Corte di Cassazione, civile, Sentenza|9 gennaio 2025| n. 560.
Decisione accelerata e successiva udienza pubblica
Massima: In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi ex art. 380-bis c.p.c., la rimessione alla pubblica udienza – fissata in esito all’adunanza camerale conseguente ad istanza del ricorrente e in considerazione della riscontrata necessità di esaminare una questione di rilievo nomofilattico – esclude la conformità della decisione definitiva all’iniziale proposta e, perciò, non può farsi applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c.
Sentenza|9 gennaio 2025| n. 560. Decisione accelerata e successiva udienza pubblica
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REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere
Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31871/2021 R.G.
proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA E CORTE D’APPELLO DI MILANO – UFFICIO RECUPERO CREDITI, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it;
– ricorrenti –
contro
Fa.An., rappresentato e difeso dall’avv. Ma.Gi., con domicilio digitale (omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 620 del 15/6/2021 del Tribunale di Frosinone;
udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16/12/2024 dal Consigliere Dott. Giovanni Fanticini;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Anna Maria Soldi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi i difensori delle parti e lette le memorie.
Decisione accelerata e successiva udienza pubblica
FATTI DI CAUSA
1. Fa.An. proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento n. (omissis) notificatagli dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, su incarico del Ministero della Giustizia, per il recupero di spese processuali – pari a Euro 337.159,43 ed inerenti a processo penale che aveva coinvolto anche l’opponente – iscritte al ruolo n. (omissis) emesso da Equitalia Giustizia Spa
2. L’opponente Fa.An. deduceva il “difetto assoluto di motivazione della cartella di pagamento” (opposizione qualificata ex art. 617 c.p.c.) e l'”assenza di prova della debenza dell’importo intimato nella cartella di pagamento e iscritto a ruolo” (opposizione qualificata ex art. 615 c.p.c.).
3. Si costituivano nel giudizio Agenzia delle Entrate – Riscossione ed Equitalia Giustizia Spa, mentre restava contumace il Ministero della Giustizia.
4. Il Tribunale di Frosinone, con la sentenza n. 620 del 15/6/2021, accoglieva entrambi i profili di opposizione.
5. Avverso tale decisione, il Ministero della Giustizia e la Corte d’Appello di Milano – Ufficio Recupero Crediti proponevano ricorso per cassazione, basato su un unico motivo, in ordine all’accoglimento della doglianza ex art. 617 c.p.c., mentre veniva proposto separato appello in relazione all’opposizione ex art. 615 c.p.c.; resisteva con controricorso Fa.An.; non svolgevano difese nel giudizio di legittimità Agenzia delle Entrate – Riscossione ed Equitalia Giustizia Spa
6. In data 26/2/2024 veniva formulata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. del seguente letterale tenore: “Il ricorso presenta profili di infondatezza. Invero, al di là dell’affermazione del giudice del merito – erronea – secondo cui la sentenza penale di primo grado non recava statuizioni sulla condanna dell’odierno controricorrente alle spese processuali, il Tribunale ha comunque dato ampia spiegazione sul perché la cartella di pagamento presenti un deficit motivazionale, non solo sui presupposti (in teoria, conosciuti o anche solo conoscibili dal destinatario), ma anche sulla stessa quantificazione della pretesa. Non può dunque ravvisarsi alcuna violazione di norme, per come denunciata”.
7. Il 3/4/2024 l’Avvocatura dello Stato, per parte ricorrente, avanzava istanza di decisione del ricorso, in esito alla quale veniva fissata l’adunanza camerale del 12/7/2024.
8. Con ordinanza interlocutoria n. 23638 del 3/9/2024 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza, attesa la rilevanza nomofilattica della questione riguardante la motivazione della cartella di pagamento volta al recupero di spese del processo penale (e, in particolare, il contenuto essenziale e minimo dell’atto), già oggetto di orientamenti giurisprudenziali non sempre uniformi e di un vasto contenzioso attinente alla riscossione delle spese di giustizia penali, nel quale si inseriscono i principi di Cass., Sez. U., Sentenza n. 22281 del 14/07/2022.
9. Il Pubblico Ministero depositava memoria scritta e anche all’udienza concludeva per l’accoglimento del ricorso.
10. Le parti depositavano memorie ex art. 378 c.p.c.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, si rileva che è inammissibile il ricorso per cassazione della Corte d’Appello di Milano – Ufficio Recupero Crediti: il predetto Ufficio è incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione ex art. 208 T.U. Spese di Giustizia, ma, se non altro a questi fini, costituisce una mera articolazione periferica del Ministero della Giustizia e, non essendo dotato di una propria soggettività giuridica distinta da quella dell’Amministrazione centrale, è privo della capacità di stare in giudizio per le controversie derivanti dalla suddetta gestione.
