Corte di Cassazione, penale, Sentenza|28 gennaio 2021| n. 3561.
In tema di procedimento di prevenzione, qualora la Corte di cassazione annulli con rinvio il decreto emesso dalla corte di appello, gli atti devono essere trasmessi, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., alla stessa sezione che ha adottato il provvedimento (ovvero, in mancanza, alla corte di appello più vicina), sia pur in diversa composizione collegiale, per l’incompatibilità, ex art. 34 cod. proc. pen., dei giudici che si sono già pronunciati sulla questione.
Sentenza|28 gennaio 2021| n. 3561
Data udienza 29 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Misura di prevenzione patrimoniale – Confisca – Pericolosità qualificata – Competenza funzionale del giudice del rinvio nella stessa sezione sia pure in diversa composizione collegiale ex art. 623 comma 1 cpp – Elementi desuntivi della pericolosità – Utilizzo anche di elementi di prova di altri procedimenti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VERGA G. – Presidente
Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere
Dott. PARDO Ignaz – Consigliere
Dott. PACILLI G. – Consigliere
Dott. RECCHIONE – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso il decreto del 12/02/2020 della CORTE APPELLO di PALERMO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SANDRA RECCHIONE;
lette le conclusioni del PG che concludeva per la inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Palermo, decidendo in seguito ad annullamento con rinvio della Cassazione confermava la confisca di prevenzione degli immobili del ricorrente ritenendo che lo stesso avesse manifestato la sua pericolosita’ qualificata fin dalla meta’ degli anni novanta e che gli immobili confiscati – e segnatamente la casa di abitazione erano stato acquistati nel periodo di manifestazione della pericolosita’ qualificata.
2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge: si deduceva che il decreto emesso all’esito del procedimento di prevenzione ha natura di sentenza sicche’ all’annullamento della Cassazione doveva seguire una pronuncia non della stessa sezione della Corte di appello che aveva emesso il provvedimento annullato, ma di altra sezione ai sensi dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera c);
2.2. violazione di legge: la motivazione sarebbe apparente in ordine alla identificazione del periodo in cui il preposto sarebbe stato pericoloso e in ordine alla identificazione della data in cui gli acquisti si sarebbero perfezionati.
2.2.1. Con riguardo alla identificazione del periodo in cui si era manifestata la pericolosita’ si deduceva che l’unico elemento che avrebbe potuto essere utilizzato era la condotta di procurata inosservanza di pena agita per favorire un latitante appartenente all’associazione mafiosa e risalente al 2007; invece tutti gli altri elementi contenuti nella annotazione di polizia giudiziaria del 22 maggio 2016 potevano essere qualificati come “meri sospetti” ma non consentivano di esprimere il giudizio di pericolosita’; si osservava che erano state rilevate frequentazioni con persone che all’epoca dei contatti non era stato dimostrato fossero gia’ affiliate all’associazione.
2.2.2. Con riguardo alla identificazione della data degli acquisti si deduceva che la Corte aveva erroneamente ritenuto che in atti non vi fosse il preliminare di vendita dell’immobile: questo era stato versato in atti all’udienza del 12 aprile 2013 ed era risalente al 5 maggio 1992; si deduceva inoltre che le rate del prezzo erano state pressoche’ integralmente pagate alla data del 22 marzo 1996 (erano stati versati 80.000 Euro sui 90.000 pattuiti) e che tali emergenze indicavano che l’acquisto dell’immobile confiscato era stato effettuato con risorse a disposizione del proposto in un periodo precedente alla manifestazione della pericolosita’ qualificata.
3. il Procuratore generale con requisitoria scritta instava per l’inammissibilita’ del ricorso rilevando la legittimita’ della competenza funzionale del giudice del rinvio e l’illegittimita’ delle doglianze che si configuravano come vizi di motivazione e non come violazioni di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
1.1. Con riguardo alla competenza funzionale del giudice investito del giudizio rescissorio il collegio ritiene che questa debba essere identificata in quella della stessa sezione che ha emesso il provvedimento annullato, seppur in diversa composizione.
