La cd. divisio inter liberos

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 aprile 2024| n. 9888.

La cd. divisio inter liberos

La cd. divisio inter liberos, regolata ex art. 734 c.c., ricorre ove il testatore intenda effettuare direttamente la divisione, totale o parziale, del suo patrimonio tra gli eredi, mediante formazione delle quote e individuazione dei beni di ciascuna di esse, impedendo, così, il sorgere della comunione ereditaria, mentre, nell’ipotesi ex art. 733 c.c., il testatore non divide i suoi beni, ma si limita a dettare le regole per la futura divisione, con efficacia obbligatoria per gli eredi.

 

Ordinanza|11 aprile 2024| n. 9888. La cd. divisio inter liberos

Data udienza 9 aprile 2024

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 19754-2020 proposto da:

Ca.Gr., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’avvocato Vi.Su., rappresentato e difeso dall’avvocato Ri.Ga., giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ca.Or., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’avvocato Lu.Za., rappresentato e difeso dall’avvocato Al.Lo., giusta procura in calce al controricorso;

Ca.Ol., elettivamente domiciliata in Roma, (…), presso lo studio dell’avvocato Vi.Su., rappresentata e difesa dall’avvocato Ri.Ga., giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 874/2020 della Corte d’Appello di Venezia depositata il 09/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal Consigliere Dott. Mauro Criscuolo;

Lette le memorie del controricorrente;

La cd. divisio inter liberos

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con testamento olografo del 15/9/1993 il de cuius Ca.Um. così disponeva:

“Con il presente testamento annullo ogni mio precedente testamento.

Lascio ai miei tre figli Ca.Ol., Ca.Gr.ed Ca.Or.la legittima. Lascio a mio figlio Ca.Gr., con cui intendo vivere, la disponibile. Poiché voglio evitare liti fraterne, intendo che i miei beni situati nei Comuni di B e T vengano divisi nel seguente modo. Lascio a Ca.Gr.a titolo di legittima e disponibile tutti i fabbricati e campi v 19 (diciannove) intorno alla casa, a Ca.Ol.e Ca.Or.i rimanenti divisi in parti uguali …”.

Ca.Or. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona i germani chiedendo la riduzione delle disposizioni testamentarie del de cuius, deceduto poi in data 11/2/2004, procedendosi alla divisione dell’asse relitto.

Si costituivano i convenuti che contestavano la fondatezza della domanda, chiedendo darsi attuazione alle volontà del de cuius.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 107/2018 accertava la lesione della quota di riserva dell’attore e procedeva alla divisione dei beni secondo il progetto di cui in dispositivo, con la condanna di Ca.Gr. al versamento del conguaglio in favore del germano Ca.Or..

Avverso tale sentenza ha proposto appello principale Ca.Gr. cui ha resistito l’attore proponendo appello incidentale. Ha spiegato appello incidentale adesivo a quello principale Ca.Ol..

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 874 del 9 marzo 2020 ha rigettato i gravami proposti, compensando le spese del grado.

Quanto al primo motivo di appello, che contestava l’esistenza di una comunione ereditaria, la sentenza evidenziava che il testamento aveva inteso solo dettare le regole per la futura divisione, senza procedere direttamente alla stessa, mancando peraltro anche una specifica indicazione dei beni che avrebbero composto il lascito dei figli Ca.Ol. ed Ca.Or..

Anche l’utilizzo del verbo “intendo” sottintendeva una divisione ancora da compiere piuttosto che un’immediata assegnazione il che escludeva che potesse discorrersi di una divisione del testatore ex art. 734 c.c.

Il rigetto del primo motivo implicava il rigetto anche del secondo motivo di appello che contestava l’accoglimento della domanda di divisione.

In relazione al terzo motivo che lamentava il mancato accoglimento dell’eccezione di nullità della CTU per la violazione del contraddittorio e del giusto processo, la sentenza di secondo grado evidenziava che in realtà l’ausiliario aveva effettivamente svolto delle indagini circa la stima dei beni, individuando le fonti di conoscenza alle quali aveva fatto riferimento anche il Tribunale. Infine, in merito al quarto motivo di appello, si sottolineava che era da escludersi che al cortile fosse stato attribuito un valore di stima eccessivo.

Infatti, una volta escluso che la diversa situazione catastale dei beni avesse inciso sulla loro identificazione, la sentenza ribadiva la necessità di valutare congiuntamente gli edifici e le aree scoperte in quanto aventi nel complesso una comune vocazione agricola.

La stima era stata più volte oggetto di chiarimenti da parte del CTU il quale aveva infine chiarito che al cortile era stato attribuito il valore scaturente dalla moltiplicazione tra la superficie ed il valore a mq. pari al 10% del valore delle aree edificate, per un importo complessivo di Euro 182.000,00, importo da reputarsi congruo e corretto.

