Consiglio di Stato, Sentenza|2 agosto 2021| n. 5705.
Innovazioni o modifiche legislative.
Quando nelle more del giudizio interviene una modifica normativa che riporti essa stessa l’atto oggetto del ricorso nei canali della legalità, l’azione del ricorrente dovrà dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.
Sentenza|2 agosto 2021| n. 5705. Innovazioni o modifiche legislative
Data udienza 15 luglio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Opere interne – Cambiamento di destinazione d’uso – Immobile sito in zona produttiva – Avviso di rigetto – Art. 5, L.P. Bolzano n, 7/2012 . Limitazioni – Ius superveniens – Innovazioni o modifiche legislative – Sopravvenuta nullità o illegittimità del provvedimento amministrativo adottato – Sopravvenuta improcedibilità per sopravvenienza normativa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6178 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ma., Al. Mu., con domicilio eletto presso lo studio Lu. Ma. in Roma, via (…);
contro
Sc. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ca. e Ma. Sc., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ca. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. – SEZIONE AUTONOMA DI BOLZANO n. 00190/2013, resa tra le parti, concernente diniego del rilascio di concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Sc. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 luglio 2021 il Cons. Thomas Mathà . L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Innovazioni o modifiche legislative
FATTO
1. L’appello riguarda i provvedimenti del Comune di (omissis) (BZ) del 2012 che avevano respinto la domanda della società Sc. srl volta ad ottenere una concessione edilizia per opere interne e cambiamento di destinazione d’uso da “produttivo/terziario” in “commercio al dettaglio” in un immobile sito nella zona produttiva di (omissis) (p.ed. (omissis) C.C. (omissis)).
2. La predetta società, proprietaria di questo complesso immobiliare in una zona produttiva, intendeva ivi ospitare dei locali adibiti al commercio al dettaglio, ritenendoli perfettamente idonei a tale attività . A questo fine aveva chiesto all’amministrazione comunale di (omissis) una concessione edilizia con il rispettivo mutamento di destinazione d’uso. Il Comune, previo avviso di rigetto, aveva respinto tale domanda con provvedimento del 13 giugno 2012, in quanto la normativa provinciale in materia di urbanistica limitava tale destinazione nelle zone produttive (art. 5 della l.p. 7/2012).
3. Avverso questi provvedimenti l’odierna parte appellata aveva proposto ricorso dinanzi al T.R.G.A. Sezione Autonoma di Bolzano (r.g. n. 218/2012). A fondamento poneva quattro censure: 1) violazione della libertà di stabilimento (art. 49 TFUE) e mancata disapplicazione della norma provinciale per contrasto con il diritto europeo; 2) illegittimità costituzionale della specifica normativa urbanistica provinciale e violazione e falsa applicazione della normativa nazionale in materia di liberalizzazione della attività economiche; 3) eccesso di potere per travisamento e difetto di potere; 4) violazione e falsa applicazione della normativa sul procedimento amministrativo (l.p. 17/1993). Il Comune di (omissis) in quel giudizio rimase contumace.
Nelle more di quel giudizio di primo grado, la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 (commi 1, 2, 3, 4 e 7) e dell’art. 6 della legge provinciale 16 marzo 2012, n. 7, in quanto violavano la competenza esclusiva della Stato in materia di tutela della concorrenza (sentenza n. 38/2013).
4. Il T.R.G.A. adito accolse il ricorso con sentenza n. 190/2013, giudicando fondati i primi tre motivi del gravame e re spingendo la domanda di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per asserita legittimità costituzionale dell’art. 44-quater della l.p. 13/1997 (come novellato dalla l.p. 3/2013), in quanto non lo ritenne norma applicabile nel caso di specie.
5. Contro questa pronuncia il Comune di (omissis) ha proposto appello, ritualmente notificato e depositato il 6 agosto 2013, seguito da motivi aggiunti per ius superveniens ai sensi degli artt. 43 e 104, co. 3 cod. proc. amm. il 15.11.2013.
6. Si è costituito in giudizio l’appellata Sc. srl, chiedendo il rigetto del ricorso.
7. Con successive memorie del 14.6.2021 e 15.6.2021, seguite da memorie di replica del 15.6.2021 e 24.6.2021, entrambe le parti, in considerazione degli effetti della normativa sopravvenuta, hanno dedotto l’improcedibilità del ricorso in primo grado per carenza di interesse.
8. La causa è stata introitata in decisione all’udienza pubblica del 15 luglio 2021.
Innovazioni o modifiche legislative
DIRITTO
9. Con il ricorso d’appello introduttivo l’appellante ha sollevato tre censure avverso l’impugnata sentenza.
9.1 Con la prima doglianza il Comune deduce l’applicabilità a questo caso della residua disciplina dettata dalla l.p. 7/2012 e della l.p. 13/1997, anche dopo l’annullamento della Corte Costituzionale di alcune di queste norme provinciali (sentenza n. 38/2013). In sostanza l’appellante sostiene che al T.R.G.A. non era permesso di applicare direttamente la normativa statale, in violazione dell’art. 2 co. 1 del d.lgs. 266/1992 (norma di attuazione dello Statuto speciale di autonomia), ma doveva applicare la normativa urbanistica residuale non dichiarata incostituzionale, che comunque non consentiva il commercio all’ingrosso nelle zone produttive. In verità, sostiene l’amministrazione comunale, anche dopo il vaglio della Corte Costituzionale su alcuni punti della legge urbanistica provinciale, l’impianto normativo non consentirebbe una indiscriminata liberalizzazione del commercio al dettaglio.
9.2 Nella seconda censura viene criticata la sentenza di prime cure in quanto, ad opinione dell’appellante, il T.R.G.A. avrebbe dovuto applicare la normativa statale di liberalizzazione in senso costituzionalmente orientato, senza ledere altri principi costituzionalmente tutelati (tutela della salute e dell’ambiente, utilità sociale, sicurezza, libertà e dignità umana, fini sociali, razionale sfruttamento del suolo ed equi rapporti sociali) e senza “estinguere” la competenza pianificatoria della Provincia e dei Comuni. Il Comune di (omissis) deduce che secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (sez. VI, n. 847/2012), che aveva richiamato in questa pronuncia la nota decisione della Corte di Giustizia Europea C-400/08, Commissione Europea contro Regno di Spagna (ECLI:EU:C:2011:172), le libertà fondamentali lascerebbero spazio al legislatore per porre restrizioni alla concorrenza per motivi di interesse generale, quali l’esigenza della razionale gestione del territorio. Il diniego della concessione edilizia sarebbe espressione di tale restrizione legittima, rispettosa di altri valori tutelati, e quindi pertinente nel caso oggetto del contenzioso. Il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto che la normativa era sorretta da principi che giustificavano comunque l’adozione del provvedimento impugnato.
9.3 Con l’ultima critica l’appellante amministrazione ritiene che la sentenza del TRGA sia errata nella parte che statuisce che la deroga per il commercio al dettaglio nelle zone produttive (in seguito all’annullamento da parte della Corte Costituzionale) debba valere anche per gli alloggi di servizio. Questa conclusione sarebbe illogica e contradditoria, poiché la destinazione d’uso residenziale nelle zone produttive non può essere accertata a mano del Giudice amministrativo anche per un’altra categoria urbanistica (commercio al dettaglio), ma avrebbe richiesto un’ulteriore rimessione della domanda alla Corte Costituzionale.
Innovazioni o modifiche legislative
9.4 Successivamente il Comune di (omissis), depositando due motivi aggiunti al ricorso in appello, ha ampliato la difesa argomentando che la legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (con modificazioni) e, novellando l’art. 31 co. 2 del d.lgs. 201/2011, ha attribuito alle Regioni ed alle Provincie Autonome nonché agli enti locali la competenza di legiferare, amministrare e gestire il rispettivo territorio. Questa norma consentirebbe di prevedere limitazioni urbanistiche e commerciali per le aree destinate ad esercizi commerciali, senza discriminazione tra gli operatori, qualora motivate dalla tutela alla salute, dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali.
Stando a queste premesse, il ricorrente sostiene che l’impianto normativo provinciale – non dichiarato incostituzionale – risulterebbe ulteriormente confortato da tale sviluppo legislativo, avendo il legislatore statale consentito nuovamente agli enti territoriali l’individuazione di limiti all’apertura di nuovi esercizi commerciali al minuto nelle zone produttive, in presenza di motivazioni specifiche, indiscriminate e proporzionali.
L’appellante amplia la sua doglianza avverso la sentenza impugnata, ribadendo che, in seguito a tale importante nuova disciplina, il T.R.G.A. avrebbe dovuto interpretare la normativa provinciale e statale in senso costituzionalmente orientato. Il diniego della concessione edilizia e quindi dell’apertura di una nuova struttura per il commercio al dettaglio nella zona produttiva del Comune di (omissis) era comunque già sorretto prima da validi principi legislativi, rispettosi di diversi profili egualmente tutelati.
L’appellante chiude rinviando a copiosa giurisprudenza amministrativa: del T.R.G.A. Sezione Autonoma di Bolzano (sentenze n. 187/2019 e n. 189/2019, sempre su ricorsi della stessa società in materia di commercio al dettaglio nella medesima zona produttiva) e di questo Consiglio di Stato (n. 6750/2019 e n. 3047/2018).
10. Il Collegio può constatare che l’appello è fondato alla luce dei motivi aggiunti, con assorbimento delle ulteriori censure dal cui accoglimento l’interessata non avrebbe potuto derivare vantaggi sostanziali ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’accertamento dell’improcedibilità per carenza di interesse al ricorso in primo grado.
11.1 Nelle more di questo giudizio, la disciplina nazionale e provinciale sul commercio al dettaglio nelle zone produttive ha subito diverse e sostanziali modifiche.
11.2 La norma di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Autonoma Trentino Alto Adige in materia di pianificazione urbanistica del settore commerciale, approvata con d.lgs. 7 luglio 2016, n. 146 così dispone:
“Dopo l’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, è aggiunto il seguente:
“40. Le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, salvo quanto disposto dai commi successivi. Al fine di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, dei beni culturali, il governo del territorio e il mantenimento e la ricostruzione del tessuto commerciale tradizionale nonché la tutela della vivibilità dei centri storici, le province possono anche prevedere, senza discriminazione tra gli operatori e nel rispetto del principio di proporzionalità, aree interdette agli esercizi commerciali e limitazioni per l’esercizio del commercio nelle zone produttive. Le province, in relazione alla specificità topografica montana del territorio e alle particolari tradizioni che ne rappresentano l’identità, possono adottare misure di salvaguardia e riqualificazione delle attività commerciali, anche mediante piani di incentivazione purché si rispettino i vincoli derivanti dall’ordinamento europeo in tema di aiuti di Stato.”
11.3. Il legislatore provinciale aveva quindi dato seguito a questa apertura statale e ha modificato il quadro normativo con legge provinciale n. 22 del 2017. L’articolo 8 comma 5 di questa norma recita:
“Le attività di commercio al dettaglio in zone per insediamenti produttivi per le quali, prima del 12 novembre 2014, sia stata inoltrata la relativa segnalazione di inizio attività (SCIA) e/o comunicazione ma alle quali alla medesima data non corrispondeva un effettivo esercizio, nonché le attività a cui sia stato dato inizio prima di tale data, ma il cui esercizio non sia totalmente conforme alla segnalazione di inizio attività (SCIA) e/o alla comunicazione inoltrata, sono considerate, a tale data, non in essere e la relativa comunicazione inefficace. Questa, se inoltrata nuovamente, viene esaminata ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 2 della legge provinciale 16 marzo 2012, n. 7, e successive modifiche. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione anche nel caso in cui l’attività non abbia avuto inizio in forza di provvedimenti amministrativi, anche se oggetto di contenzioso giudiziario, salvo i casi di loro annullamento in base a sentenza passata in giudicato alla data del 12 novembre 2014.”
Innovazioni o modifiche legislative
Sono stati conservati sempre gli stessi limiti al commercio di dettaglio nelle zone produttive, presenti già nella normativa precedente, che costituiscono una causa ostativa per la società appellata ad ottenere un cambiamento di destinazione per il commercio al dettaglio.
Ricorda infine proprio la parte appellata che la normativa provinciale, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, risulta conforme, potendo il legislatore provinciale disciplinare in determinate zone del territorio comunale una restrizione, che non poggia solo su ragioni meramente economiche, ma su interessi generali come la tutela dell’ambiente e simili, in rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione (cause riunite C-360/15, X e C-31/16, ECLI:EU:C:2018:44).
La normativa sopravvenuta ha confermato che la liberalizzazione dell’attività commerciale non può sacrificare le esigenze connesse ad un razionale ed ordinato assetto del territorio. Questo non significa una piena libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali su tutto il territorio, ma consente di nuovo alla Provincia Autonoma di Bolzano di esercitare la competenza legislativa in materia di pianificazione urbanistica. Le nuove norme provinciali giustificano quindi la previsione di limiti all’apertura di commercio al dettaglio nelle zone produttive. Il diniego del cambiamento di destinazione urbanistica da “produttiva” e/o “terziario” a “commercio al dettaglio”, sorretto da tale norma, è pertanto legittimo. Il ricorso originario aveva censurato il diniego proprio per questo contrasto con la normativa statale, che nelle more di questo giudizio d’appello è stato eliminato dal legislatore statale.
11.4 Per poter proporre ricorso giurisdizionale è necessario un interesse, e quest’ultimo va accertato al fine di stabilire se il gravame è corretto ed ammissibile. Ciò si deduce attraverso il rinvio esterno che l’art. 39 cod. proc. amm. compie nei confronti delle norme del codice di procedura civile (art 100). L’interesse deve essere diretto, attuale e concreto. È attuale quando mira, attraverso il mezzo impugnatorio, alla rimozione del vulnus esistente e persistente nella sfera giuridica di afferenza del cittadino. È diretto e concreto qualora, all’attualità cronologica della lesione, si affianchi la sua effettiva percepibilità, che a sua volta si manifesta con la perpetrazione di un danno che, da un lato, rimarca la non conformità dell’atto rispetto agli schemi legali di riferimento e, dall’altro, costituisce il presupposto perché l’atto pregiudizievole venga cancellato dalla realtà giuridica.
Nel caso di ius superveniens, ovvero innovazioni o modifiche legislative che afferiscono alla base giuridica di riferimento del potere pubblico, può causarsi la sopravvenuta nullità o illegittimità del provvedimento amministrativo adottato. Qualora il provvedimento sul quale insistono sia già oggetto di ricorso, non influiranno sull’andamento del relativo processo, operando in questi casi la regola del tempus regit actum di cui all’art. 11, co. 1, delle preleggi. Questo comporta, nei confronti del procedimento in corso, che si continuerà ad applicare la normativa previgente. Ma laddove, nonostante ciò, nelle more del giudizio intervenga una modifica normativa che riporti essa stessa l’atto oggetto del ricorso nei canali della legalità, l’azione del ricorrente dovrà dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse. L’Adunanza Plenaria ha avuto più volte modo di pronunciarsi su questa tematica, confermando questa esposizione (la più recente cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 11/2016).
Nella specie, pertanto, si verte in una ipotesi di sopravvenuta improcedibilità per sopravvenienza normativa.
11.5 Essendo questa la cornice giuridica, sia per quanto riguarda l’interesse ad agire, sia per quanto concerne la disciplina sul commercio al dettaglio nelle zone produttive nella Provincia Autonoma di Bolzano, modificata con ius superveniens, l’appellata società non potrebbe in alcun modo ottenere il bene della vita richiesto. La successiva sentenza del T.R.G.A. n. 187/2019, passata in giudicato, aveva già respinto il ricorso della stessa società ora appellata contro un ulteriore atto reiettivo in seguito ad un riesame da parte del Comune nella stessa materia del contendere. Da ciò discende l’improcedibilità dell’originario ricorso in primo grado, per sopravvenuta carenza di interesse dell’originaria società ricorrente Sc. srl.
12. Le peculiarità di questo giudizio porta il Collegio a confermare presenti gli elementi di legge che consentono a compensare integralmente le spese di lite del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza appellata, e dichiara improcedibile il ricorso originario. Spese compensate tra le parti nel doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Thomas Mathà – Consigliere, Estensore
Innovazioni o modifiche legislative
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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