L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta costituisce una vera e propria domanda giudiziale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 maggio 2024| n. 14461.

L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta costituisce una vera e propria domanda giudiziale

L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c. (nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149 del 2022) costituisce una vera e propria domanda giudiziale e, come tale, va avanzata prima della maturazione delle preclusioni assertive, poiché non consegue necessariamente alla pronuncia di condanna, a differenza delle spese di lite, e dev’essere determinata tenuto conto di circostanze di fatto – quali il valore della controversia, la natura della prestazione, il danno quantificato o prevedibile – che vanno tempestivamente allegate (e, se del caso, provate), così da consentire alla controparte una compiuta difesa, altrimenti impossibile se la richiesta fosse sottratta alle barriere preclusive del rito.

Ordinanza|23 maggio 2024| n. 14461. L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta costituisce una vera e propria domanda giudiziale

Data udienza 3 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Esecuzione forzata – Obblighi di fare e di non fare – In genere domanda di misura di coercizione indiretta ex art. 614 – Bis c.p.c. (nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149 del 2022) – Ammissibilità – Limiti – Preclusioni assertive – Fondamento.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11719/2021 R.G.

proposto da

DA.MA.DA. Sas, rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Am., con domicilio digitale (…)

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALOMBARA SABINA, rappresentato e difeso dall’avv. Fr.Ro., con domicilio digitale

(…)

– controricorrente –

e contro

Ai. S.A., rappresentata e difesa dall’avv. DA.Co., con domicilio digitale (…)

– controricorrente –

e contro

Ge.It. Spa, rappresentata e difesa dall’avv. Fr.Ta., con domicilio digitale (…)

– controricorrente –

e nei confronti di

Mo. Srl Zu. P.L.C.

– intimate –

avverso la sentenza n. 1734 dell’8/3/2021 della Corte d’appello di Roma;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/5/2024 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI; lette le memorie delle parti.

L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta costituisce una vera e propria domanda giudiziale

Fatti di causa

1. La DA.MA.DA. Sas conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Tivoli, il Comune di Palombara Sabina chiedendo la condanna dell’ente ad eseguire le opere (già individuate in un precedente a.t.p.) necessarie ad eliminare le infiltrazioni, provenienti dalla strada pubblica, nell’immobile dell’attrice, reso inagibile, nonché il risarcimento dei pregiudizi conseguenti, costituiti dai danni arrecati all’interno dell’edificio (adibito ad esercizio di ristorazione) e nella perdita dell’introito derivante dalla locazione del locale, stipulata con la A. Srl, già cessata al momento dell’introduzione della causa.

2. Costituitosi in giudizio, previa autorizzazione del giudice, il Comune di Palombara Sabina chiedeva il rigetto della domanda attorea e chiamava in causa la Mo. Srl, impresa esecutrice dei lavori di rifacimento della strada pubblica, la Assitalia Assicurazioni (oggi, Ge.It.) Spa e la Ch. (oggi, Ai.) S.A., per essere manlevato in caso di condanna.

3. La Mo. Srl, pur contrastando la richiesta del Comune, chiamava in causa la propria compagnia assicuratrice, Zu. P.L.C.

4. Il Tribunale di Tivoli, con la sentenza n. 365/2016, respingeva le domande della DA.MA.DA. Sas per difetto di prova.

5. La DA.MA.DA. Sas impugnava la decisione e la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 1734 dell’8/3/2021, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva in parte le istanze attoree e condannava il Comune ad eseguire le opere indicate dal C.T.U. nell’elaborato peritale redatto in sede di a.t.p. e a risarcire alla società appellante i danni materiali interni all’immobile, nonché a rifondere le spese di lite, con loro compensazione per la metà; rigettava le domande avanzate dal Comune nei confronti delle compagnie assicuratrici e rilevava che la domanda nei confronti della Mo. non era stata riproposta in appello.

