Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 marzo 2024| n. 6815.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

In tema di litisconsorzio, l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio, senza nulla eccepire innanzi al giudice di primo grado, e che sia rimasto soccombente non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di integrità del contraddittorio, in quanto l’unico vantaggio perseguito è quello di “guadagnarsi una replica del giudizio di primo grado” nella speranza che un nuovo giudizio si concluda con esito diverso da quello già celebrato, restando, invece, estranea l’esigenza di rimediare ad un vulnus recato al diritto di difesa ed al diritto al contraddittorio dalla mancata partecipazione al giudizio dei litisconsorti necessari pretermessi; tale interesse non è però meritevole di tutela, né trova copertura nell’articolo 100 c.p.c., e, anzi, la scelta processuale di trascurare nel giudizio di primo grado la questione dell’integrità del contraddittorio – salvo sollevarla dopo la sentenza secundum eventum litis – è idonea a tradursi in un’ipotesi di abuso del processo e di violazione del principio di ragionevole durata del processo. (Nella specie, la S.C. – posto che la denuncia di difetto di integrità del contraddittorio, avanzata solo in appello dall’attore soccombente, che aveva agito senza provvedere a chiamare tutti i contraddittori necessari e senza poi sollecitare l’integrazione al giudice di primo grado, si traduce in un abuso del processo e nella violazione del principio di ragionevole durata dello stesso – ha rigettato il motivo di ricorso secondo il quale la Corte di appello avrebbe erroneamente confermato la sentenza del Tribunale, che, accertata la rinunzia all’eredità, non aveva disposto l’integrazione del contradditorio nei confronti di coloro che erano stati chiamati in rappresentazione).

Ordinanza|14 marzo 2024| n. 6815. Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Data udienza 7 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Proprietà – Pagamento di canoni e risarcimento per l’occupazione – Interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio – Relativa “legitimatio ad causam” – Trasmissione all’erede – Ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all’eredità ex art. 486 c.c. – Idoneità ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica – Destinatario quale qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c. – Onere di contestazione della qualità di erede da parte dei chiamati all’eredità – Accertamento dell’usucapione in danno di più proprietari

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Cons. – Rel.

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 27663/2019 R.G. proposto da:

Pu.Gi. (C.F. Omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato AL. VI. (C.F. Omissis), giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Curatela Fallimento Centro Caseario di Vi.Bi. e C. Snc. (C.F. Omissis), Ma.Ma., Ca.Gi. (C.F. Omissis), Vi.Ma. (C.F. Omissis), Vi.Ni. (C.F. Omissis);

– intimati –

avverso la sentenza n. 3989/2018 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, depositata il 23.08.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

OSSERVA

1. Con atto del 202 Pu.Gi. citò in giudizio Vi.Gi. e Vi.Ca. (quest’ultimo era però risultato deceduto), il Curatore del Fallimento della Snc Centro Caseario di Vi.Bi. e C., nonché, in proprio, il socio Ma.Ma.

L’attrice esponendo che Vi.Bi., deceduto il 12/12/1991, con scrittura del 30/11/1980, aveva venduto al di lei coniuge Po.Sa. un appartamento con accessori, con immediata immissione in possesso;

che, venuto a mancare il Vi.Bi., lasciando quali eredi la moglie Ma.Ma. e i figli Vi.Co., Vi.Gi, Vi.Ca, Vi.Ge. + Altri Omessi, il Po.Sa. con citazione del 1997 aveva chiamato in giudizio i predetti eredi, al fine di ottenere il trasferimento dell’immobile;

che essendo poco dopo stato dichiarato il fallimento della società anzidetta e personalmente dei soci Vi.Ge., Ma.Ma. e An.Li., il curatore aveva, a sua volta, promosso azione, nel 1988, al fine di ottenere la condanna del Po.Sa. alla restituzione dei beni, essendosi il Fallimento sciolto dal contratto ai sensi dell’art. 72 della legge fallimentare;

che il relativo giudizio era stato interrotto per la morte del Po.Sa., avvenuta nel 2001, chiese:

– dichiararsi che con la scrittura privata del 1980 era stato concluso un contratto di compravendita e non un mero preliminare;

– che fosse assegnata data certa alla anzidetta scrittura, essendovi in essa riferimento al noto evento sismico del 1980 ed essendo essa stata stipulata prima della dichiarazione di fallimento;

– che, pertanto, gli immobili, usciti dal patrimonio del Vi.Bi. prima del di lui fallimento, erano di proprietà esclusiva della esponente, già proprietaria per 1/2 in forza del regime di comunione legale ex art. 177 cod. civ. e, per il restante, per successione;

– che, in subordine, fosse dichiarato che gli immobili erano stati usucapiti nell’intero e, in ulteriore subordine, nella misura di 1/2.

