La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 maggio 2024| n. 13840.

La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito

La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito, non rientrando tale provvedimento tra le cautele idonee ad anticipare gli effetti della decisione di merito, secondo la definizione di cui all’articolo 669 octies, comma 6, del Cpc, e quindi in grado di stabilizzarsi in difetto della successiva causa di merito. Il sequestro conservativo non anticipa gli effetti della decisione di merito, ma serve a garantire il possibile risultato finale, rappresentato dalla soddisfazione del diritto di credito, convertendosi, in caso di sentenza di condanna, in pignoramento. Il rapporto di stretta strumentalità della suddetta misura con la decisione di merito comporta che le spese del procedimento svoltosi ante causam vanno liquidate sulla base degli stessi parametri vigenti al momento della decisione di merito.

Ordinanza|17 maggio 2024| n. 13840. La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito

Data udienza 24 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto privato – Cattiva esecuzione – Risarcimento dei danni – Natura extracontrattuale – Domanda riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c. – Interessi di natura compensativa e rivalutazione monetaria – Computo

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere – Rel. Est.

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

ha pronunciato la seguente

O R D I N A N Z A

sul ricorso proposto da:

Bu.Gi. e Sc.Fa., rappresentati e difesi per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati Al.Fo. e Lo.Bi., elettivamente domiciliati presso l’indirizzo digitale pec dei difensori.

– Ricorrenti –

contro

Gi. Srl in liquidazione, con sede in B (P), in persona del liquidatore sig. Ba.Gi., e Bi. Immobiliare Srl, con sede in P, in persona del legale rappresentante sig. Fe.Al., rappresentate e difese per procura alle liti allegate al controricorso dagli Avvocati prof. Cl.Ce. e Si.Pi., elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avvocato Lu.Ni. in Roma, (…).

– Controricorrenti –

e

Ba.En., rappresentato e difeso per procura alle liti allegata al controricorso dall’Avvocato Al.Ca., elettivamente domiciliato presso il suo studio in San Giovanni alla Verna (PI), via (…).

– Controricorrente –

e

(…) Assicurazioni Spa

– Intimata –

avverso la sentenza n. 1479/2018 della Corte di appello di Firenze, depositata il 21. 6. 2018.

Udita la relazione sulla causa svolta dal consigliere Mario Bertuzzi nella camera di consiglio del 24. 4. 2024.

La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 1479 del 21.6.2018 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannò le società Gi. in liquidazione e Bi. Immobiliare al pagamento in favore di Sc.Fa. e Bu.Gi. della somma di Euro 30.202,50, a titolo di risarcimento dei danni per la cattiva esecuzione di una porzione della palizzata di contenimento dei giardini delle loro unità immobiliari e Ba.En., in qualità di subappaltatore, a tenere indenni le suddette società dalle conseguenze della predetta condanna.

Il giudizio era stato introdotto da Sc.Fa. e Bu.Gi., che, dopo avere ottenuto un sequestro conservativo in danno delle società Gi. e Bi. Immobiliare, ne avevano chiesto la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa del crollo della palizzata, esponendo di avere acquistato dalle società convenute, che ne erano anche le costruttrici, ciascuno per proprio conto, due appartamenti con annessi giardini, che, ricavati da un terrapieno artificiale, dovevano essere provvisti di idonea palizzata di contenimento.

Le società convenute, costituitesi congiuntamente, dedussero di avere realizzato, su incarico degli attori, solo una parte della palizzata, per una lunghezza di 30 metri rispetto ai 52 metri esistenti, mediante subappalto alla ditta di Ba.En., che chiamarono in causa a titolo di garanzia e che, a sua volta costituitosi, respinse ogni addebito e chiamò in causa la società (…) Assicurazioni.

Il Tribunale di Pisa, con sentenza n. 1599 del 2014, accolse in parte le domande degli attori, condannando le società Gi. e Bi. Immobiliare al pagamento della somma di Euro 75.000,00 e il Ba.En. a tenere indenni queste ultime nella misura della metà, respingendo la domanda del Ba.En. nei confronti della (…) Assicurazioni.

Proposto appello da parte di tutte le parti, la Corte di appello di Firenze, in accoglimento del gravame avanzato in via incidentale dalle società convenute, ridusse l’ammontare del danno, che liquidò nella somma di Euro 30.202,50.

La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito

La Corte motivò tale conclusione affermando che non era stato possibile accertare se, al momento dell’acquisto degli appartamenti da parte degli attori, la palizzata fosse stata già realizzata e per quanti metri di lunghezza; che risultava invece che essa era stata commissionata dalle società Gi. e Bi. Immobiliare al Ba.En., in adempimento degli obblighi su di esse gravanti, in quanto costruttori e venditori degli immobili, di sistemazione dei giardini; che appariva tuttavia non contestato ed inoltre provato dalle deposizioni testimoniali che l’opera commissionata dalle predette società aveva interessato solo una parte della palizzata poi realizzata, per la minore lunghezza di 30 metri; che conseguentemente le società convenute dovevano rispondere soltanto per i danni derivanti dalla cattiva esecuzione di tale parte del manufatto; che, ai fini della liquidazione del danno, assumevano rilevanza decisiva le fatture prodotte dagli stessi attori per i lavori di riparazione, pari ad una spesa complessiva, compresa l’iva, di Euro 52.350,76; che la domanda degli stessi di risarcimento di danni ulteriori non risultava provata; che, pertanto, le società convenute dovevano essere condannate, con diritto ad essere tenute indenne dal Ba.En., al pagamento della somma corrispondente, in proporzione, alla parte dell’opera da loro appaltata.

Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 21. 1. 2019, hanno proposto ricorso Bu.Gi. e Sc.Fa., affidandosi a cinque motivi.

Le società Gi. in liquidazione e Bi. Immobiliare, da un lato, e Ba.En., dall’altro, hanno notificato distinti controricorsi.

I ricorrenti e le parti controricorrenti hanno depositato memoria.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., censurando l’affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto che le società venditrici non avevano appaltato al Ba.En. tutta la palizzata, ma soltanto una parte, corrispondente alla lunghezza di 30 metri sui 52 esistenti.

Si sostiene al riguardo che tale accertamento è errato, non avendo tenuto conto che l’appalto dell’intero manufatto non risultava contestato, che esso era stato ammesso nella istanza di accertamento tecnico preventivo, che, a seguito della denuncia degli esponenti, le società avevano proposto nei confronti del Ba.En. ed era altresì desumibile dal testo dei contratti di vendita, che prevedevano la cessione di un resede estero destinato a giardino munito di palizzata.

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Il motivo è inammissibile e per il resto infondato.

La sentenza impugnata ha fondato il proprio accertamento sulla circostanza che le società costruttrici avevano appaltato solo una parte della palizzata, richiamando sul punto le conformi deposizioni dei testi che avevano lavorato alla esecuzione dell’opera.

Tanto precisato, il motivo è inammissibile perché le censure investono un accertamento di fatto demandato alla esclusiva competenza del giudice di merito, non sindacabile, in quanto tale, dinanzi a questa Corte, che quale giudice di legittimità non può rivalutare i fatti e gli elementi di prova su cui il giudice di merito ha fondato il proprio convincimento.

In relazione alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., le censure sollevate non si conformano all’orientamento di questa Corte, la quale ha precisato che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli dalla legge, mentre la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, attribuendole un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente mezzo di prova (Cass. S.U. n. 20867 del 2020).

Identico epilogo merita la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., essendo essa configurabile, sulla base della giurisprudenza di legittimità, soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia asseritamente errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (Cass. n. 18092 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 10569 del 2018; Cass. n. 15107 del 2013).

Il motivo è anche infondato laddove deduce che sul punto non vi era contestazione delle società convenute, risultando dalla lettura della sentenza impugnata che esse, sia nella comparsa di risposta in primo grado che articolando uno specifico motivo di appello, avevano dedotto di avere appaltato solo una parte della palizzata.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., per avere il giudice territoriale fondato il proprio accertamento sulla considerazione che gli odierni ricorrenti non avevano contestato l’affermazione della decisione di primo grado secondo cui non era ” possibile accertare se al momento dell’acquisto degli appartamenti da parte degli attori la palizzata fosse già stata realizzata e per quanti metri lineari “.

Si assume al riguardo che l’argomentazione accolta dalla sentenza è errata, in quanto la mancata proposizione di un motivo di appello non poteva portare a ritenere formato un giudicato parziale sul punto, configurabile solo in relazione a domande autonome e non con riguardo a mere affermazioni di fatto.

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Il motivo è inammissibile.

La lettura della sentenza impugnata evidenzia che la motivazione della Corte di appello oggetto di censura è funzionale al rilievo, che il giudice di appello ha condiviso con quello di primo grado, che l’oggetto della vendita non comprendeva anche la palizzata di cui si discute, con conseguente impossibilità di configurare, in relazione ad essa, una responsabilità diretta delle società venditrici. Rilievo sostenuto dalla considerazione che i suddetti contratti di vendita nemmeno prevedevano le modalità, in termini di materiali da impiegare e lunghezza, del suddetto manufatto.

Ciò premesso, la censura non coglie nel segno in quanto conferisce alla affermazione impugnata un significato non proprio, avendo la Corte distrettuale semplicemente dato atto che la circostanza sopra riferita non era contestata, non già affermato che il relativo accertamento era coperto da giudicato interno.

Si aggiunge che la conclusione accolta risulta altresì motivata dal richiamo alle dichiarazioni rese dai testi.

4. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere liquidato il danno senza previsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, sul presupposto che essi non erano stati disposti dal giudice di primo grado e la relativa omissione non aveva formato oggetto di motivo di appello. Il ricorso sostiene, in contrario, che trattandosi di accessori del credito risarcitorio, essi andavano disposti e che la questione era stata comunque devoluta al giudice di secondo grado, avendo gli attori proposto appello incidentale sull’ammontare del danno liquidato dalla sentenza del Tribunale.

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Il motivo è fondato.

