Motivazione apparente della sentenza denunziabile in sede di legittimità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 marzo 2023| n. 8715.

Motivazione apparente della sentenza denunziabile in sede di legittimità

Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture. A tale ipotesi, deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese, sia pure in via mediata o indiretta, la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta in ambito condominiale, accogliendo il motivo con cui la ricorrente aveva censurato l’operato del giudice di appello per aver negato l’accesso alla prova per testi diretta a provare l’acquisto per usucapione del volume interrato oggetto di lite, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata in quanto contenente una motivazione manifestamente inconferente, tanto da doversi considerare inesistente; in particolare, specifica il giudice di legittimità, la sentenza impugnata impinge in un costrutto motivazionale di pura ed evidente apparenza, attraverso il quale il giudice si è illegittimamente sottratto al dovere di spiegare le ragioni, incensurabili in questa sede, ma, tuttavia, pertinenti, della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilità del percorso argomentativo, che non può ridursi al nudo atto di libera, anzi arbitraria, manifestazione del volere, avendo il giudice il dovere di indicare gli elementi concludenti da cui ha tratto il proprio convincimento). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 23 maggio 2019, n. 13977; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 3 novembre 2016, n. 22232; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 8 ottobre 2014, n. 21257; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 7 aprile 2014, n. 8053).

Ordinanza|28 marzo 2023| n. 8715. Motivazione apparente della sentenza denunziabile in sede di legittimità

Data udienza 10 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni – Vizio di motivazione apparente della sentenza – Denunciabilità in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – Motivazione graficamente esistente – percezione del fondamento della decisione – Argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso R.G. 10642/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), CONDOMINIO (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 255/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/02/2023 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Motivazione apparente della sentenza denunziabile in sede di legittimità

OSSERVA

1. La vicenda al vaglio puo’ riassumersi, per quel che ancora rileva, nei termini seguenti:
– (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio (OMISSIS), chiedendo che fosse dichiarato di proprieta’ del condominio “(OMISSIS)” l’intercapedine in origine circostante per tre lati la proprieta’ esclusiva della (OMISSIS), condannarsi la convenuta a restituire tali aree al Condominio, riportandole pristino stato; inoltre venne chiesto dichiararsi essere di esclusiva proprieta’ di (OMISSIS) il volume interrato realizzato dalla convenuta che insisteva nella proprieta’ esclusiva dell’attrice, nel sottosuolo;
– (OMISSIS), oltre a chiedere la reiezione delle domande attoree, in via riconvenzionale chiese accertarsi il di lei acquisto per usucapione decennale e, invia subordinata, ventennale, dei volumi in contestazione;
– integrato il contraddittorio nei confronti degli altri condomini, il Tribunale, dato corso a c.t.u., rigetto’ le domande attoree e reputo’ assorbita quella riconvenzionale.
2. la Corte d’appello di Napoli, investita dall’impugnazione principale di (OMISSIS) e (OMISSIS) e da quella incidentale di (OMISSIS), in riforma della sentenza di primo grado, accolse entrambe le domande principali.
3. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza della Corte partenopea sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria. (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso.
4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 24 e 11 Cost., articoli 832, 948, 1146, 1158, 1325, 1346 c.c., articolo 1350 c.c., n. 1, articoli 1362, 1363, 1366, 1367, 1470, 2699, 2697, 2702, 2729, 2730, 2731, 2735 c.c., articoli 115 e 132 c.p.c., falsa applicazione degli articoli 1117 e 2722 c.c..
Con il motivo la ricorrente, nella sostanza, propone una lettura alternativa dei titoli passati in analitica rassegna dalla Corte d’appello, alla quale addebita di essere giunta a conclusione erronea, nell’attribuire la proprieta’ dell’intercapedine al Condominio, avendo “malamente interpretato i titoli”.
4.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilita’.
La Corte locale giunge alla conclusione avversata dalla ricorrente valorizzando, in sintesi, i seguenti concordanti elementi:
– la proprieta’ delle intercapedini costituiscono bene condominiale ai sensi dell’articolo 1117 c.c., tenuto conto della loro funzione, caratteristica e struttura (allocazione impianti, transito, dare aria e luce, manutenzione strutture comuni, scolo acque);
– in tal senso il regolamento condominiale redatto dall’antica unica proprietaria;
– in senso conforme i titoli vagliati (il titolo d’acquisto (OMISSIS) del 30/7/1993, messo a confronto con il contratto del 25/6/2001, che recava una volumetria dell’immobile ampliata, a causa dell’illegittima appropriazione dell’intercapedine; indi, si sono presi in esame i titoli anteriori: atto del 1951, del 1980, del 1985 e la consistenza dell’appartamento della (OMISSIS), peraltro messa in evidenza dal c.t.u., era tale da non comprendere l’intercapedine.
La ricorrente invoca, piuttosto chiaramene, un improprio riesame di merito del complessivo vaglio istruttorio operato dal Giudice del merito e dell’apprezzamento dei titoli, in questa sede inammissibile.
Ne’ l’evocazione di una pluralita’ di asserite norme violate rende la censura scrutinabile, mirando, la ricorrente, in realta’, a un alternativa ricostruzione della fattispecie di merito.
Piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’articolo 360, c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per cio’ stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
E’ appena il caso di soggiungere che la violazione delle norme costituzionali non puo’ essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimita’ costituzionale della norma applicata (S.U., n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf. Cass. 15879/2018).
5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 24 e 111 Cost., articoli 832, 840, 948, 1140, 1146, 1158, 2697 c.c., articoli 115 e 132 c.p.c., falsa applicazione degli articoli 1117 e 2722 c.c..

Motivazione apparente della sentenza denunziabile in sede di legittimità

Assume la ricorrente che il Giudice d’appello le aveva ingiustamente negato l’accesso alla prova per testi diretta al fine di provare di avere acquistato per usucapione il volume interrato, adibito a cabina armadio, posto sotto il terreno di proprieta’ di (OMISSIS).
5.1. La doglianza e’ fondata.
Invero il ragionamento con il quale la Corte d’appello non ha ammesso la prova per testi, tempestivamente richiesta, poggia su una motivazione manifestamente inconferente, tanto da doversi considerare inesistente.
La circostanza, invero, valorizzata dalla Corte di Napoli, che quel volume non risultava da alcuna planimetria, ne’ dagli atti traslativi, non costituisce, all’evidenza, circostanza ostativa a una diversa situazione di fatto, alla quale potrebbe essere conseguito, ovviamente ove ne ricorrano tutti i presupposti, acquisto per usucapione, che, come noto, costituisce situazione di fatto, che non necessita di riscontro documentale, ne’ in se’ puo’ trovare smentita nei documenti traslativi e catastali, bensi’ soggetta esclusivamente alla soddisfazione dei presupposti di legge e, in primo luogo quelli di cui all’articolo 1163 c.c..
La giustificazione motivazionale e’ di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma gia’ S.U. n. 22232/2016).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilita’ al caso concreto preso in esame, di talche’ appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioe’ un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha gia’ avuto modo questa Corte di piu’ volte chiarire, la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, con la conseguenza che e’ pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Alla luce dei richiamati principi la sentenza impugnata impinge in un costrutto motivazionale di pura ed evidente apparenza, attraverso il quale il giudice si e’ illegittimamente sottratto al dovere di spiegare le ragioni, incensurabili in questa sede, ma, tuttavia, pertinenti, della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilita’ del percorso argomentativo, che non puo’ ridursi al nudo atto di libera, anzi arbitraria, manifestazione del volere, avendo il giudice il dovere di indicare gli elementi concludenti da cui ha tratto il proprio convincimento.
6. Cio’ posto la sentenza deve essere cassata in relazione al secondo motivo e il Giudice del rinvio regolera’ anche le spese del presente giudizio.

Motivazione apparente della sentenza denunziabile in sede di legittimità

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Napoli, altra composizione.

 

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