Sul punto e’ doveroso segnalare che le Sezioni Unite hanno affermato che il provvedimento che conclude il procedimento di prevenzione ha natura sostanziale di sentenza (Sez. U, n. 600 del 29/10/2009 – dep. 08/01/2010, Galdieri, Rv. 245174): valorizzando tale affermazione parte della giurisprudenza ha ritenuto che il giudice competente per il giudizio rescissorio debba essere identificato ai sensi dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera c), dunque in una sezione della Corte di appello diversa da quella che ha emesso il provvedimento (Sez. 5, n. 21582 del 27/01/2015 – dep. 22/05/2015, Arpaia, Rv. 265136; Sez. 6, n. 11662 del 02/02/2006 – dep. 04/04/2006, Castelluccia ed altri, Rv. 233828).
Tale approdo non e’ condiviso dal collegio.
Si rileva infatti che l’inquadramento del decreto di prevenzione come “sentenza” e’ stato effettuato dalle Sezioni unite al limitato fine di applicare al provvedimento le disposizioni contenute nell’articolo 546 c.p.p., tra cui quello della sottoscrizione del giudice, la cui mancanza ne determina la nullita’, senza avere la pretesa di identificare una competenza funzionale diversa da quella che si ricava attenendosi alla lettera della legge, che identifica la competenza del giudice che decide l’annullamento dell'”ordinanza” – cui deve essere assimilato il “decreto” di prevenzione emesso all’esito di un procedimento in contraddittorio – nella stessa sezione della Corte di appello che la ha emessa, seppur in diversa composizione. L’articolo 623, comma 1, lettera a), stabilisce che, se e’ annullata una “ordinanza”, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata e che detta disposizione e l’articolo 34 c.p.p., comma 1, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza n. 183 del 2013 della Corte costituzionale, nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato o del concorso formale, ai sensi dell’articolo 671.
Il collegio ritiene pertanto di dare continuita’ alla giurisprudenza secondo cui, nel giudizio di prevenzione, la competenza del giudice del rinvio debba essere individuata ai sensi dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera a): ovvero nella stessa sezione che ha adottato il provvedimento sia pur in diversa composizione collegiale, per l’incompatibilita’, ex articolo 34 c.p.p., dei giudici che si sono gia’ pronunciati sulla questione (Sez. 5, n. 15681 del 10/02/2020 – dep. 21/05/2020, Bonaffini, Rv. 279163; Rv. 279163; Sez. 5, n. 42371 del 27/09/2004 – dep. 29/10/2004, Lamanna, Rv. 231015).
Si tratta di un approdo che – seppure incidentalmente – e’ stato condiviso anche dalle Sezioni Unite che, nella decisione relativa al caso “Gattuso” hanno affermato che la natura di decreto del provvedimento che conclude il giudizio in materia di misure di prevenzione non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera a); per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilita’ dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017 – dep. 04/01/2018, Gattuso, Rv. 271511; § 15).
Nel nel caso in esame, il giudice del rinvio e’ stato individuato in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, sicche’ il provvedimento impugnato si sottrae ad ogni censura in questa sede.
1.2. Gli altri due motivi di ricorso sono inammissibili in quanto si risolvono nella deduzione di vizi della motivazione se non, addirittura, in doglianze tese alla rivalutazione delle prove.
1.2.1. Si ribadisce sul punto che nella materia della prevenzione e’ deducibile in Cassazione solo la violazione di legge; la limitazione e’ stata ribadita dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 – dep. 29/07/2014, Repaci e altri, Rv. 260246) ed e’ stata confermata anche dal Giudice delle leggi. La Corte costituzionale, infatti, decidendo in ordine alla ammissibilita’ della eccezione che poneva in dubbio la legittimita’ della restrizione del sindacato di legittimita’ in materia di prevenzione reale ha chiarito che “le peculiarita’ del procedimento di prevenzione devono (…) essere valutate alla luce della specifica ratio della confisca in esame, una ratio che, come ha affermato questa Corte, da un lato, “comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al “circuito economico” di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo” e, dall’altro, “a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di la’ dell’esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi determinati e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso” (sentenza n. 335 del 1996)” (sentenza n. 21 del 2012). Il sistema delle misure di prevenzione ha dunque una sua autonomia e una sua coerenza interna, mirando ad accertare una fattispecie di pericolosita’, che ha rilievo sia per le misure di prevenzione personali, sia per la confisca di prevenzione, della quale costituisce “presupposto ineludibile”, e, una volta giudicata infondata la questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 11, (sentenza n. 321 del 2004) rispetto alle misure personali, sarebbe irrazionale il sistema che si verrebbe a delineare ritenendo invece fondata l’analoga questione relativa alla confisca di prevenzione. Si determinerebbe, infatti, una diversa estensione del sindacato della Corte di cassazione sul provvedimento impugnato, anche in relazione al medesimo presupposto della pericolosita’ del proposto, a seconda che venga in rilievo una misura personale o una misura patrimoniale, e l’irrazionalita’ sarebbe evidente qualora le due misure fossero adottate con lo stesso provvedimento” (Corte Cost. 9 giugno 2015 n. 106).