Assorbente a tal fine è la considerazione che, pure in mancanza di una espressa presa di posizione sul punto da parte della Corte distrettuale, al danno lamentato dagli attori deve riconoscersi natura extracontrattuale, essendo la domanda da loro proposta riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c.

In questo senso depone la esposizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata, da cui risulta gli attori avevano agito nei confronti delle società convenute per la loro veste di venditori degli appartamenti e costruttori della palizzata, deducendo che, nel corso di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato un probabile pericolo di cedimento dell’opera, con conseguente rischio per l’incolumità pubblica, e che essa era poi effettivamente crollata, facendo dirupare il giardino con danni ai muri portanti degli appartamenti. La Corte di appello ha accolto, sia pure parzialmente, la domanda degli attori di risarcimento del danno, dichiarando le società convenute responsabili per la cattiva realizzazione dell’opera, per la loro veste di venditori e costruttori, affermando che essa presentava difetti costruttivi, consistenti in un generale sottodimensionamento dell’opera rispetto al carico affidatole.

Nessun rilievo escludente ai fini di tale qualificazione assume nella specie la natura dell’opera, consistente in una palizzata, estendendo l’art. 1669 c.c. la garanzia ivi prevista non solo agli edifici ma anche alle “altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata”, nel cui ambito ricade anche il manufatto in questione, destinato, da quanto risulta, non solo a delimitare la superficie esterna degli immobili degli attori, ma anche a sostenere un terrapieno.

Da ciò consegue che al danno lamentato dagli attori va riconosciuta natura extracontrattuale, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che qualifica la responsabilità dell’appaltatore e del costruttore venditore per rovina o pericolo di rovina o altri gravi difetti di un bene immobile prevista dall’art. 1669 c.c. nell’ambito della categoria generale della responsabilità per fatto illecito.

Tale qualificazione porta a ritenere fondata la censura formulata, dovendosi ritenere che gli interessi, di natura compensativa, e la rivalutazione monetaria siano componenti naturali del danno da illecito extracontrattuale, originate dallo stesso fatto, avendo la funzione di riequilibrare la pretesa risarcitoria proporzionandola al momento in cui il danno viene liquidato. La conseguenza è che tali voci, quali componenti del danno, sono dovute dal momento del fatto illecito (art. 1219, comma 2 n. 1, c.c.), fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione (Cass. n. 5008 del 2005, Cass. n. 8298 del 2011). Ne discende, secondo l’orientamento di questa Corte che appare preferibile, che il giudice, nel momento in cui liquida il danno, ne deve tenere conto, in quanto già compresi nella pretesa fatta valere dal danneggiato, senza che occorra alcuna specifica richiesta dello stesso (Cass. n. 39376 del 2021; Cass. n. 24468 del 2020; Cass. n. 6973 del 2017; Cass. n. 1087 del 2007; Cass. n. 18092 del 2005; in senso difforme: Cass. n. 4938 del 2023). La proposizione dell’appello incidentale da parte degli odierni ricorrenti, che avevano domandato la riforma della sentenza impugnata in punto di quantificazione del danno, investiva pertanto la Corte di appello del potere dovere di provvedere sugli interessi e la rivalutazione monetaria del danno liquidato.

5. Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c. e vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere quantificato il danno sulla base delle fatture in atti, che davano conto delle sole spese per la messa in sicurezza della palizzata, così disattendendo l’accertamento operato dal consulente tecnico d’ufficio.

Anche questo motivo è inammissibile investendo una valutazione di fatto demandata dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito, in disparte il rilievo che il vizio di motivazione non è denunziabile in sede di legittimità, ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., introdotto con D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012.

6. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, per avere la Corte di appello liquidato le spese del procedimento di sequestro conservativo ante causam sulla base dei parametri del D.M. n. 127 del 2004 e non del D.M. successivo del 2014, in vigore al momento della pronuncia.

La misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito

Il motivo è fondato.

Depone in tal senso la considerazione che la misura del sequestro conservativo ha un necessario collegamento con la causa di merito, non rientrando tale provvedimento tra le cautele idonee ad anticipare gli effetti della decisione di merito, secondo la definizione di cui all’art. 669 octies, comma 6, c.p.c., e quindi in grado di stabilizzarsi in difetto della successiva causa di merito. Il sequestro conservativo non anticipa gli effetti della decisione di merito, ma serve a garantire il possibile risultato finale, rappresentato dalla soddisfazione del diritto di credito, convertendosi, in caso di sentenza di condanna, in pignoramento (art. 686 c.p.c.). Il rapporto di stretta strumentalità della suddetta misura con la decisione di merito comporta che le spese del procedimento svoltosi ante causam vanno liquidate sulla base degli stessi parametri vigenti al momento della decisione di merito. Con riferimento ad esse va seguito il principio secondo cui detti parametri trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del relativo decreto ministeriale, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata (Cass. n. 19989 del 2021; Cass. n. 31884 del 2018; Cass. Sez. un. n. 17405 del 2013).

7. Vanno pertanto accolti il terzo e quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che si adeguerà nel decidere ai principi sopra esposti e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il terzo ed il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2024.

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