Ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 febbraio 2024| n. 3265.

Ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante

Nell’ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante della società, non ricorre la fattispecie del falsus procurator, in quanto quest’ultima presuppone che lo stipulante abbia agito come rappresentante della parte senza esserlo – ossia che sia stato esercitato il potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui, in difetto del suo effettivo conferimento -, e non già che questi abbia falsificato la firma della parte, apponendovi indebitamente la sua sottoscrizione, anziché la propria, con la conseguenza che, non ricorrendo i presupposti per la ratifica ex art. 1399 c.c., il contratto stesso deve ritenersi nullo per difetto del consenso.

Ordinanza|5 febbraio 2024| n. 3265. Ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante

Data udienza 12 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti in genere – Rappresentanza – Contratto concluso dal falso rappresentante (rappresentanza senza poteri) – Ratifica contratto – Stipulazione con firma apocrifa del legale rappresentante di una società – Fattispecie del falsus procurator – Ricorrenza – Esclusione – Fondamento – Conseguenze.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30253/2018) proposto da:

Bu.An. (C.F.: Omissis), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. Vi. Co., nel cui studio in Roma, via (…), ha eletto domicilio;

– ricorrente –

contro

Co.Ga. (C.F.: Omissis), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Pa. Sa., elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio dell’Avv. An. Se.;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 1480/2017, pubblicata il 4 agosto 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;

lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

Ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione del 24 gennaio 2001, Co.Ga. conveniva, davanti al Tribunale di Sulmona, la (…) Srl e Bu.An., al fine di sentire: a) accertare l’inesistenza del contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda, in quanto falsificato nella firma del rappresentante legale della Ale; b) ovvero pronunciare la risoluzione consensuale del contratto; c) ovvero pronunciare la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente cedente, non avendo l’azienda l’avviamento commerciale promesso; d) ovvero pronunciare l’annullamento per dolo del contratto; e) condannare, in ogni caso, Bu.An. alla restituzione della somma di vecchie lire 100 milioni, ricevuta in acconto.

Si costituiva in giudizio la (…) Srl, la quale contestava che la firma apposta sul contratto dal proprio legale rappresentante Piano Amalia fosse falsa nonché la sussistenza di un accordo solutorio. Chiedeva, pertanto, il rigetto di tutte le domande proposte e, in via subordinata, che fosse dichiarata la responsabilità precontrattuale della promissaria cessionaria, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni. Spiegava altresì domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna

dell’attrice alla restituzione di tutte le somme incassate per effetto della temporanea gestione dell’azienda promessa in vendita.

Si costituiva altresì Bu.An., la quale eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, chiedeva il rigetto delle domande spiegate.

Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 74/2010, depositata il 10 febbraio 2010, rigettava le domande principali spiegate dall’attrice e le domande riconvenzionali proposte dalla convenuta (…).

2. Proponeva appello avverso la sentenza di primo grado Co.Ga., la quale lamentava che, in ragione della falsificazione della firma apposta, il contratto era inesistente o nullo.

Si costituiva nel giudizio di impugnazione Bu.An., la quale contestava le ragioni addotte a fondamento del gravame e ne chiedeva il rigetto, negando che vi fosse alcun falso.

Rimaneva contumace nel giudizio d’appello la (…) Srl

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’appello spiegato e, per l’effetto, dichiarava la nullità del contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda e condannava Bu.An. al pagamento, in favore Co.Ga., della somma di euro 51.645,69, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, a titolo di ripetizione dell’indebito oggettivo.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che alla scrittura privata oggetto di causa non poteva annettersi l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art. 2702 c.c., per il fatto che fosse stata riconosciuta dal suo autore apparente, posto che tale disposizione si riferiva all’ipotesi in cui il documento fosse stato prodotto nei confronti del sottoscrittore, il quale, qualora avesse inteso contestare la non autenticità della propria apparente sottoscrizione, avrebbe avuto l’onere di disconoscerla, negando formalmente la propria sottoscrizione, mentre la parte che avesse inteso valersi della scrittura privata disconosciuta avrebbe dovuto chiederne la verificazione; b) che, nel caso di specie, invece, l’attrice aveva promosso il giudizio per far accertare la falsità della sottoscrizione del preliminare, al fine della dichiarazione di inesistenza/nullità e dell’accoglimento della domanda restitutoria fondata su tale accertamento, cosicché avrebbero dovuto applicarsi le ordinarie regole probatorie; c) che il Tribunale aveva accertato la falsità della firma a nome di Piano Amalia, quale legale rappresentante della (…) Srl, sulla scorta della testimonianza resa da Terzini Dario, coniuge della Co.Ga., presente al momento della sottoscrizione del contratto, nonché della sentenza penale del Tribunale di Sulmona n. 570/2007, sicché era stata esclusa la ricorrenza della fattispecie del falsus procurator o della rappresentanza apparente (benché la declaratoria di inesistenza/nullità del contratto fosse stata disattesa dal Tribunale, riconducendo la fattispecie alla figura del contratto sotto nome altrui, nella consapevolezza del titolare del nome e della controparte); d) che la pronuncia penale aveva assolto Bu.An. dal reato di formazione ed uso di scrittura privata falsa, in ragione della natura grossolana del falso, siccome commesso alla presenza della parte offesa e di altri testimoni; e) che, dunque, il contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda era intercorso tra la Co.Ga., in qualità di promissaria acquirente, e la (…) Srl, in qualità di promittente cedente, sicché la falsità della firma del legale rappresentante della società promittente cedente, apposta materialmente dalla Bu.An., aveva determinato la nullità del contratto per mancanza di consenso, in quanto la parte cui il contratto si riferiva non aveva manifestato alcuna volontà negoziale; f) che alla declaratoria di nullità conseguiva il diritto della Co.Ga. alla restituzione della somma di euro 51.645,69, oltre interessi legali, al cui pagamento doveva essere condannata Bu.An., che aveva incassato la somma portata dall’assegno circolare emesso dalla Co.Ga. in suo favore, non risultando allegata in atti alcuna procura all’incasso da parte della società(…).

3. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, Bu.An..

Ha resistito, con controricorso, Co.Ga..

4. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

Ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2733 c.c., per avere la Corte di merito negato valore legalmente vincolante alla confessione giudiziale resa dal legale rappresentante della (…) Srl in sede di interrogatorio formale, in ordine alla apposizione, a sua cura, della sottoscrizione del contratto.

Osserva l’istante che la sentenza impugnata non avrebbe assegnato alla confessione il valore conferitole dalla legge, avendo, invece, fatto prevalere altri elementi, come la prova testimoniale, rispetto all’affermazione chiara e inequivocabile dell’apposizione della firma a cura di Pi. Am..

1.1. Il motivo è infondato.

E tanto perché l’interrogatorio formale è un mezzo diretto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli all’autore della confessione, ad esclusivo vantaggio del soggetto deferente, mentre non può costituire prova di fatti favorevoli alla parte che lo rende (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29472 del 24/10/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 5725 del 27/02/2019; Sez. 2, Sentenza n. 13212 del 06/06/2006).

Ora, per fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte, al fine di stabilire se la dichiarazione dalla quale esso risulta abbia i caratteri della confessione, deve intendersi quello che, avuto riguardo all’oggetto della controversia ed ai termini della contestazione, è in concreto idoneo a produrre conseguenze giuridiche svantaggiose per colui che volontariamente e consapevolmente ne riconosce la verità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11635 del 21/11/1997; Sez. 2, Sentenza n. 4012 del 06/04/1995; Sez. 1, Sentenza n. 1428 del 04/04/1980).

Nella fattispecie, invece, la dichiarazione di Pi. Am., quale legale rappresentante della (…) Srl, circa l’apposizione della sua firma sul contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda, in ragione dei termini attraverso cui si è snodata la controversia, era idonea a produrre effetti giuridici favorevoli alla sfera del dichiarante e sfavorevoli alla sfera della deferente Co.Ga..

2. Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio, ossia l’esito dell’interrogatorio formale di Bu.An., di Pi. Am. e di Co.Ga., nonché i documenti prodotti e segnatamente il registro dei corrispettivi e i corrispettivi giornalieri ed ancora le prove testimoniali assunte.

Ad avviso dell’istante, non sarebbe stata data alcuna rilevanza, oltre che alla prova per interpello deferita a Pi. Am., anche alla dichiarazione confessoria resa da Co.Ga., la quale avrebbe affermato di essere stata immessa nel possesso dei negozi oggetto del preliminare e di avere incassato le somme derivanti dalla vendita; né sarebbero state valutate le testimonianze rese dalle testimoni Di. Ro., Sc. e Fe., le quali avrebbero affermato di essere state alle dipendenze della Co.Ga. per i mesi di luglio-agosto 2000; parimenti, non sarebbe stata menzionata la dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale deferito a Bu.An., con la quale questa avrebbe negato la circostanza di aver apposto la sottoscrizione in luogo di Pi. Am..

E ciò con motivazione apparente e comunque obiettivamente incomprensibile.

2.1. Il motivo è infondato.

Infatti, la pronuncia impugnata ha basato la valutazione in ordine alla falsificazione della firma apposta sul contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda, sia sulle deposizioni, reputate chiare e attendibili, rese dal testimone oculare Terzini Dario, coniuge della Co.Ga. il quale aveva riferito che il contratto era stato sottoscritto da Bu.An., che aveva sottoscritto la scrittura riportando la firma di Pi. Am., non presente al momento della conclusione del contratto , sia sulla motivazione della pronuncia penale n. 570/2007, che aveva mandato assolta Bu.An. dal reato di falso in scrittura privata ex art. 485 c.p., non in quanto la condotta di falsificazione non era stata integrata, ma in quanto si trattava di falso grossolano, tale da non ledere l’oggettività giuridica di categoria protetta dalla norma incriminatrice.

Ebbene, il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21223 del 27/08/2018; Sez. L, Sentenza n. 24092 del 24/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 14973 del 28/06/2006).

Ipotesi che non ricorre nella fattispecie, attesi gli elementi dirimenti considerati dalla pronuncia impugnata (peraltro la falsità era stata ritenuta integrata anche dal Tribunale, benché fosse stata esclusa l’invalidità del contratto), rispetto ai quali gli esiti probatori non esaminati non sono stati addotti alla luce di una loro concreta portata confutativa.

3. Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2702 e 2697 c.c., in relazione agli artt. 214, primo comma, 215 e 216, primo comma, c.p.c., in ordine alla validità ed efficacia della scrittura privata, per avere la Corte distrettuale escluso l’efficacia probatoria privilegiata della scrittura privata, in quanto, nel caso di specie, l’attrice avrebbe promosso il giudizio per l’accertamento della falsità della sottoscrizione al fine di farne dichiarare la nullità/inesistenza ed accogliere la domanda restitutoria fondata sul tale accertamento, con la conseguente applicazione delle ordinarie regole probatorie.

E ciò senza che fossero state determinate le regole probatorie applicate, a fronte della produzione della scrittura.

3.1. Il motivo è infondato.

Ed invero, la falsità della sottoscrizione apparentemente riconducibile alla controparte è stata, nella fattispecie, dedotta dalla stessa parte che ha prodotto la scrittura privata contenente il preliminare di cessione di ramo d’azienda, parte istante che ha chiesto altresì di provare tale falsificazione.

All’esito, la dimostrazione della falsità è stata raggiunta sulla scorta della disamina della prova testimoniale resa dal teste oculare richiamato e avvalendosi delle argomentazioni confermative di cui alla citata sentenza penale.

Non vi erano, dunque, le condizioni affinché, nel caso in esame, venissero applicate le norme processuali sul disconoscimento e sulla verificazione delle scritture prodotte in giudizio.

Infatti, la procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. è dettata per l’ipotesi in cui sia negata la propria scrittura o la propria firma dalla parte contro la quale è prodotto lo scritto, onde è estraneo alla previsione di legge il caso nel quale si contesti l’autenticità di un atto a cura della parte stessa che lo ha prodotto, in ragione della falsità della firma della controparte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12598 del 16/10/2001; Sez. 1, Sentenza n. 4719 del 27/05/1987; Sez. L, Sentenza n. 5675 del 21/10/1980).

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione o falsa applicazione degli artt. 1418, secondo comma, 1325, n. 1, 1398 e 1399 c.c., per avere la Corte del gravame escluso la riconducibilità della volontà negoziale alle parti cui il contratto si riferiva, non tenendo conto del fatto che la (…) Srl, in persona del suo legale rappresentante, aveva riconosciuto la firma come propria, ma ancor prima aveva dato esecuzione al contratto, e così la stessa parte che aveva contestato la scrittura.

Sicché, a tutto voler concedere, avrebbe dovuto ritenersi prestato il consenso del legale rappresentante della Ale attraverso una specifica ed esplicita ratifica, consistita nel dare seguito al contenuto dell’atto sottoscritto, con la conseguente immissione della promissaria acquirente nel possesso e nella gestione dei negozi, com’era comprovato dal registro dei corrispettivi della Gada per i mesi di agosto e settembre 2000 nonché dai corrispettivi giornalieri degli incassi nei mesi di agosto e settembre 2000 e dagli esiti delle prove raccolte.

Con la conseguenza che sarebbe stata applicabile, al caso di specie, l’ipotesi del contratto stipulato dal falsus procurator, con ratifica del rappresentato.

4.1. Il motivo è infondato.

E infatti la fattispecie del falsus procurator presuppone che lo stipulante abbia agito come rappresentante della parte senza esserlo ossia che sia stato esercitato il potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui, in difetto del suo effettivo conferimento e non già che questi abbia falsificato la firma della parte, apponendovi indebitamente la sua sottoscrizione (anziché la propria).

Sicché il soggetto che firmi una dichiarazione negoziale con un nominativo altrui, lasciando apparire quest’ultimo come autore della medesima, non assume in proprio la paternità della stessa (sia pure nella veste di falsus procurator di colui al quale la sottoscrizione si riferisce), con la conseguenza che, non ricorrendo i presupposti per la ratifica ex art. 1399 c.c., il contratto deve ritenersi nullo per difetto del consenso (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 27008 del 26/11/2020; contra, in ordine alla possibilità di applicazione analogica della disciplina sul contratto stipulato dal falsus procurator, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22891 del 10/11/2016).

Non può, pertanto, in tal caso, essere invocata la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1399 c.c., atteso che, nei confronti del soggetto che, sottoscrivendo una dichiarazione negoziale con un nominativo altrui, lasci apparire quest’ultimo come autore delle dichiarazioni sottoscritte, in nessun caso potrà predicarsi la volontà di assumere in proprio (sia pure in difetto dei corrispondenti poteri sostanziali) la paternità delle dichiarazioni negoziali sottoscritte (eventualmente offrendole al potere di ratifica dell’interessato), avendo piuttosto inteso (con l’indicazione, nella sottoscrizione, di un nominativo altrui) che detta paternità risalisse direttamente al soggetto corrispondente al nominativo indicato nella sottoscrizione.

5. In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.

Le spese e i compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Ipotesi di stipulazione di un contratto a cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 12 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 05 febbraio 2024.

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