La Curatela, costituitasi, espose che:

– dai registri immobiliari i beni risultavano in capo a Ma.Ma., erede di Vi.Bi.;

– che Vi.Ge. aveva dichiarato al Curatore che i predetti immobili non erano nella disponibilità della proprietaria in quanto occupati da Po.Sa.;

– che il Fallimento aveva citato in giudizio nel 1998 l’occupante, al fine di ottenerne il rilascio e la condanna al risarcimento del danno;

– che in quel giudizio il convenuto aveva prodotto la scrittura del 1980 e che, in ipotesi che all’atto fosse stato attribuito valore giuridico, era stata manifestata la volontà di sciogliersi dal contratto;

– che nel 2000 il Po.Sa. aveva citato in riassunzione il Fallimento nel giudizio incoato contro Ma.Ma., nella qualità di erede di Vi.Bi., al fine di vedere accertato l’integrale pagamento del prezzo e ottenere il trasferimento della proprietà;

– che, poco dopo, il Fallimento aveva citato il Po.Sa. chiedendone la condanna al rilascio delle cantine – box e al risarcimento del danno;

– che, deceduto il Po.Sa., i giudizi da costui intrapresi erano stati interrotti e non più riassunti, rimanendo pendente quello ex art. 2932 cod. civ.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Concluse chiedendo dichiararsi inopponibile al Fallimento la prodotta scrittura, in quanto atto unilaterale del Vi.Bi., ricognitivo di pretesi precedenti raggiunte intese, che non manifestava la volontà di concludere un contratto e, comunque, con oggetto indeterminato. Ove, poi, fosse stato qualificato contratto preliminare, non sarebbe stato opponibile alla procedura, in quanto il Fallimento si era sciolto dallo stesso e il diritto ad agire ex art. 2932 cod. civ. si era prescritto. Ove, infine, si fosse reputato che trattavasi di contratto con effetti traslativi, non poteva essere opposto al Fallimento, stante che la domanda non era stata in precedenza trascritta. Infine, la subordinata domanda d’usucapione era infondata per la mancanza dell’ “animus possidendi” e la indisponibilità materiale del bene a seguito del fallimento.

2. Il Tribunale rigettò tutte le domande attoree e accolse quella riconvenzionale, con la quale il Curatore aveva chiesto pagamento di canoni e risarcimento per l’occupazione.

3. La Corte d’appello di Napoli rigettò l’impugnazione proposta da Pu.Gi.

4. Pu.Gi. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro motivi.

Le controparti sono rimaste intimate.

5. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 565, 519 e 522 cod. civ. e 102 e 354 cod. proc. civ.

Si assume che la Corte locale aveva erroneamente disatteso il motivo d’impugnazione con il quale l’esponente aveva lamentato il fatto che il Tribunale, accertata la rinuncia all’eredità da parte di Vi.Bi., non aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di coloro che erano chiamati in rappresentazione.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Si precisa che il ragionamento, secondo il quale nel nostro ordinamento non esistono “eredi legali”, ma solo chiamati e che, pertanto, sarebbe spettato all’appellante dimostrare che i chiamati non avessero, a loro volta, rinunciato all’eredità, non poteva essere condiviso, poiché, secondo i principi espressi dalla Cassazione, dopo la morte della parte la legittimazione passiva va individuata in capo ai soggetti che presentino un oggettivo valido titolo a succedere, ove non conoscibile o conosciuta circostanza idonea che il titolo sia venuto meno. L’onere di dimostrare il contrario, di conseguenza, grava sulla parte convenuta.

Nel caso al vaglio, verificata la rinuncia all’eredità del padre da parte dei figli, non era stato acclarato che i chiamati in rappresentazione avessero fatto altrettanto.

4.1. Il motivo va rigettato.

4.1.1. Deve premettersi che, siccome si ricava dal primo motivo d’appello riportato in sentenza, la Pu.Gi. aveva riassunto la causa nei confronti del Fallimento, di Ma.Ma., moglie del defunto Vi.Bi., di Vi.Gi. e Vi.Ca., quali eredi ex lege; tuttavia, prima della notifica dell’atto, Vi.Ca. era deceduto e non era stata disposta citazione nei confronti dei restanti eredi Vi.Co., + Altri Omessi e Vi.Ge. Da ciò l’appellante aveva tratto il convincimento della violazione dell’art. 102 cod. proc. civ., stante che l’incombente avrebbe dovuto essere ordinato d’ufficio dal Tribunale.

