Corte di Cassazione, penale, Sentenza|7 luglio 2021| n. 25914.
In tema di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali e aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di soggezione a fronte di soprusi abituali.
Sentenza|7 luglio 2021| n. 25914. Maltrattamenti in famiglia e lo stato di inferiorità psicologica
Data udienza 30 marzo 2021
Integrale
Tag – parola: Reati contro la famiglia – Maltrattamenti – Scoperta di una relazione extraconiugale da parte della moglie – Insistenze della coniuge – Reazione del marito – Dolo – Sussiste
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSTANZO Angelo – Presidente
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere
Dott. ROSATI Marti – rel. Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedetto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile:
(OMISSIS), nata (OMISSIS);
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/06/2020 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Rosati Martino;
lette le richieste formulate dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Molino Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Maltrattamenti in famiglia e lo stato di inferiorità psicologica
RITENUTO IN FATTO
1. Per il tramite del proprio difensore, (OMISSIS), parte civile nel processo per i delitti di maltrattamenti e di lesioni personali che vede imputato il proprio marito separato (OMISSIS), chiede alla Corte di cassazione di annullare agli effetti civili la sentenza della Corte di appello di Firenze in epigrafe indicata, che, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale della stessa citta’ il 12 marzo 2018, ha assolto (OMISSIS) dalle anzidette imputazioni, con la formula perche’ il fatto non costituisce reato, conseguentemente revocando le statuizioni risarcitorie ed indennitarie in favore di essa parte civile.
2. In due motivi, la ricorrente lamenta:
2.1. violazione dell’articolo 192 c.p.p., e vizi cumulativi di motivazione, per avere la sentenza valorizzato soltanto due dati probatori, ovvero la testimonianza del figlio della coppia e la sentenza con la quale la (OMISSIS) e’ stata condanna, in diverso processo, per il reato di cui all’articolo 660 c.p., nei confronti del (OMISSIS), invece trascurando gli ulteriori elementi tenuti in considerazione dal primo giudice, segnatamente le dichiarazioni dei testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
2.2. erronea applicazione dell’articolo 572 c.p., in punto di dolo, che la sentenza impugnata ha escluso, ritenendo che l’imputato avesse agito non con l’intenzione di maltrattare la ricorrente, ma solo per reagire alle insistenze di lei: deduce, in proposito, quest’ultima che il dolo del delitto di maltrattamenti e’ generico, consistendo nella consapevolezza e volonta’ di sottoporre la vittima ad abituali sofferenze fisiche e/o psicologiche e non rilevando, invece, l’eventuale finalita’ ulteriore di tale condotta; quanto, poi, in particolare, alle molestie di cui al distinto processo a parti invertite, rileva il ricorso come alle stesse non possa attribuirsi valenza esimente rispetto ai maltrattamenti di che trattasi, peraltro risalendo esse al 2013, a fronte di condotte illecite tenute dal (OMISSIS) sin dal 2005.
3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo di rigettare il ricorso.
4. Il difensore della ricorrente parte civile ha fatto pervenire in cancelleria tramite pec, lo scorso 29 marzo, dichiarazione di adesione ad un’astensione di categoria in atto.
Tanto, pero’, non da’ diritto al differimento della trattazione del procedimento: non era prevista, infatti, attivita’ d’udienza in presenza; ne’, al momento in cui tale dichiarazione e’ stata formulata, sarebbe stato piu’ possibile per il difensore anche soltanto la presentazione di conclusioni scritte, essendo gia’ scaduto il termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza, a tal fine previsto dal Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8.
Maltrattamenti in famiglia e lo stato di inferiorità psicologica
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, anzitutto, e’ ammissibile.
Non puo’ revocarsi in dubbio, invero, l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione, pur se pronunciata solo per difetto di dolo.
Di recente questa Corte ha avuto modo di ribadire che sussiste l’interesse processuale della parte civile ad impugnare la decisione di assoluzione resa con la formula “perche’ il fatto non costituisce reato”, in quanto le limitazioni all’efficacia del giudicato, previste dall’articolo 652 c.p.p., non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione, riconosciuto in termini generali alla parte civile dall’articolo 576, medesimo codice, dal momento che chi intraprenda il giudizio civile dopo avere gia’ ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilita’ per fatto illecito della controparte si giova di tale accertamento e, dunque, si trova in posizione migliore di chi debba cominciare il giudizio ex novo (Sez. 6, n. 36526 del 28/10/2020, Pilato, Rv. 280182, che in motivazione esamina criticamente il pur consistente indirizzo contrario, richiamandosi anche ai principi affermati, in fattispecie affine, da Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Papaleo, Rv. 275953, successiva alle piu’ recenti di segno divergente).
