Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 24 aprile 2019, n. 11237.
La massima estrapolata:
Sì al licenziamento senza preavviso del dipendente della Agenzia delle entrate che svolge attività di consulenza fiscale in favore di un privato nell’ambito di una vertenza in cui era contrapposto il proprio datore di lavoro, vale a dire il Fisco. In tal modo infatti il funzionario ha violato «l’obbligo di fedeltà ed esclusività della prestazione e del divieto di svolgimento di attività in conflitto di interessi».
Sentenza 24 aprile 2019, n. 11237
Data udienza 13 febbraio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6192-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1103/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO R.G.N. 83/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1.1. Con ricorso al Tribunale di Milano (OMISSIS), dipendente di ruolo dell’Agenzia delle Entrate dal 15/7/1993, appartenente alla III Area F6, in servizio presso la Direzione Provinciale 2 di Milano, Ufficio territoriale di Milano 3, conveniva in giudizio l’Agenzia per sentir dichiarare l’illegittimita’ del licenziamento senza preavviso intimatogli in data 11/9/2010 per violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53, dell’articolo 65, comma 3, lettera a) e c) e articolo 67, comma 6, lettera d), c.c.n.l. comparto Agenzie Fiscali quadriennio 2002-2006 e delle norme deontologiche di cui al Decreto Ministeriale 28 novembre 2000 ed in particolare per aver il (OMISSIS) svolto attivita’ di consulenza fiscale in favore di un privato nell’ambito di una vertenza fiscale in cui era contrapposto il proprio datore di lavoro in violazione dell’obbligo di fedelta’ ed esclusivita’ della prestazione lavorativa e del divieto di svolgimento di attivita’ in conflitto di interessi.
1.2. Il Tribunale respingeva la domanda.
1.3. La decisione era confermata dalla Corte d’appello di Milano.
Riteneva la Corte territoriale che lo svolgimento da parte del (OMISSIS) di un incarico professionale nell’interesse di un soggetto ( (OMISSIS)), legale rappresentante di una societa’ ( (OMISSIS) S.p.A.) oggetto di verifiche fiscali da parte della Guardia di Finanza e l’avvenuta percezione di un acconto di Euro 5.000,00 per tale attivita’ fosse emersa dal contenuto di una notai del 28/6/2010 inviata dallo stesso (OMISSIS) alla Direzione Regionale delle Entrate per il Piemonte.
Escludeva che l’attivita’ svolta dal (OMISSIS) potesse essere inquadrata quale mera attivita’ di cortesia in favore del conoscente (OMISSIS), limitata alla mera ricerca di un professionista che assistesse la societa’ del predetto, e che la corrisposta somma di Euro 5.000,00 potesse essere ricondotta ad un mero rimborso spese per viaggi, telefonate, pranzi, cene, taxi ecc..
Riteneva che il licenziamento fosse stato adottato dall’organo competente tale essendo, nella specie, l’Ufficio procedimenti disciplinari, organo monocratico, a sua volta individuato nel Direttore regionale.
Riteneva che la condotta del (OMISSIS) avesse violato in modo plateale e macroscopico gli obblighi contrattuali e legali imposti al pubblico dipendente dalle disposizioni di cui alla contestazione cosi’ da ledere in modo irreversibile il necessario vincolo fiduciario tra l’amministrazione e il proprio dipendente e a legittimare il licenziamento.
Escludeva ogni intervenuta decadenza rilevando che, vertendosi in una ipotesi di maggiore gravita’, il termine di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55 bis, comma 4, fosse di 40 giorni e non di 20.
2. Per la cassazione di questa pronuncia (OMISSIS) ha proposto ricorso affidandosi a due motivi.
3. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Risulta preliminarmente inammissibile la produzione documentale (verbale di udienza in camera di consiglio dinanzi al Tribunale di Verbania del 23/10/2017; circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 marzo 1986; contestazione di violazione amministrativa dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della societa’ (OMISSIS) S.p.A. del 3/1/2011; verbale di sommarie informazioni rese al Nucleo di Polizia Tributaria di Novara da (OMISSIS) in data 6 ottobre 2016) effettuata dal ricorrente unitamente alla memoria depositata ex articolo 378 c.p.c.. Nel giudizio di legittimita’, infatti, secondo quanto disposto dall’articolo 372 c.p.c., non e’ ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilita’ del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullita’ inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’articolo 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’articolo 378 c.p.c..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., n. 5).
Censura la sentenza impugnata per aver omesso di valutare elementi chiave che, qualora opportunamente valutati, avrebbero condotto ad un diverso esito.
2.2. Il motivo e’ inammissibile.
Si verte in ipotesi di doppia conforme prevista dall’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, disposizione applicabile Decreto Legge n. 83 del 2012, ex articolo 54, comma 2, “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (12 agosto 2012), ossia ai giudizi introdotti in grado di appello dal giorno 11 settembre 2012 in poi (v. Cass. n. 5528 del 2014, in motiv.) e, quindi al presente giudizio giacche’ l’appello e’ stato depositato successivamente a tale data.
