Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31665.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Massima: In tema di intervento, la possibilità per l’interveniente volontario, principale o litisconsortile, di sollevare eccezioni nuove su fatti già presenti in causa non viola i principi del giusto processo, purché sia garantito il diritto di difesa delle controparti, consentendo loro non solo di replicare all’ampliamento dell’oggetto del giudizio, ma anche di fornire la prova delle proprie contro-eccezioni, eventualmente con lo strumento della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c..

 

Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31665. Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Intervento in causa di terzi – Su istanza di parte (chiamata) – Poteri dell’interventore intervento volontario – Possibilità per l’interventore di formulare nuove eccezioni – Sussistenza – Violazione dei princìpi del giusto processo – Esclusione – Fondamento – Conseguenze per le altre parti.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. VAROTTI Luciano – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 21691/2019 r.g. proposto da:

SI. Spa, rappresentata e difesa dall’Avv. Se.Di., dall’Avv. As.Di. e dall’Avv. Cl.Ga., giusta procur7 8peciale rilasciata in calce al ricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.

– ricorrente –

contro

Comune di Capri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. An.Le., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.Fe., presso lo studio dell’Avv. Co.Sg., in forza di procura in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi di cancelleria all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato

– controricorrente-ricorrente incidentale –

E

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via De.Po., sono ex lege domiciliati

-controricorrenti-

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 182/2019 depositata in data 18/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/12/2024 dal Consigliere dott. Luigi D’Orazio;

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

RILEVATO CHE:

1. La società SI. Spa era gestore del servizio di distribuzione dell’acqua nel comune di Capri e, nel 1966, iniziava lo studio per l’istallazione di un desalinizzatore di acqua marina, al fine di rifornire il Comune.

La società presentava richiesta di contributo in conto capitale ai sensi dell’art. 12 della legge n. 853 del 1971.

Il Ministero per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno (MISM) con decreto n. 2739/1092 dell’8/6/1972 determinava la misura dell’agevolazione, esprimendo parere favorevole (“all’iniziativa della SI. sono concedibili le agevolazioni finanziarie previste dal D.M. 19 aprile 1972, con cui viene determinata la misura delle agevolazioni agli impianti di cui all’art. 12 della legge n. 853 del 1971”).

Si fissava l’importo finanziabile in Lire 3.100.000.000, affidando la materiale erogazione del contributo alla Cassa pe..

La Cassa provvedeva, nel 1973, alla erogazione del contributo in conto interessi sul mutuo di Lire 1.000.000.000 concesso dal Ba.Di. in favore della SI..

La Cassa pe. (ente erogatore) rinviava la decisione – relativa al contributo in conto capitale – per approfondimenti in ordine alla potabilità dell’acqua ed all’idoneità del desalinizzatore a soddisfare l’intero fabbisogno idrico dell’isola.

A questo punto, la SI., su parere del MISM, accedeva, in data 6/8/1974, ad un finanziamento a tasso agevolato ai sensi della legge n. 853 del 1971 con il Ba.Di..

L’impianto entrava in funzione il 15/7/1975 e il Comune di Capri rilasciava autorizzazione l’8/7/1975, consentendo l’immissione dell’acqua desalinizzata nella rete idrica comunale fino al 1978.

2. Tuttavia, la Cassa pe. con la delibera dell’11/2/1977 approvava un progetto alternativo a quello del desalinizzatore, ossia quello relativo alla realizzazione di un acquedotto sottomarino.

3. La SI., con atto del 22/11/1977, diffidava la Cassa pe. ad assumere una definitiva decisione sulla richiesta del contributo.

4. Nell’estate del 1978 entrava in funzione la condotta sottomarina.

5. La Cassa pe. approvava il 30/9/1981 la richiesta di contributo in conto capitale e comunicava che la società era creditrice di Lire 3.376.247.530, per fidi ordinari e rate di mutuo industriale, e di Lire 2.435.825.846 per interessi.

6. La Cassa pe. cessava la propria attività il 4/8/1984. Pertanto, la SI. chiedeva al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Lire 4.068.473.087, di cui Lire 1.937.769.000 a fondo perduto e Lire 2.130.740.087 per interessi per ritardata erogazione.

7. In data 28/1/1986 veniva erogato il contributo, senza interessi, per Lire 1.929.577.000, in parziale accoglimento della richiesta di contributo a fondo perduto.

8. In data 27/6/1988 il Comune deliberava la disdetta in ordine alla concessione del servizio idropotabile.

9. Con atto di citazione del 2/4/2007 la SI. conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), già Ministero del Tesoro, in quanto non adempiente all’obbligo di corresponsione del contributo in conto capitale, chiedendo: a) dichiararsi la responsabilità del ministero “non tempestivamente adempiente all’obbligo di corresponsione del contributo in conto capitale”, con condanna a corrispondere all’attrice gli interessi, calcolati al tasso bancario dell’epoca dal 15 luglio 1975 sino al 28 gennaio 1986 (data di erogazione del contributo), pari ad Euro 3.345.396,039, con rivalutazione ed interessi; b) dichiarare la responsabilità esclusiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) per i danni “da mancanza di liquidità conseguenti al ritardo nell’erogazione del contributo in conto capitale e per l’effetto condannare lo stesso al pagamento di Euro 1.100.416,826 con rivalutazione ed interessi”; c) dichiarare la responsabilità esclusiva del Comune di Capri “per i danni derivanti dai costi per l’attività di manutenzione dell’impianto di dissalazione e del costo del personale e per l’effetto condannare lo stesso al pagamento in favore di SI.

di Euro 9.960.101,65, con rivalutazione ed interessi”; d) dichiarare la responsabilità solidale del MEF e del Comune in ordine alle seguenti voci di danno derivanti dalla mancata utilizzazione dell’impianto “danni derivanti dal mancato funzionamento dell’impianto subito dopo la messa in servizio, pari ad Euro 3.190.398,38; danni per la mancata produzione vendita dell’acqua dasalata, pari ad Euro 4.871.548,70; danni derivanti dalla partecipazione dell’impianto di desalazione alla copertura della quota parte delle spese generali della società, pari ad Euro 381.308,36; danni derivanti dai costi di demolizione dell’impianto e dallo smaltimento dei suoi componenti pari ad Euro 696.500, oltre Iva”.

10. Con la comparsa del 31/8/2007 (per l’udienza fissata al 20/9/2007, con termine alle parti per sollevare eccezioni sino alla 16/7/2007), si costituiva in giudizio il Ministero delle Infrastrutture (MIF), in luogo del MEF, deducendo di essere “competente ai sensi dell’art. 9-bis del D.Lgs. n. 96 del 1993”.

Il MIF eccepiva, in via preliminare, “l’inammissibilità della domanda risarcitoria, per carenza di titolo, a seguito di estinzione del diritto vantato, per prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2497, co. 1, c.c.”.

11. Il Tribunale, con sentenza n. 77 3/7/2014, reputava fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero. Ciò, in quanto le condotte imputabili all’ente erogatore del contributo si erano protratte fino al 1986, mentre i danni erano stati richiesti il 15/12/1990, con sollecito solo del 13/3/2000, con completo decorso del quinquennio.

Rigettava la domanda presentata nei confronti del Comune di Capri per i danni “dal mancato funzionamento dell’impianto subito dopo la messa in servizio”, non avendo il Comune di Capri “assunto alcun obbligo né espresso alcun impegno all’acquisto della produzione idrica ed energetica”.

Reputava insussistente un’obbligazione solidale tra MIF e Comune, non potendo dunque applicarsi l’art. 1310 c.c., sicché l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero non poteva estendere i suoi effetti in favore del Comune.

Il Tribunale reputava, invece, fondata la domanda nei confronti del Comune, relativa ai danni derivanti dall’esigenza di mantenere in esercizio ed in funzionamento l’impianto di dissalazione, in quanto “tale esigenza costituiva una conseguenza imposta e derivante da formali atti di espressione dell’attività amministrativa ed autoritativa dell’ente, tali da determinare anche un ragionevole affidamento sulla utilità economica di proseguire l’attività di impresa”.

Utilizzando le risultanze della CTU, il Tribunale quantificava, con riguardo alla manutenzione dell’impianto dall’estate del 1978 alla disdetta del 26/6/1988, la somma di Euro 2.174.168,70.

La manutenzione del bene derivava da “formali atti di espressione dell’attività amministrativa ed autoritativa dell’ente, tale da determinare anche un ragionevole affidamento sull’utilità economica di proseguire nell’attività di impresa”.

Venivano, sul punto, valorizzati i seguenti elementi: dichiarazioni in sede di riunione presso la prefettura del 4/7/1978; nota dell’assessore al turismo del 29/7/1983; dichiarazioni in sede di riunione alla prefettura di Napoli del 3/4/1984; nota del Comune del 23/11/1984 con cui si chiedeva l’immissione di acqua per tre giorni.

12. Avverso tale sentenza proponeva appello principale il Comune di Capri, deducendo: 1) il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di condotte conseguenti ad attività amministrative ed autoritative, espressione dell’esercizio della PA; 2) prescrizione del credito vantato dalla società nei confronti del Comune, in quanto, trattandosi di obbligazioni solidali, trovava applicazione l’art. 1310 c.c., per cui aveva errato il giudice di prime cure a non ritenere estensibile la prescrizione eccepita dal MIF anche per le pretese fatte valere nei confronti del Comune; 3) non vi era alcuna prova dell’affidamento della SI. in relazione alle note del Comune.

13. Proponeva appello incidentale la SI..

13.1. Con il primo motivo di appello incidentale la società deduceva l’inammissibilità per tardività dell’eccezione sollevata dal MIF, la cui costituzione non poteva essere qualificata come intervento volontario, dovendosi fare applicazione dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958, con la conseguenza che “sulla base dell’unicità della capacità giuridica dello Stato, la costituzione del ministero competente sanava l’errore e il soggetto costituito dove(va) essere considerato come originario convenuto”; di qui la tardività dell’eccezione, non proposta nel termine di cui all’art. 167 c.p.c.

Tra l’altro, l’art. 268 c.p.c. consentiva l’intervento con l’attività assertiva, nei limiti delle domande nuove, ma non le nuove eccezioni.

La decisione era errata anche nella parte in cui aveva ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale in quanto trattavasi di responsabilità contrattuale della PA, con termine di prescrizione decennale.

13.2. Con il secondo motivo di appello incidentale la società contestava “la possibile eccezione di prescrizione al Comune di Capri ex art. 1310 c.p.c.”.

13.3. Con il terzo motivo la società si doleva delle “valutazioni incidentali contenute nella sentenza di primo grado” in base alle quali la condotta del ministero sarebbe stata giustificata “in considerazione dell’insufficienza al fabbisogno dell’isola del solo desalinizzatore e della dubbia potabilità dell’acqua da esso prodotta”.

13.4. Con il quarto motivo la società contestava “che il giudice di primo grado non avesse ravvisato nella condotta della Cassa, e del Comune di Capri, la contrarietà a buona fede ed al principio dell’affidamento, posto che le loro condotte avevano, invero, generato l’effettivo affidamento circa la conclusione positiva della propria iniziativa economica, e ciò anche a fronte della discrezionalità amministrativa che non esclude la buona fede e la corretta informazione”.

13.5. Con il quinto motivo di appello incidentale la SI. rimproverava al giudice di primo grado di non aver riconosciuto il danno da mancata vendita dell’acqua desalinizzata.

13.6. Con il sesto motivo la società contestava la quantificazione dei danni, nella parte in cui il computo era stato fermato al 1989, mentre dagli ulteriori atti allegati, risultava che nel 1990 il Comune si era dichiarato contrario “alla riduzione nell’approvvigionamento idrico di un solo metro cubo di acqua, perseverando nella condotta scorretta, fino al 1995, data della dismissione dell’impianto”.

13.7. Con il settimo motivo la SI. contestava che la quantificazione dei danni era stata basata esclusivamente sui costi necessari per mantenere l’efficienza degli impianti, mentre non si era tenuto conto del “maggiore costo per la effettiva tenuta in efficienza dell’impianto” oltre che “del danno per la ricollocazione del personale addetto al desalatore dopo la sua dismissione”. Chiedeva, inoltra, la rivalutazione delle somme spettanti.

14. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 182 del 18/1/2019, accoglieva solo parzialmente l’appello principale proposto dal Comune di Capri, riformando la sentenza limitatamente al capo 2, condannando il Comune al risarcimento del danno nell’importo complessivo di Euro 491.879,47, oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate, a decorrere dalla notificazione della citazione (16/4/2007), fino alla sentenza di primo grado, e successivamente maggiorata solo degli interessi legali fino al soddisfo.

Rigettava l’appello incidentale proposto dalla SI., tranne che per il riconoscimento della rivalutazione dell’importo di cui alla condanna prevista al capo 2.

14.1. In particolare, reputava sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, valorizzando le affermazioni della SI. in ordine alla responsabilità contrattuale della PA. Sottolineava, infatti, che “non appare… peregrina, neanche la prospettazione suggerita dalla parte attrice nel primo grado, e recentemente avallata dalla giurisprudenza di legittimità, per cui, pur in assenza di un atto negoziale, possa ravvisarsi una responsabilità connotata comunque come contrattuale nelle ipotesi in cui venga ad instaurarsi tra la PA e un privato un rapporto qualificabile come “contatto sociale qualificato”, da cui scaturiscano obblighi di buona fede ed informativi”.

14.2. La Corte territoriale confermava la prescrizione del diritto al risarcimento danni vantato dalla SI. nei confronti della Cassa del Mezzogiorno.

A sostegno della tempestività dell’eccezione di prescrizione sollevata dal MIF al momento della sua costituzione in giudizio, quale interventore, in data 31/8/2007, il giudice di secondo grado rilevava che per questa Corte, a sezioni unite, l’art. 4 della legge n. 260 del 1985 trovava applicazione, non solo tra organi dello stesso soggetto pubblico ma anche tra soggetti distinti e quindi “tra diverse amministrazioni dello Stato”. La ratio della norma era dunque “identificabile nel diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale nei confronti della PA”; sicché, “a fronte di ipotesi in cui la tutela e sottoposta a rigorosi termini di decadenza, si deve evitare che la concreta individuazione dell’organo investito della rappresentanza dell’amministrazione convenuta, ovvero l’individuazione del soggetto pubblico passivamente legittimato (se trattasi di errore tra diverse soggettività), risulti ardua, ostacolando il tempestivo esercizio della tutela del cittadino” (si citava Cass. Sez. U., n. 8516 del 2012).

Aggiungeva la Corte territoriale che l’ineludibile principio dell’effettività del contraddittorio imponeva che, in relazione agli errori di identificazione, incidenti su soggetti diversi, l’operatività dell’art. 4 citato fosse circoscritta “al profilo della rimessione in termini (per il soggetto chiedente tutela), con esclusione di ogni possibile stabilizzazione nei confronti del destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti dell’atto giudiziario notificato ad un diverso soggetto”.

Restava, allora, ferma l’alterità soggettiva delle diverse amministrazioni, anche a fronte della difesa comune. Di qui, la conseguenza per cui “se l’effettivo legittimato passivo si costituisca volontariamente, ciò sana l’erronea individuazione, ma non incide sulla circostanza che trattasi di un soggetto che interviene in un giudizio, non instaurato nei suoi confronti”.

Peraltro – chiosava la Corte d’Appello – l’eccezione di prescrizione era tempestiva anche con riferimento all’art. 268 c.p.c., nella parte in cui limitava le preclusioni esclusivamente all’attività istruttoria, ma non a quella assertiva.

14.3. Una volta reputata tempestiva l’eccezione di prescrizione, la stessa veniva considerata fondata, trattandosi di una fattispecie di responsabilità aquiliana, con conseguente applicazione della prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.

In particolare, si valorizzava che le condotte imputabili al ministero sarebbero avvenute tra il 1972 e il 1986, data della definitiva erogazione del contributo a fondo perduto e sarebbero consistite “nel ritardo a provvedere sulla richiesta di contributo e nella contemporanea agevolazione del progetto concorrente della condotta sottomarina” (vedi pagina 16 ultime righe della sentenza della Corte di appello).

Pertanto, benché questa Corte avesse ormai ritenuto sussistente nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione la responsabilità da “contatto sociale”, tuttavia, nella specie, poiché le condotte che avrebbero ingenerato l’affidamento erano state compiute prima della riforma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990, introduttiva di una nuova concezione dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione, doveva essere confermato l’inquadramento nella responsabilità aquiliana (si citava Cass. n. 157 del 2003).

La Corte d’Appello, però, aggiungeva che la prescrizione quinquennale era applicabile anche ove la fattispecie fosse stata inquadrata nell’ambito della responsabilità da contatto sociale.

Doveva, quindi, operarsi una distinzione tra responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., e responsabilità da contatto sociale, quindi di natura contrattuale.

Venivano inseriti all’interno della responsabilità extracontrattuale “la lesione dell’interesse oppositivo o pretensivo, o anche della mera integrità patrimoniale del cittadino (quando l’interesse sia soddisfatto seppure in modo illegittimo), dovuta all’esercizio illegittimo e al mancato (o tardivo) esercizio dell’attività amministrativa, casi in cui risulta danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della PA, l’interesse al bene della vita al quale la suddetta posizione soggettiva del privato si correla” (cfr. pagina della motivazione della sentenza della Corte di appello).

Reputava, invece, quale ipotesi di responsabilità da contatto sociale, quella in cui il danno derivava “dalla violazione delle regole procedimentali dell’attività amministrativa medesima”, con individuazione di una responsabilità “sui generis, non riconducibile al mero modello aquiliano, ma assimilabile alla responsabilità precontrattuale”.

Nella specie, però, si lamentava “la lesione dell’interesse alla celere percezione del contributo richiesto”, vertendosi dunque “in tema di responsabilità extracontrattuale”.

Si evidenziava, per mera completezza, che non era sufficiente la conformità alle indicazioni del CIPE per fondare l’affidamento nell’erogazione del contributo della legge n. 853 del 1971, “residuando sempre e comunque la possibilità della PA di decidere secondo interessi pubblici preminenti” (si citava Cass., n. 2995 del 2001).

14.4. Restavano assorbiti i motivi terzo e quarto di appello incidentale SI., in ordine “al giudizio espresso dal giudice sulla legittimità della durata del procedimento amministrativo di erogazione del contributo e sulla correttezza della parallela autorizzazione alla realizzazione della condotta sottomarina”.

14.5. Veniva respinto il secondo motivo di appello incidentale relativo all’estensione della prescrizione al condebitore solidale ex art. 1310, in quanto le condotte contestate all’ente statale ed a quello comunale erano del tutto distinte.

Si confermava la statuizione della decisione di prime cure che aveva escluso la responsabilità del Comune nel preferire l’acqua della condotta sottomarina, trattandosi di una scelta che rispondeva “ai fondamentali criteri di buon andamento dell’azione amministrativa”.

15. La Corte territoriale reputava parzialmente fondato il terzo motivo di appello principale articolato dal Comune di Capri, in relazione all’assenza di prova dell’affidamento della SI. in relazione alle note del Comune.

La Corte d’Appello, muovendo dal presupposto della natura extracontrattuale della responsabilità del Comune di Capri, “in assenza di regolamentazione tra le parti”, verificava che “gli atti individuati siano univoci, che contengano un ordine o un invito alla tenuta inefficienza della dissalatore, con elementi tali da creare affidamento nella fruizione dell’acqua prodotta”.

La Corte territoriale rilevava che tale attitudine poteva rinvenirsi “nella nota inviata alla SI. prot. 5292 del 4/7/1978 del Comune di Capri, nonché nei provvedimenti citati negli anni 1983 e 1984”.

Trattavasi, infatti, di atti che contenevano “espressi inviti al mantenimento della funzionalità del desalatore, anche prospettando possibili accordi (quello del 1978), ma che evidentemente sono limitati nel tempo o connessi a particolari contingenze e momenti di crisi idrica”.

Di qui, poteva ritenersi creato un affidamento “limitato ai periodi in oggetto, ovvero al 1978 ed al biennio 1983 e 1984”, in quanto “per gli altri anni non è stata provata alcuna attività di contatto, o trattativa o di sollecito alla mantenimento in funzione”.

Tale caratteristica non riguardava la delibera della GM n. 386 del 1988, peraltro non allegata, facente riferimento alla disdetta del contratto con la SI. per la gestione del servizio di distribuzione idrica per inadempienze contrattuali, avente un oggetto diverso dall’utilizzo del desalatore, e concernente un contratto formalmente stipulato.

Neppure aveva idoneità probatoria la nota del 13/3/1990 del Comune in cui si faceva riferimento “all’intenzione di non ridurre di un metro cubo l’approvvigionamento idrico dell’isola di Capri”, senza però fare riferimento alcuno al desalatore”.

Il risarcimento del danno, dunque, andava parametrato al limitato periodo di tempo sopraindicato.

15. Pertanto, la Corte d’Appello, nei limiti dell’accoglimento del terzo motivo di appello principale del Comune, esaminava i motivi di appello incidentale della SI. (quinto, sesto e settimo motivo).

Con riguardo alla mancata vendita dell’acqua desalata, costituente lucro cessante, al mancato riconoscimento fino al 1995, data di dismissione dell’impianto, ed alla mancata considerazione delle voci di danno per la ritenuta inefficienza dello stesso, e per la ricollocazione del personale dopo la dismissione, la Corte territoriale riteneva infondate tutte le domande relative al riconoscimento del lucro cessante.

Quanto alla mancata vendita dell’acqua, in quanto in mancanza di un accordo di acquisto, l’affidamento che poteva nascere dai provvedimenti del Comune non poteva andare oltre l’utilizzo suppletivo ed integrativo.

Non potevano essere riconosciute le ulteriori voci di funzionamento e/o ricollocazione del personale che andavano “oltre lo stretto fabbisogno, calcolato dal CTU, e non specificamente contestato di quanto necessario al mantenimento in efficienza”.

Era, invece, fondato il motivo in ordine al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, stante la natura risarcitoria della domanda.

Pertanto, veniva riconosciuto al Comune il danno, per il periodo da metà dell’anno 1978 agli anni 1983 e 1984, di Euro 197.651,79, quale costo annuo, moltiplicato per 2,5 anni, per l’importo complessivo di Euro 491.879,47, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate a decorrere dalla notificazione della citazione del 16/4/2007.

16. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la SI. Spa

17. Ha resistito con controricorso il Comune di Capri, proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta.

18. Hanno resistito con controricorso anche il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (MIF) ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), depositando anche memoria scritta.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente SI. deduce la “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 4, legge n. 260 del 1958 c.p.c., per avere ritenuto che l’amministrazione, costituitasi in difetto di vocatio in ius, non soggiace alle preclusioni maturate nel giudizio pur ove nulla venga disposto in ordine alla rimessione in termini”.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che l’art. 4 della legge n. 260 del 1958 non determini una deroga alla ordinaria disciplina in tema di intervento.

Ha ribadito l’alterità soggettiva delle diverse amministrazioni, anche a fronte della difesa comune, sicché ove l’effettivo legittimato si costituisca volontariamente, ciò sana l’erronea individuazione, ma non incide sulla circostanza che trattasi comunque di un soggetto che interviene in un giudizio, non istaurato nei suoi confronti, con applicazione dunque dell’art. 268 c.p.c., non potendosi reputare l’eccezione di prescrizione tardiva ex art. 167 c.p.c. “inapplicabile al caso di specie”.

Tale ragionamento della Corte territoriale sarebbe errato.

La ratio dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 è quella di semplificare l’individuazione dell’organo competente a rappresentare lo Stato, in ossequio ai diritti fondamentali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale.

La norma introduce un limite alla rilevanza dell’erronea individuazione dell’autorità amministrativa competente a stare in giudizio, che trova applicazione anche con riferimento all’ipotesi, tra le altre, di vocatio in ius di un ministero diverso da quello effettivamente competente in materia.

L’errore di identificazione del ministro deve, dunque, essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione del corretto destinatario dell’atto “al fine della rimessione in termini”; in caso contrario il contraddittorio si intende correttamente instaurato con l’amministrazione convenuta.

Tuttavia, il provvedimento reso all’esito del giudizio instaurato nei confronti dell’amministrazione incompetente non può produrre effetti nei confronti del soggetto competente, non convenuto in giudizio.

Pertanto, si rimette all’amministrazione convenuta l’onere di richiedere la rimessione in termini, pur facendo salvo il principio del contraddittorio, con la conseguenza che alcun effetto il giudizio produce nei confronti dell’amministrazione effettivamente competente, che però non sia parte del giudizio.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Ipotesi diversa – precisa la ricorrente – è quella in cui “l’amministrazione competente, non convenuta, si costituisca in giudizio tardivamente senza nulla eccepire e nulla il giudice disponga in ordine alla rimessione in termini”.

In tal caso, ad avviso della ricorrente, vi sarebbero “plurime ragioni che impongono di ritenere che, in difetto di rimessione in termini ai sensi dell’art. 4, il ministero che si costituisce soggiace alle preclusioni maturate”.

