Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14167.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
La presunzione di rinunzia prevista dall’articolo 346 del Cpc riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, peraltro, non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’articolo 359 del Cpc. In osservanza del principio di specificità dei motivi di gravame, in particolare, la riproposizione delle istanze istruttorie in appello deve essere specifica, dovendo la parte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, riprodurre nel suo atto di costituzione in appello le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, essendo inammissibile una riproposizione generica con rinvio agli atti del procedimento di primo grado.
Ordinanza|21 maggio 2024| n. 14167. Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
Data udienza 6 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: IMPUGNAZIONI – Appello – Rinuncia – Presunzione – Estensione alle istanze istruttorie – Esclusione – Limiti – Conseguenze. (Cpc, articoli 346 e 359) – Responsabilità professionale – Avvocato – Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito in conseguenza della cattiva e negligente gestione del mandato professionale – Ampia attività di consulenza finalizzata all’approntamento di operazioni societarie e aziendali risolutive
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere-Rel.
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29896/2021 R.G. proposto da
Bo.Gu., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Va.Ca. (p.e.c.: Omissis), Ni.Vi. (p.e.c.: Omissis), Ma.Mo. (p.e.c.: Omissis), con domicilio eletto in Roma, Via (…), presso lo studio dell’Avv. Mu.Fr. (p.e.c.: Omissis);
– ricorrente –
contro
Ma.El., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Pe.Cl. (p.e.c.: Omissis), To.Ma. (p.e.c.: Omissis) e Bi.Il. (p.e.c.: Omissis), con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e nei confronti di
(…) Spa, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Ar.Gi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, (…);
– controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1071/2021 depositata in data 1° ottobre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 maggio 2024 dal Consigliere Iannello Emilio.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
FATTI DI CAUSA
1. Bo.Gu. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Torino l’Avv. Ma.El. chiedendone la condanna al pagamento di una somma compresa tra Euro 370.000,00 ed Euro 3.000.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito in conseguenza della cattiva e negligente gestione del mandato professionale asseritamente allo stesso conferito e avente per oggetto un’ampia attività di consulenza finalizzata all’approntamento di operazioni societarie e aziendali risolutive o, comunque, contenitive del dissesto finanziario del gruppo facente capo alla holding Bo. Spa, sfociato, invece, secondo l’istante, nel compimento di manovre ostili volte a favorire le società del gruppo concorrente di Sc.Gi. e a provocare il fallimento della Bo. Spa
Esteso il contraddittorio nei confronti di (…) Spa chiamata in garanzia dal convenuto, con sentenza n. 2266 del 2020 il Tribunale rigettò la domanda, condannando l’attore alla rifusione delle spese, sia in favore del convenuto che della compagnia chiamata in causa.
2. Con sentenza n. 1071/2021, resa pubblica il 1° ottobre 2021, la Corte d’appello di Torino ha confermato tale decisione, rigettando il gravame interposto dal Bo.Gu. e condannandolo alle spese del grado nei confronti di entrambi gli appellati.