Secondo l’orientamento gia’ espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2018, n. 5528; Cass. 27 settembre 2016, n. 19001; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774).
Nel caso in esame la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la pronuncia del Tribunale (v. pag. 3 della sentenza), ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure ed il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilita’ del motivo, non ha indicato le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. 10 marzo 2014, n. 5528 e successive conformi).
Ne’ il vizio del ricorso per cassazione puo’ essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’articolo 378 c.p.c. la cui ratio e’ solo quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non gia’ di integrarli (v. Cass. 23 agosto 2011, n. 17603; Cass. 18 dicembre 2014, n. 26670; Cass. 25 febbraio 2015, n. 3780; Cass. 28 novembre 2018, n. 30760).
In ogni caso non sussiste il denunciato omesso esame atteso che il fatto storico rilevante in causa (e cioe’ l’attivita’ svolta dal (OMISSIS) in favore del (OMISSIS)) e’ stato ritualmente preso in considerazione dalla Corte territoriale in tutti i suoi profili (compresi quelli relativi alle modalita’ della condotta, alle giustificazioni del dipendente, alla valutazione dei capitoli di prova dedotti dal ricorrente e delle risultanze di causa) mentre le circostanze poste a fondamento del rilievo (e cioe’ l’aver agito il (OMISSIS) in ottemperanza dello stesso dovere di fedelta’ che si asseriva essere stato dallo stesso trasgredito, l’aver egli stesso denunciato le irregolarita’ di natura fiscale in relazione alle vicende della societa’ (OMISSIS) S.p.A. ed in particolare l’aver presentato una denuncia penale avente ad oggetto la riconducibilita’ della condotta posta in essere dall’Agenzia delle Entrate di Arona – che avrebbe vanificato gli effetti del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza – alla fattispecie penale di cui all’articolo 323 c.p., l’aver sempre il (OMISSIS) presentato un esposto nei confronti di un componente della commissione Ufficio procedimenti disciplinari) non attengono al fatto storico rilevante in causa ma alla valutazione del materiale istruttorio (v. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
In ogni caso la censura suggerisce esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio affinche’ se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata. Ma non puo’ il ricorso per cassazione enucleare un vizio rilevante a termini del nuovo articolo 360 c.p.c., n. 5 dal mero confronto tra le risultanze di causa, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti in sede di legittimita’ (v. Cass., Sez. U., n. 8053/2014 cit.).
Si rileva, inoltre, una non consentita commistione di vizi eterogenei laddove il ricorrente inserisce nell’ambito del motivo formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, e senza alcun preciso distinguo, anche una pretesa violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55-bis, comma 2, assumendo l’illegittimita’ del procedimento disciplinare per il fatto che la Direzione Regionale della Lombardia aveva provveduto a formulare la contestazione ben oltre il termine di venti giorni, decorrenti dall’apprensione del comportamento punibile oltre che la violazione di altre garanzie di difesa (poste che il (OMISSIS) si sarebbe trovato nelle condizioni di non poter presenziare al procedimento per essere in malattia). Cio’ in contrasto con la tassativita’ dei motivi di ricorso e con una tecnica espositiva che impropriamente riversa sul giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure (v. ex plurimis, Cass. 23 giugno 2017 n. 15651; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25722; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2299; Cass. 29 maggio 2012, n. 8551; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; Cass. 29 febbraio 2008, n. 5471).
Peraltro si tratta di questioni non esaminate nella sentenza impugnata ne’ oggetto dei motivi di gravame come nella stessa riportati ed il ricorrente non indica quando ed in che termini le stesse siano state sottoposte ai giudici di merito.
3.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro in relazione agli articoli 2106, 2110 e 2119 c.c., Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55 bis e articolo 55 quater, articolo 67 c.c.n.l. Agenzie fiscali, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Censura la sentenza impugnata per non aver rispettato i canoni della proporzionalita’ e della gradualita’ delle sanzioni. Rileva che l’infrazione contestata, ove pure ritenuta sussistente, non avrebbe giammai potuto giustificare la massima sanzione espulsiva e deduce la violazione del termine di venti giorni per la formulazione della contestazione.
Lamenta altresi’ che il provvedimento in questione era stato adottato durante il periodo di malattia del ricorrente e che pertanto lo stesso doveva essere considerato inefficace.
Infine censura la sentenza impugnata per aver escluso la violazione del principio di parita’ di trattamento e di non discriminazione e richiama vicende relative ad altri dipendenti descritte “anche nella nota difensiva, qui integralmente allegata con relative ricevute di presentazione, inviata al Ministero dell’Economa e delle Finanze Perof. Per (OMISSIS) in data 22/4/2016 e trasmessa per conoscenza anche al Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate Dott.ssa (OMISSIS)”.
3.2. Il motivo e’ infondato.
Pur a fronte di denunciate violazioni di legge il motivo, senza enucleare in modo chiaro un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle varie norme di legge denunciate, tale da implicare necessariamente un problema interpretativo delle stesse, si risolve nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e cioe’ in una operazione esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’.