La Corte d’appello, dopo aver esordito, nei termini riportati dal motivo del ricorso, afferma mancare la prova dell’accettazione dell’eredità da parte degli eredi del defunto Vi.Bi., essendovi, invece, la prova che Ca.Gi., Vi.Ma. e Vi.Ni., moglie e figli di Vi.Gi., supposti eredi di Vi.Bi., avevano rinunciato all’eredità del padre.

L’attrice, in comparsa conclusionale aveva dichiarato (si riporta sempre in sentenza) che gli eredi di Vi.Ca. (Vi.Co. + Altri Omessi e Vi.Ge.) non avevano rinunciato all’eredità, pur avendolo fatto i figli di Vi.Bi.

La Corte d’appello disattende la prospettazione sulla base del ragionamento seguente: “Osserva la Corte che questa argomentazione si fonda sul falso presupposto (…) che esistano degli “eredi necessari” per legge e salvo rinuncia, il che evidentemente non è, essendo principio cardine nel nostro ordinamento che la qualità di erede si acquista solo per effetto di accettazione (espressa o tacita) e non certo per “mancata rinuncia” (…). Il rilievo che i figli dei figli di Vi.Bi. non abbiano, a loro volta, rinunciato all’eredità del nonno non ha, perciò, alcun significato, perché incombeva all’appellante, che sostiene la non integrità del contraddittorio, dimostrare l’esistenza di altri eredi diversi da Ma.Ma.”.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Risulta utile prendere le mosse dalla motivazione della sentenza n. 21287, 14/10/2011 di questa Corte: “Qualora (…) si tratti del mero problema della corretta riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva può essere individuata allo stato degli atti cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta – o conoscibile con l’ordinaria diligenza – alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc.). (…) Deve essere perciò condiviso il principio enunciato da Cass. civ. 11 aprile 1984 n. 2331, a cui si è uniformata la Corte di appello, secondo cui la parte che riassume il giudizio deve diligentemente accertare che i convenuti in riassunzione come eredi siano formalmente investiti del titolo a succedere, e che un tale titolo permanga al momento della riassunzione.

Qualora il venir meno del titolo non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc.), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell’atto, la riassunzione è da ritenere regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta dallo stato degli atti.

Viene a gravare sui convenuti in riassunzione, in tal caso, l’onere di dimostrare il contrario e se del caso chiarire la loro posizione in tempo utile.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Ciò vale in particolar modo nei casi simili a quello in esame, in cui la causa debba essere riassunta nei confronti degli eredi della parte defunta, ed il venir meno della qualità di erede dipenda da una libera scelta dell’interessato, qual è la rinuncia all’eredità, non ancora esternata alla data della notificazione dell’atto di riassunzione “.

Il principio che si ricava dalla riportata motivazione è stato di recente ribadito da questa Corte, la quale ha affermato che nell’ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio i chiamati all’eredità, pur non assumendo, per il solo fatto di aver ricevuto e accettato la notifica come eredi, la suddetta qualità, hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale condizione soggettiva, chiarendo la propria posizione, e il conseguente difetto di legittimazione, in quanto, dopo la morte della parte, la legittimazione passiva, che non si trasmette per mera delazione, deve essere individuata dall’istante allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta, o conoscibile con l’ordinaria diligenza, alcuna circostanza idonea a dimostrare la mancanza del titolo (Sez. 3, n. 12987, 30/6/2020, Rv. 658232).

Il principio è riscontrato altresì dalla decisione n.22870, 10/11/2015, con la quale la Cassazione ha chiarito che nell’ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa “legitimatio ad causam” si trasmette all’erede, ma il ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all’eredità ex art. 486 c.c. è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.; ne consegue che i chiamati all’eredità, pur non assumendo la qualità di eredi per il solo fatto di aver accettato la predetta notifica, hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la riassunzione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sufficiente all’instaurazione del rapporto processuale la notifica di un atto di riassunzione nei confronti di coloro i quali si trovavano nello stato di fatto legittimante la successione, in virtù dei rispettivi rapporti di coniugio e di filiazione con la parte defunta, in assenza di circostanze ostative evincibili dagli atti e non essendo stata trascritta, prima della notifica della riassunzione, la rinunzia all’eredità dedotta dal coniuge) – Rv. 637849.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

Gli arresti richiamati, pienamente condivisi dal Collegio, smentiscono il presupposto teorico – assertivo della Corte di Napoli, secondo il quale il chiamato non assume alcuna posizione giuridicamente apprezzabile.

