Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 3 settembre 2018, n. 39396.
Sentenza 3 settembre 2018, n. 39396.
Data udienza 30 maggio 2018.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/11/2017 della Corte d’appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha conclusione chiedendo l’accoglimento del ricorso o in subordine l’annullamento della sentenza per essere il reato estinto per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 novembre 2017, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona con la quale (OMISSIS) era stato condannato, quale legale rappresentante della (OMISSIS), per il reato di cui all’articolo 81 c.p., comma 2 e Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, convertito dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori limitatamente al periodo da dicembre 2009 al febbraio 2010 e da settembre 2010 al dicembre 2010, per un importo di Euro 145.461,00, previa dichiarazione di non doversi procedere per le omissioni relative all’anno 2009 perche’ estinte per prescrizione ha ridotto la pena inflitta a mesi uno e giorni 10 di reclusione e Euro 500,00 di multa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp.att. c.p.p..
-Violazione di legge in relazione alla condotta materiale di reato di cui al Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, nonche’ in relazione alla mancanza dell’elemento soggettivo. Argomenta il ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe correttamente interpretato e valutato i vincoli derivanti dalla procedura di ristrutturazione del debito di cui all’articolo 67, comma 3, lettera d) L.F. La societa’ del ricorrente aveva avviato una procedura di ristrutturazione del debito il cui accordo di ristrutturazione era stato sottoscritto il 03/12/2009 e successivamente rimodulato il 04/07/2012, di tal che’ la societa’ aveva avviato i pagamenti dei debiti nei modi e nei tempi previsiti dal citato accordo. La ristrutturazione del debito era conseguente alla grave crisi finanziaria del 2008, e aveva cosi’ consentito una dilazione del debito anche quello nei confronti dell’INPS. L’imputato non avrebbe potuto onorare il debito contributivo al di fuori della previsione dell’accordo sottoscritto con i creditori, e, dunque, la condotta sarebbe scriminata ai sensi dell’articolo 51 c.p., stante l’adempimento di un dovere imposto da una norma di legge o da un ordine legittimo della pubblica autorita’ (accordo di ristrutturazione del debito).
– Vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio per avere irrogato una pena “severa”.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile per la proposizione di una doglianza manifestamente infondata e anche riproduttiva della stessa questione gia’ devoluta in appello, con riguardo alla configurabilita’ della scriminante dell’adempimento di un dovere ai fini di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, puntualmente esaminata e disattesa dai giudici di merito con motivazione del tutto coerente e adeguata.
5. La Corte d’appello, in continuita’ con la pronuncia del Tribunale, sulla scorta dell’accertamento, in punto di fatto, dell’omissione del versamento dei contributi assistenziali e previdenziali relativi all’anno 2010, accertamento insindacabile in questa sede perche’ sorretto da adeguata motivazione, ha escluso il rilievo, quale scriminante dell’omissione, dell’intervenuto accordo ex articolo 67, comma 3, lettera d) L. Fall., presentato nel novembre 2009, rimodulato il 4 luglio 2012, in quanto iniziativa intrapresa dall’imprenditore in crisi in epoca precedente al sorgere del debito Inps e dell’omesso versamento relativo alle mensilita’ a partire da dicembre 2009 e per le mensilita’ del 2010 e che, dunque, non ricomprendeva i debiti in oggetto. Sotto altro profilo, la corte territoriale ha escluso che la documentazione attestante una richiesta di rateizzazione nel 2012, ed accolta parzialmente, inerente a debiti di varia natura, consentisse l’imputazione dei debiti odierni in ragione del fatto che la rateizzazione dei debiti di cui al procedimento penale iniziava a decorrere dal febbraio 2013, in epoca di molto posteriore alla notifica dell’avviso di accertamento Inps del marzo 2011 e aprile 2011 e, dunque, non ricompresa nella rimodulazione del luglio 2012.
6. La prospettazione difensiva e’, in ogni caso, priva di pregio perche’ fondata su un’errata interpretazione degli effetti giuridici del piano attestato ex articolo 67, comma 3 lettera d) della L. Fall..
Il piano attestato di risanamento, cosi come definito dall’articolo 67, comma 3 lettera d) della L. Fall., introdotto dal Decreto Legge n. 35 del 14 marzo 2005, conv. dalla L. n. 80 del 2005 (e successivamente modificato dal Decreto Legge n. 83 del 2012). e’ uno strumento riservato all’imprenditore per risanare l’impresa e riportarla in equilibrio economico e finanziario, attraverso la realizzazione di una serie di operazioni strategiche, garantendo la continuita’ aziendale, senza che vi sia alcun controllo da parte del tribunale, come invece avviene nelle procedure concorsuali di cui all’articolo 182 bis e 161 L. Fall..
Esso prevede esplicitamente l’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione del piano disponendo che “Non sono soggetti ad azione revocatoria….gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purche’ posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali deve attestare la veridicita’ dei dati aziendali e la fattibilita’ del piano…”. E’ uno strumento per il risanamento delle imprese in crisi che si differenzia marcatamente sia dall’accordo di ristrutturazione dei debiti (ex articolo 182-bis L. Fall.) sia dal concordato preventivo (articoli 160 e seguenti L. Fall.) rispetto quali non e’ previsto l’intervento o il controllo della procedura da parte del Tribunale e non e’ obbligatoriamente soggetto ad alcun regime pubblicistico. Si tratta di un atto unilaterale dell’imprenditore che non richiede necessariamente l’accordo con i creditori.
La ratio dell’istituto e’ quella di salvaguardare gli atti esecutivi posti in essere all’interno di un attendibile piano di risanamento aziendale, nel caso in cui il programma non raggiunga il successo sperato e si apra il successivo fallimento dell’imprenditore. La protezione che viene data per questi atti consiste nell’esonerare i terzi, che hanno confidato nella bonta’ del piano e nella sua buona riuscita, dalle conseguenze che essi potrebbero avere nel caso in cui fosse attivata l’azione revocatoria fallimentare. Da tali effetti non si puo’ far discendere, come vorrebbe il ricorrente, l’esenzione dalla punibilita’ per il mancato adempimento all’obbligazione contributiva sull’erroneo rilievo del “congelamento dei debiti” o della “dilazione” dell’adempimento di obblighi di versamento rispetto alla scadenza derivante dalla predisposizione di un piano attestato ex articolo 67 cit.. A fortiori alcuna esclusione della punibilita’ potrebbe ritenersi rispetto a omissione contributive relative a periodi successivi alla predisposizione del piano.
E’ giuridicamente errato ritenere che l’omissione contributiva alla scadenza sia scriminata dall’adempimento del piano (adempimento di un dovere ex articolo 51 c.p.) e cio’ in quanto per la sua stessa natura il piano attestato di risanamento, atto unilaterale dell’imprenditore per risolvere la crisi di impresa in vista di un suo risanamento, garantendo dall’esenzione della revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione del piano, non e’ una procedura concorsuale volta a garantire il soddisfacimento dei creditori secondo un ordine temporale con gli effetti protettivi tipici del concordato preventivo. Da qui la manifesta infondatezza della prospettazione difensiva, anche suggestiva, secondo cui l’imputato non sarebbe punibile per l’omissione contributiva in virtu’ dell’esistenza di un piano attestato. Il debito tributario rimane e deve essere onerato alla scadenza.
Il fondamento dell’istituto in parola e’ diverso da quella attribuito dal difensore; la predisposizione di un piano attesto di risanamento e’ volta a garantire i terzi che vengono in rapporto con l’imprenditore da azioni revocatorie, ma giammai autorizza a ritenere che egli non sia tenuto ad adempiere alle obbligazioni tributarie imposte per legge per il solo fatto di aver predisposto un piano attestato. Da qui la manifesta infondatezza, anche, della deduzione in punto l’esclusione dell’elemento soggettivo che, come e’ noto, e’ a dolo generico e consiste nella volontarieta’ dell’omissione alla scadenza (Sez. 3, n. 3663 del 08/01/2014, Rv. 259097).
7. Il secondo motivo di ricorso attinente al trattamento sanzionatorio e’ generico. Il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato ritenuto “severo”. Il motivo e’ privo di specificita’ e non si confronta con la motivazione della sentenza che aveva determinato la pena, per effetto della pronuncia di prescrizione delle omissioni relative al 2009, in misura prossima al limite minimo edittale e l’aveva ridotta per effetto dell’applicazione delle circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p. alla pena irrogata.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.090,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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