La Corte territoriale ha verificato la fondatezza degli addebiti sulla base di una compiuta ricostruzione degli atti di causa e, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha anche tenuto conto del contenzioso sorto con l’Agenzia delle Entrate ritenendo pero’ che le affermazioni contenute nella missiva sottoscritta dallo stesso (OMISSIS) (e l’esplicito riferimento ad un incarico di natura professionale, a numerosissime riunioni con il legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) S.p.A. e presso la sede di quest’ultima, a compensi percepiti a titolo di acconto ed ancora da percepire), fossero piu’ genuine in quanto antecedenti rispetto a tale contenzioso.
Quanto all’imputabilita’ della somma di Euro 5.000,00 ricevuta dal (OMISSIS) a titolo di rimorso spese ha rilevato la totale mancanza di documentazione giustificativa.
Quanto alle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) ha sottolineato che quest’ultimo aveva riferito di aver ricevuto dal (OMISSIS) un’intimazione di pagamento, tramite legale, per l’assistenza fornita e che pertanto aveva un chiaro interesse a sostenere l’insussistenza di una consulenza tributaria.
A fronte di tale ricostruzione non assume alcuna rilevanza (al fine di qualificare come ritorsivo il provvedimento adottato) la segnalazione alle varie autorita’ del (OMISSIS) di illeciti appresi dal medesimo, come sembra, proprio mentre stava svolgendo l’indicata attivita’ professionale non consentita (il che rende altresi’ irrilevanti anche i rilievi concernenti il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 54-bis, norma peraltro neppure applicabile ratione temporis).
Nello specifico e’ palese la violazione degli obblighi di cui alle norme contestate al dipendente e risulta correttamente formulato il giudizio di proporzionalita’ ai sensi dell’articolo 67 c.c.n.l. in relazione alla gravita’ della mancanza e in conformita’ di quanto previsto dall’articolo 54 Cost., dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 2002, articolo 4 avendo la Corte territoriale considerato tutti gli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilita’ del singolo rapporto, alla posizione delle parti, alla portata soggettiva dei fatti stessi in rapporto ai delicati compiti svolti dal dipendente.
Va, infatti, tenuto conto di quello che deve essere l’agire del personale delle Agenzie fiscali ispirato ai principi di fedelta’, trasparenza, imparzialita’ trasfusi anche nella disposizione di cui all’articolo 65 del c.c.n.l. che contempla il dovere del lavoratore di conformare la sua condotta al dovere costituzionale “di servire la Repubblica con impegno e responsabilita’ e di rispettare i principi di buon andamento e imparzialita’ dell’attivita’ amministrativa, anteponendo il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati propri ed altrui” (si veda, per quanto di interesse, nel presente giudizio il comma 3 della richiamata disposizione pattizia che alla lettera a) prevede l’obbligo di collaborare con diligenza, osservando le norme del presente contratto, le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’Agenzia, anche in relazione alle norme in materia di sicurezza e di ambiente di lavoro, alla lettera c) quello di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponga per ragioni d”ufficio).
Inoltre l’articolo 67 del medesimo c.c.n.l. con norma di chiusura (comma 7) dispone che le mancanze non espressamente previste nei commi da 2 a 6 sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi riferimento, quanto all’individuazione dei fatti sanzionabili, proprio agli obblighi dei lavoratori di cui al sopra citato articolo 65 e quanto al tipo e alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti.
Anche con riferimento a questo profilo, attraverso la denuncia del vizio di violazione e di erronea applicazione del contratto collettivo, le prospettazioni difensive sviluppate nel motivo in esame sollecitano, senza censurare in maniera idonea la ricostruzione della condotta posta a base del licenziamento, una generica rivisitazione del giudizio di gravita’ e di proporzionalita’, non consentita in sede di legittimita’ (v. ex multis Cass. 23 novembre 2016, n. 23862; Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 11 febbraio 2015, n. 2692, Cass. 3 dicembre 2014, n. 25608; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095) laddove la Corte territoriale, sulla scorta degli elementi acquisiti al giudizio di merito, ha in modo congruo e logico motivato in ordine alla incompatibilita’ del comportamento addebitato con la prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica Amministrazione stante la particolare gravita’ dello stesso (violazione plateale e macroscopica degli obblighi contrattuali e regolamentari imposti al pubblico dipendente).
Come gia’ evidenziato con riguardo al motivo che precede e’, poi, del tutto nuova (in quanto non trattata nella sentenza impugnata) la questione dell’inefficacia del licenziamento perche’ intimato durante il periodo di malattia.
I rilievi infine non intercettano il decisum sulla genericita’ della dedotta violazione del principio di parita’ di trattamento (peraltro il riferimento del ricorrente a circostanze illustrate in note difensive conferma che nulla fosse stato dedotto in sede di ricorso di primo grado).
4. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
5. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
6. Va dato atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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