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6. Per quanto qui ancora rileva, la Corte di merito così spiegava la propria decisione: “La domanda di eliminazione delle cause delle infiltrazioni, che forma oggetto del presente giudizio non poteva essere rigettata per difetto di prova. In sede di ATP infatti il ctu ha accertato la permanenza dei fenomeni infiltrativi, le cause degli stessi ed ha indicato a pagina 6, righi 3-13 dell’elaborato peritale, le opere da eseguirsi sulla proprietà pubblica per la loro eliminazione. … La domanda risarcitoria va invece parzialmente respinta. In ordine alla mancata percezione dei canoni di locazione rilievo dirimente ha il fatto che come specificato dall’appellante a pagina 12 dell’atto di appello, essa “invoca la responsabilità del Comune di Palombara Sabina per non avere provveduto ad eliminare la causa delle infiltrazioni umide che si sono riproposte dall’anno 2009 …”. Il recesso dal contratto di locazione da parte della A&MC. Food and Beverage Srl, al quale la DA.MA.DA Sas ricollega la mancata percezione dei canoni di locazione, è avvenuto nel settembre 2008, sicché è insussistente in radice il nesso di causalità fra tali danni e i nuovi fenomeni infiltrativi. Allegazione del tutto nuova e quindi inammissibile è quella contenuta a pagina 10 dell’atto di appello laddove la DA.MA.DA. Sas ha dedotto: “Anche qualora si volesse ritenere non fornita la prova del nesso di causalità tra la risoluzione del contratto di locazione e le dedotte infiltrazioni umide, andrebbe comunque tenuto conto dello stato d’inagibilità che ha precluso e che tuttora preclude l’utilizzo del locale in questione, provocando una perdita economica da mancata locazione che deve necessariamente essere quantificata con riferimento ai valori precedentemente realizzati”. Tra l’altro, tale allegazione è del tutto svincolata dalle conclusioni dell’atto di appello nelle quali il danno è quantificato espressamente in “Euro 260.000,00, determinata con riferimento alla stima dei danni materiali interni all’immobile, pari ad Euro 23.000,00 …, nonché includendo l’importo di Euro 237.000, relativo al mancato introito dei canoni di locazione riconducibili al contratto del 28.2.008 stipulato con la A. & MC Food end Beverage Srl”. … Inammissibile è la domanda ex art 614 bis c.p.c. in quanto formulata tardivamente.”.

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7.Avverso tale decisione la DA.MA.DA. Sas proponeva ricorso per cassazione, basato su cinque motivi; resistevano, con distinti controricorsi, il Comune di Palombara Sabina, la Ai. S.A. e la Ge.It. Spa; non svolgevano difese nel grado di legittimità le intimate Mo. Srl e Zu. P.L.C.

8. Le parti depositavano memorie ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

9.All’esito della camera di consiglio del 3/5/2024, il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell’art. 380-bis.1, comma 2, cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1. Con la prima censura la ricorrente deduce la “nullità della sentenza (censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.4) per travisamento della prova e conseguente violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui si ritiene insussistente il nesso di causalità fra i danni derivanti dall’indisponibilità del bene immobile e i nuovi fenomeni infiltrativi”, per avere il giudice d’appello mancato di considerare la lettera inviata alla società locatrice dalla A.&MC Food and Beverage Srl, con cui questa comunicava il recesso dal contratto del 28/2/2008 in ragione della sussistenza di infiltrazioni di acqua all’interno del locale oggetto di locazione e dell’impossibilità utilizzare il bene locato per l’uso commerciale di ristorazione già convenuto.

2. Anche a prescindere dall’inammissibilità, ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., per la mancanza di una specifica illustrazione del documento su cui si fonda il motivo, la censura è comunque inammissibile, sia perché la ricorrente mira, evidentemente, ad una rivalutazione, da parte della Corte di legittimità, del materiale probatorio già vagliato dal giudice di merito, sia perché si contesta l’omessa (rectius, l’erronea) valutazione di prove, asseritamente idonee a provare il nesso causale, e non il ragionamento logico del giudice d’appello o la coerenza e congruità della motivazione.

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3. Con specifico riferimento alle violazioni normative denunciate col motivo, si richiamano, poi, le statuizioni di Cass., Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037-01 e Rv. 659037-02, che ulteriormente corroborano la declaratoria di inammissibilità.

4. Col secondo motivo la ricorrente denuncia “error in procedendo – violazione dell’art. 112 C.p.c. (censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3-4) per omessa pronuncia e travisamento degli atti processuali, nella parte in cui afferma l’inammissibilità della domanda risarcitoria svolta dalla DA.MA.DA. Sas per l’indisponibilità dell’immobile derivante dalle infiltrazioni umide, in quanto ritenuta domanda nuova”; la ricorrente sostiene che al paragrafo 26 dell’atto di citazione introduttivo del primo grado si indicava quale oggetto della domanda risarcitoria “la perdita economica dovuta allo stato d’inagibilità del locale” e che “l’omesso confronto con dette allegazioni integra violazione della previsione normativa di cui all’art. 112 C.p.c., in quanto vengono incomprensibilmente trascurati ed ingiustificatamente ignorati i fatti costitutivi della pretesa attorea, quali nello specifico l’inagibilità e l’intilizzabilità dell’immobile dovuta alle persistenti infiltrazioni di acqua, che risultano peraltro accertati e riconosciuti nell’ambito del giudizio mediante le risultanze processuali della espletata C.T.U., contravvenendo alla prescrizione normativa che impone di tener conto ai fini della decisione di quanto effettivamente richiesto e dedotto dalla parte”.

5. La censura è inammissibile.

6. L’esposizione del motivo è lacunosa (in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ.), dato che, rispetto alla ritenuta tardività della domanda, la ricorrente avrebbe dovuto compiutamente riportare gli atti dai quali potesse evincersi la sua tempestiva introduzione.

7. Inoltre, la DA.MA.DA. non si confronta con l’ulteriore argomentazione della Corte d’appello, secondo cui l'”allegazione è del tutto svincolata dalle conclusioni dell’atto di appello”.

8. Infine, il motivo è formulato deducendo la nullità della sentenza per minuspetizione, mentre è evidente che la Corte ha esaminato l’istanza risarcitoria, ma l’ha considerata tardivamente introdotta.

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9. Col terzo motivo la ricorrente lamenta l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai fini della decisione (censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.5) concernente lo stato di fatto dell’immobile de quo, ovvero l’inidoneità dell’immobile medesimo a qualsiasi utilizzo, quale causa della risoluzione del relativo contratto di locazione – con riferimento alla pronuncia di rigetto della domanda di risarcimento per il danno subito dall’inagibilità dell’immobile provocata dalle infiltrazioni di acqua.”.

10. In primis, la deduzione sub art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. della mancata (o inadeguata o erronea) considerazione di risultanze probatorie comporta l’inammissibilità della censura: “L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.” (Cass., (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 62983101).

11. In secundis, la ricorrente non coglie la ratio decidendi, dato che la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria perché tardivamente introdotta, di talché non viene in rilievo il preteso omesso esame di un fatto decisivo.

12. Col quarto motivo si denuncia la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui agli artt. 2043 e 2056 C.c., in relazione agli artt. 1223 e 1226 c.c. e all’art.115 c.p.c. (censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3), per aver negato il risarcimento derivante dalla mancata libera disponibilità dell’immobile concesso in locazione al proprietario dell’immobile, quale pregiudizio in re ipsa, pur avendone accertato l’inutilizzabilità e la derivazione eziologica – Erronea qualificazione in iure della domanda risarcitoria svolta dall’attore appellante.”.

13. La censura è inammissibile.

14. Come già esposto in relazione al terzo motivo, la ricorrente non coglie la ratio decidendi, dato che la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria perché tardivamente introdotta, non già per il mancato riconoscimento del presunto danno in re ipsa derivante dal non uso dell’immobile (pregiudizio che, comunque, non sarebbe risarcibile; v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022).

15. Col quinto motivo, la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui agli artt. 614 bis c.p.c. in relazione agli artt. 112 e 190 c.p.c. (censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver erroneamente ritenuto inammissibile la domanda accessoria di condanna al pagamento di una somma di denaro per ogni inosservanza o violazione futura dell’obbligo di fare invocato con la domanda di condanna principale – quale misura coercitiva formulata nella comparsa conclusionale del primo grado e reiterata in fase di appello – per ritenuta tardività”.

L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta costituisce una vera e propria domanda giudiziale

16. La censura presuppone, implicitamente, che la misura di coercizione indiretta ex art. 614-bis cod. proc. civ. possa essere avanzata con la comparsa conclusionale in primo grado.

17. La questione è formulata con riguardo alla citata disposizione nella sua versione anteriore alla riforma apportata dal D.Lgs. 10/10/2022, n. 149, che – nonostante le significative innovazioni introdotte e, in primis, la facoltà di domandare la “coercitoria” al giudice dell’esecuzione “se non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna” (condizione che costituisce la principale differenza tra la misura de qua e l’omologa astreinte francese, sempre e comunque concedibile in ogni momento e da ogni giudice) – non ha stabilito il momento ultimo entro cui formulare la “richiesta di parte”, che è esplicito presupposto per l’esercizio del potere giudiziale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7927 del 23/03/2024, Rv. 670596-01).

18. Sebbene autorevole dottrina ritenga che la cd. astreinte -in quanto concessa “con il provvedimento di condanna” – possa essere domandata fino alla precisazione delle conclusioni e anche in appello, non costituendo una mutatio libelli e, anzi, trattandosi di un capo meramente accessorio (come quello riguardante le spese di lite), ritiene il Collegio che l’istanza ex art. 614-bis cod. proc. civ. costituisca una vera e propria domanda e, come tale, debba soggiacere alle barriere preclusive del rito e, quindi, che la stessa debba essere formulata prima della maturazione delle preclusioni assertive.

19. Oltre al precedente di Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 32023 del 09/12/2019 (che, in breve, rileva “che la domanda di condanna all’astreinte ex art. 614 bis cod. proc. civ. è stata proposta dal ricorrente solo nel giudizio di secondo grado, e quindi inammissibilmente ex art. 345, comma 1, cod. proc. civ.”), militano a favore della predetta conclusione argomenti logici e sistematici.

20. Innanzitutto, a differenza di altri capi accessori, la misura di coercizione non è conseguenza necessaria della condanna, com’è invece la pronuncia sulle spese, che dall’istanza e dalla quantificazione della parte prescinde totalmente, ufficiosamente procedendovi il giudicante nel definire il procedimento.

21. Infatti, la “coercitoria” è determinata in base a circostanze di fatto – “tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile” (dopo la modifica normativa del D.Lgs. n. 149 del 2022, anche “della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l’obbligato derivante dall’inadempimento”) – che devono essere tempestivamente allegate (e, se del caso, provate), consentendo così alla parte avversaria una compiuta difesa che non sarebbe possibile se la domanda potesse essere avanzata oltre la barriera preclusiva stabilita per la proposizione delle domande e delle eccezioni o persino dopo la delimitazione del thema probandum (che potrebbe comprendere prove contrarie o elementi idonei a incidere sulla statuizione giudiziale).

22. Peraltro, a voler ritenere ammissibile la domanda di misura ex art. 614-bis cod. proc. civ. in appello (in quanto “agganciata” al provvedimento di condanna), si dovrebbe ammettere la sua proponibilità anche in sede di precisazione delle conclusioni del secondo grado, il che limiterebbe ulteriormente il diritto di difesa della parte avversaria, inibita a introdurre elementi di fatto idonei a escludere o a mitigare l’astreinte e abilitata soltanto all’impugnazione di legittimità (i cui noti limiti non permetterebbero un riesame delle circostanze fattuali considerate per la valutazione o il merito di quest’ultima, come già statuito da Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7927 del 23/03/2024, Rv. 670596-01).

23. Dal punto di vista sistematico, poi, la delimitazione di un momento preclusivo certo per la proposizione della domanda di condanna ex art. 614-bis cod. proc. civ. nel processo di cognizione elimina incertezze sulla possibilità di avanzare la medesima domanda al giudice dell’esecuzione, ipotesi ammessa dalla modifica apportata dal D.Lgs. n. 149 del 2022 per il titolo esecutivo stragiudiziale oppure “se (la misura) non è stata richiesta nel processo di cognizione”; è evidente, infatti, che ad ammettere la proponibilità della domanda anche alla fine del processo di primo o di secondo grado si rende incerto il presupposto che permette di adire il giudice dell’esecuzione, col rischio (oltretutto) di innescare possibili conflitti tra le decisioni di quest’ultimo e quelli del giudice della cognizione successivamente investito dell’istanza.

L’istanza volta ad ottenere la misura di coercizione indiretta costituisce una vera e propria domanda giudiziale

24. Per quanto esposto, la censura è infondata, dato che l’istanza di “coercitoria” dell’odierna ricorrente è stata avanzata soltanto con la comparsa conclusionale in primo grado.

25. In conclusione, il ricorso va rigettato.

26. Alla decisione consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo.

27. Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

la Corte

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere a ciascuna parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate per ognuna in Euro 6.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie e accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 3 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.

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