Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 gennaio 2025| n. 88.

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

Massima: Il lavoratore che chiede la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito per avere contratto una grave patologia in conseguenza di utilizzo di sostanze cancerogene senza adeguate protezioni e senza istruzioni su come evitare o limitare il pericolo ha l’onere di provare la sussistenza del nesso causale tra l’uso di tali sostanze e l’insorgere della malattia. Tale onere deve essere assolto non in termini di certezza assoluta o quasi assoluta, bensì secondo il canone del “più probabile che non”, da applicare anche tenendo conto della presenza o dell’assenza di eventuali altri fattori di rischio, estranei all’attività lavorativa.

 

Ordinanza|3 gennaio 2025| n. 88. Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

Integrale

Tag/parola chiave: Pubblico impiego – Malattia professionale – Risarcimento danni – Presupposti – Articoli 1218 e 2087 cc – Tutela del lavoratore – Nesso di causa – Articolo 2697 cc – Onere della prova – Elementi probatori – Valutazione del giudice di merito – Dpr 547 del 1955 – Criteri – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 17931 del 2013

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente
Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere-Rel.

Dott. FEDELE Ileana – Consigliere

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8235/2020 R.G. proposto da

Ca.Te., Pi.An., Pi.Ci., tutti nella qualità di eredi di Pi.Fr., elettivamente domiciliati in Roma, via En.Qu., presso lo Studio Associato Bu., rappresentati e difesi dall’avv. Er.Ma.

Ricorrenti

Contro

PROVINCIA DI MATERA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Ni.Ce., che la rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza n. 64/2019 della Corte d’Appello di Potenza, depositata il 16.4.2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.11.2024 dal Consigliere Andrea Zuliani.

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti sono gli eredi di Pi.Fr., deceduto il 30.8.2005 in esito a una patologia oncologica. Il de cuius aveva lavorato alle dipendenze della Provincia di Matera dal 1961 al 1995, con mansioni di cantoniere e successivamente di agente tecnico stradale specializzato. I suoi eredi si rivolsero al Tribunale di Matera, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna della datrice di lavoro al risarcimento dei danni, sul presupposto che il loro congiunto avesse contratto la malattia che lo portò alla morte a causa della nocività del lavoro svolto, che implicava la manipolazione di catrame, con conseguente esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale – stralciata la domanda di risarcimento del danno patito jure proprio e trattenuta solo quella relativa al danno jure hereditario, disposta c.t.u. ed assunte prove testimoniali – accolse la domanda, liquidando il danno in Euro 135.548, in linea capitale.

Gli eredi impugnarono la sentenza davanti alla Corte d’Appello di Potenza, contestando la quantificazione del danno, ritenuta insufficiente ai fini di un integrale ristoro del pregiudizio subito.

La Provincia di Matera propose a sua volta appello, ribadendo la richiesta di rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.

Le due impugnazioni vennero riunite, cosicché quella della Provincia di Matera venne trattata come appello incidentale.

La Corte territoriale lucana rigettò l’appello principale ed accolse quello incidentale, così riformando la decisione di primo grado nel senso di un totale rigetto della domanda degli eredi, che vennero anche condannati alla rifusione della metà delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio.

Contro la sentenza della Corte territoriale gli eredi hanno proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi.

La Provincia di Matera si è difesa con controricorso.

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

Entrambe le parti hanno altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087, 1218 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., comunque per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.

I ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello, pur avendo esposto in termini corretti la regola sull’assolvimento dell’onere della prova gravante sul lavoratore che agisce per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2087 c.c., l’avrebbe poi di fatto disattesa, ignorando l’esito della c.t.u. e dell’istruttoria testimoniale e valutando la prova del nesso causale tra ambiente di lavoro insalubre e malattia secondo un parametro di certezza o quasi certezza, invece che secondo il canone del più probabile che non, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità. L’errata applicazione di tale canone viene indicata come vieppiù evidente tenuto conto della riscontrata assenza di altri fattori di rischio, quali la familiarità per quel tipo di patologia, l’abitudine al fumo o il consumo di alcolici.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1218 e 2697 c.c., nonché 377 e 369 e 4 del D.P.R. 27.4.1955 n. 547, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e comunque per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.

