La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 giugno 2024| n. 16263.

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell’articolo 1438 del codice civile, soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto; il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento.

Ordinanza|11 giugno 2024| n. 16263. La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

Data udienza 3 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: CONTRATTO – Nullità – Violenza morale – Minaccia di far valere un diritto – Rilevanza nel caso di conseguimento di un vantaggio ingiusto – Sussiste. (Cc, articoli 1438, 1998, 2043, 2697 e 2727)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31712/2020 R.G. proposto da:

Gu.Am., elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato CA.FR. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato GI.AD. (Omissis), con domicilio digitale come in atti

– ricorrente –

contro

Sc.Gi., elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato MU.LE. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato PA.ED. (Omissis), con domicilio digitale come in atti

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di LECCE n. 775/2020 depositata il 14/08/2020.

Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 3/0°/2024, dal Consigliere relatore Cristiano Valle;

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

Rilevato che:

i fatti, per quanto ancora rileva in questa sede, sono così riportati dalla sentenza impugnata:

Gu.Am. chiese ed ottenne, nell’anno 2008, dal Tribunale di Brindisi un decreto ingiuntivo, per la somma di Euro trentamila, nei confronti di Sc.Gi.;

questi propose opposizione, affermando: in primo luogo, che l’assegno che egli aveva rilasciato a Gu.Am., alla fine di novembre 2005, doveva servire a evitare che questi proponesse istanza di aumento di sesto nella vendita immobiliare all’incanto nella quale egli si era provvisoriamente aggiudicato un immobile di suo fratello Vi.Sc.; che, peraltro, il Gu.Am. aveva asserito che l’assegno di euro trentamila gli era stato rubato e, pertanto, suo fratello, Vi.Sc. aveva emesso altro assegno, di pari importo del precedente; ma che, successivamente, lo stesso Gu.Am. gli aveva chiesto il pagamento dell’originario assegno di euro trentamila, affermando di averlo recuperato; e che, quindi, aveva richiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo;

Gu.Am. affermava che l’assegno era stato emesso a dicembre 2005 e ribadiva la sussistenza delle ragioni di credito da individuarsi nell’avere egli precedentemente finanziato i fratelli di Sc.Gi., Is. e Vi.Sc. e che il traente dell’assegno di Euro trentamila aveva assunto su di sé la titolarità, quale espromittente, di tutti i debiti dei già menzionati;

l’opposizione al monitorio, nel contraddittorio delle parti, svolta l’istruzione probatoria con l’escussione dei testi addotti dall’una e dall’altra parte, era rigettata dal Tribunale di Brindisi, con sentenza n. 1092 del 25/06/2014;

Sc.Gi. proponeva impugnazione e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 775 del 14/08/2020, resa nel ricostituito contraddittorio delle parti, l’accoglieva e revocava il decreto ingiuntivo;

avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Gu.Am.; resiste con controricorso Sc.Gi.; il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni; il solo ricorrente ha depositato memoria per l’adunanza camerale del 3/04/2024, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione;

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

Considerato che

i motivi di ricorso sono i seguenti:

violazione e falsa applicazione degli artt. 249 cod. pro. civ., in relazione agli artt. 199 cod. proc. pen e 351 e 352 cod. proc. pen. del 1930;

il motivo assume che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere fondato il motivo d’appello relativo alla ritualità dell’assunzione della prova testimoniale con i fratelli di Sc.Gi., Is. e Vi.Sc. e di Vi.St. Gu.Am., sebbene non fossero stati avvertiti dal giudice della facoltà di astenersi, in quanto prossimi congiunti e trattandosi di causa soggetta alle norme previgenti alla legge n. 69 del 18/06/2009 e quindi agli artt. 351 e 352 cod. proc. pen. dell’anno 1930, al quale doveva intendersi riferito il rinvio dell’art. 249 cod. proc. civ.;

il motivo, oltretutto formulato in modo non particolarmente chiaro, è inammissibile: a tacer d’altro, va in via dirimente osservato che le nullità concernenti l’assunzione della prova testimoniale sono di carattere relativo e devono essere fatte valere nell’immediatezza dell’assunzione della prova o nell’udienza immediatamente successiva;