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Quindi disattesa la richiesta del convenuto di riequilibrare la lesione riscontrata con beni immobili anziché con denaro, era anche rigettato l’appello incidentale di Ca.Or., e ciò in quanto non poteva disporsi l’estrazione a sorte dei lotti, attesa la diversa consistenza delle quote spettanti ad Ca.Or. ed ad Ca.Ol..

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Ca.Gr., sulla base di due motivi.

Ca.Ol. resiste con controricorso adesivo al ricorso principale.

Anche Ca.Or. resiste con controricorso, illustrato da memorie.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 734 c.c. e 1362 e ss. c.c.

Si assume che il testamento del genitore in realtà conteneva una vera e propria divisione del testatore quanto alla quota assegnata al ricorrente, avendo da un lato previsto l’attribuzione della legittima e della disponibile, e dall’altro, individuato i beni che erano destinati a comporre la sua quota.

In realtà l’esigenza di procedere alla divisione era da riferire ai soli beni destinati invece a comporre le quote di Ca.Or. ed Ca.Ol., ai quali i beni residuati all’esito dell’attribuzione al ricorrente, erano stati lasciati in quote eguali e quindi necessitanti di una divisione in natura.

Il motivo è infondato.

Occorre ribadire che (Cass. n. 10761/2019) la “divisio inter liberos”, regolata dall’art. 734 c.c., ricorre ove il testatore intenda effettuare direttamente la divisione, totale o parziale, del suo patrimonio tra gli eredi attraverso la formazione delle quote e l’individuazione dei beni destinati a far parte di ciascuna di esse, impedendo così il sorgere della comunione ereditaria, con la conseguenza che la decisione del giudice ha carattere meramente dichiarativo, dovendosi prendere atto di un effetto ricollegato alla volontà del “de cuius” che si produce automaticamente al momento dell’apertura della successione; ricorre, invece, la fattispecie di cui all’art. 733 c.c. quando il testatore non divide, ma si limita a dettare le regole per la futura divisione con efficacia obbligatoria per gli eredi (conf. Cass. n. 15501/2011).

È stato altresì ribadito che (Cass. n. 18561/2009) l’accertamento della ricorrenza in concreto dell’una o dell’altra fattispecie costituisce indagine di fatto sulla volontà del testatore, non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da corretta motivazione (conf. ex multis Cass. n. 10797/2009; Cass. n. 10306/1996; Cass. n. 5075/1978).

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Poste tali premesse, va poi ricordato che l’interpretazione di un atto negoziale, fra cui rientra anche il testamento, è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

Le censure del ricorrente, pur formalmente ricondotte alla violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, non appaiono però sufficientemente specifiche nell’individuare quale norma di interpretazione sia stata evidentemente violata dal giudice di merito in maniera tale da evidenziare non già la non condivisibilità del risultato ermeneutico raggiunto, ma, come sopra ricordato, l’assoluta implausibilità dello stesso.

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Neanche i criteri teleologico e letterale enunciati a pag. 6 del ricorso appaiono in grado di poter supportare in maniera indefettibile la diversa conclusione cui aspira la parte circa il fatto che, quanto meno per la quota del ricorrente, vi fosse stata un’assegnazione di beni con efficacia traslativa immediata, in quanto non appaiono in grado di rendere irrazionale o del tutto illogica la diversa soluzione della Corte d’Appello.

Il criterio letterale, che fa leva sul richiamo alla divisione da parte del testatore, risulta però contrastato dalla valorizzazione della diversa espressione letterale costituita dall’utilizzo del verbo “intendo” che rende non irragionevole l’assunto del giudice di appello secondo cui la scelta dello stesso fosse funzionale a rappresentare una volontà non già di attribuire immediatamente i beni, ancorché subordinatamente all’apertura della successione, ma quanto piuttosto a fornire delle indicazioni da seguire, in vista della successiva divisione da attuare tra i germani Ca., secondo le quote individuate dallo stesso testatore.

Allo stesso modo anche il richiamo al criterio teleologico, individuato nell’esigenza del de cuius di prevenire future liti tra i figli, non necessariamente deve assecondare una divisione ex art. 734 c.c., sempre in relazione alla quota riservata al ricorrente, ma ben potrebbe giustificare la previsione di assegni divisionali obbligatori ex art. 733 c.c., trattandosi di prescrizioni idonee a vincolare le parti nella successiva divisione, fornendo quindi delle linee guida alle quali le parti devono tendenzialmente adeguarsi nel corso delle operazioni divisionali, prevenendosi anche in tal modo l’insorgenza di conflitti.

Stante l’impossibilità di poter riscontrare una inequivoca e palese violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, ed apparendo quella sostenuta dal ricorrente solo un’alternativa ricostruzione della volontà testamentaria, che però non esclude la plausibilità anche della diversa soluzione del giudice di merito, il motivo di ricorso va rigettato.

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4. Il secondo motivo di ricorso denuncia ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. la violazione degli art. 101 e 195 c.p.c. Si sostiene che la CTU non avrebbe in realtà allegato le fonti dalle quali aveva tratto gli elementi per la stima dei beni oggetto di causa.

Tale omissione determina quindi la nullità della CTU.

Ancora l’ausiliario avrebbe duplicato la stima del mappale n. (omissis), in quanto dopo averlo inizialmente valutato nel suo insieme, alla stima così espressa avrebbe aggiunto anche quella della corte che però è già parte del mappale n. (omissis). Inoltre, avrebbe determinato il valore della detta area in misura eccessiva, attribuendo una stima che eccede quella dell’edificio a servizio del quale è posta.

Il motivo è inammissibile.

Risulta in primo luogo dalla stessa esposizione del motivo come in realtà il CTU avesse analiticamente riportato le fonti delle quali si era avvalso per la stima sicché a fronte di tale indicazione alcuna violazione delle regole del contraddittorio risulta configurabile, posto che, una volta indicati i parametri utilizzati, la parte interessata ben avrebbe potuto evidenziare l’erronea considerazione delle fonti stesse da parte dell’ausiliario, essendo quindi in tal modo assicurato pienamente l’esercizio del diritto al contraddittorio.

Ancora, alcune delle questioni sollevate, come quella relativa alla pretesa duplicazione della stima dei beni di cui al mappale n. (omissis), non risultano espressamente trattate in sentenza né la parte indica in quale scritto difensivo siano state specificamente dedotte, palesandosi in tal modo come nuove che presuppongono accertamenti di fatto, e quindi inammissibili.

Peraltro, la difesa del controricorrente Ca.Or. ha evidenziato che in realtà il CTU avrebbe stimato i beni di cui al mappale n. (omissis) al netto dell’area destinata a cortile, sicché dalla stessa lettura della consulenza si ricaverebbe l’insussistenza dell’errore dedotto.

Tali considerazioni rendono perciò evidente come il motivo difetti evidentemente di specificità ex art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., posto che parte ricorrente, al fine di adeguatamente supportare la censura mossa avrebbe dovuto altresì riportare in ricorso i passaggi della perizia di ufficio dai quali evincere l’effettiva ricorrenza dell’errore.

Quanto invece alla valutazione della corte, la censura appare evidentemente rivolta a contestare il giudizio di fatto reso sul punto dal giudice di appello, che, concordando con le conclusioni cui era pervenuto anche il Tribunale, ha ritenuto corretto l’utilizzo del criterio di stima che riconosce all’area in questione un valore pari al 10% dell’area edificata, ma non nel senso sostenuto dal ricorso, per cui il valore da calcolare a corpo dovrebbe essere pari al 10% del valore dell’edificio, quanto piuttosto che la detta percentuale si riferisce al valore a metro quadro.

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Il valore così attribuito alla corte, che si assume essere eccessivo in relazione alla stima invece assegnata all’edificio, è però frutto della ben ampia superficie su cui si sviluppa tale corte (mq. 2800), essendo evidentemente non condivisibile l’assunto del ricorrente secondo cui all’area cortilizia dovrebbe sempre assegnarsi un valore pari al 10 % dell’edificio a servizio del quale è posta, senza dover anche verificare in concreto le dimensioni dell’area.

Tuttavia, a rendere inammissibile la doglianza è la considerazione che, pur riportando in rubrica la denuncia di violazione di norme di legge, il motivo si palesa evidentemente finalizzato a sollecitare al giudice di legittimità un novello apprezzamento delle risultanze di fatto della controversia, quanto appunto alla stima dei beni caduti in successione, essendo volto quindi nella sostanza a denunciare il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., vizio che però non può essere proposto nella vicenda in esame, attesa l’applicabilità ratione temporis, ed in presenza di una cd. doppia conforme, della disposizione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza, come liquidate in dispositivo, quanto al controricorrente Ca.Or., ricorrendo invece i presupposti per la compensazione con l’altra controricorrente Ca.Ol., attesa la sua adesione al ricorso.

6. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

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P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente Ca.Or., che liquida in complessivi Euro 10.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, dichiarando compensate le spese con la controricorrente Ca.Ol.;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, L. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 9 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria l’11 aprile 2024.

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