Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 aprile 2024| n. 10010.
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
Il rimedio previsto, ex art. 2932 c.c., al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, è applicabile non solo nei casi di contratto preliminare non seguito dal definitivo, ma anche in ogni altra ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto. (Nella specie, la S.C. ha confermato l’esistenza, in favore degli eredi, del diritto al trasferimento di un compendio immobiliare, maturato dal de cuius in forza di vendite con patto di riservato dominio, e non perfezionato nonostante il riscatto dei beni).
Ordinanza|12 aprile 2024| n. 10010. L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
Data udienza 28 febbraio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti in genere – Contratto preliminare (compromesso) (nozione, caratteri, distinzione) – Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto ambito di applicazione – Limitazione al contratto preliminare – Esclusione – Ipotesi determinanti l’obbligo di consentire alla conclusione di un contratto – Estensione – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli IlL.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere Rel.
Dott. AMATO Cristina – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 1654-2023 proposto da:
Pr.Ro., elettivamente domiciliato in S (…), presso lo studio dell’avvocato Ro.VE. (Omissis) che lo rappresenta e difende.
– Ricorrente –
Contro
(…), elettivamente domiciliata in Roma (…), presso lo studio dell’avvocato Br.Ta. (Omissis) che la rappresenta e difende.
– Controricorrente –
Nonché contro
Pr.Ma., Pr.Fr., Ba.Sa..
– Intimati –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 1238-2022 depositata il 31-10-2022.
Udita la relazione svolta dal Consigliere Riccardo Guida nella camera di consiglio del 28 febbraio 2024.
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
RILEVATO CHE:
1. Pr.Fr., Pr.Ma. e Ba.Sa. hanno convenuto in giudizio Pr.Ro. e l'(…) (“(…)”), per ottenere ex art. 2932, cod. civ., pro quota hereditatis, il trasferimento della proprietà degli immobili (area di corte con casa colonica e annessi rurali, identificati al foglio (Omissis), part. (Omissis), e al foglio (Omissis), part. (Omissis), sub (Omissis), del catasto del Comune di S ), e hanno dedotto che: (i) con atto pubblico del 07-07-1956, l’Opera di Valorizzazione della Sila (poi (…) e quindi (…)), aveva assegnato con patto di riservato dominio a Ba.Gi., cui gli attori sono succeduti iure hereditatis, tali immobili di cui era proprietaria, sebbene non ancora accatastati, unitamente al podere, unità fondiaria n. (Omissis) del fondo “Ag.Pe.”, che Ba.Gi. aveva riscattato nel 1989, senza che nel relativo atto di vendita venissero ricompresi i predetti immobili proprio perché non accatastati; (ii) l'(…), con attestazione prot. (Omissis) del 07-11-2013 e successiva deliberazione n. 32-GS del 13-02-2017, aveva assegnato gli immobili, una volta accatastati, agli attori e al convenuto Pr.Ro., facendo leva sul precedente riscatto operato da Ba.Gi., e aveva convocato gli assegnatari presso il notaio per formalizzare il trasferimento, che non si era perfezionato a causa dell’assenza di Pr.Ma.
Costituendosi in giudizio, Pr.Ro. ha concluso per il rigetto della domanda degli attori; in riconvenzionale, ha chiesto dichiararsi che egli aveva usucapito gli immobili contesi, dei quali era in possesso sin dal 1990, da intendersi erroneamente non inseriti nella dichiarazione di cessazione del vincolo di riservato dominio. In subordine, il convenuto ha chiesto la somma di Euro 26.000 a titolo di indennità per i miglioramenti apportati al fondo.
L'(…), nel primo atto difensivo, ha aderito alla domanda degli attori sul rilievo che i detti immobili erano formalmente a lei intestati, ma effettivamente attribuiti a Ba.Gi., che ne aveva curato il riscatto;
2. il Tribunale di Cosenza, istruita la causa con l’audizione di testimoni, con sentenza n. 149 del 2021, in accoglimento della domanda degli attori, ha trasferito a questi ultimi e a Pr.Ro. la proprietà dei beni e ha rigettato le domande riconvenzionali del convenuto;
3. proposta impugnazione dal soccombente, la Corte d’appello di Catanzaro, nel contraddittorio di tutte le parti, ha respinto l’appello di Pr.Ro., ha confermato la decisione del Tribunale di Cosenza, e ha condannato l’appellante alle spese del grado.