questa corte ha, invero, affermato, con orientamento oramai stabile, che (Cass. n. 24292 del 29/11/2016 Rv. 642802 – 02) “le formalità relative alla deduzione ed all’assunzione della prova testimoniale, in quanto stabilite non per ragioni di ordine pubblico ma per la tutela degli interessi delle parti, danno luogo, per il caso di loro violazione, a nullità relative e, dunque, non rilevabili d’ufficio dal giudice, dovendo essere eccepite nella prima udienza successiva a quella in cui si sono verificate, ove la parte interessata non era presente all’udienza. Nel caso in cui, invece, quest’ultima era presente all’assunzione della prova ed aveva assistito all’atto istruttorio senza formulare opposizione, la nullità, ove esistente, deve considerarsi sanata” e che (Cass. n. 403 del 12/01/2006 Rv. 586201 – 01): “le disposizioni limitative della capacità dei testimoni sono dettate nell’esclusivo interesse delle parti, le quali, pertanto, devono denunciarne l’inosservanza al momento dell’espletamento della prova o nella prima udienza successiva perché, in mancanza di tale, tempestiva eccezione, la nullità deve intendersi sanata”;

l’orientamento comprende l’intera materia delle prove, compresi i divieti di prova testimoniale (si veda da ultimo: Cass. n. 16723 del n. 16723 del 05/08/2020 Rv. 658630 – 01, richiamata dalla difesa del controricorrente; e impregiudicata la questione se i divieti invocati possano applicarsi pure alla prova testimoniale nel processo civile, visto il tenore letterale delle norme di rinvio);

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

ciò posto, nel primo motivo di ricorso non è indicato dove e quando le omissioni relative all’avvertimento della facoltà di astenersi dal deporre siano state ratte constare e, comunque, siano state dedotte, cosicché il motivo risulta di per ciò solo, inammissibile;

si tratta, inoltre, di questione che investe la capacità a testimoniare, il cui rilevo non può essere dedotto, per la prima volta, in sede di legittimità (Cass. n. 2075 del 29/01/2013 Rv. 624951 -01);

il secondo motivo pone censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 1998, 2043, 2697 e 2727 cod. civ. e 163, 345 e 584 cod. proc. civ., nonché degli artt. 40 e 41 cod. pen., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 cod. proc. civ.;

il ricorrente afferma che la Corte territoriale ha errato nel ritenere riaperto uno spazio valutativo a seguito della ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali di Is., Pa. e Vi.Sc., pervenendo, in tal modo, a una illegittima applicazione della regola del più probabile che non, con violazione delle norme del codice penale in tema di nesso di causalità e degli artt. 2043, 2697 e 2727 cod. civ. e 115 e 116 codice di rito civile;

il motivo, come risulta dalla stessa esposizione, è fattuale e cade sulla valutazione del materiale istruttorio compiuto dalla Corte d’appello e sulla sostanziale adeguatezza della motivazione fornita dai giudici di merito sulle ragioni della scelta delle prove ritenute idonee a fondare la ricostruzione dei fatti, una volta che le testimonianze dei fratelli di Sc.Gi., Is. e Vi.Sc., erano state ritenute pienamente utilizzabili dal giudice dell’impugnazione, in quanto non colpite da vizi procedurali come pure, per intero, e non soltanto per alcun stralci, quella di Pa.Sc., padre dei tre Sc.;

la motivazione della Corte territoriale è, sull’ultimo teste, immune da censure, avendo i giudici dell’impugnazione di merito valorizzato l’intero discorso del detto testimone, anche laddove questi affermava che aveva sentito Gu.Am. dire che nel caso di mancato pagamento dell’assegno avrebbe proposto istanza di aumento di sesto nella vendita all’incanto in danno di Vi.Sc., evidenziando che il giudice di primo grado non aveva espresso alcun giudizio di inattendibilità, totale o parziale, del teste Pa.Sc., cosicché le sue dichiarazioni dovevano essere considerate nel loro complesso, ivi compresa la parte riguardante l’affermazione, di forte valenza intimidatoria, del Gu.Am.;

in questa sede è appena il caso di ribadire che (Cass. n. 37382 del 21/12/2022 Rv. 666679 – 05) la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le già menzionate valutazioni discrezionali;

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il secondo motivo è, pertanto, rigettato;

il terzo – e ultimo – motivo deduce violazione e falsa applicazione egli artt. 1438, 1988 e 2697 cod. civ., nonché dell’art. 584 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. e con esso il ricorrente afferma che, all’esito della fase d’impugnazione, non risulta comunque vinta l’esistenza del rapporto sottostante all’emissione dell’assegno bancario, cosicché Sc.Gi. doveva ritenersi in ogni caso obbligato nei suoi confronti; pertanto, avrebbe dovuto escludersi la violazione delle norme di legge rubricate e segnatamente dell’art. 584 cod. proc. civ., rientrando nelle legittime facoltà del Gu.Am., comunque, quella di proporre aumento (all’epoca) di sesto: infatti, la minaccia di far valere un diritto, posta a fondamento della decisione della Corte territoriale al fine di sollevare lo Sc. dall’obbligo di pagamento, è causa di annullamento del contratto soltanto quando è volta al conseguimento di un ingiusto vantaggio, tale non essendo la partecipazione alla gara riaperta dopo l’aggiudicazione provvisoria;

il motivo è infondato: questa Corte conosce la propria giurisprudenza, anche risalente, secondo la quale (Cass. n. 28260 del 20/12/2005 Rv. 586394 – 01) la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell’art. 1438 cod. civ., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto; il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento;

nella specie, tuttavia, la prospettiva è parzialmente e sensibilmente diversa, posto che si è in presenza di una minaccia di far valere un diritto del quale non è accertata l’esistenza, e segnatamente la richiesta di ottenere un pagamento da chi non è obbligato, tale essendo la posizione di Sc.Gi. nei confronti di Gu.Am., posto che la Corte territoriale ha, del tutto correttamente, con ragionamento privo di vizi logici, escluso che vi fosse stato un accordo espromissorio tra i fratelli Sc., cosicché Sc.Gi. non poteva essersi validamente obbligato, e detto agire, da parte del Gu.Am. non rientra nella copertura assicurata dall’art. 1322, comma 2, cod. civ. all’autonomia dei privati, proprio in quanto, nella specie, un diritto, al pagamento di una somma di denaro, non è sorto, né è pervenuto successivamente in capo a Gu.Am. e nei confronti di Sc.Gi.;

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale

d’altra parte, la prospettazione del condizionamento dell’esercizio di una facoltà legittima alla dazione di una somma di denaro integra senz’altro un illecito, poiché altera, intuitivamente, l’andamento della gara, sottraendolo alle libere determinazioni dei partecipanti ed influendo sui suoi esiti in rapporto sostanzialmente sinallagmatico con il conseguimento di una utilità: questa assume, quindi, i connotati di un corrispettivo per l’adozione di una condotta che, invece, deve restare, anche per il legislatore penale, sempre istituzionalmente libera e non condizionata o collegata ad altri patti o accordi tra i diversi interessati o controinteressati;

il rilascio dell’assegno e comunque, la promessa di pagamento da parte di Sc.Gi. è, in conclusione, da ritenersi privo di causa in concreto, non sussistendo una valida causa di obbligazione da parte di questi e, pertanto, l’azione di Gu.Am. volta a ottenere il pagamento non è tutelata dall’ordinamento, in quanto non finalizzata al conseguimento di interessi meritevoli di tutela; il ricorso è, in conclusione, infondato e deve essere rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e, valutata l’attività processuale espletata, in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo, in favore del controricorrente;

la decisione di rigetto del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto;

il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.;

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P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente ai pagamento, in favore dei controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, sezione III civile, in data 3 Aprile 2024.

Depositato in Cancelleria l’11 giugno 2024

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