2. È invece infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso del Ministero della Giustizia per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) all’impugnazione; secondo la tesi del controricorrente, poiché la cartella è stata formata dall’agente della riscossione in base alla quantificazione operata da Equitalia Giustizia, rispetto alla deduzione di un vizio formale il predetto Ministero ente impositore, non avrebbe alcuna valida ragione per contrastare la doglianza del Fa.An.
3. Al contrario, si deve rilevare che nella riscossione coattiva la legge sancisce una scissione fra la titolarità del credito, spettante all’ente impositore o creditore, e la legittimazione all’esercizio delle azioni nascenti dal rapporto di imposta o di credito, attribuita all’agente della riscossione; tuttavia, poiché il giudicato formatosi fra il contribuente o il debitore e l’agente fa stato, indipendentemente dalla denuntiatio litis a quest’ultimo (rilevante esclusivamente nel rapporto interno), anche nei confronti dell’ente (così Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 31476 del 03/12/2019, Rv. 656103 – 02), è evidente che quest’ultimo è titolare di un proprio autonomo interesse all’impugnazione di una decisione idonea ad incidere – in ragione dell’annullamento di un atto della riscossione – sulla pretesa creditoria.
Inoltre, come già statuito da Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6754 del 13/03/2024, “L’affidamento ad Equitalia Giustizia Spa del servizio di riscossione, previsto dall’art. 1, comma 367, della legge n. 244/2007, cui è stata data attuazione mediante apposita convenzione, non ha trasferito la titolarità del credito e non ha fatto, dunque, venire meno la legittimazione passiva del Ministero della Giustizia, che rimane ente creditore delle somme intimate con le cartelle esattoriali qui opposte”.
4. Con la propria censura, formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la parte ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 241 del 1990, 7 della legge n. 212 del 2000, 156, 157 e 617 c.p.c., per avere il Tribunale affermato il difetto di motivazione della cartella di pagamento, anche se la stessa conteneva il rinvio (non rilevato dal giudice di merito) alla condanna alle spese contenuta nella sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3830 del 13/3/2012, già nota all’opponente (condannato in quel processo), e alla partita di credito n. 1108/2019, formata conformemente alle disposizioni del Testo Unico delle Spese di Giustizia; inoltre, lo svolgimento di compiute difese da parte del Fa.An. dimostrava il raggiungimento dello scopo dell’atto e, cioè, l’informazione sulla piena conoscenza della pretesa creditoria.
5. Il motivo è in parte inammissibile, perché non compete al giudice di legittimità la valutazione circa la congruità della motivazione dell’atto della riscossione, ma in parte pure infondato, perché non costituisce sufficiente motivazione della cartella il mero richiamo (peraltro, equivoco nel caso in esame) della pronuncia impugnata.
6. La cartella impugnata riporta i seguenti riferimenti:
“RUOLO N. (omissis) Atti giudiziari anno 2012
Atti giudiziari Partita – (omissis) PROVVEDIMENTO NUMERO (omissis) DI TIPO SENTENZA, EMESSO IN DATA 13/03/2012
UFFICIO RECUPERO CREDITI – RIFERIMENTO PARTITA DI CREDITO NUM (omissis)”.
Il Ministero ricorrente afferma che la predetta indicazione integra una sufficiente motivazione per relationem alla sentenza del giudice penale (recante, peraltro, una diversa data di pubblicazione) e ai successivi calcoli e conteggi compiuti (e contenuti nel cosiddetto “foglio notizie” n. (omissis), menzionato nella cartella) per determinare e rendere conosciuto (o comunque conoscibile) l’importo dovuto da Fa.An.
7. Al contrario, ritiene il Collegio che – anche sulla scorta di Cass., Sez. U., Sentenza n. 22281 del 14/07/2022 – debba essere confermata la statuizione del Tribunale di Frosinone, secondo cui la predetta motivazione non soddisfa le finalità perseguite dalle norme che si assumono violate.
