Corte di Cassazione, civile, Sentenza|8 maggio 2024| n. 12534.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
In materia di procedimento civile, l’applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’articolo 113, comma 1, del Cpc, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’articolo 112 del Cpc, in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.
Sentenza|8 maggio 2024| n. 12534. La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
Data udienza 16 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: PROCEDIMENTO CIVILE – Domanda giudiziale – Possibilità per il giudice di assegnare alla questione una diversa qualificazione giuridica – Ammissibilità. (Cpc, articoli 112, 113, 191, 195 e 196)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27053/2019 R.G. proposto da:
Ma.Li., elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato STUDIO GR. (-) rappresentato e difeso dagli avvocati BU.FI. (Omissis), VE.GI. (Omissis)
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO (…), in persona dell’amministratore pro tempore sig. Sa.Fa. elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato Ma.Ri., rappresentato e difeso dagli avvocati SE.ME. (Omissis) E AL.MI.
(Omissis)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1465/2019 depositata il 17/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI.
Udite le conclusioni della Procura Generale, in persona della Dottoressa Luisa De Renzis che ha chiesto rigettarsi il ricorso
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
FATTI DI CAUSA
1. il Condominio (…), sito in E, località M, su terreno costituente una enclave all’interno della proprietà di Ma.Li. -proprietà dalla stessa acquistata in forza di due contratti di compravendita stipulati con No.Ma. nel 1977 e nel 1980-, realizzava, a più riprese e in particolare nel 2004, lavori di recupero della strada bianca, denominata “strada del P” -figurante nell’elenco delle vie vicinali ad uso pubblico del Comune di E-, di collegamento con la viabilità pubblica. La strada attraversava la proprietà Ma.Li..
2. Ma.Li. conveniva il Condominio davanti al Tribunale di Firenze per sentir dichiarare che la strada del P era di sua proprietà, che il Condominio non vi aveva alcun diritto, che i lavori realizzati dal convenuto nel 2004, erano consistiti nell’allargamento della strada con invasione del terreno della attrice e nell’interramento, a margine della strada e nella proprietà della attrice, di opere di canalizzazione di acqua. La Ma.Li. chiedeva che, tanto accertato, il Tribunale condannasse il Condominio alla rimessione in pristino dei luoghi e al risarcimento dei danni.
Il Codominio contestava il fondamento delle domande della attrice, a propria volta, sul presupposto che la strada era una via vicinale privata, chiedeva la condanna della attrice al pagamento della quota di sua competenza delle spese affrontate per l’esecuzione dei lavori.
Il Tribunale di Firenze, rigettava le domande della attrice, accoglieva la riconvenzionale e condannava la attrice al pagamento di Euro. 4.797,00.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
La Corte d’Appello, adita dall’attrice soccombente, con sentenza n. 1465/2019 rigettava il gravame, osservando:
dagli atti di provenienza prodotti dalla Ma.Li., in data 25 ottobre 1977 e in data 12 dicembre 1980, e dalle cartografie allegate, emergeva che la strada del P non era stata oggetto della vendita da Br.Ma. alla Ma.Li. ma era a confine con i terreni compravenduti. In particolare, dagli accertamenti svolti dal CTU e dalla planimetria e dalle fotografie allegate alla sua relazione, risultava smentita la tesi sostenuta dalla attrice in primo grado e in appello, per cui la strada “dal P a B”, indicata come confine in entrambi i contratti, era diversa dalla strada del P oggetto di controversia. Si trattava invece della stessa strada e più precisamente: la strada “dal P a B” era un tratto della strada che dava accesso dalla (…) al Condominio e la “strada del P” era a sua volta solo un tratto della Strada “dal P a B”;
dalle verifiche del CTU in loco era emerso che la strada era di utilità per tutti i proprietari frontisti;
la strada del P era iscritta nell’elenco comunale tra le vie vicinali private ad uso pubblico;
in mancanza di prova della proprietà esclusiva dovevasi presumere, in base alle verifiche del CTU e all’iscrizione nell’elenco comunale delle vie vicinali private ad uso pubblico, la comproprietà della strada da parte della Ma.Li. e del Condominio;
dalla documentazione agli atti e dalla relazione del CTU era emerso che i lavori realizzati da parte del Condominio sulla strada erano
stati sollecitati dal Comune di E, che tra “i richiedenti” delle autorizzazioni al Comune vi era anche la Ma.Li., che i lavori non avevano comportato alcuna alterazione della larghezza della strada essendo consistiti nella rimozione della vegetazione che aveva invaso la sede stradale, nel ripristino del fondo stradale e in opere per la regimentazione delle acque, il tutto senza “sconfinamento” in danno della proprietà Ma.Li.;
il Condominio aveva diritto a ripetere dalla Ma.Li. la quota delle spese sostenute per i lavori a cui aveva provveduto, sia ai sensi dell’art. 1104 c.c. sia ai sensi dell’art. 1110 c.c. sussistendo la necessità di provvedere e configurandosi “trascuranza” della Ma.Li.;
3. contro la sentenza di appello la Ma.Li. propone dieci motivi di cassazione;
4. il condominio resiste con controricorso.