L’affermazione della Corte locale, seppure coglie suggestivamente un aspetto (la mera chiamata non crea lo “status” di erede), non può, sul punto, essere condivisa.

È certamente vero che la ricostruzione sopra richiamata è tesa in via prioritaria ad alleviare l’incombente che graverebbe sulle spalle del riassumente, caricando di autoresponsabilità il chiamato, tuttavia essa prende l’abbrivio da un presupposto non corretto, secondo il quale il chiamato non rivestirebbe ruolo giuridicamente apprezzabile alcuno.

4.1.1.2. Si è, di contro, sostenuto che pur nel caso in cui la non integrità del contraddittorio sia dipesa dalla colpevole condotta della parte riassumente, che, come nel caso in esame, abbia omesso di citare taluni dei chiamati, non potrebbe affermarsi che un tal difetto non possa essere rilevato d’ufficio dal giudice e che una tale conclusione non potrebbe giustificarsi alla luce del principio che impone di evitare l’emissione di una sentenza “inutiliter data” (si veda, ex multis, e da ultimo Cass. nn. 7040/2020, 24639/2020, 38024/2021, 5287/2023).

4.1.1.3. Tuttavia, il motivo merita di essere disatteso alla luce di una nuova lettura, che ha limitato, per apprezzabili ragioni (come di qui a poco si vedrà) la predicata assoluta intangibilità del litisconsorzio.

Di recente, si è valorizzata la circostanza che la denuncia di non integrità del contraddittorio, avanzata solo in appello dall’attore soccombente, che ha agito senza provvedere a chiamare tutti i contraddittori necessari e senza poi sollecitare l’integrazione al giudice di primo grado, si tradurrebbe in un abuso del processo e nella violazione del principio di ragionevole durata dello stesso.

In tal senso si è pronunciata l’ordinanza n. 24071, 26/9/2019, nella quale si evidenzia: “il Collegio ritiene che tale questione (quella qui in discussione) vada messa a fuoco attraverso il prisma dell’interesse ad agire (e ad impugnare), cristallizzato nell’articolo 100 c.p.c., come illuminato dal principio della ragionevole durata del processo, cristallizzato nell’articolo 111 Cost., e dal principio dal divieto di abuso del processo, cristallizzato nell’articolo 88 c.p.c.; che, in particolare, la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari di un bene oggetto di domanda di usucapione è funzionale, in primo luogo, alla tutela dei comproprietari, onde consentire loro di difendersi in un giudizio di accertamento di una situazione giuridica confliggente con quella preesistente (cfr. Cass. 5559/94); in secondo luogo, alla tutela dello stesso attore, onde impedire che, all’esito del giudizio, la sentenza che riconosca il diritto dal medesimo azionato risulti inutiliter data, in quanto inopponibile ai litisconsorti necessari pretermessi; che, a fronte di una sentenza di secondo grado che abbia rigettato la domanda di usucapione, non può ritenersi sussistente alcun interesse alla rinnovazione del giudizio in contraddittorio con i comproprietari pretermessi, né in capo a questi ultimi, né in capo all’attore; che, quanto ai comproprietari pretermessi, la suddetta sentenza non pregiudica in alcun modo i loro diritti, giacche essi, in sostanza, sono virtualmente vittoriosi nel giudizio in cui sono stati pretermessi; che, quanto all’attore, per costui è irrilevante, in ragione del contenuto della sentenza (di accertamento negativo del suo diritto), la non opponibilità della stessa ai litisconsorti necessari pretermessi; ne, d’altra parte, gli odierni ricorrenti deducono, nel mezzo di ricorso in esame, che la mancata partecipazione al giudizio dei litisconsorti pretermessi abbia recato una qualsivoglia limitazione al pieno dispiegamento del loro diritto di difesa ed al loro diritto al contraddittorio nel primo e nel secondo grado di merito; che quindi, in definitiva, l’unico interesse alla ripetizione del processo riconoscibile in capo ai ricorrenti è individuabile non nella esigenza di rimediare ad un vulnus recato al loro diritto di difesa ed al loro diritto al contraddittorio dalla mancata partecipazione al giudizio dei litisconsorti necessari pretermessi, ma nella speranza che un nuovo giudizio si concluda con esito diverso da quello già celebrato; che il suddetto interesse non è meritevole di tutela, ne trova copertura nell’articolo 100 c.p.c., dovendosi anzi ritenere che – poiché nella stessa narrativa del mezzo di ricorso si riferisce che la esistenza di altri coeredi di (…) (i sigg.ri ….) emergeva già dalla comparsa di costituzione della convenuta (…) nel giudizio di primo grado – la scelta processuale degli odierni ricorrenti di trascurare la questione dell’integrità del contraddittorio per i due gradi di merito (non provvedendo alla chiamata in causa di tali ulteriori coeredi, né sollecitando, al riguardo, l’esercizio dei poteri ufficiosi del giudice), salvo sollevarla dopo la sentenza di secondo grado secundum eventum litis, si traduca in un abuso del processo (vedi, per l’affermazione del principio di autoresponsabilità della parte, seppure in altro campo, SSUU 21260/16: “L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto, in quanto non soccombente su tale, autonomo, capo della decisione”); che, del resto, la reiterazione del giudizio in assenza di qualsivoglia lesione della posizione giuridica dei litisconsorti pretermessi e di qualsivoglia pregiudizio patito dal diritto di difesa degli attori (e dei convenuti, integralmente vittoriosi) risulterebbe contraria alle esigenze di economia processuale strumentali all’attuazione del principio della ragionevole durata del processo sancito dal novellato art. 111 Cost., comma 2, ultima parte, che impone un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del codice di rito in chiave ancora più accentuatamente funzionale e antiformalistica; che, in coerenza con tale lettura sistematica del principio della ragionevole durata del processo, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 26373/08, hanno affermato che, nel caso di evidente inammissibilità del ricorso per cassazione, è superflua la concessione di un termine per la notifica, omessa, del medesimo alla parte totalmente vittoriosa in appello, chiarendo che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111, secondo comma Cost. e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di 7 attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111, secondo comma Cost.), dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti; conf. Cass. 18410/09 (che, sulla scorta dei medesimi principi, ha ritenuto irrilevante, in un giudizio in materia di locazione, l’omessa citazione di uno dei conduttori in appello e nel giudizio di cassazione, rilevata d’ufficio, atteso che le problematiche concernenti la risoluzione del contratto di locazione non costituivano più in concreto oggetto del processo, mentre quelle concernenti i rapporti di dare e avere, per canoni non corrisposti, migliorie e risarcimento danni, oggetto del ricorso per cassazione, non comportavano l’inscindibilità delle cause), nonché Cass. 2723/10, Cass. 6826/10 e altre (da ultimo Cass. 12515/18); che non pare altresì superfluo sottolineare come nella menzionata sentenza n. 26373/08 le Sezioni Unite abbiano aggiunto al principio sopra riportato l’ulteriore notazione che, nel caso al loro esame, la concessione del richiesto termine per il rinnovo della notifica del ricorso per cassazione “avrebbe significato avallare un comportamento contrario al principio di lealtà e probità processuale (art. 88 cod. proc. civ.), atteso che gli istanti erano già in precedenza consapevoli della necessità della stessa”; che peraltro – per l’infondatezza delle altre censure mosse dai ricorrenti alla sentenza impugnata, che ha portato al rigetto del secondo e del terzo mezzo di ricorso – il presente giudizio non è destinato a proseguire in sede di rinvio, cosicché alla fattispecie risulta attagliarsi perfettamente il principio espresso in Cass. 2461/09, dove si afferma “l’inammissibilità per difetto di interesse del motivo di ricorso per cassazione con il quale la parte soccombente si dolga della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorzi necessari, quante volte essa non avrebbe potuto trarre alcun vantaggio dalla partecipazione al giudizio dei litisconsorti pretermessi, per essere risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata e per non potersi neppure astrattamente ipotizzare, in relazione all’atteggiarsi delle singole situazioni, che la partecipazione al giudizio dei litisconsorti sarebbe stata suscettibile di risolversi in una decisione di contenuto diverso e favorevole alla stessa parte soccombente” (pag. 19, ultimo capoverso); che, pertanto, in definitiva, il primo mezzo di ricorso va giudicato inammissibile per carenza di interesse”.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

La statuizione, di cui si è riportata la pertinente parte motivazionale, ha trovato sintesi nella seguente massima: in caso di accertamento dell’usucapione in danno di più proprietari, è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione della sentenza di rigetto proposta, per violazione dell’integrità del contraddittorio, dal soccombente che abbia agito in giudizio senza convenirvi tutti i comproprietari e senza sollecitare al riguardo l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, stante l’irrilevanza per lo stesso della non opponibilità della pronuncia ai litisconsorti necessari pretermessi e l’assenza di pregiudizio per i diritti di questi ultimi. Né è meritevole di tutela l’interesse ad un nuovo giudizio che si concluda con differente esito, traducendosi esso in un abuso del processo, oltre ad essere contrario al principio di ragionevole durata dello stesso ai sensi dell’art. 111 Cost. (Rv. 655360) e successiva, recente conferma in Cass. n. 20091/2023.