In base alla citata decisione delle Sezioni Unite – che concerne, nello specifico, l’obbligo di motivazione (prescritto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990) riguardante la pretesa di interessi, ma che contiene principi applicabili anche alla fattispecie de qua – “… se si muove dal quadro normativo di riferimento già richiamato – art. 7, L. n. 212/2000, art. 3, L. n. 241/1990, art. 12, c. 3, D.P.R. n. 600/1973 – è logico pervenire ad una prima conclusione, secondo cui è configurabile in capo all’Amministrazione finanziaria un preciso obbligo di motivazione dell’atto rivolto alla richiesta di pagamento di interessi sul debito fiscale. Ed invero, quello dell’obbligo di motivazione degli atti tributari e, più in generale, degli atti amministrativi costituisce un principio cardine dell’ordinamento, espressione di molteplici valori ancorati alla Carta costituzionale (artt. 3, 24, 97, 111, 113 Cost.), completando altresì – insieme al diritto all’informazione e alla partecipazione al procedimento amministrativo – il coacervo di garanzie che si impongono all’interno del principio del c.d. giusto procedimento. Si tratta di un canone che, quindi, non può non riguardare anche la motivazione della cartella di pagamento, come confermato da Corte cost., 21 aprile 2000, n. 117. Con la pronunzia appena ricordata la Corte ha ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, rispetto ad un asserito difetto di previsione legislativa dell’obbligo di motivazione della cartella di pagamento, evidenziando che l’obbligo di motivazione trova un generale referente normativo nell’art. 3 della legge n. 241/1990, ponendosi una diversa interpretazione in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Conclusione, quest’ultima, alla quale queste Sezioni Unite non possono che aderire convintamente, considerando non solo l’art. 7 – come richiamato dall’art. 17 – della L. n. 212/2000, ma anche la ricordata disposizione in tema di motivazione del ruolo sulla quale si tornerà nel prosieguo – art. 12, co. 3, dello stesso D.P.R. n. 602/1973 – oltreché la natura stessa della cartella quale atto prodromico all’esecuzione coattiva tributaria. È infatti per il tramite della cartella che il contribuente deve essere in grado di apprezzare il contenuto della richiesta avanzata dall’agente della riscossione in modo da evitare, in caso di sua illegittimità, la successiva procedura esecutiva”.
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Una volta individuata la finalità della motivazione del provvedimento, la succitata sentenza (la quale, peraltro, costituisce sviluppo dei principi già sanciti da Cass., Sez. U., Sentenza n. 11722 del 14/05/2010, Rv. 613233 – 01) chiarisce che spetta all’agente della riscossione individuare, nella cartella, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base della richiesta e che – nell’ipotesi in cui la pretesa non sia mai stata manifestata prima al debitore e costituisca, perciò, essa stessa atto impositivo in senso sostanziale – occorre una motivazione completa, dovendo l’agente esternare gli elementi essenziali che consentano al contribuente di verificarne la legittimità e di impugnarla, anche per contestarne il merito; anzi, “tale motivazione deve dunque assumere i caratteri della congruità, sufficienza ed intelligibilità”; un attenuato obbligo di motivazione concerne, invece, la cartella di pagamento che faccia riferimento ad uno specifico atto già comunicato al contribuente, al debito ed alla base normativa dalla quale desumere il calcolo degli interessi.
8. Orbene, anche se la cartella notificata ad Fa.An. contiene il riferimento alla sentenza del giudice penale che lo ha condannato al pagamento delle spese processuali (rectius, alla sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3830/2012, che ha confermato la decisione del Tribunale di Milano n. 6605/2011, la quale soltanto conteneva un’esplicita condanna dell’imputato a pagare dette spese), l’individuazione, la determinazione e la quantificazione delle spese sono pacificamente avvenute mediante atti che, ancorché richiamati nella cartella (di per sé mancante di specificazioni) o da essa presupposti, non vi risultano essere, né sono, mai stati precedentemente comunicati all’odierno controricorrente.
9. Va aggiunto che all’iniziale mancanza di motivazione dell’atto impugnato non sopperisce nemmeno quella giurisprudenza che – in considerazione della ratio dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (garantire il diritto di difesa) e del principio di leale collaborazione tra privato ed amministrazione – attenua le conseguenze del provvedimento carente: infatti, la successiva esternazione di una compiuta motivazione (nella specie integrata dalla produzione nel corso del giudizio del Foglio Notizie da parte di Equitalia Giustizia) è ammessa sì, ma soltanto quando ciò ” – non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato; – nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultano percepibili le ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato; – nei casi di atti vincolati” (Cons. Stato, Sez. IV, Sentenza n. 1018 del 4/3/2014, pronuncia richiamata anche da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 28560 del 18/10/2021).
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10. In questo contesto, come il rinvio per relationem alla sentenza penale di condanna non è ex se sufficiente ad integrare una congrua motivazione, così la mera conformità della cartella a modelli o schemi fissati in astratto da provvedimenti amministrativi generali o perfino da norme di rango secondario non vale di per sé a garantire la presenza di tutti gli elementi e i dati indispensabili per la compiuta estrinsecazione del diritto di difesa del soggetto a cui l’atto si rivolge con la minaccia di un’esecuzione forzata.