2. L’impugnazione, inoltre, e’ fondata.
2.1. La censura d’incompletezza della disamina delle evidenze disponibili compiuta dalla Corte d’appello denuncia, se non altro, la violazione del dovere di c.d. “motivazione rafforzata”, che incombe sul giudice del gravame, allorche’ intenda ribaltare la decisione dinanzi ad esso impugnata.
Tale onere motivazionale consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche’ in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (tra moltissime altre: Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056).
Nello specifico, dunque, pur dando atto di un compendio probatorio piu’ ampio, la sentenza si e’ limitata a valorizzare due sole emergenze (la testimonianza del figlio della coppia e la sentenza di condanna, in diverso processo, dell’odierna parte civile, per il reato di molestie in danno dell’imputato), trascurando completamente, invece, le ulteriori prove che il primo giudice aveva ritenuto confermative del racconto della persona offesa.
2.2. Peraltro, l’esclusiva valorizzazione di quei dati probatori, nell’impianto della motivazione, trova giustificazione nell’assunto – tuttavia giuridicamente errato – per cui il delitto di maltrattamenti presupponga una condizione d’ineludibile “subordinazione” della vittima, che invece non potrebbe ravvisarsi nel caso di manifestazioni reattive da parte della stessa. Al contrario, perche’ ricorra tale reato, lo stato di inferiorita’ psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, potendo consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che sporadiche reazioni vitali ed aggressive da parte della stessa possano escluderne lo stato di soggezione, a fronte di soprusi abituali (Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, C., Rv. 274519; Sez. 6, n. 19922 del 07/02/2019, G., non mass.).
2.3. Tale errore di prospettiva, in cui e’ incorsa la Corte di appello, si riverbera sul giudizio in tema di dolo, da quei giudici escluso sulla base dell’assunto per cui l’imputato sia stato mosso non dall’intenzione di maltrattare la propria moglie, bensi’ dalla volonta’ di reagire alle “insistenze” di costei, conseguenti alla scoperta della relazione extraconiugale da lui intrattenuta.
Anche tale considerazione, pero’, e’ il prodotto di un errore giuridico.
La giurisprudenza di legittimita’, infatti, e’ costante nell’affermare che il dolo del delitto di maltrattamenti e’ generico, non implicando, percio’, l’intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la volonta’ dell’agente di persistere in un’attivita’ consapevolmente vessatoria (tra molte: Sez. 1, n. 13013 del 28/01/2020, Osintsev, Rv. 279326; Sez. 3, n. 1508 del 16/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 274341; Sez. 6, n. 15680 del 28/03/2012, A., Rv. 252586).
Ragione per cui, quand’anche l’antecedente logico e psicologico delle condotte maltrattanti tenute dall’imputato – e riconosciute per tali dalla stessa sentenza impugnata, che ha espressamente ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato (pag. 8, in fine) – dovesse ravvisarsi nelle intemperanze o nelle petulanze della moglie, cio’ non potrebbe di per se’ valere ad escludere il dolo, laddove venisse accertato che quegli abbia comunque agito nella consapevolezza del carattere aggressivo, prevaricatore e/o umiliante dei propri contegni verso costei.
3. In applicazione di tali principi di diritto, disattesi dalla sentenza impugnata, si rendono necessarie la compiuta disamina e la conseguente rivalutazione complessiva del compendio processuale, che devono necessariamente essere estese anche all’imputazione di lesioni personali, la quale poggia essenzialmente sulle medesime risultanze probatorie.
Tale decisione, dunque, dev’essere annullata, ovviamente ai soli effetti civili, e rinviata al competente giudice civile, perche’ provveda a tale nuovo giudizio.
Lo stesso giudice, all’esito ed in ragione dello stesso, provvedera’ al regolamento delle spese anche del presente grado di legittimita’.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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