La sentenza, per quanto qui interessa, segue questa linea argomentativa:
(a) non sussiste l’asserito vizio di motivazione della decisione di primo grado in relazione alla titolarità dei beni, né l’erronea valutazione dei fatti, dei documenti e delle prove in relazione alla posizione del fabbricato all’interno del podere e nemmeno l’errata interpretazione dell’art. 10, primo comma, della legge n. 386 del 1976: il Tribunale ha ben valutato le risultanze istruttorie e ha correttamente applicato i princìpi in materia di usucapione.
Dall’attività istruttoria svolta in primo grado è emerso che l'(…) è titolare dei beni oggetto di causa, come risulta dall’atto pubblico con patto di riservato dominio del 07-07-1956, stipulato da Ba.Gi., dalla dichiarazione commissariale dell'(…) n. 4962 del 19-12-1989 e dalle visure catastali prodotte dalla convenuta.
La titolarità di (…) è confermata anche dalla sentenza del Tribunale di Cosenza, n. 104-2016, coperta da giudicato, che, decidendo sulla domanda di rivendicazione di Pr.Fr. e Pr.Ma. contro Pr.Ro., ha accertato la titolarità degli immobili (gli stessi oggetto di questo giudizio) in capo all'(…) e non in capo agli eredi legittimi di Ba.Gi.
Il che determina il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione proposta da Pr.Ro. nei confronti degli attori, che non essendo proprietari sono privi di legittimazione passiva;
(b) sono infondati anche il secondo e il terzo motivo di gravame, con i quali l’appellante lamenta: per un verso, la violazione dell’art. 2932, cod. civ., che non sarebbe applicabile in quanto non si è in presenza di un preliminare di compravendita, ma di un contratto di compravendita definitivo e del pagamento del prezzo in forma rateale; per altro verso, la contraddittorietà della sentenza che prima nega la legittimazione passiva degli eredi Ba.Gi. rispetto all’azione di usucapione, salvo poi riconoscere a questi ultimi la “titolarità” per l’esercizio dell’azione ex art. 2932, cod. civ.
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
Nella specie legittimati attivi sono gli eredi di Ba.Gi., il quale aveva maturato il diritto ad ottenere il trasferimento dei beni immobili, ma non lo aveva regolarizzato, sicché, alla sua morte, tale diritto, facente parte dell’asse ereditario del de cuius, è stato trasmesso ai suoi eredi legittimi;
(c) l’appellante addebita al Tribunale di non avere motivato sul rigetto della domanda riconvenzionale subordinata di rimborso delle spese sostenute per le migliorie del fabbricato.
Rispetto alla domanda di indennizzo per miglioramenti manca la legittimazione passiva degli attori poiché (così come per la domanda di usucapione) la legittimazione passiva spetta al titolare del bene.
La domanda, inoltre, è lacunosa in quanto la parte non specifica il tipo di migliorie che avrebbe apportato;
4. Pr.Ro. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi.
L'(…) ha resistito con controricorso.
Le stesse parti hanno depositato memorie per l’adunanza camerale.
Pr.Fr., Pr.Ma. e Ba.Sa. sono rimasti intimati;
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
CONSIDERATO CHE:
1. il primo motivo di ricorso – “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 10, commi 1 e 2, L. n. 386 del 1976, art. 18 L. n. 230 del 1950 in riferimento all’art. 1, art. 2 e art. 7 dell’atto pubblico di riservato dominio e in riferimento all’art. 1523 c.c. e art. 1538 c.c.” – censura la sentenza impugnata che ha negato che Pr.Fr., Pr.Ma. e Pr.Sa. fossero legittimati passivi in relazione alla domanda di usucapione del convenuto, senza considerare che essi erano subentrati nella posizione del de cuius Ba.Gi., il quale, come si evince dall’atto pubblico di vendita con patto di riservato dominio del 07-07-1956, stipulato con l'(…), era il proprietario del podere.