Ciò, in quanto i vari rami di amministrazione rappresentano, pur con la loro distinta struttura burocratica, “specifiche settoriali estrinsecazioni operative”, ma “tutte riunite in un unitario centro di riferimento”. Si tratta, quindi, di rapporti tra soggetti “che mal si conciliano con le ipotesi normative che regolano i rapporti tra privati”.

La questione della corretta individuazione dell’amministrazione statale non si pone in termini di legittimazione passiva, ma “di mera irregolarità nell’individuazione dell’articolazione statale corretta in quanto competente” (si citano Cass., n. 15396 del 2016 e Cass. n. 10613 del 2015).

Proprio per tale ragione si ritiene che, nel caso di errata citazione dell’amministrazione non competente, la costituzione in giudizio del ministero competente ha l’effetto di sanare l’irregolarità della precedente vocatio in ius (si cita, tra le altre, Cass., n. 24245 del 2009).

L’unica disposizione applicabile è, dunque, l’art. 4 della legge n. 260 del 1958, “a nulla rilevando le altre disposizioni che regolano i rapporti tra privati”.

Una volta dedotta l’incompetenza del ministero citato da parte dell’avvocatura, se la soggettività dell’articolazione giusta sia indicata “sarà essa a poter intervenire in giudizio ed a rivendicare la rimessione in termini”.

Il ministero competente aveva “l’onere di chiedere la rimessione in termini, altrimenti restando salvo il pieno effetto sanante della citazione iniziale, e quindi le preclusioni maturate nel corso del giudizio”.

Sarebbe salvaguardato anche il principio del contraddittorio, in quanto l’intervento volontario in giudizio costituirebbe una libera scelta dell’amministrazione statale. Pertanto, a tale amministrazione sarebbe esclusivamente rimessa la scelta “in ordine al ripristino o no delle tutele processuali”.

Il ministero competente che si costituisce in giudizio volontariamente non subirebbe “in concreto, alcun pregiudizio a fronte delle preclusioni maturate, ove, per propria scelta, nulla rilevi in ordine allo stato in cui si trova il processo e non chieda la rimessione in termini, anche con riguardo alle eccezioni tra cui quella di prescrizione”.

A giudizio della ricorrente, dunque, ove il ministero competente, ma non citato in giudizio, proceda comunque alla costituzione nel processo a mezzo dell’Avvocatura dello Stato (e quindi intervenga in giudizio), senza nulla eccepire in ordine al difetto di competenza o chiedere la rimessione in termini, il vizio si intende sanato, e questi non può compiere attività ormai precluse, quali quella di sollevare l’eccezione di prescrizione oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c.”.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Nella specie, il MIF si è costituito in giudizio in primo grado il 31/8/2007 “senza peraltro chiedere la rimessione in termini, oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c., previsto per sollevare l’eccezione non rilevabile d’ufficio (16/7/2007 tenendo conto dell’udienza fissata nell’atto di citazione al 20/9/2007).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 268 c.p.c., per avere ritenuto che l’attività assertiva di chi interviene in giudizio sia estesa oltre che alla facoltà di proporre domande nuove anche di sollevare eccezioni precluse alle altre parti”.

L’art. 268 c.p.c. viene in genere interpretato nel senso che all’interventore è preclusa esclusivamente l’attività istruttoria, mentre quella assertiva è consentita.

Tuttavia – sottolinea la ricorrente – “non si rinvengono, però, precedenti che espressamente estendano l’attività assertiva alla proposizione di eccezioni”.

Benché la Corte di cassazione consenta la possibilità all’interveniente di proporre anche nuove domande, il bilanciamento di interessi tra le parti imporrebbe un’interpretazione restrittiva di tale assunto.

Il terzo, in realtà, ha, in alternativa all’intervento, la facoltà di proporre un autonomo giudizio, esercitando i poteri difensivi del caso, oltre che di avvalersi dei rimedi di cui agli articoli 274,344 e 404 c.p.c. (si cita Cass., n. 215 del 2005).

Il regime delle preclusioni processuali, al contrario, rappresenta concreta attuazione del principio di ragionevole durata del processo, per cui ne viene riconosciuto rango costituzionale.

Pertanto, se è consentito all’interveniente proporre nuove domande, tuttavia non sarebbe possibile sollevare eccezioni.

3. I motivi primo e secondo, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.

Si premette, comunque, che sulla questione di giurisdizione si è ormai formato il giudicato interno, non rinvenendosi né nel ricorso principale, né nel ricorso incidentale tardivo, motivi di doglianza in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario, affermata dalla Corte d’Appello.

3.1. In sostanza, la SI. ha erroneamente evocato in giudizio il MEF, in luogo del MIF.

È stata fissata dal giudice l’udienza ex art. 183 c.p.c. per il 20/9/2007, con termine al convenuto per sollevare le eccezioni in senso stretto sino alla 16/7/2007.

Il MEF è rimasto contumace, mentre il MIF è intervenuto in giudizio con atto di costituzione del 31/8/2007, sollevando l’eccezione di prescrizione, in ritardo rispetto al termine concesso dal giudice che scadeva il 16/7/2007.

Non essendosi costituito il MEF, ovviamente l’Avvocatura generale non ha avuto la possibilità di dedurre il difetto di legittimazione, né ha potuto indicare il ministero effettivamente competente, cui rivolgere l’atto di citazione, con rimessione nei termini della SI..

4. L’art. 4 della legge 25/3/1958, n. 260 (Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato) dispone che “l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte”.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

5. Questa Corte ha ritenuto che tale disposizione si ispira alla ratio di agevolare il privato che debba agire nei confronti della pubblica amministrazione, al fine di scongiurare possibili preclusioni o decadenze per eventuali azioni instaurate nei confronti di articolazioni statali incompetenti, in ragione della complessità dell’organizzazione dello Stato, talora difficilmente comprensibile all’esterno.

Particolarmente illuminata risulta la sentenza di questa Corte, resa a sezioni unite, per cui l’art. 4 della legge 25 marzo 1958 n. 260 deve ritenersi applicabile anche quando l’errore d’identificazione riguardi distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (nella specie, Agenzia delle Entrate e Ministero della Giustizia), ma, in forza dell’ineludibile principio dell’effettività del contraddittorio, la sua operatività è circoscritta al profilo della rimessione in termini, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di “stabilizzazione” nei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio (Cass., Sez. U., 29/5/2012, n. 8516).

In motivazione si è chiarito, nell’ipotesi ordinaria in cui l’Avvocatura generale, costituitasi per conto di un ministero, abbia eccepito il difetto di legittimazione passiva dello stesso, indicando il ministero competente, che la partecipazione al giudizio del nuovo ente pubblico deve avvenire “in forza dell’inviolabile principio del contraddittorio, limitatamente alla prevista rimessione in termine e con esclusione di ogni possibilità di automatica “stabilizzazione”… nei confronti del destinatario, degli effetti dell’atto giudiziario notificato ad altro soggetto”.

Questa Corte, dunque, ha aderito alla tesi per cui l’operatività dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 non è circoscritta agli errori di identificazione per così dire, “interni” alle singole soggettività, ma si rivolga anche “agli errori di identificazione incidenti su soggettività distinte (diverse amministrazioni dello Stato: cfr. Cass. 1405/03 (…))”.

Si vuole dunque agevolare “l’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale delle pretese vantate nei confronti della pubblica amministrazione… In rapporto alla circostanza che l’esercizio di tale diritto, condizionato dal rispetto di rigorosi termini di decadenza, rischia di essere vanificato nelle non infrequenti ipotesi… in cui la concreta individuazione dell’organo investito della rappresentanza dell’amministrazione convenuta ovvero quella del soggetto pubblico passivamente legittimato a giudizio risulti particolarmente ardua, se non aleatoria” (Cass., Sez. U., n. 8516 del 2012).

Con la importante precisazione per cui va considerato anche che “l’unitarietà ed inscindibilità dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni non elide l’autonomia soggettiva delle persone giuridiche di diritto pubblico”.

Pertanto, “l’ineludibile principio dell’effettività del contraddittorio… impone… che , in relazione agli errori di identificazione incidenti su soggettività diverse… l’operatività dell’art. 4 legge 260/1958 sia circoscritta al profilo della rimessione in termine”, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di automatica stabilizzazione nei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio” (Cass., Sez. U., n. 8516 del 2012; più recentemente Cass., sez. 6-2, 6/3/2018, n. 5314).

Fermo restando, ovviamente, che la sentenza pronunciata nei confronti di un’amministrazione dello Stato, che non ha partecipato al giudizio, non è efficace nei suoi confronti (Cass., sez. 2, 6/4/2009, n. 8249).

5.1. Si è successivamente chiarito che nell’ipotesi di “vocatio in ius” di un Ministero diverso da quello istituzionalmente competente, allorché l’Avvocatura dello Stato – pur ricorrendo i presupposti per l’applicazione dell’art. 4 della legge 25 marzo 1958, n. 260 – non si avvalga, nella prima udienza, della facoltà di eccepire l’erronea identificazione della controparte pubblica, provvedendo alla contemporanea indicazione di quella realmente competente, resta preclusa la possibilità di far valere, in seguito, l’irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale, non ponendosi, in senso proprio, una questione di difetto di legittimazione passiva, ferma restando la facoltà per il reale destinatario della domanda di intervenire in giudizio e di essere rimesso in termini (Cass., sez. 3, 26/6/2013, n. 16104).

Si conferma che il perimetro dell’art. 4 della legge n. 2Datapubblicazil 1958 copre, non solo l’ipotesi di erronea vocatio in ius, in luogo del ministro titolare di una determinata branca della PA, di altra persona preposta ad un ufficio della stessa, ma anche la diversa ipotesi di “vocatio in ius di un ministro diverso da quello effettivamente “competente” in relazione alla materia dedotta in giudizio” (Cass., n. 16104 del 2013).

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Proprio in relazione all’ipotesi di “due distinte soggettività” si sottolinea che l’art. 4 citato, inteso estensivamente, “esige una rimessione in termini a garanzia del contraddittorio dell’articolazione che doveva essere convenuta”.

Nell’ipotesi, dunque, in cui sia l’Avvocatura dello Stato, costituita per l’articolazione evocata erroneamente in vece di quella giusta, in presenza di distinte soggettività, ad invocare l’applicazione dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958, “è la difesa erariale che… dopo aver tenuto tale comportamento,… legittimata a chiedere una rimessione in termini”. Si aggiunge che “se la difesa erariale non lo faccia e, tanto se si astenga dall’indicare la soggettività giusta, quanto se la indichi, l’irritualità così verificatasi, non integrando un vero e proprio problema di legittimazione, diventa irrilevante e la soggettività evocata erroneamente in giudizio vi deve restare senza poter pretendere che la relativa questione sia trattata come difetto di legittimazione”, con il corollario per cui “semmai, se la soggettività nell’articolazione giusta sia indicata sarà essa a poter intervenire in giudizio ed a rivendicare la rimessione in termini di cui parlano le sezioni unite” (Cass., n. 16104 del 2013; anche Cass., n. 5230 del 2015).

6. Tuttavia, nella specie, come sopra ricordato, il MEF è rimasto contumace, sicché l’Avvocatura generale non poteva in alcun modo indicare il soggetto effettivamente legittimato passivo, con richiesta di rimessione in termini in suo favore.

Si è, però, verificata l’ulteriore ipotesi in cui, pur restando contumace il ministero che non doveva essere evocato in giudizio, non avendo la competenza in materia, è intervenuto volontariamente il ministero “giusto” ai sensi dell’art. 268 c.p.c.

Ed infatti, si è ritenuto che nei casi regolati dall’art. 4 della legge n. 260 del 1958, la carenza di legittimazione passiva dell’organo dello Stato convenuto in giudizio non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale rilevabile dal giudice d’ufficio in ogni stato e grado del processo, bensì in una mera irregolarità (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649).

Ciò in quanto, da un lato deve essere eccepita dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza con la contemporanea indicazione (non più eccepibile) dell’organo legittimato, e dall’altro il giudice prescrive (a prescindere da una richiesta in tal senso) un termine all’attore per la rinnovazione dell’atto nei confronti dell’organo legittimato e in difetto “salva naturalmente la facoltà per l’organo legittimato di intervenire in giudizio “, resta preclusa la possibilità di far valere in seguito l’irrituale costituzione del rapporto processuale (Cass., n. 30649 del 2018).

Insomma, la facoltà di intervento in giudizio da parte dell’organo dello Stato effettivamente legittimato è espressamente consentita da questa Corte.

6.1. Se così è, allora deve applicarsi la regola che disciplina intervento in giudizio del soggetto terzo, e quindi l’art. 268 c.p.c.

Sul punto, costituisce orientamento fermo di questa Corte quello per cui in tema di intervento volontario, principale o litisconsortile, la preclusione per il terzo interveniente, di compiere atti che, al momento dell’intervento, non sono più consentiti ad alcuna parte, contenuta nell’art. 268, comma 2, c.p.c., opera esclusivamente sul piano istruttorio, non anche su quello assertivo, e deve ritenersi riferita sia alle prove costituende, sia alle prove documentali, valendo per entrambi tali tipi di prova le preclusioni istruttorie per le altre parti; di talché non è ammessa la tardiva produzione documentale volta a comprovare la legittimazione ad agire dell’interveniente, in quanto la controparte sarebbe privata della possibilità di fornire la relativa prova contraria (Cass., sez. 3, 9/5/2023, n. 12463; Cass., sez. 6-1, 17/9/2020, n. 19422; Cass., sez. 3, 22/8/2018, n. 20882).

È dunque sempre consentito a chi interviene volontariamente in un processo la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand’anche sia spirato il termine di cui all’art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum (Cass., sez. 1, 6/12/2019, n. 31939; Cass., sez. 3, 26/5/2014, n. 11681). Tale interpretazione dell’art. 268 c.p.c. non viola il principio di ragionevole durata del processo o il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, poiché l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre, ove sia già intervenuta la relativa preclusione, nuove prove e, di conseguenza, non vi è né il rischio di riapertura dell’istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originariamente non abbiano potuto debitamente contrastare (Cass., n. 31939 del 2019).

Del resto, la domanda nuova rappresenta la ragione stessa dell’intervento (Cass., n. 23759 del 2011).

Le medesime argomentazioni non possono non valere con riferimento alla possibilità per l’interveniente volontario, principale o litisconsortile, di sollevare anche eccezioni nuove, in quanto, anche in questa ipotesi, non essendo possibile alcuna istruttoria, non si viola in alcun modo il principio di ragionevole durata del processo e neppure il diritto di difesa della parte originaria del giudizio, poggiando l’eccezione in senso stretto su fatti che sono già presenti in causa.

Del resto, se è possibile – come è pacifico – la domanda nuova da parte dell’interveniente, anche dopo il verificarsi delle preclusioni per le altre parti in giudizio, e quindi se l’interveniente (nella specie il MIF) può proporre domanda di accertamento negativo del credito per intervenuta prescrizione, allora non può certo escludersi l’analoga possibilità per l’interveniente di eccepire la prescrizione.

Ovviamente – come osservato dalla dottrina – per garantire il diritto di difesa (di rango costituzionale) delle controparti, che assistono alla presentazione da parte dell’interveniente di domande o eccezioni nuove, l’art. 268 c.p.c. va interpretato in funzione dell’art. 24 Cost., nel senso di consentire ad esse, non solo di replicare all’ampliamento dell’oggetto del giudizio, ma anche di fornire la prova delle proprie contro-eccezioni, per esempio deducendo l’avvenuta interruzione della prescrizione, mediante la produzione in giudizio di atti interruttivi.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Pertanto, anche se l’art. 268 c.p.c. non prevede la possibilità per le parti originarie di proporre domande o eccezioni che siano conseguenza della domanda o delle eccezioni sollevate dal terzo interveniente oppure di chiedere l’ammissione di mezzi di prova, il sistema offre lo strumento della rimessione in termini ex art. 153, secondo comma c.p.c., opportunamente modulato dal giudice di merito, con concessione di un termine alle parti per il deposito di memorie e per eventuale attività istruttoria.

Del resto, una conferma di tale interpretazione si rinviene nell’art. 269, ultimo comma, c.p.c., che, nell’ipotesi di chiamata in giudizio di un terzo da parte dell’attore, prevede che nell’udienza di chiamata in causa del terzo il giudice deve fissare i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. (dopo il D.Lgs. n. 149 del 2022 – non applicabile ratione temporis – “i termini indicati dall’art. 171-ter decorrono nuovamente rispetto all’udienza fissata per la citazione del terzo”).

7. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., per non aver riconosciuto la natura contrattuale della responsabilità dell’ente pubblico con la conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione della pretesa risarcitoria dell’attrice laddove vi sia un precedente vincolo tra privato e pubblica amministrazione”.

La Corte d’Appello, infatti, ha reputato sussistente un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, escludendo quella contrattuale, anche in ragione della circostanza che “solo con la legge 241/1990, non applicabile ratione temporis al caso di specie, è stata introdotta una nuova concezione dei rapporti tra cittadini e p.a., per cui la lesione di interessi procedimentali possa assimilarsi alla violazione dei canoni contrattuali di correttezza e buona fede, e tanto basterebbe per confermare l’inquadramento, nel caso di specie, della asserita responsabilità in quella aquiliana”.

Inoltre, la Corte territoriale ha aggiunto che, pur nella vigenza della legge n. 241 del 1990, occorre operare una distinzione che vede, da una parte, la lesione dell’interesse oppositivo o pretensivo, o anche della mera integrità patrimoniale del cittadino, “dovuta all’esercizio illegittimo e al mancato (o tardivo) esercizio dell’attività amministrativa, con conseguente responsabilità aquiliana ex art. 2043, e, dall’altra, il danno “derivante dalla violazione delle regole procedimentali dell’attività medesima” da cui deriva una responsabilità assimilabile a quella contrattuale.

Tuttavia, nella specie, ad avviso del giudice di secondo grado, poiché “si lamenta la lesione dell’interesse alla celere percezione del contributo richiesto, si verte in tema di responsabilità extracontrattuale con ciò che ne consegue, in termini di applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2497 c.c.”.

In realtà, per la ricorrente, la prospettiva degli obblighi di correttezza e buona fede da parte della pubblica amministrazione affonda le proprie radici, più che nella legge n. 241 del 1990, nell’art. 97 della Costituzione che sancisce anche il ruolo dell’amministrazione “nel creare un contesto idoneo a consentire attività private, tutelando l’affidamento che il privato nutre in ordine alla propria iniziativa imprenditoriale e per la quale si trova ad effettuare investimenti anche significativi”.

La responsabilità contrattuale della PA, dunque, rinverrebbe le proprie fondamenta anche prima della legge n. 241 del 1990, in quanto si affermava in dottrina che la pubblica amministrazione poteva rispondere in via negoziale anche per violazione di obblighi assunti volontariamente con atti unilaterali o imposti tassativamente dalle leggi.

Peraltro, la stessa Corte d’Appello, in altra parte della motivazione della sentenza, con riferimento alla giurisdizione, aveva riconosciuto la natura contrattuale della responsabilità della PA, proprio per confermare la giurisdizione del giudice ordinario.

Nella specie, peraltro, – aggiunge la ricorrente – la posizione del ministero “derivava da ben precisi obblighi”.

Si richiama l’atto di citazione in appello della SI., e segnatamente il parere di conformità rilasciato ai fini del conseguimento del finanziamento da parte della Cassa pe..

Infatti, il parere del MISM aveva “l’evidente scopo di ancorare la valutazione, in ordine alla rispondenza all’interesse pubblico, al momento della programmazione dell’intervento, così attraendolo al regime agevolato e perciò garantendo al privato il sostegno economico la propria iniziativa”.

Per la ricorrente, la Cassa pe. “era vincolata alla decisione del MISM”, tanto che “ogni decisione della CASMEZ, in ordine all’erogazione del contributo ed all’avvio di altre opere, era vincolata a tale determinazione”.

Aggiunge la ricorrente che la Cassa pe. era tenuta: i) ad erogare il contributo, ii) a coordinare la propria attività con quella del MISM; iii) ad assicurare, in ogni caso, la buona riuscita dell’iniziativa economica.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Per tale ragione, dunque, la Corte territoriale avrebbe dovuto “rilevare la sussistenza di un rapporto non meramente occasionale, tra la Cassa e la SI., la quale ultima, per effetto dei provvedimenti anzidetti, aveva assunto una posizione qualificata di diritto soggettivo, nei confronti della pubblica amministrazione, con conseguente riconoscimento di responsabilità contrattuale di quest’ultimo”.

8. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

8.1. Deve considerarsi che nelle prime pronunce di questa Corte in materia, la responsabilità “da contatto sociale” è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico a seguito della riforma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990.

8.2. Dopo la fondamentale decisione di questa Corte, a sezioni unite, in tema di regolamento di giurisdizione, che, per la prima volta, ha riconosciuto al privato il risarcimento del danno ingiusto, arrecato dalla PA, in assenza di una causa giustificativa, ad un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, e, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo (Cass., Sez. U., 22/7/1999, n. 500), le pronuncia successiva di questa Corte (Cass., sez. 1, 10/1/2003, n. 157; in tal senso anche Cass., sez. 1, 12/7/2016, n. 14188), sempre nell’ambito del medesimo giudizio, dopo la fase di rinvio, pur riconoscendo, per la prima volta, la responsabilità della PA “da contatto sociale”, né ha però limitato l’ambito di applicabilità a fatti verificatisi dopo la legge n. 241 del 1990.

9. Il dibattito giurisprudenziale successivo ha ritenuto, a più riprese, che la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell’affidamento sulla correttezza dell’azione amministrativa – avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. -ha natura contrattuale e va inquadrato nello schema della responsabilità “relazionale” (o “da contatto sociale qualificato”, idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell’ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all’accertamento della responsabilità dell’amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez., U., 19/1/2023, n. 1567; in precedenza la trilogia delle pronunce nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011; poi Cass., Sez. U., 28/4/2020, n. 8236; Cass., Sez. U., n. 615 del 2021; in giurisprudenza amministrativa cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5 del 2018; poi Cons. Stato, Ad. Plen., n. 20 del 2021).

10. Il giudizio di fatto della Corte territoriale è in termini di mancato riconoscimento della sovvenzione, per lo meno nella misura inizialmente richiesta, ma la società ricorrente – in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. – non indica se nella domanda in relazione a tale comportamento sia stata denunciata la lesione dell’affidamento.

Infatti, si trascrive solo una parte dell’appello, che peraltro sul punto non contiene inequivoche affermazioni. Senza considerare che il comportamento denunciato – solo in sede di appello, in assenza di diligente trascrizione della domanda di prime cure -, più che integrare una lesione dell’affidamento, si incentra su un possibile vulnus all’iniziativa imprenditoriale e, dunque, su un fatto illecito ex art. 2043 c.c.

11. Con il quarto motivo di impugnazione la società ricorrente si duole della “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., per non avere rilevato la natura contrattuale della responsabilità dell’ente locale nei confronti del privato, da cui consegue il relativo onere probatorio in capo alle parti”.

La Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame proposto dal Comune di Capri, ha riformato la sentenza di prime cure, riducendo l’importo del risarcimento del danno subito.

In particolare, la Corte territoriale ha affermato che si era in presenza di una responsabilità extracontrattuale, “in assenza di regolamentazione tra le parti”, e che solo alcuni degli atti provenienti dal Comune avevano un contenuto univoco, idoneo a generare l’affidamento della controparte.

Avendo applicato il modello di responsabilità extracontrattuale, la Corte d’Appello ha accollato alla società attrice l’onere di dimostrare la sussistenza di “ordini nel tempo impartiti dal Comune e da cui era derivato il proprio affidamento nell’utilizzo dell’acqua del dissalatore”.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Trattandosi, però, nella specie di responsabilità contrattuale – in base all’assunto della società ricorrente – gravava sul comune l’onere della prova, ex art. 1218 c.c., dell’assenza di colpa nell’inadempimento.

Entrambi i giudici di merito, di primo grado ed appello, avrebbero concordato “nell’individuare la sussistenza di un rapporto tra la SI. Spa e il Comune di Capri, instauratosi nel 1978, e derivante dall’avere l’ente locale impartito precise indicazioni a SI. di tenere in funzione l’impianto”.

La Corte d’Appello ha riconosciuto la sussistenza di comunicazioni del Comune “tali da creare affidamento nella fruizione dell’acqua prodotta… e che contenevano, almeno in prospettiva, l’impegno dell’ente locale alla fornitura di acqua dissalata”.

L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale era quello di non avere riconosciuto la sussistenza della responsabilità contrattuale del Comune.

In tal caso, infatti, il giudice avrebbe rilevato l’onere in capo al Comune di dimostrare di aver assolto i propri impegni oppure che essi erano venuti meno per fatto a lui non imputabile.

12. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., per aver omesso di considerare un fatto decisivo per il giudizio”.

La natura contrattuale della responsabilità del Comune deriverebbe, per la ricorrente, non solo dagli atti presi in considerazione dalla Corte d’Appello, e dunque dalla nota inviata alla SI. del 4/7/1978, nonché dai provvedimenti emessi negli anni 1983 e 1984, quindi dalla nota dell’assessorato al turismo del Comune di Capri del 29/7/1983, dal verbale della riunione tenutasi presso la prefettura di Napoli in data 3/4/1984, dalla nota del 23/11/1984 del Comune di Capri, rivolta alla SI. e basata sul deliberato dalla giunta municipale n. 219 del 27/2/1984.

Per la Corte territoriale, invece, non sarebbe pertinente la delibera della G.M. n. 386 del 1988, facente riferimento alla disdetta del contratto con la società SI. per la gestione del servizio di distribuzione idrica per inadempienze contrattuali, in quanto riguardante un contratto formalmente stipulato, quindi avente un oggetto diverso dall’utilizzo del desalatore.

Allo stesso modo, per la Corte d’Appello non avrebbe idoneità probatoria la nota del 13/3/1990 del Comune di Capri, in cui si fa riferimento all’intenzione di non ridurre di un metro cubo l’approvvigionamento di acqua.

Per la società ricorrente, invece, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto di una convenzione che sarebbe stata stipulata tra la SI. e il Comune di Capri.

Ciò emergerebbe dal contenuto della comparsa conclusionale in primo grado, ove si afferma che “quando la SI. ha manifestato la volontà di disdettare le convenzioni in essere, il Comune non solo ha istituito una commissione ad hoc per esaminare il problema, ma anche imposto la prosecuzione delle stesse (delibera del 2 gennaio 1989, All. 27 alla citazione)”.

Inoltre – aggiunge la ricorrente – che all’allegato 10 dell’atto di citazione vi sarebbe “la comunicazione indirizzata SI. in data 14 ottobre 1976, relativa alla convenzione per la fornitura dell’acqua dissalata, in cui il Comune si impegnava a rifornirsi di acqua prodotta dall’impianto di dissalazione della SI.”.

Vi sarebbe stato, insomma, un impegno espresso del Comune ad acquisire le risorse idriche dalla SI., come da delibera del 29/7/1983, ove si affermava che “codesta Società ha sempre mantenuto in esercizio il detto impianto di desalazione, secondo le disposizioni a suo tempo impartite”, con invito alla società “a continuare a tenere in efficienza e in esercizio l’impianto di desalazione, senza nulla indicare in ordine al termine di tale impegno”.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Solo nel 1988 erano stati revocati “i rapporti contrattuali esistenti relativi all’affidamento del servizio di distribuzione idrica ai residenti nel territorio del Comune e di recupero dei suoi crediti nei confronti degli utenti morosi”, tanto che nel 1990 il Comune ha ordinato alla SI. di non ridurre l’approvvigionamento di acqua.

La Corte d’Appello, dunque, non avrebbe dovuto limitare il risarcimento del danno solo ad alcuni anni.

La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare: 1) le comunicazioni del Comune confermavano l’esistenza di rapporti anche per gli anni precedenti; 2) le note contengono un impegno senza alcun limite di tempo e senza alcuna disdetta, sicché tale impegno doveva perdurare fino alla definitiva dismissione dell’impianto.

13. I motivi quarto e quinto di ricorso principale, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.

13.1. Anzitutto, si rileva che le regole sulla ripartizione dell’onere della prova vengono in rilievo rispetto al fatto rimasto ignoto; nella specie, invece, il giudice ha positivamente accertato l’idoneità ad ingenerare l’affidamento solo per alcuni atti, per cui il fatto non è rimasto ignoto.

Inoltre, si osserva che le censure della società ricorrente chiedono una nuova rivalutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’Appello, non consentita in questa sede.

I fatti storici che sarebbero stati omessi dalla Corte territoriale, in realtà, risultano espressamente trattati nell’ampia motivazione della sentenza di secondo grado, che esamina partitamente tutti i singoli documenti portati alla sua attenzione, con una interpretazione degli stessi che non può essere certo messa in questa sede in discussione, solo perché non condivisa dalla ricorrente.

Tutti i fatti indicati nei motivi di ricorso per cassazione sono stati oggetto di ampia ed articolata disamina da parte della Corte d’Appello.

La Corte territoriale ha ritenuto che l’affidamento si era creato esclusivamente per il periodo dal 1978 al biennio 1983 e 1984.

La delibera della GM n. 386 del 1988, invece, risultava inidonea a costituire l’affidamento per la società SI., facendo riferimento alla disdetta di un contratto per la gestione del servizio di distribuzione idrica, “avente un oggetto diverso dall’utilizzo del desalatore, sia perché riguarda un contratto formalmente stipulato, sia perché si fa riferimento alla gestione della distribuzione idrica e non alla vendita/utilizzo dell’acqua dissalata”.

Analogamente, la Corte d’Appello ha reputato inidonea la nota delle 13/3/1990 del Comune di Capri, in cui si fa riferimento all’intenzione di non ridurre l’approvvigionamento idrico dell’isola “senza però fare riferimento alcuno al desalatore”.

14. Trattavasi, dunque, per la Corte d’Appello di responsabilità extra contrattuale, in assenza, non solo di un accordo negoziale effettivamente stipulato, ma anche in mancanza – per il periodo di tempo non riconosciuto ai fini del risarcimento del danno – di condotte idonee ad instaurare tra la PA e il privato un effettivo contatto sociale, foriero di obblighi di correttezza e buona fede, idonei a costituire una responsabilità di natura contrattuale.

15. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere omesso la pronuncia su una specifica domanda formulata con l’appello incidentale”.

Il giudice di prime cure, accogliendo la domanda della società nei confronti del Comune di Capri, ha condannato quest’ultimo al pagamento della somma di Euro 2.174.168,70, oltre interessi al tasso legale ex art. 1284 c.c. a decorrere dalla notificazione della citazione (16/4/2007) fino al soddisfo.

Il Tribunale, dunque, non si è pronunciato in ordine alla rivalutazione.

Con l’appello incidentale la società ha contestato il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi “a decorrere dalla data di maturazione di ciascuna voce di danno”.

La Corte d’Appello ha accolto il motivo di appello incidentale della società in ordine alla richiesta di rivalutazione, “stante la natura risarcitoria della domanda”.

Tuttavia, in motivazione ha affermato che doveva essere riconosciuto il risarcimento “oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate, a decorrere dalla notificazione (16/4/2007), decorrenza non espressamente contestata con i motivi di doglianza e fino alla sentenza di primo grado, successivamente sono gli interessi legali, confermandosi per il resto la sentenza n. 7736/2014, anche sul governo delle spese”.

Vi sarebbe stata omessa pronuncia da parte del giudice d’appello.

Nell’atto di citazione di primo grado la SI. aveva chiesto espressamente la rivalutazione e gli interessi, precisando che “tutte le voci di danno indicate vanno rivalutate e debbono essere accompagnate dagli interessi dalla data di produzione del danno sino al soddisfo”.

Il giudice di prime cure nulla ha stabilito in ordine alla rivalutazione, riconoscendo gli interessi a decorrere dalla notificazione della citazione fino al soddisfo.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Nell’atto d’appello “la SI. ha espressamente richiamato tale punto della sentenza del giudice di primo grado”, laddove quest’ultimo ha riconosciuto “il danno, oltre interessi a far data dalla domanda”.

La SI. ha precisato nell’appello incidentale che il giudice di prime cure “avrebbe dovuto affermare che la somma debba essere liquidata anche con rivalutazione ed interessi a decorrere dalla data di maturazione di ciascuna voce di danno”.

Nelle conclusioni del giudizio di gravame la richiesta della società è stata quella di aggiungere rivalutazione ed interessi “alle somme riconosciute a titolo di risarcimento danni, a far data dal verificarsi del pregiudizio”.

Il giudice d’appello, invece, ha errato laddove ha affermato che la SI. “non avrebbe contestato, con il proprio gravame, la decorrenza di rivalutazione ed interessi invece riconosciuto a far data dalla domanda”.

La Corte territoriale avrebbe dovuto, invece, pronunciare “in ordine alla decorrenza” degli interessi, così come espressamente richiestole.

Pertanto, la Corte d’Appello, avendo erroneamente rilevato la mancata contestazione relativamente alla data di decorrenza degli interessi, “ha finito per omettere la pronuncia su punto espressamente dedotto quale censura in appello da SI.”.