Ha infatti ritenuto che, come già rilevato dal primo giudice, non fosse stata data convincente prova dell’esistenza di un incarico professionale conferito “personalmente” da Bo.Gu., distinto e autonomo rispetto alla persona giuridica Bo. Spa, in tal senso osservando in particolare che:
– le indagini svolte tanto in ambito penale (per il delitto di bancarotta fraudolenta contestato a Bo.Gu. e risoltesi con sentenza di “patteggiamento”), quanto in ambito fallimentare (attraverso la relazione ex art. 33 L. fall. del curatore) non avevano minimamente accertato il disegno fraudolento asseritamente architettato dall’Avv. Ma.El., che, tra l’altro, neppure aveva subito per questo alcun procedimento penale;
– anche ammettendo che l’incarico consulenziale relativo alle operazioni societarie fosse stato conferito da Bo.Gu. in proprio, ciò non escludeva che esso avrebbe comunque svolto effetti in favore della Bo. Spa, la quale -secondo lo schema del contratto a favore di terzo- avrebbe acquistato “il diritto (risarcitorio) contro il promittente per effetto della stipulazione”;
– tutti gli atti relativi alle operazioni societarie in questione erano stati sottoscritti (e, perciò, condivisi e fatti propri) dallo stesso Bo.Gu. e in giudizio non era stata provata una qualche forma di artata captazione della volontà negoziale del committente, propria, peraltro, di un affermato ed esperto imprenditore che assai difficilmente poteva ignorare l’obiettivo significato giuridico delle varie operazioni
realizzate;
– la lettera sub doc. n. 33 non conteneva alcuna confessione stragiudiziale: da un lato, l’espressione “il mandato professionale assunto nei suoi confronti e della Bo.” era evidentemente generica e, in ogni caso, s’inseriva nel peculiare contesto narrativo della lettera, ove si faceva pressoché esclusivo riferimento (non all’attore personalmente, ma) alle società del gruppo; dall’altro, l’espressione “come da Lei espressamente richiesto” si riferiva chiaramente alla proposta di concordato preventivo non andata poi a buon fine (e non certo per colpa dell’Avv. Ma.El., come emergeva dalla relazione del consulente contabile del P.M. sub doc. n. 1 nella parte in cui erano analizzate le ragioni del dissesto addebitate a colpa dell’amministratore della Bo. Spa);
– le intercettazioni telefoniche (il cui contenuto viene per alcune specificamente passato in rassegna a pag. 9 della sentenza) non contribuivano ad alcuna chiarezza: se indubbiamente erano espressive di un certo interessamento personale alla vicenda in esame da parte del professionista e di una certa confidenza tra quest’ultimo e Sc.Gi. – bensì travalicanti il consueto ambito della discrezione e della riservatezza professionale e ai limiti dell’irriverenza e dell’insolenza verso il cliente – non contenevano, tuttavia, alcun elemento convincente a sostegno dell’effettività né di un mandato professionale nei termini suddetti, né, tantomeno, di un’autentica “macchinazione” ai danni di Bo.Gu.;
– non offriva contributo decisivo la deposizione del teste Av. ed era inconferente la questione dell’onorario e della partecipazione alle assemblee societarie; non aiutavano neppure i capitoli di prova sub nn. 26-32 (trascritti alle pagg. 44-46 dell’atto d’appello), mentre tutti gli altri, di cui pure era chiesta l’ammissione, non risultavano trascritti nell’atto d’appello, in violazione dell’onere di cui all’art. 342 cod. proc. civ.;
– a fronte di una prova non fornita dall’appellante circa l’esistenza di un mandato di assistenza personale, ogni ulteriore indagine sul danno provocato dall’asserita condotta ostile, dolosa, imperita e negligente dell’appellato (anche ai sensi dell’art. 2043 c.c.) era del tutto superflua e rimaneva assorbita dal complessivo rigetto dei motivi d’appello; peraltro, quella relativa alla presunta condotta omissiva dell’appellato (atto d’appello, pagg. 42-43) era questione nuova non affrontata nell’originario atto di citazione, né nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., e, perciò, inammissibile in appello.
3. Avverso tale sentenza Bo.Gu. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resistono, depositando distinti controricorsi, Ma.El. e la compagnia d’assicurazioni (…) Spa L’Ma.El. propone a sua volta ricorso incidentale con unico mezzo, per resistere al quale (…) deposita altro controricorso.
4. È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale, Bo.Gu. denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1703, 2222, 2697, 2725, 2727, 2729, 2730 e 2735 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.”.