1.2.2. Con specifico riguardo al tema della perimetrazione temporale della pericolosita’ qualificata il collegio ritiene inoltre che l’inserimento all’interno dell’organizzazione mafiosa non sia un evento “istantaneo”, ma si consumi attraverso un avvicinamento progressivo al consorzio criminale, che si esprime inizialmente attraverso manifestazioni di disponibilita’ a svolgere funzioni “ancillari”, e si consolida successivamente attraverso la piena partecipazione alle dinamiche organizzative dell’associazione: tale progressione implica la diffusione della pericolosita’ non solo sul periodo in cui la pericolosita’ e’ conclamata, ma anche su quello nel quale si manifesta l’avvicinamento. Tale periodo deve essere poi ulteriormente – se pur ragionevolmente retrodatato, dato che l’inizio di un percorso criminale “qualificato” non puo’ che precedere la registrazione dell’avvicinamento all’associazione attraverso specifici atti investigativi.
1.2.3. Quanto agli elementi utili per provare la pericolosita’ il collegio intende dare continuita’ all’orientamento secondo cui gli indicatori di pericolosita’ possono trarsi anche da elementi di prova raccolti in processi che si concludono con sentenze di assoluzione.
Si ribadisce infatti che attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, il giudice di merito puo’ valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosita’ generica del proposto ex Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 1, comma 1, lettera b),, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettivita’ quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosita’ (Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019 – dep. 17/07/2019, Simply soc. coop, Rv. 277225; Sez. 6, n. 921 del 11/11/2014 – dep. 12/01/2015, Gelsomino e altro, Rv. 261842).
1.3. Nel caso in esame il ricorrente deduceva – in modo inammissibile – sia il travisamento della prova per omissione (in relazione alla mancata valutazione del contratto preliminare) sia la contraddittorieta’ del percorso argomentativo che la Corte di merito aveva tracciato per perimetrare il periodo di manifestazione della pericolosita’ qualificata del (OMISSIS) e per verificare se i beni confiscati erano stati acquisiti in tale periodo.
Invero il collegio territoriale, con motivazione accurata ed esaustiva, rilevava che il (OMISSIS) aveva manifestato la sua pericolosita’ intorno ai primi anni âEuroËœ90, dato che a quel periodo risalivano le fonti di prova che evidenziavano il “primo inserimento” dello stesso nel tessuto organizzativo antisociale di Cosa nostra, che si era poi consolidato e strutturato nel corso degli anni, per emergere in modo conclamato da quanto rilevato da una sentenza che applicava la pena concordata per i reati previsti dall’articolo 416 bis c.p. e L. n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies per fatti consumati fino al 2007.
Riteneva la Corte di merito che le emergenze processuali avevano evidenziato il progressivo inserimento del (OMISSIS) nel contesto mafioso del proprio territorio che si era manifestato tanto con il fiancheggiamento di noti latitanti mafiosi, quanto con l’assidua frequentazione di affiliati a Cosa nostra e che la sua pericolosita’ sociale qualificata era stata registrata sin dal periodo successivo alla revoca della misura cautelare in allora imposta, ovvero nel periodo 1994-1996 (in relazione a procedimento che si era concluso con assoluzione pag. 10 del provvedimento impugnato); Il collegio di merito riteneva tuttavia che l’inizio del percorso criminale del (OMISSIS) non poteva che essere riferito a periodo necessariamente antecedente la registrazione attraverso specifici atti di indagine dei primi elementi sintomatici della pericolosita’ qualificata (pag. 12 del provvedimento impugnato). La Corte di appello rilevava infine che l’acquisto dei beni vincolati avveniva in modo rateale, proprio nel periodo di manifestazione della pericolosita’ ovvero dal 1993 (data in cui il proposto aveva sicuramente la disponibilita’ dell’immobile) in avanti (pag. 13 e ss. del decreto impugnato).
Si tratta di una motivazione, di certo non apparente, che rispetta le indicazioni ermeneutiche della cassazione e che si sottrae ad ogni censura.
2. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply