Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 25 settembre 2018, n. 41421.
La massima estrapolata:
L’alterazione della graduatoria provvisoria per l’assunzione di dipendenti in una società in house del comune non può considerarsi falsità materiale in atto pubblico. Pertanto, in caso di illecita alterazione delle posizioni dei candidati, non può configurarsi il reato di falsità materiale in atto pubblico per il direttore del personale della società in house che abbia voluto favorire specifiche persone a danno di altri concorrenti al posto di lavoro.
Sentenza 25 settembre 2018, n. 41421
Data udienza 11 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto Luigi C – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/06/2016 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FIDANZIA ANDREA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA;
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio, per intervenuta prescrizione;
udito il difensore;
Il difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), difensore della (OMISSIS) S.P.A., chiede l’inammissibilita’ dei ricorsi. Deposita conclusioni e nota spese;
L’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS) difensori di (OMISSIS), si riporta ai motivi del ricorso ed insistono sull’accoglimento del ricorso;
L’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 9 giugno 2016 la Corte di Appello di Roma ha confermato l’accertamento della penale responsabilita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i delitti di cui agli articoli 110, 56, 323 c.p. e articolo 476 c.p..
Agli imputati e’ stato contestato che, in violazione del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18, comma 1 e Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, comma 3, in concorso tra loro, nel corso della procedura di selezione espletata dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a. su incarico di (OMISSIS) s.p.a. per l’assunzione di personale con qualifica di macchinista e di operatore qualificato manutentore, intenzionalmente, il (OMISSIS) in qualita’ di direttore del personale di (OMISSIS), facendo consegnare alla (OMISSIS), responsabile per conto di (OMISSIS) della procedura selettiva, un foglio contenente i nominativi di soggetti da favorire indebitamente all’esito della procedura selettiva e facendo pressioni sulla (OMISSIS) affinche’ alterasse la graduatoria di merito inserendo in posizioni utili i nominativi indicati dal (OMISSIS) e facendo pubblicare la graduatoria sul dito di (OMISSIS), compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare ai soggetti indebitamente inseriti in graduatoria l’ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dall’assunzione presso (OMISSIS) in danno dei soggetti utilmente collocati in graduatoria nonche’ un danno all’immagine di (OMISSIS), non riuscendo nell’intento per l’annullamento in autotutela della procedura selettiva da parte di (OMISSIS).
I prevenuti sono stati altresi’ imputati di falso per aver in concorso alterato la graduatoria di merito, il (OMISSIS) indicando i nominativi da inserire indebitamente in posizioni utili e la (OMISSIS) manomettendo materialmente la graduatoria e facendola pubblicare.
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno separatamente proposto ricorso per cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo a firma dell’avv. Prof. (OMISSIS), il ricorrente (OMISSIS) ha dedotto violazione di norme processuali stabilite a pena di nullita’, inutilizzabilita’ inammissibilita’ o decadenza, in relazione agli articoli 191 e 234 e 391 nonies c.p.p..
Lamenta il ricorrente che i giudici di merito hanno ritenuto pienamente utilizzabile la registrazione riproduttiva delle dichiarazioni rese, senza il preventivo consenso, dalla coimputata (OMISSIS) in sede di procedimento disciplinare, ritenendosi che la registrazione non sia riconducibile alla nozione di intercettazione, ma a quella di memorizzazione fonica di un fatto storico, e quindi non soggetta ai limiti imposti dal codice ai fini dell’utilizzabilita’ delle intercettazioni.
La raccolta delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) in sede di audizione disciplinare, effettuata senza il preventivo consenso, e’ da intendersi come trattamento di dati personali ed e’ avvenuta in violazione dell’articolo 23 del codice in materia di protezione dei dati personali.
Peraltro, la registrazione e’ avvenuta al di fuori e prima dell’inizio del procedimento penale e per finalita’ ad esso estranee, con cio’ escludendosi l’operativita’ del D. n. 196 del 2003, articolo 24, che include i casi in cui, per ragioni di giustizia, il trattamento dei dati personali correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie puo’ essere effettuato senza il consenso.
2.2. Con il secondo motivo e’ stata dedotta violazione di legge nonche’ vizio di motivazione con riferimento al tentato abuso d’ufficio.
Lamenta il ricorrente che la sua condotta di aver annullato il concorso e’ stata idonea ad interrompere la condotta criminosa o comunque ad impedire l’evento e quindi integra la desistenza.
Il ricorrente avrebbe infatti potuto continuare nell’azione delittuosa e, stante la provvisorieta’ della graduatoria, cercare di agevolare i candidati con altre modalita’, oppure rimanere inerte senza contribuire ad eliminare le conseguenze della condotta.
L’imputato ha dimostrato di aver volontariamente abbandonato il proposito criminoso e la volonta’ di annullare la selezione si e’ determinata prima in capo al (OMISSIS), cui poi hanno aderito i vertici di (OMISSIS).
2.3. Con il terzo motivo e’ stata dedotta violazione di legge nonche’ vizio di motivazione con riferimento alla falsita’ materiale commessa da pubblico ufficiale.
Sostiene il ricorrente che l’appiattimento delle societa’ in house sugli enti pubblici, con tutto cio’ che ne consegue in ordine alla responsabilita’ dei soggetti che vi operano, non e’ scontata ed automatica.
Afferma che le societa’ a partecipazione pubblica sono persone giuridiche private in mano pubblica operanti in regime di diritto privato.
La partecipazione pubblica si traduce nel controllo totale o parziale realizzato dallo stato o da altro ente locale nei confronti di in’impresa privata mediante un ente pubblico denominato ente di gestione, ma e’ solo l’attivita’ di quest’ultimo ente a ricadere nell’ambito dell’impresa pubblica.
Rileva, inoltre, il ricorrente che l’atto del quale si assume il carattere pubblico e’ una graduatoria redatta da una societa’ privata, quale la (OMISSIS) s.r.l., incaricata da un’altra societa’ privata, quale e’ la (OMISSIS) s.p.a. alla quale la (OMISSIS) s.p.a. (unica societa’ partecipata) aveva affidato lo svolgimento e la gestione della prima fase di selezione del personale da assumere.
La provenienza dell’atto in oggetto non consente di qualificarlo come pubblico a meno che non si voglia arbitrariamente presumere che due societa’ private costituiscano una longa manus dell’ente.
2.4 Con il quarto motivo e’ stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e all’applicazione di un trattamento sanzionatorio eccessivamente gravoso.
2.5. Con il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS) e’ stata dedotta violazione di legge penale ed extrapenale in relazione agli articoli 323, 357 e 358 c.p. con vizio di motivazione e travisamento della prova.
Assume il ricorrente che la selezione del personale fatta dalla (OMISSIS) attraverso la (OMISSIS), su incarico di (OMISSIS), non era pubblica e il (OMISSIS), nella qualita’ di direttore del personale della (OMISSIS). s.p.a. non ha gestito in alcun modo quella selezione.
L’attivita’ di selezione del personale in oggetto non era pubblica, non applicandosi nel caso di specie ne’ la L. n. 133 del 2008, articolo 18, ne’ il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, comma 3 cui il primo rinvia.
Cio’ in quanto la L. n. 133 del 2008, articolo 23 bis prevede espressamente che la selezione del personale nelle societa’ in house deve essere effettuata secondo quanto previsto dall’apposito regolamento emanato dal governo, che e’ pero’ a tutt’oggi non e’ stato emanato.
Assume, inoltre, il ricorrente che la procedura di selezione non era stata gestita dallo stesso ne’ dall’ufficio personale di (OMISSIS) di cui il ricorrente era il direttore, ma dalla (OMISSIS) che attraverso la sig.ra (OMISSIS) aveva attribuito alla (OMISSIS) il compito di preparare i test e di elaborare la graduatoria dei concorrenti.
Peraltro, la consegna della lista dei “segnalati” alla (OMISSIS) aveva la natura di atto compiuto “in occasione” dell’ufficio ma non costituiva un atto direttamente o anche direttamente riconducibile all’esercizio della pubblica funzione. E’ infatti atto dell’ufficio quello che costituisce espressione diretta o indiretta della pubblica funzione esercitata.
Il ricorrente sostiene la contraddittorieta’ della sentenza sotto un duplice profilo, perche’ ha ritenuto applicabile alle procedure di selezione del personale della (OMISSIS), societa’ in house, il disposto della L. n. 133 del 2008, articolo 18 che fa riferimento alle societa’ “pubbliche”, e perche’ ha affermato che la (OMISSIS) non ha agito quale pubblico agente, con la conseguenza che allora la selezione non puo’ essere considerata pubblica e/o disciplinata da norme di diritto pubblico ex articolo 357 c.p..
2.6. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge in relazione agli articoli 56 e 323 c.p. e vizio di motivazione.
Assume il ricorrente che anche ammettendo l’applicabilita’ della L. n. 133 del 2008, articoli 18 e 35 al caso di specie, deve ritenersi che tali disposizioni fissano soltanto dei principi generali la cui violazione non puo’ essere considerata come violazione di legge ex articolo 323 c.p., perche’ una tale interpretazione violerebbe il principio di determinatezza e tassativita’.
Sarebbero quindi stati violati, con l’inserimento dei nominativi dei favoriti, dei criteri di valutazione che non possono considerarsi ne’ regolamenti ne’ leggi ex articolo 323 c.p..
Il ricorrente considera la sentenza contraddittoria illogica in quanto considera la (OMISSIS) estranea ma autore e il (OMISSIS) come intraneo ma correo.
2.7. Con il terzo motivo e’ stata dedotta violazione di legge in relazione all’articolo 234 c.p.p., articolo 238 c.p.p., comma 4, articoli 239, 340 c.p.p., articolo 266 c.p.p., e s.s., articolo 192 c.p.p., comma 3.
Sostiene il ricorrente che le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) in sede disciplinare non sono utilizzabili sul rilievo che le captazione diversi dalle intercettazioni possano essere utilizzate soltanto se effettuate da uno dei “presenti”, che vi acconsente, rendendo la captazione legittima. Ne consegue che una registrazione che non risulta essere stata effettuata da uno dei presenti costituisce una intercettazione illegale e non utilizzabile a norma dell’articolo 191 c.p.p..
Sul punto, la sentenza di appello assume che la registrazione sarebbe stata effettuata pacificamente dall’avv. (OMISSIS), dato ritenuto non provato dalla sentenza di primo grado.
Inoltre, essendo le dichiarazioni della (OMISSIS) state registrate su un pen drive, le stesse non possono essere acquisite come documenti ex articolo 234 c.p.p. atteso che, a norma dell’articolo 239 c.p.p., i documenti contenenti dichiarazioni possono essere acquisiti solo se vengono sottoposti alle parti ed ai testi per verificarne la provenienza a norma dell’articolo 240 c.p.p..
Peraltro, il documento contenente la dichiarazione della (OMISSIS) nel procedimento disciplinare non puo’ non considerarsi ex articolo 238 c.p.p., comma 4 un verbale di prova di altro provvedimento utilizzabile solo con il consenso dell’imputato. Il ricorrente afferma altresi’ che le dichiarazioni della (OMISSIS) non possono essere qualificate come chiamata in correita’ per quelle che riguardano il (OMISSIS). Sostiene che i riscontri esterni (traffico telefonico dell’utenza telefonica intestata alla (OMISSIS) ed utilizzata dalla (OMISSIS)) sono il frutto di un travisamento della prova.
2.8. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge in relazione agli articolo 43 e 476 c.p..
Assume il ricorrente che l’elenco predisposto dalla (OMISSIS) s.r.l. e’ un atto privato, essendo sia la stessa societa’ che la (OMISSIS) societa’ private.
Inoltre, avendo la (OMISSIS) agito come estranea, una sua responsabilita’ per il delitto di cui all’articolo 476 c.p. puo’ sussistere solo se c’e’ la prova che la stessa abbia agito nella consapevolezza non solo di agire quale pubblico ufficiale ma di falsificare un atto pubblico. Tale ragionamento vale a maggior ragione per (OMISSIS) che non ha avuto alcun ruolo nello svolgimento della selezione.
2.9 Con un unico motivo (OMISSIS) ha dedotto violazione di legge in relazione agli articoli 234 e 192 c.p. e articoli 110, 323, 476 c.p. e vizio di motivazione.
Assume la ricorrente che nei motivi d’appello aveva posto il dubbio in ordine alle modalita’ tecniche che avevano condotto alla registrazione delle sue dichiarazioni del procedimento disciplinare e che le operazioni di captazione e registrazione fossero state poste in essere da soggetti che non avevano personalmente e fisicamente partecipato al colloquio. In tale evenienza non si verterebbe in un’ipotesi di intercettazioni “inter praesentes”.
La Corte d’appello aveva sul punto reso una motivazione insufficiente, incompleta ed illogica in cui le premesse si ponevano in insanabile contrasto con le conclusioni, omettendo di prendere posizione sui motivi di censura articolati nell’atto di appello. Inoltre, si ponevano in contrasto con quanto dichiarato dal teste (OMISSIS) all’udienza del 6 luglio 2012, che non aveva mai precisato se le attivita’ di registrazione fossero state effettuate dallo stesso o da altri soggetti partecipanti al colloquio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso (OMISSIS) a firma dell’avv. (OMISSIS) e’ infondato.
Non vi e’ dubbio che la registrazione delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) nel corso del procedimento disciplinare a suo carico non integri un illecito trattamento dei dati personali, per non essere stata effettuata con il consenso dell’interessata.
Tale consenso, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 24, non e’ richiesto allorquando i dati siano trattati per finalita’ di giustizia, ricorrendo tale finalita’ non solo quando un procedimento giurisdizionale sia gia’ iniziato ma anche per precostituirsi un mezzo di prova per la tutela di un proprio diritto in vista di un eventuale procedimento che puo’ sopravvenire (vedi sez L n. 11322/2018, Rv. 648816-01), purche’ il trattamento dei dati altrui non ecceda tale finalita’ ed avvenga per il periodo strettamente necessario per la tutela del proprio diritto.
Nel caso di specie, dalla ricostruzione dei giudici di merito emerge che il procedimento disciplinare sfocio’ nel licenziamento della (OMISSIS) e di altri suoi due colleghi per le violazioni ai doveri d’ufficio commesse nella vicenda per cui e’ procedimento. E’ quindi evidente che la registrazione delle dichiarazioni della (OMISSIS) era avvenuta in vista di una sua eventuale utilizzazione di tali dati in un procedimento giurisdizionale (ad esempio causa di impugnazione del licenziamento) che poteva contrapporre la (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) (a favore della quale la ricorrente prestava servizio) per la tutela di un diritto di quest’ultima.
2. Le censure della (OMISSIS) con riferimento alla violazione dell’articolo 234 c.p.c. ed il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) a firma avv. (OMISSIS) sono infondati.
Va osservato, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha evidenziato che la registrazione delle dichiarazioni della (OMISSIS) e’ stata effettuata dal teste (OMISSIS) che era uno dei partecipanti all’audizione disciplinare, circostanza che la ricorrente contesta con la produzione in giudizio del verbale di fonoregistrazione della deposizione dell’avv. (OMISSIS) (di ben 49 pagine), senza, tuttavia, neppure evidenziare il punto preciso in cui la prova testimoniale dell’avv. (OMISSIS) sarebbe stata travisata dal giudice d’appello.
Ne consegue l’inammissibilita’ per genericita’ di tale censura.
Cio’ premesso, la registrazione delle dichiarazioni della (OMISSIS) e’ pienamente utilizzabile, essendo orientamento consolidato di questa Corte che la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione “ambientale” soggetta alla disciplina dell’articolo 266 c.p.p., e s.s. (sez. 2, Sentenza n. 3851 del 21/10/2016, Rv. 269089).
Peraltro, la doglianza di violazione dell’articolo 239 c.p.p. e’ manifestamente infondata per genericita’ non precisando il ricorrente (OMISSIS) in che termini contesti la provenienza delle dichiarazioni dalla (OMISSIS), ne’ rileva che le stesse siano state trasposte su un pen drive, essendo tale pennetta, una volta depositata in giudizio dagli organi inquirenti, a disposizione degli imputati per controllarne il contenuto e la provenienza.
Va comunque sottolineato che, come evidenziato dal giudice di primo grado a pag. 6 e dal giudice d’appello a pag. 17, il contenuto delle dichiarazioni della (OMISSIS) e’ stato acquisito al procedimento anche attraverso la deposizione del teste (OMISSIS) nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
In ordine al valore probatorio delle dichiarazioni della (OMISSIS), non vi e’ dubbio che il ricorrente (OMISSIS), nel contestarne l’attendibilita’ (che e’ stata congruamente argomentata dalla sentenza impugnata da pag. 18 a pag. 21), formuli delle censure di mero fatto in quanto finalizzate alla rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda processuale.
3. I primi due motivi del ricorso (OMISSIS) a firma dell’avv. (OMISSIS) ed il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS) sono infondati.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito e’ emerso che (OMISSIS) svolgeva le funzioni di direttore dell’Ufficio Risorse Umane (o del Personale) della (OMISSIS) s.p.a., societa’ di capitali interamente partecipata dal Comune di Roma (c.d. societa’ in house providing), che svolge il servizio pubblico locale di trasporto.
Proprio la natura pubblicistica del servizio locale gestito dalla (OMISSIS) spa consente di attribuire al ricorrente (OMISSIS) la natura di incaricato di un pubblico servizio.
In proposito, l’articolo 358 cod. proc. pen. definisce l’incaricato di un pubblico servizio come colui che, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico, a prescindere da qualsiasi rapporto d’impiego con un determinato ente pubblico. Il legislatore del 1990 (L. 26 agosto 1990, n. 86, articolo 18), nel delineare la nozione di incaricato di pubblico servizio, ha privilegiato il criterio oggettivo-funzionale, utilizzando la locuzione “a qualunque titolo” ed eliminando ogni riferimento, contenuto invece nel vecchio testo dell’articolo 358 c.p.p., al rapporto d’impiego con lo Stato o altro ente pubblico. Non si richiede, quindi, che l’attivita’ svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico, essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalita’ pubbliche.
Il capoverso dell’articolo 358 c.p.p. esplicita il concetto di servizio pubblico, ritenendolo formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente articolo 357 c.p.p., ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima (poteri deliberativi, autoritativi o certificativi).
Deve quindi ritenersi che un soggetto che, come il (OMISSIS), svolga funzioni apicali all’interno di una societa’ per azioni che gestisce un servizio pubblico locale (quale quello di trasporto) rivesta la qualita’ di incaricato di pubblico servizio, a prescindere dalla natura privata di tale societa’, in considerazione della indubbia connotazione pubblicistica di quel servizio (sez. 6, n. 46235 del 21/09/2016, Rv. 268127).
Cio’ premesso, non vi e’ dubbio che il (OMISSIS) nello svolgimento delle sue funzioni abbia perpetrato il reato di abuso d’ufficio a norma dell’articolo 323 cod. pen..
La sentenza impugnata ha ben evidenziato che la procedura di reclutamento del personale su cui il (OMISSIS) ha illegittimamente interferito – consegnando alla (OMISSIS), responsabile per conto della (OMISSIS) della procedura selettiva, la lista di nominativi da favorire in danno dei candidati utilmente collocati in graduatoria era strettamente inerente alla funzione svolta dal ricorrente, avendo costui gestito quale direttore dell’Ufficio Risorse Umane l’intera procedura di selezione, dalla valutazione di dar corso alla selezione dopo la nomina, alla decisione di modificare la procedura riservando alla societa’ l’espletamento dei test psicoattitudinali, ai numerosi incontri con i responsabili della (OMISSIS) nell’organizzazione della selezione.
Non puo’ pertanto trovare accoglimento l’obiezione del (OMISSIS) secondo cui tale attivita’ di interferenza non costituirebbe abuso d’ufficio per essere stata posta in essere solo “in occasione” dell’ufficio, atteso che la condotta illecita perpetrata dal ricorrente non era affatto estranea alle competenze funzionali del suo ufficio, anzi strettamente inerente alle competenze medesime (vedi a contrariis sez. 6 n. 7731 del 12/02/2016, Rv. 266543).
Non puo’ neppure trovare accoglimento la prospettazione degli imputati secondo cui l’attivita’ di selezione del personale della (OMISSIS) sarebbe svincolata dal rispetto della L. n. 133 del 2008, articolo 18 e del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35 sul rilievo che il regolamento che il Governo avrebbe dovuto adottare a norma della L. n. 133 del 2008, articolo 23 bis non e’ stato mai emanato.
Sul punto, questa Corte ha gia’ statuito che, in tema di abuso d’ufficio commesso anteriormente al Decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168, integra l’elemento oggettivo del reato il reclutamento del personale da parte dell’amministratore di una societa’ “in house”, senza il rispetto delle procedure ad evidenza pubblica previste per gli enti pubblici dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 35, richiamato dal Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, articolo 18, comma 1, con riferimento alle societa’ che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, nel cui ambito sono comprese anche le societa’ in house (sez. 6, n. 3046 del 10/11/2017, Rv. 272251). E’ stato, in particolare, osservato che il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, pur non imponendo necessariamente che l’assunzione debba avvenire solo ad esito di procedura di concorso pubblico, contiene disposizioni assai stringenti quanto ai criteri da osservare nel reclutamento del personale (principi di trasparenza, pubblicita’ ed imparzialita’).
Ne consegue che la (OMISSIS), quale societa’ in house, anche a prescindere dalla mancata emanazione del regolamento a norma del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 23 bis, e’ comunque tenuta all’applicazione dell’articolo 35 legge citata ed al rispetto in sede di assunzione dei criteri ivi indicati.
Il ricorrente ha quindi commesso una evidente violazione di legge rilevante ex articolo 323 cod. pen..
Infine, priva di fondamento e’ la censura che il ricorrente, nell’annullare successivamente la selezione, avrebbe integrato una desistenza volontaria, sul rilievo che si tratterebbe di azione idonea ad interrompere la condotta o comunque ad impedire l’evento quando l’esito della selezione non era ancora definitivo.
La Corte territoriale, con argomentazioni lineari ed immuni da vizi logici, ha perentoriamente escluso la desistenza volontaria – ritenendo invece integrato tentativo – atteso che l’annullamento della selezione e’ stato disposto dal (OMISSIS) quando non aveva piu’ il dominio della situazione avendo i responsabili della (OMISSIS) gia’ rimosso la graduatoria falsa, sostituendola con quella corretta.
In sostanza, l’annullamento del concorso e’ avvenuto in un momento in cui altri avevano gia’ interrotto l’esecuzione della condotta criminosa.
4. I residui motivi del (OMISSIS), riguardanti il delitto di cui all’articolo 476 c.p., sono fondati e vanno pertanto accolti.
La sentenza impugnata ha sostenuto la natura pubblica della graduatoria provvisoria pubblicata sul sito della (OMISSIS) sul rilievo che tale atto si inserisce nell’ambito di una pubblica funzione quale e’ il reclutamento del personale di un ente pubblico, si inserisce nell’iter procedimentale prodromico all’adozione di un atto pubblico.
Questo Collegio non condivide tale impostazione.
Come gia’ sopra accennato, la (OMISSIS). e’ societa’ in house cui e’ stata affidata la gestione del servizio pubblico locale di trasporto dal Comune di Roma che ne detiene la totale partecipazione.
In proposito, va premesso che il modello della societa’ in house ha acquisito cittadinanza all’interno del nostro ordinamento con il disposto dell’articolo 113, comma 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti a locali (Decreto Legislativo n. 267 del 2000), come riformulato dal Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 14, (convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326), che, in presenza di determinate condizioni, consente espressamente l’affidamento di servizi pubblici, anziche’ ad imprese terze da individuare mediante procedure di evidenza pubblica, a societa’ di capitali costituite per quello scopo e partecipate totalitariamente da soci pubblici, purche’ esse realizzino la parte piu’ importante della propria attivita’ con l’ente o con gli enti che le controllano e purche’ questi ultimi esercitino sulla societa’ un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. I connotati qualificanti della societa’ in house, costituita per finalita’ di gestione di pubblici servizi, sono quindi dati dalla natura esclusivamente pubblica dei soci, l’esercizio dell’attivita’ in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
Proprio tali caratteristiche hanno indotto le Sezioni Unite Civili nella sentenza del 25 novembre 2013 n. 26283 ad affermare – sia pure ai limitati fini del riparto di giurisdizione e della responsabilita’ degli organi sociali – che le societa’ in house costituiscono in realta’ mere articolazioni della pubblica amministrazione.
Tale pronuncia delle S.U. Civili e’ stata valorizzata anche dalla giurisprudenza di legittimita’ penale (vedi sez 6 n. 48036 del 20.11.2014) per evidenziarne la connotazione pubblicistica, elemento rilevante nel regime di reclutamento del personale.
Va, tuttavia, osservato che la indubbia connotazione pubblicistica della societa’ in house nei termini sopra – che giustifica l’osservanza dei principi di trasparenza, pubblicita’ ed imparzialita’ di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35 nel reclutamento del personale – non ne comporta necessariamente la natura pubblica, risultando estranei alla societa’ in house la detenzione dei poteri deliberativi, autoritativi o certificativi propri dell’Ente pubblico.
Se e’ pur vero che il rapporto che lega la societa’ all’ente pubblico da cui promana e’ assai simile a quello che intercorre tra la medesima amministrazione ed i propri dipendenti tanto da giustificare il medesimo regime di responsabilita’ e la medesima giurisdizione, tuttavia, “cio’ non implica pero’, necessariamente, che anche sotto ogni altro profilo l’adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza la societa’ in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco” (in questi termini S.U. Civili 27 marzo 2017 n. 7759).
In questa prospettiva deve essere collocarsi anche la norma interpretativa di cui al Decreto Legge n. 95 del 2012, art., conv. L. n. 135 del 2012 (riforma delle societa’ strumentali delle pubbliche amministrazione) che prevede che: “Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di societa’ a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di societa’ di capitali”.
La norma interpretativa in esame e’ stata correttamente intesa come segno evidente dell’assoggettamento delle societa’ in mano pubblica, salvo eventuali deroghe espresse, alla disciplina del diritto privato, compreso lo scopo lucrativo (seppur attenuato sotto il profilo soggettivo in ragione del carattere pubblico dei servizi gestiti) caratterizzante le societa’ a norma dell’articolo 2247 cod. civ..
Peraltro, e’ pur vero che le societa’ in house costituiscono “organismi di diritto pubblico” per le procedure ad evidenza pubblica secondo le direttive UE nn. 17/2004 e 18/2004, poi recepite nel Decreto Legislativo 17 aprile 2006, n. 163, articolo 3, comma 26, oggi trasfuso nel Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, articolo 3, comma 1, lettera d) che ha riprodotto fedelmente il contenuto delle recenti direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014. Si tratta, infatti, di organismi istituti per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotati di personalita’ giuridica e la cui attivita’ e’ finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione e’ soggetta al controllo di questi ultimi. Tuttavia, tali caratteristiche rilevano esclusivamente ai fini dell’affidamento in “house” del servizio pubblico locale da parte dell’ente pubblico, che non deve quindi ricorrere per l’attribuzione di tali funzioni ad una procedura ad evidenza pubblica.
La natura privatistica delle societa’ in house rileva invece sotto altri profili, ivi compresi la natura degli atti con cui la societa’ in house svolge le proprie funzioni, gestisce la propria attivita’, che non appartengono alla categoria degli atti pubblici.
La conseguenza di tale ragionamento e’ che, nel caso di specie, la graduatoria provvisoria alterata a seguito dell’interferenza illecita del ricorrente (OMISSIS), indipendentemente dal fatto che sia stata materialmente predisposta da altra societa’ di diritto privato, non costituisce comunque un atto prodromico all’emanazione di un atto pubblico, non integrandosi, pertanto, la fattispecie contestata del falso di cui all’articolo 476 c.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 476 c.p. perche’ il fatto non sussiste.
Annulla la stessa sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma per il trattamento sanzionatorio in ordine al reato di cui all’articolo 323 c.p..
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