In particolare, l’art. 7 del contratto di vendita indica la presenza del fabbricato rurale nel podere; inoltre, dall’art. 1 del contratto (nello stesso senso è l’art. 2) risulta che la vendita è stata effettuata “a corpo”, poiché riguarda “i corpi 1a, 1b, 1c”, con la descrizione dei confini di ogni corpo assegnato, dal che si desume che il podere assegnato non confina con alcuna altra proprietà dell’Ente venditore, restando così smentito l’assunto dell'(…) circa una presunta collocazione del fabbricato in un inesistente “Villaggio Ag.Pe. “. Del resto, prosegue il ricorrente, è stato violato anche l’art. 1523, cod. civ.: invero, Ba.Gi. era divenuto proprietario del bene per avere pagato tutte le rate previste nel contratto, per un totale di trenta annualità (art. 4).
Tanto più che, conclude il ricorrente, nessun rilievo assume la sentenza del Tribunale di Cosenza n. 104 del 2016, passata in giudicato, trattandosi di pronuncia emessa in assenza del contraddittore necessario (…);
1.1. il motivo è inammissibile;
1.2. la premessa giuridica è che la Corte d’appello non ha ravvisato la legittimazione passiva degli attori rispetto alla riconvenzionale di usucapione del convenuto in applicazione del principio di diritto secondo cui l’azione con cui, a qualsiasi titolo, si rivendica una proprietà (nella specie, a titolo di usucapione), va diretta unicamente nei confronti di chi possiede il bene o ne è proprietario all’atto della domanda (Sez. 2, Sentenza n. 17270 del 28-08-2015, Rv. 636126 – 01; in termini, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24260 del 04-10-2018, Rv. 651231 – 01);
1.3. ciò precisato, il motivo è inammissibile, in primo luogo, per difetto di autosufficienza, in mancanza di riproduzione, nel testo del ricorso per cassazione, delle clausole dell’atto pubblico di vendita con patto di riservato dominio del 07-07-1956 che, nell’ottica della parte, dimostrerebbero che Ba.Gi. era proprietario del compendio conteso nel presente giudizio;
1.4. in secondo luogo, è utile ricordare che l’attività di interpretazione è diretta alla ricerca e alla individuazione della comune volontà dei contraenti e costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 e ss., cod. civ. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai princìpi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31-05-2010, Rv. 613151 – 01; in termini, ex multis, Cass. 24-06-022, n. 20434; Cass. 22-07-2022, n. 22980).
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
1.5. alla luce di tali princìpi, che il Collegio condivide, si rileva che il ricorrente – il quale, in sintesi, si duole della violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale (art. 1362 e seguenti, cod. civ.) – doveva indicare le regole legali di interpretazione, mediante specifica menzione delle norme asseritamente violate e doveva precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si fosse discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li avesse applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09-04-2021; Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27-06-2018; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28-11-2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15-11-2017).
In altri termini, nella specie, sotto le sembianze della violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, la parte, in maniera non consentita, si è limitata a prospettare a questa Corte – cui è demandato esclusivamente il controllo di legalità della decisione – una ricostruzione della vicenda negoziale e fattuale che, come si evince dalla narrativa del mezzo d’impugnazione, non collima con il conforme accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito;