Rileva che la Corte di appello:
– “premettendo” che sarebbe “poco comprensibile” che il contratto d’opera fra le parti non sia stato stipulato per iscritto, ha di fatto implicitamente postulato la necessità di una prova scritta, non richiesta dall’ordinamento;
– esigendo, inoltre, una prova “assolutamente precisa, completa, circostanziata e rigorosa” ha fatto erroneamente esclusivo riferimento alla prova per presunzioni, omettendo di considerare che l’esistenza del contratto d’opera era data nella specie (prima ancora che da presunzioni) da dirette dichiarazioni dell’interessato, oggetto sia di lettera sottoscritta, che di intercettazioni telefoniche dal contenuto pacifico.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “apparenza e perplessità della motivazione sul mandato di assistenza stragiudiziale; omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2735 e 2733 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.”.
Lamenta che la Corte piemontese abbia motivato in modo solo apparente quanto alla ritenuta mancanza di prova del mandato di assistenza stragiudiziale, in ogni caso senza fare applicazione della piena prova derivante dalla confessione stragiudiziale dell’intimato, peraltro contraddittoriamente qualificando Bo.Gu. come “cliente” dell’Avv. Ma.El.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.; omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c.; violazione degli artt. 184, 244 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 2 n. 4) c.p.c.”, per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile la richiesta di prova orale in quanto non materialmente trascritta nell’atto di appello (sebbene ivi puntualmente richiamata e individuata) e irrilevanti i capitoli invece trascritti.
4. Con il quarto motivo egli denuncia “omessa pronunzia sulla responsabilità extracontrattuale; violazione degli art. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.; omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c.” per avere la Corte ritenuto assorbito il tema della responsabilità extracontrattuale in ragione del ritenuto difetto di prova in ordine all’incarico e per avere, inoltre, ritenuto costituire tema nuovo e inammissibile quello relativo alla responsabilità omissiva addebitata all’Avv. Ma.El.
5. Con il quinto motivo denuncia, infine, “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.; omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c.”, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto interdetto, dal ritenuto difetto di prova in ordine all’incarico, l’esame del tema dei danni non patrimoniali.
6. Con l’unico motivo posto a base del ricorso incidentale Ma.El. denuncia “violazione degli artt. 112 c.p.c., 1917 cod. civ. in relazione all’art 360, comma 1, n. 3), c.p.c.” per avere la Corte d’appello omesso di pronunciare sulla domanda volta alla condanna della compagnia terza chiamata a rifondergli ogni pregiudizio economico conseguente all’azione avversaria, ivi incluso il pagamento delle spese legali dovute ai propri difensori (c.d. spese di resistenza), domanda che – precisa – proposta in primo grado era rimasta non esaminata dal Tribunale ed egli aveva quindi “riproposto in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. o, occorrendo, anche in via di appello incidentale”.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
7. Il primo motivo è inammissibile.
7.1. Postula anzitutto l’applicazione da parte dei giudici a quibus di una regola di giudizio (secondo la quale per la prova dell’incarico professionale di consulenza legale sarebbe stata necessaria la forma scritta) che è invece espressamente esclusa in sentenza, nella quale ben diversamente si rileva soltanto che, mancando un contratto scritto, la prova del contratto, bensì consentita anche con testimoni o per presunzioni, avrebbe dovuto essere “assolutamente precisa, completa, circostanziata e rigorosa”, data la notevole estensione e complessità delle prestazioni che si pretende ne fossero ad oggetto.
Nel porre tale prima censura il motivo, dunque, non si confronta con la motivazione addotta in sentenza, ma anzi ne postula una opposta, così rendendosi totalmente inidoneo a svolgere la funzione di critica propria di un motivo di impugnazione.
Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741).
7.2. Nella restante parte il motivo, lungi dall’evidenziare le affermazioni contenute in sentenza che rivelino una erronea impostazione qualificatoria, sotto i profili indicati, della fattispecie così come accertata, propone argomenti critici riferiti espressamente alla valutazione degli elementi istruttori, ossia ad una tipica attività riservata al giudice di merito, di cui si intende investire il giudice di legittimità sollecitandone una inammissibile rivisitazione in questa sede.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
8. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
8.1. Lo è anzitutto nella parte in cui prospetta vizio di motivazione apparente ben al di fuori dei casi in cui un tale vizio – che attiene ad un difetto di attività del giudice e costituisce error in procedendo per inosservanza dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ. – è configurabile.