Il Collegio, valuta doversi reputare prevalenti gli argomenti di cui al nuovo riportato indirizzo, al quale, quindi, intende dare continuità. Invero, l’unico vantaggio, a cui non può assegnarsi meritevolezza giuridica, perseguito dal soccombente che, colpevole di non avere compiutamente attivato o integrato il contraddittorio, senza nulla eccepire innanzi al giudice di primo grado, solo in appello si dolga del difetto di completezza del litisconsorzio, è quello di “guadagnarsi una replica del giudizio di primo grado”. Né, come si è detto, lo si può immaginare portatore di un interesse a che la sentenza, che lo ha visto soccombere, possa risultare a taluno non opponibile.

5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1322 e 1350 cod. civ.

Con la censura si contesta la qualificazione del negozio intercorso tra il Po.Sa. e il Vi.Bi.

Dopo avere disquisito sul principio generale sulla libertà di forma la Pu.Gi. conclude affermando che “una forma documentale non è vincolo di una forma contestuale: le dichiarazioni che devono servire a costituire il negozio possono cioè risultare da documenti separati, purché ciascuno abbia i caratteri formali richiesti per il negozio. Esigere che le dichiarazioni siano contestuali e aggiungere un requisito è un rigore formale che la legge, in via generale, non richiede. Da tanto ne consegue che la scrittura così come predisposta anche se unilateralmente non può non definirsi contratto”.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

5.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità.

Il motivo non attinge la “ratio decidendi”. Invero, la sentenza, dopo avere seriamente dubitato che attraverso la dichiarazione scritta di Vi.Bi., che appariva ricognitiva di un fatto (la vendita già avvenuta), in calce alla quale Po.Sa. si era limitato ad apporre la propria firma, a lungo (e dopo aver riportato per esteso lo scritto) e decisivamente, spiega che a reputare che si fosse in presenza di un contratto, ne andava esclusa natura avente effetto reale, ma, semmai obbligatoria (preliminare).

Poiché avverso quest’ultima “ratio decidendi” (avrebbe potuto assegnarsi natura di contratto ad effetti obbligatori e giammai reali) non è stata mossa censura, la stessa è divenuta intangibile. Costituisce, invero, enunciazione granitica quella secondo la quale ove manchi una puntuale spendita impugnatoria di tutte le rationes decidendi, il punto deciso è divenuta intangibile e, pertanto, impermeabile al giudizio di cassazione (cfr., fra le tante, da ultimo, S.U., n. 7931 del 29/3/2013, Rv. 625631; Sez. L., n. 4293 del 4/3/2016, Rv. 639158).

6. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “In riferimento all’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., omessa o, in subordine, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, assumendo che la sentenza aveva mancato di esaminare la scrittura privata del 1980 insieme a una precedente del 1978, della quale si afferma di riprodurre il contenuto in seno al motivo. Ove ciò il Giudice avesse fatto sarebbe stato chiaro che la volontà delle parti con la scrittura del 1978 era quella di conseguire l’effetto reale del trasferimento di proprietà.

6.1. Il motivo è palesemente inammissibile.

In presenza di “doppia conforme”, trovando applicazione “ratione temporis”, l’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.

In disparte val la pena osservare che non consta dove e quando l’esistenza e il contenuto della scrittura del 1978 siano stati dibattuti.

7. Con il quarto motivo la ricorrente, ancora una volta, denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

S’incolpa la sentenza di “omissione o difetto di motivazione (per) avere trascurato o insufficientemente esaminato la questione di fatto della interversione”.

7.1. La doglianza, anche in questo caso, è chiaramente inammissibile in presenza di “doppia conforme” e, peraltro, impropriamente formulata, avuto riguardo al contenuto di cui all’evocato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.

8. In definitiva, nel suo complesso, il ricorso merita rigetto.

9. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.

10. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Litisconsorzio e l’attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio senza nulla eccepire 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *