cantiere ascrivibili esclusivamente all’impresa appaltatrice, la prima volta nel mese di dicembre 2002, la seconda nel mese di giugno 2003, e che era, pertanto, del tutto immotivata la missiva con cui ED.AR., a seguito della seconda sospensione, aveva rimesso ai committenti la decisione sul da farsi, con l’avvertimento che, in difetto di riscontro, l’appaltatrice avrebbe ritenuto le opere residue affidate ad altra ditta. Tale contegno è stato considerato dal giudice di merito come un abbandono del cantiere, che aveva giustificato il recesso dei committenti.
Il ricorrente sostiene, in senso contrario, che i lavori sarebbero stati sospesi dall’impresa appaltatrice in reazione all’inadempimento dei committenti, che avevano omesso di saldare il dovuto per le opere già eseguite, esposte nella fattura del 08.01.2003, e che, in ogni caso, la sospensione sarebbe intervenuta in pendenza del termine per completare i lavori, di talché il recesso dei coniugi Va.Ro.-Ma.Fr., intimato ad opera quasi del tutto ultimata, sarebbe stato pretestuoso e contrario a buona fede. Tali argomentazioni, oltre a non tener conto che la fattura di cui il ricorrente lamenta il tardivo pagamento da parte dei committenti risulta emessa a gennaio del 2003, quando la prima sospensione del cantiere, risalente a dicembre 2002, era già in atto, e che, per altro verso, la seconda sospensione risulta intervenuta nel mese di giugno 2003, quando era già scaduto il termine del 31.05.2003 fissato per l’ultimazione delle opere, si risolvono, in ogni caso, in censure all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove da parte del giudice di merito, cui viene contrapposta una lettura alternativa; si tratta, invero, di profili del giudizio che non sono sindacabili in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 898 del 14/12/1999, Rv. 532151), risultando la motivazione della sentenza impugnata non apparente, né affetta da irriducibile contrasto logico (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Va infatti ribadito che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 5802 dell’11/06/1998, Rv. 516348).
Appalto il committente ed il diritto a opera conforme
D’altra parte, con il motivo in esame il ricorrente introduce eccezioni e questioni implicanti accertamenti in fatto (come l’inadempimento dei committenti legittimante la sospensione dei lavori da parte dell’impresa appaltatrice ex art. 1460 c.c.; la non essenzialità del termine pattuito per l’ultimazione delle opere; l’abusività per contrarietà a buona fede del recesso comunicato dai committenti; la riconducibilità a causa di forza maggiore dei danni conseguenti al nubifragio del luglio 2003 e, comunque, l’estinzione dell’obbligazione di custodia gravante sull’appaltatore), che non risultano affrontate nella sentenza impugnata e che, dalla lettura del ricorso, non risultano sottoposte alla Corte d’Appello con specifici motivi di impugnazione. Orbene, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio” (cfr. Cass. Sez. L., Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024, Rv. 671850).
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 195 c.p.c., dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 111 comma 6 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: nullità della sentenza per omessa
specificazione delle fonti del proprio convincimento e per acritica adesione alle valutazioni “giuridiche” del CTU”. Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale si sarebbe limitata ad aderire acriticamente alla CTU del dott. Fo., la quale, per un verso, conterrebbe considerazioni di natura giuridica circa la qualificazione dei rapporti negoziali intercorsi tra le parti; per altro verso, avrebbe stimato anche il valore delle opere di ripristino non realizzate dai committenti, nonostante il Tribunale avesse demandato al consulente tecnico l’accertamento del costo delle sole opere effettivamente sostenute dalla controparte.
5.1 La censura, al pari delle precedenti, è inammissibile.
Quanto al primo profilo, si osserva che il ricorrente non risulta aver formulato alcun motivo di appello circa la qualificazione giuridica del rapporto in termini di appalto “a corpo”, anziché “a misura”, né sulla qualificazione dell’allegato al contratto come “computo metrico non estimativo”, anziché come “preventivo”. Infatti, la censura relativa al “profilo della qualificazione giuridica delle opere portate dalle fatture n. 01/2004 e 02/2004”, che l’Am.An. afferma di aver sollevato come motivo di gravame (cfr. pag. 43 del ricorso), risulta relativa, in realtà, al differente profilo della considerazione da parte del CTU delle difformità al progetto in termini di vizi dell’opera, anziché come varianti od opere extra-contratto, mentre non ha nulla a che vedere con la qualificazione giuridica del contratto di appalto, in merito alla quale non risulta proposto alcun motivo di impugnazione, né risultano ribadite, in sede di gravame, eventuali note critiche alla CTU. Il che comporta l’inammissibilità della censura, dovendosi ribadire che “In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione”. (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021, Rv. 661839). Tale onere di specifica indicazione delle critiche mosse all’elaborato, nel caso di specie, avrebbe peraltro dovuto essere assolto con maggior rigore da parte del ricorrente, tenuto conto che nella sentenza impugnata non si dà atto di censure relative alla qualificazione giuridica del rapporto, ed anzi si afferma che gli appellanti avevano contestato la consulenza tecnica solamente “sul presupposto che il CTU non avesse condotto alcuna indagine sullo stato di fatto dei luoghi e fosse arrivato quindi ad addebitare all’impresa dei costi che non le competevano” (cfr. pag. 8 della sentenza).
Quanto al secondo profilo, il ricorrente non considera che la stima dei costi effettivamente sostenuti dai committenti era stata demandata al CTU al solo fine di verificare la congruità delle spese affrontate dai coniugi Va.Ro.-Ma.Fr. per le opere di ripristino eseguite dopo l’ATP; spese che, a dire degli opposti, si erano rivelate superiori a quelle stimate in sede di istruzione preventiva.
Del resto, il ricorrente confonde ciò che ha costituito oggetto del quesito peritale con ciò che era oggetto della domanda avanzata dai committenti, i quali avevano chiesto il risarcimento del danno per tutti i vizi e le difformità dell’opera, e non solo per quelli che erano stati successivamente ed effettivamente emendati con interventi di ripristino.
6. Il ricorso è pertanto rigettato.
7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non si ritengono, viceversa, sussistenti i presupposti per disporre la condanna del ricorrente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., non potendo la mala fede o colpa grave nella proposizione dell’impugnazione dirsi integrata per via della mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 31030 del 27/11/2019, Rv. 656077).
8. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Appalto il committente ed il diritto a opera conforme
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 5600 più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2° Sezione civile in data 8 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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