2. con il secondo motivo – “Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. In relazione all’art. 112 c.p.c. per nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla proposta domanda di rettifica della dichiarazione di cessazione del riservato dominio” – il ricorrente assume: che l’ARSSA (ora (…)), con delibera commissariale n. 4962 del 19 dicembre 1989, decretava la cessazione del riservato dominio sul podere per avere l’assegnatario pagato le trenta annualità del prezzo di assegnazione; che, per errore materiale dell’Ente, non veniva inserita nell’atto di cessazione di riservato dominio la particella di sedime del fabbricato rurale e dell’area, che pure era stata regolarmente pagata dal Ba.Gi.; che la dichiarazione di cessazione del riservato dominio veniva regolarmente annotata a margine dell’atto notarile di acquisto e trascritta presso la conservatoria dei registri immobiliari di Cosenza; che la dichiarazione di cancellazione del vincolo di riservato dominio, in caso di errore materiale o di omissioni, può essere rettificata. In particolare, la rettifica è un atto unilaterale che non implica esercizio di potestà discrezionali, ma solo il riconoscimento del sussistere delle condizioni oggettive preesistenti alla sua formazione, ossia l’accertamento dell’esaurirsi del rapporto di assegnazione per la scadenza del trentennio dalla prima assegnazione ed il pagamento integrale del prezzo, con la decadenza dei vincoli di destinazione, indisponibilità ed indivisibilità, come previsto dall’art. 18, della legge n. 230 del 1950, e dall’art. 10, della legge n. 386 del 1976; che è illegittima, dunque, la richiesta rivolta dall'(…) agli eredi di Ba.Gi., ai sensi della legge reg. Calabria n. 10 del 2000 (“Affidamento all’Agenzia regionale per lo sviluppo e per i servizi in agricoltura (A.R.S.S.A.) delle attività relative ai beni immobili di riforma fondiaria di cui agli articoli 9, 10 e 11 della legge 30 aprile 1976, n. 386 in base al disposto dell’articolo 24 della legge 8 maggio 1998, n. 146”), di trasferire l’immobile, area di sedime del fabbricato e area di corte, e di pagare un ulteriore prezzo, tenuto conto che, in base alla legge n. 386 del 1976 e alla legge 230 del 1950, il de cuius originario assegnatario era proprietario dei beni oggetto di causa, come sopra specificato, ancor prima dell’emanazione della legge reg. Calabria n. 10 del 2000; che, in realtà, l'(…) avrebbe potuto e dovuto semplicemente rettificare l’atto di dichiarazione di cessazione di riservato dominio, inserendo la particella mancante, ed oggetto del giudizio, facente parte del podere n. 153 del de cuius Ba.Gi.
Tutto ciò premesso, si addebita ai giudici di merito di avere omesso di pronunciare sull’esplicita richiesta del ricorrente, avanzata in primo grado in comparsa di costituzione e risposta e richiamata in appello, di rettifica della dichiarazione di cessazione del riservato dominio;
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
2.1. il motivo è infondato;
2.2. la sentenza non è viziata da omessa pronuncia (art. 112, cod. proc. civ.): i giudici di merito, nell’accogliere la domanda di rivendicazione degli attori, hanno implicitamente respinto la domanda del convenuto di rettifica della dichiarazione di cessazione del riservato dominio.
Nello specifico, per quanto qui interessa, ad avviso della Corte d’appello (pag. 8 della sentenza), la delibera del 1989, di cancellazione del patto di riservato dominio, non poteva includere l’immobile in contestazione, trattandosi di bene di proprietà dell’ARSSA, come attestato – precisa la sentenza – dall’atto pubblico di vendita con patto di riservato dominio del 07-07-1956, dalla stessa dichiarazione commissariale (…) n. 4962 del 1989, e dalle visure catastali da quest’ultima prodotte in giudizio.
È il caso di ricordare che, sul punto, il ragionamento della Corte territoriale – la quale, pertanto, al contrario di quanto prospetta il ricorrente, si è pronunciata su tale aspetto del tema del decidere – si conclude con l’affermazione che la circostanza che titolare dei beni contestati non fosse Ba.Gi., ma l'(…), trovava un ulteriore riscontro (in aggiunta a quello documentale) nella sentenza n. 104 del 2016 del Tribunale di Cosenza – passata in giudicato – la quale, in merito alla domanda di rivendicazione proposta da Pr.Fr. e Pr.Ma. nei confronti di Pr.Ro., aveva accertato che la titolarità degli immobili contesi era in capo ad (…)-Gestione Stralcio ARSSA e non agli eredi legittimi di Ba.Gi.;
3. il terzo motivo – “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2932 c.c., nonché in riferimento alla mancata interpretazione del giudice del rogito notarile di vendita” – censura la sentenza impugnata nella parte in cui, illogicamente e in modo contraddittorio, afferma che il de cuius Ba.Gi. aveva maturato il diritto al trasferimento dei beni oggetto di causa, quando, al contrario, egli era già proprietario del bene.