16. Il motivo è fondato.

16.1. Effettivamente, dal tenore dell’atto di citazione in prime cure, trascritto, sia pure in sintesi, dalla SI., emerge inequivocabilmente che alla richiesta di risarcimento del danno si accompagnava quella degli interessi, da computarsi “dalla data di produzione del danno sino al soddisfo”.

Vi era, dunque, una precisa richiesta in tal senso da parte della società.

Il Tribunale ha omesso ogni pronuncia in ordine alla rivalutazione monetaria.

In sede di appello incidentale la società ha reiterato la richiesta di rivalutazione monetaria ed interessi “a decorrere dalla data di maturazione di ciascuna voce di danno”.

Erroneamente la Corte d’Appello ha, invece, ritenuto che la società non avesse mai chiesto il computo degli interessi a decorrere dalla maturazione di ciascuna voce del danno, adottando una pronuncia di condanna al pagamento delle somme con rivalutazione ed interessi, decorrenti, però, dalla notificazione della citazione in data 16/4/2007.

17. Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune di Capri deduce la “violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte d’Appello di Napoli ritenuto estensibile al Comune di Capri il termine di prescrizione quinquennale”.

La Corte d’Appello, infatti, ha disatteso la domanda dell’appellante principale (comune di Capri) in ordine all’accertamento della sussistenza della prescrizione anche del credito vantato dalla SI. nei confronti del Comune (e non solo verso il MIF – unico a sollevare tale eccezione -), trattandosi di responsabilità solidale con quella del Ministero.

La Corte territoriale ha rigettato il motivo d’appello principale, “stanti le diverse condotte tra esso comune ed il Ministero delle Infrastrutture”.

In realtà, il giudice di secondo grado, pur ravvisando condotte diverse sarebbe però giunto alla medesima conclusione, cioè che trattavasi di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. per entrambe le pubbliche amministrazioni.

17.1. Il motivo è infondato.

17.2. In via preliminare deve evidenziarsi che il Comune di Capri è rimasto contumace in primo grado e dunque non ha eccepito la prescrizione.

17.3 Deve inoltre rammentarsi che è pur vero che per questa Corte l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale nei confronti del creditore comune, produce effetto anche a favore dell’altro coobbligato convenuto “non eccipiente” nello stesso processo, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti di quest’ultimo possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore “eccipiente”, senza che assuma rilevanza la distinzione tra il coobbligato contumace e quello costituito che non abbia proposto l’eccezione ovvero l’abbia abbandonata, ipotesi tutte che non comportano rinuncia sostanziale alla prescrizione maturata e neppure rinuncia tacita all’azione di regresso verso il coobbligato “eccipiente” (Cass., sez. 1, 22/3/2021, n. 7987).

Tuttavia, deve qui farsi una precisazione. È vero, infatti, che la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente la responsabilità extracontrattuale sia con riguardo alla domanda presentata dalla SI. nei confronti del Comune di Capri, sia in relazione alla domanda ex art. 2043 presentata nei confronti del Ministero delle Infrastrutture, MIF.

Tuttavia, la Corte territoriale ha spiegato con chiarezza le ragioni della differenza delle domande presentate della società nei confronti delle due diverse pubbliche amministrazioni.

Ha chiarito la Corte d’Appello che “non risulta fondato il secondo motivo dell’appello principale (del Comune) relativo alla estensione della prescrizione eccepita dal Ministero delle Infrastrutture anche all’illecito del condebitore solidale”, sia perché per molti comportamenti e danni sono state formulate domande nei confronti solo di una parte o dell’altra, sia perché l’unica fattispecie “su cui si ipotizza la solidarietà è quella relativa all’approvazione della realizzazione della condotta sottomarina da parte della Cassa del Mezzogiorno, con il conseguente danno per mancata utilizzazione dell’impianto”.

Tuttavia, anche in ordine a tale domanda, “le condotte contestate all’ente statale e comunale, sono del tutto distinte, contestandosi alla Cassa del Mezzogiorno la positiva valutazione del progetto anche ai fini della valutazione delle richieste del contributo della SI., ed all’ente comunale, la scelta di essersi avvalso dell’approvvigionamento dell’acqua di detta condotta”.

Intervento volontario nuove eccezioni e difesa garantita

Trattasi, effettivamente, di due domande diverse, proposte nei confronti rispettivamente del Comune di Capri e del Ministero delle Infrastrutture.

A quest’ultimo, infatti, è imputato, sostanzialmente, di avere finanziato un progetto alternativo a quello del desalinizzatore, attraverso fondi concessi per la costruzione dell’acquedotto sottomarino, mentre la domanda nei confronti del Comune di Capri, poi accolta in parte dalla Corte d’Appello, era relativa “alla responsabilità esclusiva… per i danni derivanti dei costi per l’attività di manutenzione dell’impianto di dissalazione e del costo del personale”.

È la stessa attrice, con l’atto di citazione, a chiedere i danni per la responsabilità esclusiva del Comune di Capri, danni che poi le sono stati riconosciuti in parte. Pertanto, con riferimento ad essi, non v’è alcuna ipotesi di responsabilità solidale con il MIF.

La responsabilità solidale del Comune e del MIF è stata invece invocata per “i danni derivanti dal mancato funzionamento dell’impianto subito dopo la messa in servizio… danni per mancata produzione vendita dell’acqua… danni per mancata produzione vendita dell’energia elettrica… danni derivanti dalla partecipazione dell’impianto di esalazione alla copertura della quota parte delle spese generali della società… danni derivanti dei costi di demolizione dell’impianto”.

Come si vede, quella compiuta dalla Corte territoriale costituisce una piena valutazione meritale delle domande giudiziali, sufficientemente motivata, che non può essere censurata in questa sede per violazione di legge, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ma solo per violazione delle regole di ermeneutica ex art. 1362 e ss. c.p.c. (Cass., sez. 3, 1/9/2022, n. 25826; Cass., sez. 2, 21/2/2014, n. 4205).

18. Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la “violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e stato oggetto di discussione tra le parti”.

La Corte d’Appello ha respinto il terzo motivo di gravame del Comune, in base al quale non c’era prova dell’affidamento della SI. in relazione alle note comunali.

Per il Comune, infatti nessuna forza probatoria potevano avere: la lettera di un assessore indirizzata al prefetto di Napoli; la nota dell’assessore al turismo del 29/7/1983 che non poteva certo impegnare il Comune di Capri verso l’esterno; il verbale della riunione del 3/4/1984 tenutasi presso la prefettura di Napoli; la delibera di giunta municipale che esprimeva meramente parere favorevole al mantenimento in esercizio dell’impianto; la delibera comunale del 27/6/1988, n. 386, che aveva un oggetto diverso dalla fornitura idrica tramite il desalatore, afferendo al diverso problema della distribuzione della rete idrica.

Per il ricorrente incidentale la Corte d’Appello sarebbe “incorsa in un errore di diritto, laddove ha ritenuto che degli atti aventi valenza meramente interna, e non impegnativi verso l’esterno, potessero configurare “atti amministrativi autoritativi” diretti alla SI., inducendolo a “determinare anche un ragionevole affidamento sulla utilità economica di proseguire nell’attività di impresa”, stravolgendo così l’onere della prova che gravava sulla società SI. che non si ritiene sia stato assolto. La Corte d’Appello avrebbe omesso “di applicare l’art. 2967 c.c.”.

18.1. Il motivo è inammissibile.

Tale inammissibilità deriva, sia dalla circostanza che si invoca l’art. 2967 c.c., per evidenziare un’asserita omessa valutazione di fatti decisivi, mentre tale disposizione attiene al riparto dell’onere della prova, sia dalla richiesta di una nuova rivalutazione degli elementi istruttori già compiutamente effettuata dalla Corte d’Appello, sia perché nell’ambito dello stesso motivo vengono inserite sia la violazione di legge che la censura sulla motivazione, impedendo a questa Corte di comprendere l’effettiva portata del motivo.

Valgono, peraltro, quanto alla pretesa violazione dell’onere della prova, le medesime ragioni (in via speculare) relative al quarto motivo (seppure trattato unitamente al quinto motivo) del ricorso principale.

Tra l’altro, tutti gli elementi fattuali indicati sono stati espressamente e analiticamente esaminati dalla Corte territoriale.

19.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con riferimento al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il sesto motivo di ricorso principale; rigetta i restanti; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del Comune ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 1, se dovuto.

Così deciso in Roma il 5 dicembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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