5.La Procura Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso.
6. Le parti hanno depositato memorie.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso viene lamentata “nullità della sentenza per assenza di motivazione (art. 360, c.p.c. comma 1, n.4) e travisamento rilevante (art. 360, c.p.c. comma 1, n.5).
1.1. Il motivo si riduce alla affermazione per cui nel contratto di acquisto concluso dalla ricorrente nel 1977 “la parte venditrice si riserva per sé e per i suoi aventi causa il diritto di passo a favore dei beni indicati nel fogli di mappa Omissis sulla strada colorate in blu”. Da qui secondo la ricorrente dovrebbe ricavarsi che la strada -essendo quella oggetto di causa- le sarebbe stata trasferita.
1.2. Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ribadendo, con diffuso esame del titolo di acquisto de quo, quanto già rilevato dal Tribunale, ha escluso che il titolo traslativo abbia riguardato la strada vicinale di cui trattasi.
La struttura argomentativa della sentenza in esame si sottrae ad ogni possibile censura.
È possibile censurare per cassazione solo anomalie motivazionali che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. SU 8053/2014): “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”; “motivazione apparente”; “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”; “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
La Corte di Appello ha osservato che dagli atti di provenienza prodotti dalla Ma.Li., in data 25 ottobre 1977 e in data 12 dicembre 1980, e dalle cartografie allegate, emerge che la strada del P non era stata oggetto della vendita da Br.Ma. alla Ma.Li. ma era a confine con i terreni compravenduti.
Si tratta di motivazione chiara e coerente.
Ciò posto, la struttura argomentativa del motivo prospetta che il contenuto del contratto del 1977 sia diverso da quello che i giudici di merito hanno accertato essere: scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito.
Si applica il principio per cui “È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (SU 34476/2019).
2. Con il secondo motivo di ricorso viene lamentata “violazione dell’art. 949 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2727-2729 c.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e n. 4 c.p.c. comma 1, n.5”.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
2.1. Questo motivo si ricollega al precedente.
Vi si sostiene in premessa che la ricorrente ha dimostrato di aver acquistato la strada in base a titolo valido.
Viene quindi dedotto che, avendo la ricorrente dato tale dimostrazione, la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 949 e le altre norme evocate, in quanto si sarebbe distaccata dal principio per cui nell’azione di accertamento negativo della servitù, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché l’attore ha non già l’onere di fornire, come nell’azione di rivendicazione, la prova rigorosa della proprietà del fondo mediante titoli di acquisto o di usucapione, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un valido titolo e, una volta assolto tale onere, spetta al convenuto provare l’esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dalla controparte.
2.2. Il motivo è inammissibile perché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge assume -cioè, postula- che i fatti non siano quelli accertati dai giudici di merito.