Va ricordato al riguardo che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 – 8054).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (sostanzialmente anche in tal caso mirandosi, inammissibilmente, ad una rilettura del materiale istruttorio). L’uso del termine “cliente” è utilizzato in un passaggio incidentale della motivazione e recede a fronte della impostazione argomentativa chiaramente e univocamente volta ad escludere la prova di un rapporto professionale direttamente costituito nei confronti del Bo.Gu. in proprio.
8.2. Il motivo è altresì inammissibile nella parte in cui denuncia (peraltro contraddittoriamente rispetto alla contestuale prospettazione di un vizio di motivazione apparente) vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
È assorbente in tal senso il rilievo della non deducibilità di un tale vizio per la preclusione che deriva – ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) – dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320). A tal fine invero non è sufficiente il rilievo, svolto al termine di pag. 10 del ricorso, secondo cui mentre il Tribunale si sarebbe limitato a “impalpabili rilievi di genericità del materiale probatorio”, la Corte d’appello, “diversamente, si è fatta carico di scrutinare, quanto meno apparentemente, il materiale acquisito sul mandato”. Come è dato ricavare dal combinato disposto dei commi quarto e quinto della citata disposizione, la preclusione della c.d. doppia conforme opera quando la sentenza d’appello sia fondata sulle “stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione” di primo grado. Se tale condizione sussiste la preclusione opererà, non potendo di contro rilevare che le dette ragioni in fatto siano esposte nella sentenza d’appello in termini più o meno ampi di quanto non lo siano nella sentenza appellata. Non si richiede la piena sovrapponibilità testuale delle motivazioni, ma solo che esse siano fondate sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto. Nella specie, non è contestato ed è comunque ricavabile dalla lettura della motivazione di primo grado, che anche questa si sia basata sulla considerazione della inidoneità delle prove offerte (esattamente le stesse poi scrutinate anche dal giudice d’appello) a dimostrare l’esistenza di un incarico professionale nei termini e con l’oggetto dedotto a fondamento della domanda. Si trattava, dunque, certamente delle “stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto”. I fatti considerati, quali rappresentati dalle prove esaminate, erano gli stessi o quanto meno il ricorrente non ha indicato se e quali fatti, decisivi nel ragionamento della Corte, non fossero stati considerati dal primo giudice, limitandosi a rilevare che il materiale istruttorio è stato in appello reso oggetto di più ampio scrutinio, senza però indicare se e in cosa questo materiale si distinguesse da quello considerato, sia pure alla stregua di “impalpabili rilievi di genericità”, dal primo giudice.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
8.3. Il motivo è inammissibile anche là dove denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2733 e 2735 cod. civ., in relazione al diniego in sentenza di alcun valore confessorio alle dichiarazioni contenute nella lettera del 22 marzo 2016 con la quale l’Avv. Ma.El. riscontrava precedente lettera del 16 marzo 2016 inviatagli dal Bo.Gu. per contestare la dannosa gestione della situazione di crisi.
Un tale vizio è, infatti, in astratto configurabile ove il giudice, pur attribuendo alla dichiarazione contenuto confessorio, affermi che alla stessa non possa assegnarsi valore di piena prova contro il suo autore, non certo quando, come nella specie, il giudice valuti quella dichiarazione come non avente contenuto confessorio, in tal caso compiendo egli attività prettamente ricognitiva del fatto e dunque prettamente di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimità (v. Cass. 12/06/1985, n. 3524, Rv. 441143).
Ciò precisato, appare evidente che nella specie la censura si muova proprio su tale secondo versante, ricadendo pertanto sul piano della valutazione delle prove e del sindacato di merito precluso in questa sede per le ragioni dette.
9. Il terzo motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha deciso conformemente alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
La più recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, pur ribadendo che la presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 cod. proc. civ. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie, ha tuttavia precisato che le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 359 cod. proc. civ. (Cass. 26/10/2000, n. 14135; 25/11/2003, n. 17904).
Si ritiene, invero, che in osservanza del principio di specificità dei motivi di gravame, la riproposizione delle istanze istruttorie in appello deve essere “specifica”, dovendo la parte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, riprodurre nel suo atto di costituzione in appello le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, essendo inammissibile una riproposizione generica con rinvio agli atti del procedimento di primo grado (cfr. Cass. 23/03/2016, n. 5812; cui adde da ultimo Cass. 09/06/2023, n. 16420).
Nella specie, pertanto, la formulazione delle istanze istruttorie andava operata con l’atto di appello: e, in mancanza, correttamente il giudice del gravame le ha ritenute inammissibili.
Occorre peraltro aggiungere che il ricorrente, in violazione dell’onere imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., omette di trascrivere il contenuto delle richieste istruttorie di cui lamenta l’erronea valutazione di inammissibilità da parte del giudice d’appello, né ne illustra la rilevanza ai fini del decidere.
Ciò non consente a questa Corte di vagliare la decisività del dedotto error in procedendo, comunque per quanto detto non ravvisabile.
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
10. Il quarto motivo è inammissibile.
Anche in tal caso il ricorrente omette, in violazione degli oneri imposti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., di riportare il motivo di gravame in relazione al quale deduce il vizio di omessa pronuncia ed omette anche di indicare se e in che termini la domanda risarcitoria su fondamento extracontrattuale era stata proposta in primo grado e se e come essa fu decisa dal primo giudice, indicazioni anche queste necessarie per valutare se il motivo poteva considerarsi ammissibilmente proposto e se il suo mancato esame integrasse effettivamente difetto rilevante di attività del giudice.
11. Restano conseguentemente assorbite le rimanenti censure.
L’impossibilità di riconoscere, per ragioni di merito o processuali, fondamento giuridico (contrattuale o extracontrattuale) alla pretesa risarcitoria, priva di alcuna autonoma rilevanza le questioni con esse poste relativamente alla imputabilità all’Avv. Ma.El. di condotte omissive produttive di danno ed alla configurabilità di un danno non patrimoniale risarcibile.
12. Per le considerazioni che precedono deve quindi pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.
Ne discende, ex art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., l’inefficacia del ricorso incidentale, in quanto tardivo.
Lo stesso risulta, infatti, notificato a mezzo p.e.c. in data 11 gennaio 2022, ben oltre la scadenza del termine breve per impugnare di sessanta giorni, ex art. 325 cod. proc. civ., decorrente dalla data di notifica della sentenza (4 ottobre 2021) e venuto, pertanto, a scadere il 3 dicembre 2021.
13. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente principale al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Mette conto al riguardo precisare che la soccombenza è interamente ravvisabile in capo al ricorrente principale e non anche a carico del ricorrente incidentale, non potendo di contro rilevare la dichiarata perdita di efficacia del ricorso da questo proposto.
Con la perdita di efficacia, infatti, il ricorso incidentale tardivo diviene tamquam non esset e non viene preso in esame dalla Corte, non potendosi pertanto neppure in astratto predicare una soccombenza valorizzabile ai fini del regolamento delle spese.
In tal senso, questa Corte ha già chiarito che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. 20/02/2014, n. 4074; conf. Cass. 04/11/2014, n. 23469; Cass. 12/06/2018, n. 15220; Cass. 26/09/2018, n. 22799; Cass. 28/09/2018, n. 23443).
Vanno dunque compensate le spese tra il ricorrente incidentale e la controricorrente (…) Spa
14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Condizioni invece, per le ragioni dette, non ravvisabili nei confronti della ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. 25/07/2017, n. 18348).
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale; inefficace quello incidentale.
Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali, liquidate, per ciascuno, in Euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Compensa integralmente le spese tra il ricorrente incidentale e (…) Spa
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2024.
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