Corte di Cassazione, civile, Sentenza|30 aprile 2021| n. 11424.
La disciplina dell’indennità risarcitoria ex art. 32 L. n. 183/2010 può trovare applicazione solo nei casi di conversione di contratti di lavoro a termine ab origine di natura subordinata e non anche per contratti di durata formalmente autonomi e poi riqualificati dal giudice come subordinati
Sentenza|30 aprile 2021| n. 11424
Data udienza 7 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Lavoro – Rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Risarcimento del danno – Diritto alle mensilità di retribuzione maturate – Peculiarità delle mansioni – Aspecificità ed apoditticità dei motivi di censura – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9099/2018 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2520/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/09/2017 R.G.N. 1494/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per: accoglimento secondo motivo, rigetto del primo motivo;
udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega verbale Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2520/2017, depositata il 18 settembre 2017, la Corte di appello di Roma ha dichiarato, in riforma della decisione di primo grado, che fra (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.p.A. era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 30 settembre 2002, data del primo di successivi contratti di lavoro autonomo quale esperto artistico, regista e autore di testi per una struttura di programmazione di (OMISSIS), con diritto all’inquadramento nel 4 livello del contratto aziendale e alla qualifica di programmista regista; ha poi condannato la societa’ al pagamento, a titolo risarcitorio, delle mensilita’ di retribuzione maturate dalla offerta della prestazione lavorativa sino alla data della pronuncia giudiziale.
2. La Corte di appello ha ritenuto sussistenti significativi indici della subordinazione del rapporto, individuati: – nella durata dello stesso, protrattosi complessivamente per circa 33 mesi; – nella natura delle mansioni svolte, indispensabili ai fini della realizzazione dei programmi dell’emittente e tali da determinare lo stabile inserimento dell’appellante nell’organizzazione aziendale; – nell’utilizzazione di mezzi e attrezzature di proprieta’ (OMISSIS); – nella presenza pressoche’ quotidiana negli studi dell’emittente radiofonica in orari imposti dalle esigenze del palinsesto; – nell’inserimento nei turni di programmazione estivi; – nella disponibilita’ a sostituire colleghi di lavoro assenti (anche con rapporti di lavoro subordinato) o ad essere impiegato per segmenti di programmazione diversi dal proprio; – nell’assenza in capo al lavoratore di una pur minima struttura imprenditoriale e di qualsivoglia profilo di rischio di impresa: elementi tutti che, globalmente valutati, erano, ad avviso della Corte, tali da indurre a ritenere il rapporto instaurato come di natura subordinata.
3. La Corte ha poi disatteso la tesi, secondo la quale sarebbe spettata al ricorrente solo l’indennita’ di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 e cio’ sul rilievo che tale indennita’ era da intendersi dovuta esclusivamente nei casi di conversione di contratti di lavoro subordinato con termine nullo.
4. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) con due motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.
5. Con ordinanza interlocutoria del 10 settembre 2019 la Sesta Sezione, rilevato un contrasto giurisprudenziale relativamente all’ambito di applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, ha disposto la rimessione del ricorso a questa Sezione per la sua trattazione in pubblica udienza.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2094, 2222, 1362 c.c. e segg., per essere la Corte di appello pervenuta a ritenere la natura subordinata del rapporto esclusivamente sulla base di elementi sussidiari, prescindendo da qualsivoglia indagine sull’esistenza del potere direttivo del datore di lavoro e sulle sue modalita’ di estrinsecazione in rapporto alle esigenze produttive e organizzative aziendali, e per avere, anche nel richiamo e nella valorizzazione degli indici, disatteso principi e orientamenti della giurisprudenza di legittimita’; viene inoltre dedotto il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte trascurato nella sua ricostruzione elementi di fatto rilevanti ai fini della qualificazione del rapporto, come il compenso erogato e le modalita’ della sua corresponsione.
2. Con il secondo sono dedotti la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 e articolo 50, L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 13 e dell’articolo 1424 c.c., nonche’ il vizio di radicale difetto di motivazione, con riferimento a quella parte della sentenza in cui la Corte di appello ha considerato che l’indennita’ risarcitoria fosse dovuta nei soli casi di conversione di contratti di lavoro subordinato con termine nullo, e non anche nei casi di riconoscimento della natura subordinata del rapporto instaurato, procedendo quindi a determinare il risarcimento del danno subito dal lavoratore secondo le regole ordinarie e cioe’ in misura pari alle mensilita’ di retribuzione maturate dall’offerta della prestazione lavorativa alla pronuncia della sentenza.
3. Il primo motivo e’ infondato.
3.1. La sentenza di appello si e’ invero attenuta al consolidato principio di diritto, per il quale, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarita’ delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari – come quelli della collaborazione, della continuita’ delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attivita’ lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale – che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione (in questo senso gia’ Sez. U. n. 379/1999; conformi, fra le molte successive: n. 11182/2000; n. 14071/2002; n. 9256/2009).
3.2. Su tale premessa deve altresi’ e conseguentemente essere disattesa la censura di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, formulata con riguardo all’omesso esame di elementi di fatto riconducibili alle modalita’ di compenso della prestazione, trattandosi di indice che, alla stregua della giurisprudenza richiamata, concorre con gli altri nell’orientare l’opera di qualificazione del rapporto e che, pertanto, non puo’ connotarsi per quella “decisivita’” che e’ richiesta dal modello del vizio motivazionale, nella diversa formulazione introdotta con la riforma del 2012: “decisivita’”, e cioe’ attitudine a determinare un esito difforme della controversia, peraltro neppure specificamente dedotta nell’esposizione della censura (ove e’ fatto riferimento ai tratti concettualmente distinti della “significativita’” e “rilevanza”), fermo restando che l’indice in questione ha comunque formato oggetto di considerazione da parte della Corte di merito (cfr. sentenza impugnata, p. 10).
4. Anche il secondo motivo e’ infondato.
4.1. Deve, infatti, ritenersi che la disciplina, di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, commi 5, 6 e 7, possa trovare applicazione esclusivamente nei casi di conversione di contratti di lavoro (gia’ dall’origine) subordinato con clausola di durata, di cui sia giudizialmente accertata la nullita’, e non anche nei casi, come il presente, di trasformazione di un contratto di lavoro autonomo a tempo determinato per effetto della sua qualificazione come di lavoro subordinato.
4.2. La disciplina in oggetto e’ infatti chiaramente definita, nel suo perimetro applicativo, dalle parole “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato”, che compare al principio del comma 5: ove “conversione”, in un contesto normativo in cui e’ posto espresso riferimento alla materia dei contratti a termine, non puo’ che essere intesa nel senso in cui la nozione e’ utilizzata dalla giurisprudenza di merito e di legittimita’, oltre che dalla dottrina giuslavoristica, e pertanto – come gia’ esattamente precisato da Cass. n. 24100/2019 – “per descrivere il meccanismo in base al quale la nullita’ della clausola di apposizione del termine non produce la nullita’ dell’intero contratto, ma la sua elisione, secondo il meccanismo previsto dall’articolo 1419 c.c., comma 2, comportante la conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, e cioe’ in un contratto privo della clausola accidentale nulla. L’operativita’ di questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal sistema, in altri e’ stabilito espressamente dalla legge (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. n. 29 maggio 2013, n. 13404)”.
4.3. Del tutto e oggettivamente diverso e’ il caso in cui, a seguito di specifica domanda giudiziale di “rilettura” complessiva del rapporto, nei suoi elementi di effettivita’, il giudice pervenga ad una sua diversa qualificazione, ritenendo che esso, dietro lo schermo di una configurazione (come di lavoro autonomo) soltanto formale, sia invece da ricondursi al tipo del lavoro subordinato.
4.4. E’ invero questa un’operazione di tutt’altra natura rispetto all’accertamento della nullita’ di una clausola contrattuale di durata, poiche’ tale accertamento lascia integro il rapporto, cosi’ come definito e voluto dalle parti, sebbene venga a privarlo del termine finale inizialmente (ma illegittimamente) pattuito; mentre l’operazione di riqualificazione e di conseguente trasformazione del rapporto, da lavoro autonomo a lavoro subordinato, si caratterizza per un’attivita’ di emersione della realta’ del rapporto medesimo, nel suo concreto atteggiarsi, con l’effetto di travolgere anche le scadenze finali previste nel primo come nei successivi contratti.
4.5. In sostanza, essendo unico il rapporto di lavoro (subordinato) che si e’ venuto a instaurare tra le parti a decorrere dal 30 settembre 2002, la stipulazione dei successivi contratti non puo’ incidere sulla gia’ intervenuta trasformazione del rapporto, salva la prova di una eventuale novazione o di una eventuale risoluzione tacita di esso: ipotesi, entrambe, peraltro non dedotte ne’ in alcun modo configurabili nella specie ed anzi escluse sostanzialmente dalla Corte territoriale, la quale ha rilevato l’effettivita’ e la continuita’ del vincolo di subordinazione nell’ambito dell’intero rapporto lavorativo svoltosi a decorrere dalla data suindicata.
4.6. In conclusione, risulta estranea alla disciplina dell’indennita’ risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, la fattispecie di un rapporto di lavoro autonomo accertato giudizialmente ab origine come di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato (come nel caso in esame) dietro lo schermo ripetuto di una molteplicita’ di successivi contratti di collaborazione autonoma (in questo senso gia’ Cass. 20209/2016 e da ultimo, in una fattispecie sovrapponibile alla presente, Cass. n. 29006/2020, ove ulteriori riferimenti giurisprudenziali).
5. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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