3. Con il terzo motivo di ricorso viene lamentata “nullità della sentenza per vizio di ulta e/o extra petizione (art. 360, c.p.c. comma 1, n.4). Deduce la ricorrente che il Condominio, nella comparsa di costituzione, aveva scritto che “la strada vicinale del P essendo di uso pubblico non può essere oggetto di proprietà privata ed a maggiore ragione di comproprietà”. La Corte di Appello riconoscendo che la strada era in comproprietà avrebbe riconosciuto al Condominio un diritto proprietario che il Condominio aveva escluso di avere.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
3.2. Il motivo è infondato.
Va ricordato che il Condominio aveva chiesto in via riconvenzionale la condanna della odierna ricorrente al rimborso della quota parte della spese per i lavori effettuati sulla strada e ciò ai sensi dell’art. 1104 o 1110 c.c. Entrambe le norme sono relative alla comunione. La Corte di Appello ha qualificato il diritto che il Condominio ha dedotto di avere sulla strada vicinale privata, frontistante alla sua proprietà, come diritto di comproprietà. La Corte di Appello si è limitata a qualificare in termini di diritto dominicale quel diritto che il Condominio aveva vantato ma che non aveva ritenuto di poter qualificare in termini di diritto dominicale sull’assunto che la strada vicinale privata ad uso pubblico non potesse essere propriamente oggetto di comproprietà.
Non vi è stata quindi alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.
È stato infatti chiarito che “In materia di procedimento civile, l’applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato” (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n.8645 del 09/04/2018 (Rv. 649502 – 01) Ed è stato anche scritto che “”La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali “causa petendi” dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti” (Cass. Sez. 2 – , Sentenza n.11289 del 10/05/2018 (Rv. 648503 – 01).
Va ribadito che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice qualifichi giuridicamente la domanda in senso diverso da come la domanda è stata qualificata dalle parti.
4. Con il quarto motivo di ricorso viene lamentata “violazione degli artt. 191, 195, 196 c.p.c. e dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 360, c.p.c. comma 1, n.3 e n. 4 nella parte in cui la Corte di Appello ha delegato al consulente il giudizio sulla qualificazione giuridica dei fatti e atti al fine di pronunciarsi in merito alla proprietà”.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
4.1. Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha basato la propria decisione su un duplice argomento: non esservi, a favore della odierna ricorrente, un titolo derivativo avente ad oggetto la strada; essere la strada ricompresa tra le strade vicinali private ad uso pubblico e, come tale, presuntivamente, una strada di tutti i frontisti. Questo duplice argomento è stato tratto da un esame autonomo da parte della Corte di Appello dei due contratti di acquisto conclusi dalla ricorrente e da un dato incontroverso (l’inclusione della strada nell’elenco, come ricorda la stessa ricorrente, era stata evidenziata già nell’atto di citazione originario). La Corte di Appello si è rifatta agli accertamenti svolti dal CTU solo laddove ha rilevato che da tali accertamenti risulta smentita la tesi sostenuta dalla attrice in primo grado e in appello, per cui la strada “dal P a B”, indicata come confine in entrambi i contratti, era diversa dalla strada del P oggetto di controversia. La Corte di Appello non ha demandato al CTU alcuna qualificazione giuridica della strada. Ha sì ricordato che il CTU aveva “nella relazione integrativa precisato che si tratta di strada privata di tutti coloro che vi si attestano ed è una entità unica in tutto il suo tracciato che vi si indivisa ed indivisibile proprio per le caratteristiche di utilità per tutti i frontisti e non è di esclusiva proprietà di un singolo soggetto in quanto frontista in un solo tratto di strada”, ma ha basato la qualificazione della strada sulle ricordate proprie autonome valutazioni dei titoli di provenienza della ricorrente e della rilevanza presuntiva della inclusione della strada nell’elenco delle vie vicinali private.
5.Con il quinto motivo di ricorso viene lamentata “violazione dell’ art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132 comma 2, n.4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda formulata ex art. 2043 c.c. (art. 360, c.p.c. comma 1, n.3) e in relazione all’art. 360, c.p.c. comma 1, n. 4 (nullità della sentenza). Assenza della sentenza per omessa motivazione (violazione dell’art. 132 n.4)”.
5.1. Il motivo è inammissibile. Sotto la rubrica appena riportata -contraddittoria in quanto non possono ricorrere assieme i vizi di omessa motivazione, presupponente una pronuncia, e di omessa pronuncia- la ricorrente mira a sostenere che vi sarebbe stato da parte del Condominio, con i lavori realizzati sulla strada, uno sconfinamento dannoso sulla proprietà di essa ricorrente e che la Corte di Appello avrebbe negato il danneggiamento pur dopo avere riconosciuto che i lavori comportarono “movimenti di tessa visibili nelle foto”. La motivazione della sentenza è assolutamente lineare:
la Corte di Appello a pagina 11 e a pagina 12 della sentenza ha evidenziato che, dagli accertamenti del CTU, era emerso che “la strada non era stata alterata”. In sostanza, sotto l’usbergo del prospettato difetto di motivazione, la ricorrente postula che i fatti non siano quelli accertati dai giudici di merito.
