Corte di Cassazione, penale, Sentenza|19 gennaio 2021| n. 2182.
In tema di sequestro preventivo, la preclusione del giudicato cautelare non opera nel caso in cui, annullato il sequestro per equivalente per essere stato adottato senza aver verificato l’esperibilità del sequestro diretto del profitto del reato, sia nuovamente disposto, sulla base dei medesimi elementi, il sequestro in via diretta e, ove ciò non fosse possibile, per equivalente. (In motivazione, la Corte ha precisato che il divieto di “bis in idem” cautelare non presuppone solo la mera identità del fatto, ma ricomprende anche l’identità degli elementi posti e valutati a sostegno o a confutazione della misura).
Sentenza|19 gennaio 2021| n. 2182
Data udienza 8 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Misura cautelare reale – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta o equivalente – Bis in idem – Nozione in ambito cautelare – Fumus commissi delicti – Valutazione in relazione al reato di peculato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabrin – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della liberta’ di Catanzaro l’11/12/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Pietro Silvestri;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS), in difesa dell’indagato, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato il decreto con cui e’ stato disposto il sequestro preventivo – diretto o per equivalente – della somma di 1.740.000 Euro, considerata profitto dei reati di turbata liberta’ degli incanti e peculato.
A (OMISSIS), cui e’ attribuita la carica di amministratore delegato della societa’ (OMISSIS) s.p.a., e’ contestato, in concorso con (OMISSIS), dirigente dell’ufficio Legale dell’Azienda Forestale Regionale (Afor) della Calabria, e con tale (OMISSIS), dirigente amministrativo dello stesso ente:
a) di avere, con collusioni, turbato una determinata gara indetta in relazione alla gestione di un servizio finanziario; con una serie di condotte sostanzialmente volte ad impedire la partecipazione di altre imprese alla gara – ad eccezione della sola (OMISSIS) – sarebbe stata consentita l’aggiudicazione alla societa’ in questione della gara, rispetto alla quale solo successivamente sarebbe stata predisposta la bozza della convenzione che disciplinava la condizioni di gestione del servizio; b) di essersi appropriato dei fondi pubblici dell’Azienda forestale per la Calabria, distraendoli dalle finalita’ istituzionali dell’ente ed utilizzandoli per fini diversi, mediante operazioni di investimento incompatibili con i compiti demandati alla (OMISSIS) dalla Legge Regionale n. 20 del 1993.
L’ordinanza genetica e’ stata emessa nei confronti degli stessi soggetti e per gli stessi fatti a seguito di una nuova domanda cautelare, proposta dopo un precedente annullamento da parte della Corte di cassazione dell’ordinanza del riesame determinato dal fatto che il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro per equivalente senza prima verificare i presupposti per un sequestro diretto delle somme.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato articolando un unico motivo con cui si lamenta violazione di legge.
Si assume, sotto un primo profilo, che l’ordinanza sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto che, nella specie, non sarebbe stato violato il principio del bis in idem per essere stato il primo provvedimento di sequestro annullato solo per ragioni processuali.
Secondo il ricorrente la Corte di cassazione avrebbe in realta’ annullato la precedente ordinanza sulla base dalla valutazione dell’intero provvedimento genetico cautelare, ritenendo in tal modo assorbite le altre questioni dedotte; ne’ costituirebbero elementi sopravvenuti gli interrogatori di tali Pastorino e (OMISSIS), gia’ in realta’ presenti in sede di primo giudizio di riesame.
Sotto altro profilo, si contesta il fumus commissi delitti, tenuto conto che a (OMISSIS) non sarebbe stata applicata nessuna misura cautelare personale, ne’ vi sarebbero gravi indizi di colpevolezza.
Si sostiene, quanto al delitto di cui all’articolo 353 c.p., che il Tribunale non avrebbe indicato elementi da cui desumere che (OMISSIS), diversamente dagli altri, conoscesse in anticipo la delibera con cui fu bandita la gara strumentale a consentire la partecipazione ad essa della sola societa’ (OMISSIS); (OMISSIS), inoltre e diversamente da quanto affermato, non era all’epoca dei fatti l’amministratore delegato della societa’, ne’ il legale rappresentante della stessa, ma un consigliere di amministrazione e non sarebbe corretta nemmeno l’affermazione secondo cui l’indagato esercitasse di fatto le funzioni di amministratore delegato.
Considerazioni simili sono compiute anche per quel che concerne il delitto di peculato, atteso che, il ricorrente, essendo solo un consigliere di amministrazione, non avrebbe avuto la disponibilita’ della somma ovvero il potere di disporre della stessa. Il presidente del consiglio di amministrazione, tale (OMISSIS), avrebbe arbitrariamente disposto della somma di 850.000 Euro “spostandola” su un conto corrente ordinario con assegni, mai incassati e detta operazione non sarebbe attribuibile all’indagato; la restante parte della somma sarebbe stata invece utilizzata per finalita’ coerenti con quelle previste dal contratto, ed il mancato rientro non sarebbe decisivo, perche’, da una parte, per alcuni finanziamenti il rientro era previsto nel 2019-2020 e perche’, dall’altra, a copertura delle somme, sarebbe stata sottoscritta una polizza fideiussoria.
Ne’ sussisterebbe il periculum in mora, in quanto il ricorrente non potrebbe in alcun caso modificare o disperdere la cosa confiscabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. E’ inammissibile per manifesta infondatezza la parte del motivo relativa alla prospettata violazione del bis in idem.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 23844 del 07/05/2019, annullo’ d’ufficio l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame e dichiaro’ l’inefficacia dell’originario titolo cautelare senza compiere nessuna valutazione di merito in ordine ai presupposti legittimanti la misura reale, perche’ “nei riguardi dell’odierno ricorrente venne disposto il sequestro preventivo per equivalente ai sensi dell’articolo 322 ter c.p. in totale assenza di una preventiva applicazione di un sequestro preventivo delle somme di denaro finalizzato alla eventuale confisca diretta da eseguire nei confronti della citata societa’, dunque in mancanza di un accertamento circa l’impossibilita’ dell’ablazione diretta che costituisce presupposto indefettibile per applicare una misura cautelare finalizzata alla confisca di beni di valore corrispondente al profitto del reato” (cosi’ la sentenza della Corte di cassazione).
Dunque, un annullamento disposto non per ragioni legate alla legittimita’ dei presupposti del provvedimento di sequestro, quanto, piuttosto per l’essere stato disposto un sequestro per equivalente senza aver verificato la esperibilita’ di un sequestro diretto del profitto derivante dal reato.
Con la sentenza “Testini”, le Sezioni unite della Corte affrontarono la questione relativa alla sussistenza ed ai limiti del potere del pubblico ministero, nelle more del giudizio di rinvio conseguente all’annullamento della decisione del tribunale del riesame di revoca della misura cautelare, di richiedere utilmente, sulla base di nuovi elementi, suscettibili di prospettazione anche in detto giudizio, l’emissione di una nuova misura cautelare nei confronti dello stesso soggetto e per i medesimi fatti.
Il tema atteneva alla configurabilita’ di una preclusione all’adozione di un provvedimento applicativo di una misura cautelare nei confronti di un soggetto, nella pendenza del riesame dallo stesso proposto su analogo precedente provvedimento avente ad oggetto il medesimo fatto; la questione era sostenuta sulla base dei principi affermati nella sentenza “Donati” delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 24655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800), secondo la quale sussiste preclusione all’esercizio dell’azione penale, anche prima della sentenza irrevocabile in un precedente giudizio per lo stesso fatto nei confronti della medesima persona, avuto riguardo all’ufficio di procura che aveva gia’ promosso la prima azione.
Con la sentenza in questione, le Sezioni unite della Corte di cassazione ritennero pienamente condivisibili le argomentazioni della sentenza “Donati” circa l’immanenza nell’ordinamento processualpenalistico di un generale principio di preclusione, di cui la regola dell’articolo 649 c.p.p. e’ solo una particolare pregnante espressione, e che opera quindi anche in altri ambiti procedurali.
Con particolare riguardo al procedimento cautelare, la Corte evidenzio’ come il principio di preclusione abbia insita nella propria “ratio” la natura contingente dei provvedimenti e la necessita’ del loro tendenziale adeguamento al mutare delle situazioni. Cio’ e’ evidente, e di forte significato garantistico, per le tutele poste a presidio dell’indagato, ma vale, seppure in termini non sovrapponibili, anche dalla parte dell’accusa.
Secondo le Sezioni unite “ne consegue che l'”idem” il cui “bis” e’ precluso non puo’ concretarsi ed esaurirsi, in ambito cautelare, come avviene invece nel processo cognitivo, nella mera identita’ del fatto…. ma ricomprende necessariamente anche l’identita’ degli elementi posti (e valutati) a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare. Tale conclusione, pacificamente accolta, come si e’ visto, per la determinazione dei limiti del giudicato cautelare, non puo’ non valere simmetricamente, per comunanza di grado, anche in tema di giudicando cautelare. Sarebbe, invero, oltremodo illogico, e contrario alle esigenze di tempestivita’ tipiche del settore in discorso, negare, a causa di una pendenza in atto, l’immediato utilizzo dei nova utili a sostenere una determinata posizione, rinviandolo ex lege alla cessazione di quella pendenza. E’ del resto prassi corrente, della cui legittimita’ non si dubita, la proposizione, da parte dell’indagato, di istanze di revoca o sostituzione della misura, purche’ basate su elementi nuovi, mentre e’ in corso, non importa in quale fase, un procedimento cautelare relativo alla stessa contestazione; con quanto poi ne puo’ conseguire, in termini di interesse, sulla sorte di quest’ultimo. La soluzione non puo’ essere diversa quando i nova siano fatti valere dal pubblico ministero. Le esigenze di una pronta tutela della collettivita’, costituenti il pendant di quelle che presidiano il favor libertatis, sono parimenti incompatibili con improprie e inutili dilazioni, quali quelle che deriverebbero da intralci di tipo procedurale, a volte anche di lunga durata, e magari non nella disponibilita’ dell’accusa. Le situazioni che si possono presentare nella realta’ sono evidentemente le piu’ varie e possono condizionare le scelte concrete del p.m. e riflettersi sulle conseguenze delle medesime sulla sorte dei procedimenti. Il punto fermo e’ comunque che l’autonomo utilizzo dei nova non puo’ essere paralizzato da una pendenza in atto sullo stesso fatto, mentre a sua volta ne determina la non riversibilita’ dei medesimi in essa, operando, nell’identita’ degli elementi addotti, il meccanismo preclusivo” ” (Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010 – dep. 2011- Testini, Rv. 249001).
Secondo le Sezioni unite della Corte, l'”idem” il cui “bis” e’ precluso in ambito cautelare non attiene solo alla mera identita’ del fatto, ma ricomprende anche l’identita’ degli elementi posti (e valutati) a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare.
Nel caso di specie, dunque, cio’ che era precluso al Pubblico Ministero ed al Giudice per le indagini preliminari era chiedere e disporre, ai sensi dell’articolo 322 ter c.p., sulla base degli stessi elementi un nuovo sequestro per equivalente senza aver previamente verificato la possibilita’ di disporre un sequestro diretto del profitto.
Ne discende che nessuna preclusione esisteva per il Gip di disporre un nuovo provvedimento cautelare che, recependo i principi affermati dalla Corte di cassazione con la precedente sentenza di annullamento, eliminasse “il vizio” riscontrato e imponesse il sequestro del profitto innanzitutto in via diretta e, solo nel caso in cui cio’ non fosse stato possibile, per equivalente.
3. E’ inammissibile anche la parte del motivo relativa alla paventata insussistenza del fumus commissi delicti.
Va innanzitutto evidenziato che il sindacato di legittimita’ sulle ordinanze emesse dal tribunale del riesame a norma degli articoli 322-bis e 324 c.p.p. e’ limitato dall’articolo 325, comma 1 all’esclusivo vizio di “violazione di legge”; puo’ ritenersi infatti consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui con riguardo a tutti i casi nei quali il ricorso per Cassazione e’ limitato alla sola “violazione di legge” (a norma, ad esempio, dell’articolo 311, comma 2, per il ricorso “per saltum” in materia di misure cautelari personali e dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, per il ricorso in tema di misure cautelari reali, ovvero della L. n. 1423 del 1956, articolo 4 per il ricorso in materia di misure di prevenzione, personali o patrimoniali), e’ esclusa la sindacabilita’ dell’illogicita’ manifesta della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in quanto vizio non riconducibile alla tipologia della violazione di legge.
In particolare, nelle ipotesi indicate, il controllo di legittimita’ non si estende all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso per cassazione il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, che e’ configurabile quando la motivazione manchi o sia, del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione. In tali casi, si afferma, il vizio appare qualificabile come inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullita’, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. (Sez. U., n. 5876 del 28/4/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U., n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv.239692).
Nel caso di specie il Tribunale, anche facendo riferimento all’ordinanza genetica, ha spiegato, quanto al delitto di cui all’articolo 353 c.p.: a) sulla base di quali elementi di fatto si e’ ipotizzato che l’indagato abbia colluso con (OMISSIS) – dirigente amministrativo dell’ente e responsabile del procedimento e delle attivita’ prodromiche accessorie e successive alla pubblicazione della manifestazione di interesse – al fine di determinare la partecipazione e l’aggiudicazione della gara alla societa’ (OMISSIS); c) perche’ non assuma decisiva valenza la circostanza, valorizzata dalla difesa, per cui (OMISSIS) non fosse, all’epoca dei fatti, formalmente amministratore delegato della societa’, atteso che proprio la bozza di convenzione, che faceva riferimento espresso a (OMISSIS) come rappresentante della societa’, dimostrerebbe il coinvolgimento dell’indagato nei fatti per cui si procede (sul punto, nulla e’ stato specificamente dedotto sul perche’ quella bozza avrebbe contenuto “per errore” il nome dell’odierno ricorrente); d) la nomina di (OMISSIS) ad amministratore delegato della societa’ fu formalizzata poco dopo, a dimostrazione del pieno coinvolgimento del ricorrente nelle dinamiche gestorie della impresa.
Non diversamente, quanto al peculato, il Tribunale ha con una motivazione sufficiente, seppur ai soli fini della tenuta del provvedimento di sequestro, chiarito perche’ e come alla (OMISSIS), attraverso un accordo quantomeno tra (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS), furono sottratte somme dalle finalita’ pubbliche istituzionali per accreditarle alla societa’ (OMISSIS): una societa’ che, ancorche’ abbia natura privata, gestiva denaro pubblico, con conseguente riconoscimento della qualifica pubblicistica.
Rispetto a tale quadro di riferimento, la parte del motivo di ricorso relativa al fumus rivela la sua strutturale inammissibilita’ perche’, da una parte, non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, riproponendo questioni, come quella della insussistenza della qualifica di amministratore delegato del ricorrente al momento in cui i fatti si verificarono, a cui il Tribunale ha fornito adeguata risposta, e, dall’altra, mostra la sua obiettiva genericita’ nella parte in cui pretende di attribuire esclusivamente ad un altro soggetto, (OMISSIS), i fatti per cui si procede, senza tuttavia considerare gli elementi volti a comprovare anche il coinvolgimento del ricorrente.
Ne’ a diverse conclusioni puo’ giungersi con riguardo al decorso del termine per la restituzione del denaro ed alla sottoscrizione della polizza fideiussoria; quanto al primo, si tratta di affermazioni assolutamente generiche, non essendo stato indicato alcunche’ in ordine al supposto termine che sarebbe scaduto nel 2019- 2020.
Quanto alla fideiussione, questa Sezione della Corte di Cassazione ha gia’ rilevato la irrilevanza ai fini della esclusione del delitto di peculato della stipulazione di un contratto di fideiussione a garanzia dell’adempimento del rapporto obbligatorio. La fideiussione, infatti, assume rilevanza soltanto sul piano civile ed amministrativo, tenendo indenne l’ente creditore in caso di mancato adempimento versamento del dovuto da parte del beneficiario del servizio, ma non assume alcun rilievo sul piano penale, atteso che il perfezionamento della fattispecie penale consegue alla distrazione dei fondi dalle finalita’ pubbliche ed alla loro destinazione a scopi di arricchimento privato (cfr., Sez. 6, n. 15853 del 01/02/2018, Munafo’, Rv. 272910; Sez. 6, n. 2693 del 29/11/2017, dep. 2018, De Luca, Rv. 272131).
Del tutto generico, infine, alla luce delle considerazioni esposte e’ la parte del motivo relativa alla insussistenza del periculum in mora, non essendo stato dedotto alcunche’ di specifico.
4. Alla dichiarazione d’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di tremila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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