Il ricorrente pone l’accento sul fatto che mancano i presupposti dell’art. 2932, cod. civ., applicabile soltanto se vi sia un contratto preliminare di vendita. Nella specie, argomenta la parte, l’unico adempimento cui era tenuta l'(…) era la rettifica della dichiarazione di cessazione del riservato dominio, avendo tale Ente colposamente omesso di inserire la particella catastale che identificava i beni oggetto di causa.
Infatti, l'(…) non aveva adempiuto all’obbligo di accatastamento del fabbricato, prima di procedere alla cancellazione del riservato dominio, pur avendo già incassato tutti gli importi richiesti; pertanto, il ricorrente, ritenendo di essere proprietario di detto bene per averne ricevuto il possesso dal proprio dante causa – suo nonno Ba.Gi. – e avendo esercitato il possesso in prosecuzione sin dal 1990, in modo pacifico, pubblico, continuato e non interrotto, aveva eseguito, nell’anno 2011, il frazionamento e conseguente accatastamento degli immobili in oggetto. Aveva dedotto tale circostanza in comparsa di costituzione e risposta, in primo grado, ma il giudice di merito aveva omesso di valutarla.
Ad avviso del ricorrente, inoltre, i giudici di merito hanno omesso di pronunciare sull’azione di accertamento relativa sia al posizionamento della casa colonica all’interno del podere, sia in punto di omesso inserimento, nella dichiarazione di cessazione di riservato dominio, delle particelle relative ai beni oggetto di causa.
Sotto altro profilo, lamenta il ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata è illogica perché, prima, per escludere la legittimazione passiva degli attori, nega che Ba.Gi. fosse proprietario dell’immobile, salvo poi subito dopo ravvisare il diritto degli eredi al trasferimento della proprietà, quando invece il trasferimento della proprietà si era già verificato con il pagamento della trenta annualità, come stabilito dal contratto di vendita con patto di riservato dominio;
3.1. il motivo articolato in distinte censure è in parte infondato e in parte inammissibile;
3.2. dal primo punto di vista (infondatezza del motivo), il rimedio previsto dall’art. 2932, cod. civ., al fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile, non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto (Sez. 2, Sentenza n. 6471 del 15-07-1997, Rv. 506020 – 01; Sez. U, Sentenza n. 4683 del 09-03-2015, Rv. 634426 – 01, che, in motivazione (punto 3.2.), menziona Cass. n. 20977-2012; Cass. n. 5160-2012; Cass. n. 13403-2008; Cass. n. 8568-2004; Cass. n. 7157-2004; in termini, tra le altre, Sez. 2, Sentenza n. 36224 del 28-12-2023, Rv. 669819 – 02);
3.3. dunque, non è corretta la tesi del ricorrente secondo cui, nel nostro caso, lo strumento processuale disciplinato dall’art. 2932, cod. civ., non sarebbe utilizzabile in mancanza di un contratto preliminare di vendita rimasto inadempiuto.
E questo perché, in linea con l’indirizzo di legittimità sopra enunciato, l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile, qualunque ne sia la fonte, purché da tale fonte (negoziale o legale) sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto.