Si completa la critica svolta nell’illustrazione del primo motivo, rilevando che nella motivazione dell’impugnata sentenza non si è tenuto conto del fatto che la Provincia non ha mai contestato l’assenza di dotazioni di sicurezza in uso ai dipendenti addetti alla lavorazione dell’asfalto per riparare le buche delle strade, né il fatto che questi non erano stati informati sul rischio connesso a tali lavorazioni, circostanze del resto anche provate mediante le deposizioni testimoniali.

3. Il terzo motivo prospetta: “nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per mancanza di presa di posizione del giudice di secondo grado rispetto all’eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio di dichiarare in rito inammissibile e, quindi, non producibile quali fonte di prova, la nuova produzione documentale allegata al n. 3 e al n. 9 del fascicolo di parte della Provincia di Matera in quanto prodotti solo in sede di gravame e nel contempo dichiarare inammissibile ed improcedibile l’appello in relazione all’invocato divieto di domande ed eccezioni nuove in appello”.

I ricorrenti evidenziano di avere immediatamente eccepito la tardività della nuova allegazione e dei nuovi documenti prodotti da controparte aventi ad oggetto l’uso del bitume – invece che del più pericoloso catrame – per la riparazione delle buche dell’asfalto nelle strade e si dolgono che su tale eccezione la Corte d’Appello non si sia affatto pronunciata.

4. Con il quarto motivo si prospettano: “violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 416, 421, 437 c.p.c. e art. 2697 c.c. – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – per aver reputato ammissibile per la prima volta in appello l’allegazione in ordine alla manipolazione e impiego da parte del lavoratore, nell’ambito dell’attività lavorativa svolta, non di un materiale altamente cancerogeno, quale il catrame, ma probabilmente di bitume costituente sostanza ritenuta meno cancerogena rispetto alla prima”.

Il quarto motivo si abbina al precedente, in quanto pone nuovamente e direttamente la questione dell’inammissibilità della nuova allegazione e delle nuove prove introdotte dalla Provincia di Matera in grado d’appello.

5. Il quinto motivo censura “violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché il travisamento della c.t.u., accertamento costituito oltre che dalla relazione depositata dai chiarimenti successivamente resi dall’ausiliare al giudice di primo grado in ordine alla causa del decesso del de cuius e accertamento del nesso eziologico tra malattia, decesso e attività lavorativa (che) è stata dal c.t.u. individuata con certezza nella presenza di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) la cui presenza è riscontrabile sia nel catrame che nel bitume”.

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

I ricorrenti si dolgono, in questo caso, di come la Corte d’Appello abbia disatteso le conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado, senza un approfondimento scientifico alternativo e valorizzando – in modo che oltretutto si ritiene errato – i documenti tardivamente prodotti nel giudizio d’appello.

6. Infine, il sesto motivo denuncia “nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.,

per l’omessa esplicita presa di posizione del giudice di secondo grado rispetto ai motivi 1 e 2 dell’atto d’appello principale”.

Il motivo è volto a censurare la mancata decisione sui motivi di appello principale con cui i ricorrenti avevano contestato la quantificazione dei danni risarcibili.

6. I motivi da uno a cinque sono fondati, per quanto di ragione, nei termini di seguito esposti.

6.1. Vanno valutati innanzitutto, per priorità logica, i motivi 3 e 4, in quanto attengono entrambi alla delimitazione della materia del contendere in fatto e delle prove utilizzabili per la decisione della causa.

La Corte territoriale non ha esaminato il tema della utilizzabilità o meno della documentazione prodotta dalla Provincia di Matera solo in grado d’appello, né tantomeno si è posta il problema della tardività dell’allegazione secondo cui il materiale utilizzato dai dipendenti della Provincia sarebbe stato bitume e non catrame. Quindi, in mancanza di una preventiva valutazione sulla indispensabilità delle nuove prove, le avrebbe dovute considerare inutilizzabili, ferma, in ogni caso, l’inammissibilità di nuove eccezioni (art. 437, comma 2, c.p.c.), salva solo l’ipotesi della rimessione in termini, previa richiesta in tal senso della parte e sussistendone i rigorosi presupposti (art. 153, comma 2, c.p.c.).

6.1.1. Il vizio denunciato è un error in procedendo, come tale censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., sicché è errato il riferimento al n. 3 del medesimo comma contenuto nella rubrica del quarto motivo.

Ma tale errore formale non rende di per sé inammissibile il motivo di ricorso e non impedisce alla Corte di Cassazione di decidere su di esso, inquadrandolo correttamente, una volta constatato che il suo oggetto è chiaramente comprensibile (v. Cass. S.U. n. 17931/2013; Cass. n. 10862/2018).

Sempre con riguardo all’ammissibilità dei due motivi, si deve rilevare che la censura in essi contenuta rispetta il necessario requisito di specificità (art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.), perché vengono riportati con sufficiente precisione, in particolare nell’illustrazione del terzo motivo, i passaggi della memoria di costituzione nel giudizio d’appello promosso dalla Provincia di Matera (quello poi riunito come appello incidentale all’appello degli eredi) con cui vennero contestate le tardive allegazioni e produzioni documentali (v. pagg. 28 e 29 del ricorso per cassazione).

6.1.2. La Provincia di Matera eccepisce l’inammissibilità della censura contenuta in questi due motivi di ricorso osservando che la nuova allegazione e le nuove prove sarebbero rimaste del tutto irrilevanti ai fini della decisione assunta dalla Corte d’Appello.

Tale opinione non è tuttavia suffragata dalla lettura della motivazione della sentenza.

Infatti, è vero che le considerazioni sul contenuto dei nuovi documenti prodotti dalla Provincia sono precedute dalla indicazione che esse sono svolte “per completezza espositiva”. Tuttavia, innanzitutto tale espressione non indica di per sé, in modo inequivocabile, il carattere meramente pleonastico delle successive argomentazioni; in secondo luogo, si deve rilevare che, dopo tali ulteriori argomentazioni, la motivazione si conclude con la formula “Per tutte le considerazioni espresse, va respinto l’appello principale”. Il che induce a pensare che anche le circostanze allegate e documentate in appello abbiano avuto un peso nella decisione adottata dalla Corte d’Appello.

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

6.2. A questo punto devono essere presi in esame congiuntamente, per la stretta connessione tra di loro, i primi due motivi di ricorso, i quali contengono una censura complessiva che non è limitata a una radicale disapprovazione su come la Corte d’Appello abbia apprezzato il materiale istruttorio disponibile, ma si estende alla falsa applicazione della regula iuris sulla prova del nesso causale, quantunque correttamente enunciata.

In effetti, il giudice d’appello è giunto a negare la prova del nesso causale tra lavoro e malattia, senza individuare alcuna possibile causa alternativa o altri possibili fattori di rischio, non negando l’utilizzo di materiale cancerogeno senza protezioni e, al tempo stesso, omettendo di confrontarsi con gli argomenti spesi dal consulente tecnico d’ufficio. Su quest’ultimo punto la motivazione della sentenza è esplicita, laddove si legge:

“Il c.t.u. ha ritenuto la sussistenza sotto il profilo medico legale del nesso causale tra la neoplasia e l’attività lavorativa espletata … quale cantoniere alle dipendenze della Provincia di Matera.

Ritiene la Corte che, al di là delle considerazioni medico legali espresse dal c.t.u. e fatte proprie dal primo giudice, i ricorrenti non abbiano assolto l’onere di provare il necessario nesso causale tra la patologia sofferta e l’attività lavorativa espletata alla luce delle seguenti considerazioni”.

Seguono alcune citazioni giurisprudenziali sull’onere della prova nelle azioni promosse ai sensi dell’art. 2087 c.c. e alcune considerazioni sul contenuto delle prove testimoniali assunte in primo grado, che vengono considerate insufficienti ad assolvere l’onere della prova “al di là” di qualsiasi confronto con le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Tale modo di procedere implica necessariamente una nascosta concezione della prova del nesso causale in termini di certezza o di quasi certezza, incompatibile con il concetto di più probabile che non, consolidato nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. n. 25805/2024). Infatti, il giudizio relativistico sulla possibilità qualificata dell’esistenza di un nesso causale non potrebbe essere espresso se non all’esito del completo esame del materiale istruttorio, senza trascurare gli aspetti medico-legali; viceversa un risultato di certezza può ben essere considerato ormai irraggiungibile anche sulla base della valutazione di una parte soltanto del materiale probatorio, laddove esso sia ritenuto già in sé lacunoso.

6.3. Quanto ora esposto vale anche a introdurre il tema introdotto dal quinto motivo di ricorso, che censura, appunto, il contrasto tra la decisione della Corte d’Appello e le conclusioni cui era giunto il c.t.u. nominato in primo grado (conclusioni condivise anche dal Tribunale).

Anche questo motivo, che completa la critica complessiva mossa con i motivi precedenti, è fondato per quanto di ragione.

È di tutta evidenza che, una volta accertato l’utilizzo senza protezioni di materiale potenzialmente cancerogeno, il giudizio sul nesso causale tra lavoro e insorgere della malattia non può prescindere da competenze e valutazioni tecniche medico-legali. Le conclusioni del c.t.u. devono scaturire dal regolare contraddittorio tra le parti ed essere sottoposte al vaglio critico del giudice, che può anche, motivatamente, disattenderle. Ma, una volta espletata la consulenza tecnica, “il mancato esame della c.t.u. integra un vizio della sentenza che ben può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi, come nel caso di specie, nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (Cass. nn. 14599/2021; 18598/2020; 13770/2018; 13399/2018).

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

La Corte d’Appello di Potenza non ha semplicemente ignorato la relazione del c.t.u., ma ha dichiaratamente espresso il proprio giudizio sul nesso causale “al di là” (ovverosia “a prescindere”) “delle considerazioni medico legali espresse dal c.t.u. e fatte proprie dal primo giudice”. E ciò nonostante le riportate dichiarazioni dei testi avessero confermato sia l’uso di “pietrisco mescolato a catrame”, sia l’assenza di “guanti o mascherine”.

Indubbiamente, per valutare la possibile incidenza causale di tali modalità di lavoro sull’insorgere della malattia si deve tenere conto anche della frequenza e delle modalità dell’uso del catrame, quali risultanti all’esito delle prove documentali e testimoniali, ma ciò non toglie che il relativo giudizio rimane prettamente tecnico e non può prescindere da una discussione medico-legale.

7. Il sesto motivo deve intendersi assorbito per effetto dell’accoglimento dei precedenti.

È evidente che, una volta negata l’esistenza del credito (con l’accoglimento dell’appello incidentale), non si può svolgere alcuna discussione e non può essere adottata alcuna decisione sull’ammontare del credito inesistente.

Pertanto, con la cassazione della sentenza, resta impregiudicato l’accertamento del giudice del rinvio sia con riguardo all’esistenza del nesso causale (e quindi del credito vantato dai ricorrenti), sia con riguardo al suo ammontare, che potrà risultare anche superiore o inferiore a quanto liquidato nella sentenza di primo grado.

8. Accolto il ricorso nei termini sopra esposti, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Potenza, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese del presente giudizio di legittimità, attenendosi ai seguenti principi di diritto:

“(anche) nel rito del lavoro non sono consentite nuove allegazioni e nuove produzioni documentali in appello, se non nei limiti di cui all’art. 437 c.p.c., che il giudice ha il dovere di rilevare e valutare, prima di ammettere le nuove allegazioni e utilizzare le nuove prove;

il lavoratore che chiede la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subìto per avere contratto una grave patologia in conseguenza dell’utilizzo di sostanze cancerogene senza adeguate protezioni e senza istruzioni su come evitare o limitare il pericolo ha l’onere di provare la sussistenza del nesso causale tra l’uso di tali sostanze e l’insorgere della malattia;

tale onere deve essere assolto – non in termini di certezza assoluta o quasi assoluta, bensì – secondo il canone del “più probabile che non”, da applicare anche tenendo conto della presenza o dell’assenza di eventuali altri fattori di rischio, estranei all’attività lavorativa;

qualora l’uso delle sostanze risulti provato, il giudizio sulla sua incidenza causale rispetto all’insorgere della malattia, seppur riservato al giudice del merito, implica necessariamente competenze e valutazioni di carattere tecnico medico-legale, sicché il giudice – una volta esperita la c.t.u. – non può decidere la causa prescindendo dall’esame delle relative risultanze e da un confronto con le argomentazioni del consulente”.

9. Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002.

Malattia per esposizione a sostanze cancerogene sul lavoro

P.Q.M.

La Corte:

accoglie i primi cinque motivi di ricorso, assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Potenza, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese legali del presente giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dei ricorrenti e del loro dante causa riportati nell’ordinanza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 6 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.