11. In tal senso deve intendersi, alla stregua del sopravvenuto importante arresto nomofilattico del 2022, integrato o inteso il precedente approdo ermeneutico (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2553 del 30/01/2019; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2797 del 31/01/2019) per il quale le indicazioni contenute nelle cartelle di pagamento redatte in conformità al modello ministeriale sono normalmente idonee a mettere il debitore intimato in condizione di identificare il titolo per cui si procede e le relative pretese creditorie, in modo da poter esercitare adeguatamente il proprio diritto di difesa: la conformità al modello ministeriale va sempre, con giudizio in fatto rimesso al giudice del merito (di regola incensurabile in sede di legittimità), posta in rapporto con l’esigenza di difesa del soggetto a cui il pagamento è richiesto, a seconda del contenuto concreto di quei dati come trasfusi e trasposti nella singola cartella opposta.
12. Beninteso, separata sorte può avere, in base alle attività sempre consentite all’ente creditore, il giudizio di accertamento dell’esatta entità del credito oggetto della cartella: il quale soggiace alle regole proprie della prova dei fatti costitutivi e delle relative contestazioni e, nella specie, comunque segue il suo parallelo corso con l’impugnazione propria dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c.
13. Deve formularsi, dunque, il seguente principio di diritto:
“In tema di recupero di spese di giustizia penali, la cartella di pagamento deve contenere gli elementi indispensabili per consentire al destinatario di effettuare il necessario controllo sulla correttezza della pretesa creditoria e tale obbligo di motivazione – che sussiste sin dal momento dell’emissione dell’atto, senza possibilità di successiva integrazione nel corso del giudizio – non è assolto mediante il richiamo per relationem della sentenza penale che ha condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali o tramite il rinvio ad atti (segnatamente, i cosiddetti “fogli notizie” redatti dalla Procura della Repubblica ed attestanti le spese sostenute nel processo penale) che, benché richiamati nella cartella, non sono stati precedentemente comunicati”.
14. Come già esposto, è poi inammissibile la doglianza del Ministero nella parte in cui si pretende da questa Corte di legittimità un riesame della valutazione sull’incongruità della motivazione già compiuta dal giudice di merito, al quale spetta un apprezzamento discrezionale sulla sufficienza e idoneità della motivazione della cartella per spese di giustizia penali.
Sul punto è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale che si fonda, tra le altre, sulla decisione di Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19619 del 19/07/2019 (e numerose successive conformi): “In ogni caso, non vi è dubbio che il Tribunale abbia espressamente preso in esame le contestazioni dell’opponente in relazione alla regolarità formale delle cartelle di pagamento, accertando, sulla base di una valutazione di fatto sostenuta da motivazione non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, che le indicazioni in esse contenute erano sufficienti a consentire l’individuazione dei provvedimenti giudiziari posti a base delle sottostanti iscrizioni a ruolo. Nell’effettuare tale accertamento di fatto non ha affatto valutato gli estratti dei provvedimenti giudiziari prodotti dall’amministrazione in sede di opposizione, oggetto delle contestazioni del ricorrente, come elemento integrativo esterno delle indicazioni riportate nelle cartelle di pagamento e quindi della loro regolarità formale, ma ha fatto ad essi riferimento esclusivamente al fine di confermare l’intelligibilità e l’autosufficienza del contenuto delle cartelle per l’esatta individuazione dei provvedimenti giudiziari in questione. Sotto questo profilo, anche al di là da un evidente difetto di specificità delle censure … è sufficiente osservare che con esse, nella sostanza, il ricorrente contesta accertamenti di fatto incensurabilmente operati dal giudice del merito, finendo in sostanza per chiedere una nuova e diversa valutazione delle prove … (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2553 del 30/01/2019; Sez. 3, Sentenza n. 2797 del 31/01/2019)”.
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15. In conclusione, dunque, il ricorso dev’essere respinto.
16. Consegue al rigetto dell’impugnazione la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, le quali sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo.
17. Nonostante il rigetto, la tesi sostenuta dal ricorrente non può essere considerata manifestamente infondata e, anzi, la stessa rimessione alla pubblica udienza della Sezione dimostra che la questione è stata considerata di rilievo nomofilattico, tanto da implicare pure una complessiva riconsiderazione della giurisprudenza sul punto; non sussistono, dunque, i presupposti dell’art. 380-bis c.p.c. e, quindi, non deve farsi applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c.
18. Poiché la parte ricorrente è Amministrazione dello Stato (come tale esonerata dal pagamento del contributo unificato), si deve dare dato atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 11.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 16 dicembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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