6. Con il sesto motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione dell’ art. 116 c.p.c., e dell’art. 132 n.4 c.p.c., in relazione all’art. 360, c.p.c. comma 1, n. 4 e n.5”.
Viene dedotto che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del dato -pacifico perché risultante anche dalla comparsa di costituzione del Condominio- per cui quest’ultimo aveva apposto canalette “a lato della strada”. Dacché, secondo la ricorrente, la conclusione che la strada era stata ampliata.
6.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha dato conto del posizionamento delle “opere di regimentazione delle acque” subito dopo aver affermato (a pagina 15 e a pagina 16) che la strada non era stata alterata. Ha così confermato l’accertamento del Tribunale escludendo lo sconfinamento lamentato dalla attrice appellante. Al di là della rubrica, il motivo veicola non una censura di omesso esame di fatti -censura che, peraltro, sarebbe inammissibile atteso che a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c.- bensì ancora una volta l’assunto per cui i fatti non starebbero come la Corte di Appello e il Tribunale hanno accertato che stanno.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
7. Con il settimo motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione degli artt. 922, 948, 1100, 2697 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. Travisamento della prova (art. 360, c.p.c. comma 1, n.5) che ha portato la Corte di Appello a ritenere che si fosse costituita, con riguardo alla strada in questione (qualificata come strada vicinale ad uso pubblico) una comunione incidentale prescindendosi dal conferimento di quote di terreno da parte dei proprietari dei fondi contigui e dalla effettiva realizzazione della strada medesima a seguito di tale conferimento”.
7.1. Il motivo è inammissibile perché non attiene alla ratio della decisione bensì ad una questione che la Corte di Appello ha espressamente definito “non dirimente”. La Corte di Appello ha dato conto del fatto che la odierna ricorrente aveva sollevato la questione per cui la strada non avrebbe potuto essere definita come strada agraria formatasi ex collatio agrorum privatorum in difetto di prova del conferimento di terreni da parte dei proprietari frontisti. La Corte di Appello ha evidenziato che non era dirimente stabilire come la strada vicinale si fosse formata (v. pagina 10 sentenza citata) essendo dirimente solo che la ricorrente non aveva dato prova di essere proprietaria esclusiva della strada e che si trattava di strada vicinale.
Il motivo che -come quello in esame- non coglie la ratio decidendi è inammissibile per difetto del requisito dell’ interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. (si vedano, tra molte, Cass. n.19989 del 10/08/2017; Cass. 8247/2024 e Cass. 10168/2018, in motivazione).
8. Con l’ottavo motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione dell’ art. 111 Cost. e degli artt. 102 e 107 c.p.c. nonché degli artt. 1104 e 1110 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.”.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
Deduce la ricorrente che la Corte di Appello avrebbe errato nel confermare l’accoglimento della domanda proposta dal Condominio ai sensi degli artt. 1104 e 1110 c.c. malgrado che il Condominio non avesse chiamato in causa il Comune di E e tutti “gli eventuali terzi proprietari degli immobili” frontisti. Viene poi dedotto che la Corte di Appello non avrebbe potuto applicare l’art. 1104 ne l’art. 1110 c.c. essendo la strada di proprietà esclusiva di essa ricorrente.
8.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Quanto alla prima deduzione si osserva, per un verso che, come la Corte di Appello ha ricordato, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “La norma dell’art. 1104 cod. civ. per cui ciascun partecipante alla comunione deve contribuire nelle spese per la conservazione e il godimento della cosa comune, trova applicazione pure con riguardo a strada vicinale soggetta a servitù di uso pubblico, ancorché per la sua amministrazione non risulti costituito il consorzio pubblico, previsto dagli art. 3 del d.l. 1 settembre 1918 n. 1146 e 14 della legge 12 febbraio 1958 n. 126, con la conseguenza che per la manutenzione della detta strada, cui abbia provveduto la comunione dei privati proprietari della stessa questa è legittimata a recuperare da ciascun partecipante la quota dovuta per le spese relative” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5272 del 28/08/1986) e, per altro verso, che l’obbligazione di rimborso delle spese che grava sul partecipante alla comunione nei confronti del compartecipe che le abbia anticipate per ovviare ad una situazione di trascuranza non è un’obbligazione che coinvolge in alcun modo partecipanti alla comunione ulteriori rispetto a quello nei cui confronti può e deve essere chiesto, pro quota, l’adempimento. In linea generale il litisconsorzio suppone che una domanda debba essere strutturata, per essere utile in modo soggettivamente conforme ad una previsione di legge che imponga la relativa proposizione nei confronti di più soggetti.