La Corte d’appello, conformandosi a questo principio di diritto, ha ravvisato la sussistenza dei presupposti dell’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto di vendita in quanto il de cuius (Ba.Gi.), in forza dei contratti a suo tempo stipulati con l'(…), aveva maturato il diritto al trasferimento del compendio immobiliare che però non era stato perfezionato, donde la trasmissione del medesimo diritto ai suoi eredi legittimi;
3.4. dal secondo punto di vista (inammissibilità del motivo), quanto alla prospettata illogicità della motivazione della sentenza, in disparte il profilo di inammissibilità derivante dall’omessa sussunzione del vizio entro uno dei parametri dell’art. 360, cod. proc. civ., rileva il Collegio che la motivazione (riassunta, nei tratti essenziali, al punto 3. del “Rilevato che”) soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass. Sez. U. 27-12-2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07-04-2014, n. 8053; Sez. U. 18-04-2018, n. 9558; Sez. U. 31-12-2018, n. 33679), per la quale “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”;
4. il quarto motivo – “Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 in relazione alla omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e in relazione alla legittimazione passiva ai fini della domanda riconvenzionale di usucapione” – censura la sentenza impugnata che ha negato la legittimazione passiva degli eredi di Ba.Gi. benché dall’attività istruttoria svolta in primo grado risultasse che proprietario del bene era il de cuius e non l'(…);
5. il quinto motivo – “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 in riferimento all’art. 132, comma 2 n. 4, c.p.c. formulato in via subordinata in relazione alla domanda riconvenzionale subordinata di migliorie e-o aumento di valore ai sensi dell’ art. 1150 c.c.” – censura la sentenza impugnata che ha disatteso la domanda di rimborso dei miglioramenti proposta, in subordine, in primo grado, benché le migliorie, che il richiedente aveva monetizzato in Euro 26.000, risultassero provate per testimoni, a mezzo di documenti e mediante la perizia estimativa (redatta dall’ing. Sc.) che aveva prodotto in giudizio, non contestata ex adverso;
5.1. il quarto e il quinto motivo, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili;
5.2. si verifica, infatti, l’ipotesi della c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’articolo 348-ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità della doglianza di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., quando la sentenza di appello “conferma la decisione di primo grado” e risulta “fondata sulle stesse ragioni”, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (c.d. “doppia conforme”). Il ricorrente non indica, nel rispetto dell’art. 366, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., sotto quale profilo siano tra loro diverse le ragioni di fatto su cui si fondano, rispettivamente, la decisione di primo grado e la sentenza di appello (tra le altre, Cass. n. 1614 del 2024; Cass. n. 5947 del 2023);
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
6. il sesto motivo – “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 in relazione all’art. 4, comma 2, del D.M. n 55 del 2014” – lamenta che la sentenza impugnata, là dove “condanna l’appellante alle spese di lite nei confronti di ciascuna parte appellata (difesa dal medesimo avvocato) che liquida in Euro 1.889,00 per compenso professione”, viola il secondo comma dell’art. 4, del D.M. 55 del 2014, a norma del quale, quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può essere aumentato, sicché, nella specie, per la difesa degli attori, assistiti dal medesimo avvocato, era dovuto un unico compenso legale;
6.1. il motivo è inammissibile;
6.2. a norma del secondo comma dell’art. 4, del D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. 37 del 2018 (in vigore dal 27-04-2018, e dunque applicabile ratione temporis), quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del trenta per cento (fino a un massimo di dieci soggetti).
È vero che la Corte d’appello non ha fatto applicazione di questo principio lì dove, individuato il valore della causa nello scaglione da Euro 5.201 a Euro 26.000, ha riconosciuto a ciascun attore, per il giudizio di secondo grado, Euro 1.889,00, per le fasi dello “studio della controversia”, “introduttiva” e “decisionale”. La motivazione sul punto necessita di essere corretta perché si discosta dal canone del “compenso unico” suscettibile di aumento.
Tuttavia, poiché il compenso complessivo liquidato dalla Corte di Catanzaro, nella misura di Euro 5.667,00 (Euro 1.889,00 x 3), è minore di quello che deriverebbe dalla (corretta) liquidazione del compenso unico (secondo i valori medi) aumentato del sessanta per cento (poiché tre sono i soggetti vittoriosi), che ammonta a Euro 6.043,20, in applicazione del divieto di reformatio in peius (cfr. Cass. n. 4676 del 2015, secondo cui, nel rispetto del principio dispositivo e di quello dell’interesse ad agire, in assenza di impugnazione della parte parzialmente vittoriosa (appello o ricorso incidentale), la decisione non può essere più sfavorevole all’impugnante di quanto non sia la sentenza impugnata e non può, quindi, dare luogo ad una reformatio in peius in danno del primo), la statuizione in esame non può e non deve essere modificata, né del resto la parte ha interesse a una modifica a sé sfavorevole;
7. in conclusione, dichiarati inammissibili il primo, il quarto, il quinto e il sesto motivo e infondati gli altri, il ricorso va rigettato;
8. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo a favore dell'(…), seguono la soccombenza;
9. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto;
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile in ogni ipotesi da cui sorga l’obbligazione di prestare il consenso
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 28 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2024
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