Non esiste alcuna previsione di legge che imponga di agire ex artt. 1104 e 1110 c.c. nei confronti di tutti i compartecipi alla comunione per ottenere da un singolo compartecipe la quota delle spese di sua competenza.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
In riferimento alla prima deduzione può aggiungersi che la ricorrente, ove vi fosse stata una ipotesi di litisconsorzio, non avrebbe potuto limitarsi alla generica allegazione a cui si è limitata e per cui al processo avrebbero dovuto partecipare tutti “gli eventuali terzi proprietari degli immobili” frontisti. Una allegazione così formulata determina l’inammissibilità del motivo per difetto di specificità (art. 366 c.p.c.). E’ stato infatti statuito: “In tema di litisconsorzio necessario, la parte che denunci per cassazione la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c., ha l’onere di indicare nominativamente, nel ricorso, le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell’integrità del contraddittorio, nonché di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a questi elementi, tale da non consentire alla S.C. di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n.10168 del 27/04/2018). Quanto alla seconda deduzione si osserva che la stessa ripropone ancora una volta l’assunto smentito dai giudici di merito per cui la strada apparterrebbe alla ricorrente.
Si tratta non di una censura ma della inammissibile postulazione che i fatti non sono quelli accertati dai giudici di merito.
9. Con il nono motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria (art. 360, nn.3 e 4 c.p.c.). Il quantum. In ipotesi, riproposizione della domanda risarcitori per l’ipotesi di decisione nel merito in questa sede o per il giudizio di rinvio che venisse disposto”.
9.1. Deduce la ricorrente che “la Corte di Appello, ritenendo infondata l’azione ex art. 949-1067 c.c. ha di conseguenza omesso di pronunciarsi sula domanda risarcitoria”.
9.2. Il motivo è inammissibile perché non tiene conto delle statuizioni della sentenza impugnata che ha espressamente rigettato la domanda risarcitoria sul rilievo per cui i lavori realizzati dal Condominio non avevano prodotto danni alla proprietà della ricorrente.
10. Con il decimo motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 345, 287 ss. (art. 360, n.3 e 4 c.p.c.)”.
Il motivo è riferito alla statuizione della Corte di Appello per cui la richiesta formulata dal Condominio con appello incidentale perché la decisione di primo grado fosse integrata nella parte relativa alle spese di causa con la liquidazione anche delle spese di CTP doveva essere accolta malgrado che l’appello incidentale fosse tardivo perché tale domanda non “richiedeva neppure l’appello incidentale” integrando una istanza di correzione di errore materiale.
10.1. Il motivo è infondato.
Va precisato che, come emerge della sentenza impugnata, il giudice di primo grado aveva posto le spese a carico della attrice, interamente soccombente, ma aveva omesso, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di liquidare le spese di CTP. La Corte di Appello ha escluso che nella condanna alle spese operata dal giudice di primo grado fossero incluse -pur senza essere specificamente quantificate- le spese di CTP. Ciò posto, poiché il riconoscimento delle spese relative alla consulenza tecnica di parte, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate -a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 1, della facoltà di escluderle dalla ripetizione perché eccessive o superflue(v. tra altre, Cass. 28309/2020; Cass. 25 novembre 1975, n.3946; Cass., 16 giugno 1990, n.6965; Cass. 3 il gennaio 2013, n. 84), legittimamente la Cort di Appello ha fatto ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali, atteso che, nel contesto specifico, la omessa pronuncia del giudice di primo grado si collega ad una mera disattenzione del giudice.
11. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 16 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria l’8 maggio 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply